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CAPITOLO 46

Tutto intorno era buio. Le uniche luci che si scorgevano erano quelle delle rare macchine che incontravamo e la strada era illuminata soltanto dai fari della nostra auto, che sfrecciava veloce sull'asfalto. Dal finestrino scorgevo a malapena il bordo della carreggiata, mentre volavamo verso il casale. A poco a poco il calore di Marco passò al mio corpo e cominciai a calmarmi, riacquistando quasi totalmente il controllo di me stessa. Dallo specchietto Tony ci lanciava occhiate preoccupate e intanto teneva sotto controllo Emma che continuava a seguirci. Quando oltrepassammo l'arco di pietra che immetteva nel giardino, mi parve fosse passato solo un attimo. Tony spense il motore ed Emma, con la twingo, ci fu accanto immediatamente. Aprirono le portiere in silenzio. Marco lanciò le chiavi a Tony perché si occupasse della porta d'ingresso e mi aiutò a scendere. Mi passò un braccio sulle spalle, stringendomi forte a se e mi accompagnò all'entrata, addentrandosi subito dopo di lui. Salimmo la scala di legno, attraversammo il salotto senza dire niente, entrammo nella camera matrimoniale e mi fece sdraiare sul letto. Poi mi si inginocchiò davanti e mi prese una mano tra le sue, ancora agitato.

"Come ti senti?" – mi chiese.

"Va meglio" – riuscii a rispondere. La voce stava tornando, ma il mio viso era ancora immerso nella tensione.

Guardai fissamente i suoi occhi e il mio respiro si troncò. Le ultime lacrime che avevo scesero silenziose. Gli sfiorai il viso con una mano e lui la strinse baciandola. Il suo sguardo si abbassò a celare la sua sofferenza. In quell'istante incrociai con un'occhiata la sua mano e una fitta istantanea mi fece sussultare. La pelle delle sue nocche era ferita e il dorso gonfio e sporco di sangue. Lui la ritrasse immediatamente, sottraendola alla mia vista e cercò di tranquillizzarmi.

"Non è niente... Io sto bene"

Poi riportò i suoi occhi nei miei, profondamente angustiato.

"Mi spiace tanto, Lizzy... Non sono riuscito a raggiungerti prima. Non credevo fossi arrivata. Sono uscito per aspettarti e quando ti ho intravista..." - chiuse gli occhi rifiutandone la memoria - "Ti era già addosso... Non me lo perdonerò mai!"

"Non dire così Marco. E' colpa mia... della mia maledetta vita. La verità è che non avrei mai dovuto lasciare che ti innamorassi di me... Non avrei dovuto permettere a nessuno di voi di affezionarsi a me. Guardati Marco! – fissai allusiva la sua camicia bianca che aveva perso il candore e si era macchiata di sangue – "Vi sto rovinando l'esistenza!"

Lui scosse la testa, aggrottò la fronte, visibilmente contrariato.

"Non è così... Non voglio più sentirtelo dire! Tu non mi hai rovinato l'esistenza! Tu me l'hai ridata! Quando Emma stasera mi ha confessato quello che intendevi fare... io... mi sono sentito morire... Io..."

Lo fermai con la voce tremante.

"Marco! Io vi sto condannando tutti! Se non parto con lui... per voi sarà la fine! Per tutti noi lo sarà!" – alzai la voce, usando tutto il fiato che avevo in corpo.

"E' solo quello che vuole che tu creda! Ti tiene sotto pressione per convincerti a risolvergli i suoi sporchi giochetti. Lui ha solo bisogno di te. Ma dopo quello che ti ha fatto stasera... come fai ad esserne ancora convinta!" – la sua mascella si irrigidì al ricordo – "Lo puoi denunciare... per tentato stupro... Con i suoi precedenti non sarà difficile convincerli a mandarlo di nuovo in galera. Mio padre conosce penalisti in gamba. Ci aiuterà! Lo farà condannare... Fidati!"

Non ne ero convinta, non lo ero mai stata. Non sarei mai voluta partire con lui. Ma a loro... a lui... cosa sarebbe successo?

Emma e Tony in quel momento bussarono alla porta aperta, chiedendo il permesso di entrare, discutendo animatamente. Senza andare oltre l'uscio.

"Potevi far scattare la serratura. L'avresti vista subito..." - le stava dicendo Tony riferendosi alla twingo che Emma non era riuscita ad individuare subito, rimproverandola per il suo ritardo.

"Non sono scema, Tony" - replicò lei guardandolo di traverso - "L'ho fatto... è che mi ha fermato Lucia, te l'ho detto. Lo sai come è fatta... non mi mollava più"

"E' una rompipalle! Dovevi sganciartela! Dice solo stronzate..."

"Infatti... è quello che ho fatto!"

"Sì, dopo un secolo..."

"Ehi!!" - li riprese Marco richiamandoli al contegno - "Non mi sembra il caso!" - il suo ammonimento parve richiamarli al controllo del loro diverbio.

Entrambi mi fissarono senza più dir nulla e quando Marco annuì con un gesto del capo, mi si fecero accanto.

"Ho trovato solo questo" – disse Emma pacatamente, porgendomi un bicchierino di whisky che teneva tra le mani – "Bevilo. Ti farà bene"

Non avevo la forza di oppormi e lo presi. Mi sedetti sul letto, asciugai le lacrime con una mano e cercai di mandarne giù qualche sorso. Il suo calore mi bruciò la gola appena il liquido iniziò a scendervi, per concentrarsi poi nello stomaco.

"Grazie Emma" - le dissi con una smorfia, posando il bicchierino ancora mezzo pieno sul comodino.

Marco si alzò approfittando della loro presenza ed entrò in bagno a lavarsi dal sangue. Emma si sedette sul letto accanto a me.

"Avrei dovuto restare con te stasera... Avrei dovuto accompagnarti. Non sai quanto mi dispiace Elisabeth!" – confessò addolorata.

"Non è colpa tua... Non è colpa di nessuno di voi..." – le dissi asciugandomi nuovamente le lacrime che avevano ripreso a bagnarmi il viso.

Emma si lasciò cadere tra le mie braccia e mi strinse a sè.

"Mi dispiace così tanto Elisabeth!" – mormorò di nuovo affranta.

"Sto bene Emma... " – cercai di calmare la sua inquietudine a stento, accarezzandole la schiena – "Sto bene"

Marco uscì dal bagno indossando una maglietta bianca, pulita e i pantaloni grigi di una tuta. Attorno alla mano aveva una fasciatura improvvisata. Alla sua vista Tony, che era stato in silenzio fino a quel momento, si avvicinò ad Emma, la strinse per le spalle e l'aiutò a rialzarsi.

"E' meglio andare, noi... Lasciamoli soli, Emma" – le disse.

Emma capì e mi baciò sulla guancia.

"Ok... ci vediamo domani mattina, Elisabeth. Se posso fare qualcosa... io..."

"E' tutto a posto ora. Sta tranquilla..." – la voce tremolava, poco convincete.

"Ragazzi" – li richiamò Marco prima che uscissero – "Vi voglio qui stanotte. Domattina presto ho in mente di fare una cosa e servite anche voi"

"Contaci!" – gli rispose Tony – "E' il minimo che possiamo fare. Cerca di riposare un po' Elisabeth"

Annuii senza parlare. Lo fece Marco per me.

"Grazie... A tutti e due"

Se ne andarono, richiudendo la porta alle loro spalle e Marco prese il posto di Emma accanto a me.

"Ti fa male?" – gli domandai sollevando delicatamente la sua mano bendata.

Lui scosse la testa accigliato.

"Sei stata appena aggredita e ti preoccupi per me?" - sorrise forzato - "Non dovresti, Lizzy"

"Hai una mano quasi rotta. Come posso non preoccuparmi per te" – replicai.

"Passerà... non fa male" – mentì.

Lasciai cadere il discorso. Guardai l'orologio al polso, posai i piedi a terra e tentai di alzarmi.

"Dove stai andando?" – mi chiese Marco allibito da quel gesto.

"Puoi riaccompagnarmi a casa?" – gli chiesi. Un capogiro mi fece perdere l'equilibrio e ricaddi a sedere sul letto. Lui mi afferrò pronto.

"Tu non vai da nessuna parte! Non ti lascio andare... Restiamo qui tutti stanotte. Aspetta..."

Si alzò ed uscì veloce dalla stanza. Impaziente, quasi non volesse lasciarmi sola neanche un minuto.

"Marco... ascoltami... Dove vai?" – gli domandai innervosita.

"Torno subito!" - urlò dal salotto.

Lo sentii confabulare con Emma e Tony. Incrociai le braccia al petto e mi guardai intorno. D'improvviso mi sentii fragile. L'odore nauseabondo di Alex mi parve trasudare in quel momento dalla mia pelle. Dal mio vestito... Sentivo le sue mani su di me... il suo respiro addosso...

Di scatto mi ritrovai in piedi. Avevo bisogno di cancellare ogni traccia di lui su di me... sulla mia pelle... sulla mia vita...

Marco ritornò e mi guardò con aria seria.

"Di Margherita se ne occupa Emma. Puoi stare qui tranquilla adesso"

"Marco... devo tornare a casa... Alex... Non voglio che arrivi a voi... Io..."

Marco si avvicinò e mi strinse le mani - "Vuoi stare tranquilla, santo Dio! Non arriverà a noi! E tu non tornerai a casa..."

"Ma..."

Non mi lasciò continuare - "E' tutto posto..." - mi accarezzò una guancia - "Ci sono io adesso..."

Mi lasciai abbracciare e con il capo sulla sua spalla provai a convincermi che quella fosse la verità. D'un tratto mi accorsi di non avere forze per oppormi. Di non poterlo fare davvero al momento.

"D'accordo" – gli risposi rassegnata. Un altro pensiero, ora, tormentava la mia mente.

Mi staccai da lui e lo guardai straziata. L'espressione cupa che avevo sul viso gli doveva una spiegazione.

"Marco, ho bisogno di una doccia"

"Certo. Capisco... Te la senti di andare da sola? Vuoi che chiami Emma?" – propose pensieroso.

"No, grazie ce la posso fare" – così dicendo entrai in bagno e chiusi la porta dietro di me.

Mi spogliai veloce e gettai col piede il vestito e gli altri indumenti in un angolo. Mi faceva ribrezzo persino toccarli con le mani. Mi infilai nella doccia ed aprii l'acqua calda, facendola scorrere un po' per darle il tempo di bruciare. Il vapore cominciò a riempire il box. Mi gettai sotto il getto quasi bollente. Mi costrinsi a rimanervi sotto e cominciai a strofinarmi col sapone, raspando la pelle delle braccia e del collo con le unghie. Dovevo lavare via il suo odore... il suo ricordo. L'acqua lentamente mi parve più sopportabile e mi ricoprii ancora di sapone. La mia faccia aveva ora un colore rosso-violaceo, ma non bastava ancora. Grattavo, sfregavo, graffiavo più che potevo ogni angolo di me stessa in preda ad una foga incontrollata. Il mio respiro si era fatto faticoso in tutto quel vapore, ma non riuscivo a spegnere l'acqua per fermarmi. Le lacrime si mescolarono alle gocce che mi spruzzavano in faccia uscendo dalla pigna che faceva picchiare il getto sulle mie spalle. Dovevo raschiare ancora... lui era sempre lì... lo sentivo sopra... non mi mollava... I minuti si confusero nel tempo, quasi questo non contasse più, di fronte al bisogno di allontanare per sempre la sua memoria su di me.

Qualcuno bussò alla porta facendomi sobbalzare. Un brivido mi percorse dalla testa ai piedi.

"Lizzy?" – la voce di Marco riuscì a fermarmi. Spensi l'acqua per ascoltarlo meglio.

"E' tutto a posto?" – era preoccupato. Probabilmente ero lì dentro da troppo tempo, anche se non me ne ero accorta.

Riacquistai il respiro normale e feci scorrere la porta a vetri della doccia per uscire. Una folata di aria fresca di investì, dandomi conforto.

"Arrivo subito" – risposi, eludendo la sua domanda.

Posai i piedi sul tappeto di spugna sul pavimento, subito fuori. Non ricordavo di avercelo posato prima... Mi guardai intorno alla ricerca di un asciugamano e ne notai uno mai usato, ancora piegato sull'angolo della vasca da bagno di fronte. Lo presi e cominciai a tamponarmi. La pelle ora mi bruciava e sulle gambe, lunghe strisce rosse si erano fatte evidenti. Restai un po' avvolta nell'asciugamano, sfinita. Poi strofinai i capelli fino a che diventarono appena umidi. Sulla cassettiera vicina al lavandino, accanto alla porta, di fronte a me, c'era un mucchietto di indumenti puliti. Una maglietta bianca a maniche corte, dei pantaloncini blu, corti da tuta e della biancheria intima femminile. Con piacere realizzai che Marco ce l'aveva portata perché la indossassi. Non lo avevo nemmeno sentito entrare presa com'ero dalla mia smania... Li afferrai e cominciai a vestirmi. La maglietta era talmente grande che quasi mi arrivava alle ginocchia e dovetti stringere in vita parecchio il cordoncino dei pantaloncini per non perderli lungo i fianchi, ma ero sollevata di poterli sostituire al mio abbigliamento di prima. Aprii la finestra, di fianco alla doccia, e lasciai uscire il vapore che riempiva il locale. Lo specchio lentamente si spannò e la mia vista si fece più nitida.

Forse... avrei dovuto davvero dare ascolto a Marco e denunciarlo, pensai. Senza preoccuparmi di altro. Lo avrebbero preso. Sarebbe finito di nuovo in galera...

Le cose erano cambiate adesso, aveva ragione. Come potevo far finta di niente e seguirlo ancora, dopo quello che aveva cercato di farmi?

Seduta sul bordo della vasca rimuginavo nella mia mente, indecisa ad uscire dal bagno... irrequieta. Mi rialzai, mossi due passi avanti e mi trovai davanti allo specchio. Posai le mani sulla fredda ceramica del lavandino e mi osservai. Il mio viso aveva ripreso gradualmente il suo colore di prima... ma non mi pareva più lo stesso...

Che cosa dovevo fare? Che cosa? Non sarebbero stati più in pericolo veramente?... Lo avrebbero fermato per tempo? Lo avrebbero trovato? Una volta ripresosi chissà dove si era nascosto... E di certo era furioso adesso... Furibondo...

Non dovevamo lasciarlo lì senza far altro... Avremmo dovuto chiamare la polizia subito... Perché eravamo stati così imprudenti, dannazione? Forse non sarebbe servito a granché denunciarlo dopo, invece... sarebbe stato inutile...

Guardai la mia immagine riflessa e ad un tratto fu come se non la vedessi più. I miei occhi fecero scorrere davanti a me immagini diverse, continuamente... le più disparate.

E se la cosa più saggia fosse stata solo tornare a casa, come avevo pensato subito ed aspettare che mi trovasse. Per affrontarlo da sola...

Non sapevo che fare. Non ero più in grado di pensare a niente.

Quella notte avrei deciso... Mi sarei data quel tempo, non un attimo di più... solo quella notte...


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