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Capitolo 7

Mark
Non credo ai miei occhi, quel figlio di puttana di Cem le sta telefonando, ora capisco perché non ha ceduto alle mie carezze, c'è qualcosa tra di loro. Perché non me l'ha detto subito? Si sta solo divertendo, usandomi. La verità è che ce l'ho con me stesso per essere venuto in questa cazzo di città. Resto a fissare lo schermo ancora per pochi secondi, fino a che decido di rispondere.

«Che cazzo vuoi?» chiedo, quasi urlando.

«Come, prego?»

Voglio rovinare la loro relazione, se lo merita, nessuno mi prende in giro! Cazzo, ci sono proprio dentro, stavolta è diverso, lei è... insomma, lei è... fanculo!

Scaccio quel pensiero assurdo e riprendo a parlare con il cornuto: «Ti conviene lasciar perdere con Emy, se non vuoi vedertela con me.»

Emy si avvicina e cerca di prendermi il telefono, ma faccio dei passi indietro per impedirglielo.

«Sei Mark?»

Mi ha riconosciuto, cazzo!

«Non sono cazzi tuoi!»

«Mark, dammi il cellulare!» sbotta Emy, avvicinandosi di nuovo.

La blocco con una mano per impedirle di prenderlo.

«Gradirei parlare con Emy.» insiste.

Non ho alcuna intenzione di permettere che le parli, deve levarsela dalla testa.

«Smettila di chiamarla, oppure verrò alle Maldive e ti ammazzerò.» minaccio in modo più convincente possibile.

«Stai parlando con Cem?» chiede Emy, preoccupata.

Litigheranno di sicuro, ma non me ne frega un cazzo, d'altronde era quello che volevo.

«Le tue minacce non mi spaventano, vieni pure, ti aspetto.»

«Non sfidarmi, potresti pentirtene.» riattacco, senza dargli il tempo per dibattere.

Poggio il cellulare sul tavolo con violenza, rischiando di romperlo. Devo cercare di mantenere la calma, non posso esplodere, non con lei presente.

«Come hai potuto dirgli quelle cose?» chiede irritata. Davvero crede che abbia voglia di darle delle spiegazioni? «Mark!» Non le rispondo, finirei con l'essere poco gentile. Esco dalla cucina, ignorandola completamente e raggiungendo la camera in cui abbiamo scopato. Afferro il mio zaino e ci infilo tutte le mie cose, lei mi raggiuge e il suo sguardo diventa confuso. Si accorgerà presto di cosa intendo fare. «Che cosa stai facendo?» chiede titubante. Continuo a buttare le cose alla rinfusa, ignorando le sue domande. Mi volto velocemente e porto lo zaino su una spalla, infine la sorpasso, uscendo dalla stanza. Mi rincorre, fino ad afferrare il mio braccio. Cerco di evitare il suo sguardo o finirò per cambiare idea. Che brutta fine ho fatto, tutto per una stupida ragazzina. «Mark... stai pensando di andare via?» mi poggia le mani sul viso per costringermi a guardarla, ma resto immobile e con lo sguardo rivolto verso l'alto. «Perché fai così?» chiede con voce tremante. Devo andare via, prima che accada l'inevitabile, odio vederla piangere. Mi volto e ritorno a camminare verso la porta d'ingresso. «Mark... per favore...»

Ha la voce roca, sta piangendo. Ignoro ancora le sue parole, mentre apro la porta e sparisco dalla sua vista. Scendo la prima tesa di scale e per un attimo ho come l'impressione che mi manchi l'aria nei polmoni, ma tiro un lungo respiro e continuo a camminare. Una volta uscito dal condominio, frugo nella mia tasca ed afferro il telefono, pronto a telefonare un taxi.

È più di un'ora che sono all'aeroporto, seduto su una delle panchine d'attesa, aspettando che si liberi un posto sull'aereo che porta a Seattle. Mi va bene qualsiasi classe, basta che mi porti via da qui. Emy non ha provato a telefonarmi neppure una volta e questo conferma la mia teoria. Sto cercando in tutti i modi di restare calmo e non scoppiare in una crisi isterica, mi sento così idiota, la credevo diversa e invece si è rivelata esattamente con quella puttana di Lucy. Non vedo l'ora di essere a casa e riprendere la mia vita di sempre; sesso, alcol e feste. So già che mia madre mi chiederà cosa ho intenzione di fare, mi hanno già costretto ad iscrivermi all'università, ma non ho intenzione di frequentarla, voglio decidere per me della mia vita. Il mio cellulare squilla, accendendo in me una vaga speranza, ma appena guardo lo schermo ne resto deluso, è mia madre.

«Cazzo.» impreco a voce bassa.

Attivo il silenzioso e non le rispondo, vorrà sapere dove mi trovo, dato che sono partito senza dare spiegazioni, ma non mi sembra proprio il momento giusto.

«Sei molto volgare, lo sai?» una voce mi fa sobbalzare. Volto lo sguardo alla mia destra e incontro due occhi verdi e una chioma scura. La prima cosa che penso è, che bella ragazza. Ma poi scuoto la testa e da bravo maleducato quale sono, la ignoro. «E sei anche antipatico.» aggiunge.

«Non ho bisogno di piacere a nessuno.» borbotto.

«Uhm... bella risposta. Io sono Chloe, molto piacere.» mi porge la mano.

«Mark.» biascico il mio nome, non afferrando la sua mano.

«Bel nome.» Non me ne frega un cazzo di quello che pensa del mio nome, non mi va di fare conoscenze, in questo momento ho solo bisogno di pensare, nient'altro. «Dove te ne vai?» chiede, come se fossimo già grandi amici.

«A Seattle.» rispondo con noncuranza.

«Wow, è dove vado io.»

«Wow.» imito la sua voce, più scocciato di prima.

«Non sei un tipo molto loquace, a quanto pare.»

«Infatti, preferisco il silenzio.»

Spero che capisca, non voglio parlarle!

«Capisco. Invece, io adoro parlare.»

Oh, no, quant'è petulante, mi ricorda una persona che conosco. Devo smetterla di pensare a lei, devo dimenticarla e basta! Mi alzo dalla panchina e cammino per l'aeroporto, allontanandomi da quella tizia irritante, prima che possa risponderle in malo modo. Faccio una decina di passi e me la ritrovo alle costole. Mi volto di scatto e le lancio un'occhiataccia, facendola bloccare all'istante. Bene, credo che ora mi lascerà in pace. Riprendo a camminare, dritto alla reception, voglio chiedere se si è liberato un posto. Mi volto per controllare che non mi stia seguendo, ma non è così. Appena si rende conto che l'ho vista, si blocca nuovamente. Ora sì che mi sento irritato.

«Perché continui a seguirmi?» le chiedo poco carino.

«Non ti sto affatto seguendo!»

«Ah, no?»

Scuote la testa in senso negativo. E se si trattasse di una serial killer? Cazzo, l'influenza di Emy mi ha fuso il cervello. La ignoro e riprendo a camminare.

Sam
«Te l'ho detto che era una buona idea venire al mare.» dico a Katy, che non la smette di ridere.

Abbiamo fatto il bagno in intimo, dato che non avevamo il costume e fortunatamente questa spiaggia è deserta.

«Già, avevi ragione, Watson! Ma adesso voglio tornare a casa, ho bisogno di una doccia.»

Sono assolutamente d'accordo con lei, non amo la salsedine sulla pelle. Mi chiedo se Emy sia uscita da quella stanza e se abbia pranzato. A volte mi preoccupo troppo, devo stare tranquillo. Ci vestiamo, nonostante abbiamo l'intimo ancora umido, ma poco importa, si sta facendo tardi.

Ho accompagnato Katy a casa e ora mi trovo all'interno del mio condominio, in attesa che l'ascensore arrivi giù. Continuo a pensare che sia una bella persona, nonostante le sue insinuazioni su me ed Emy, mi chiedo perché sia così convinta quando lo dice. L'ascensore arriva, entro al suo interno e attendo che mi porti al piano stabilito. Dopo pochi secondi, le porte si aprono e posso finalmente raggiungere quella del mio appartamento. Inserisco le chiavi nella toppa e faccio girare, fino ad aprirla. Varco la soglia, notando immediatamente un silenzio spettrale. Probabilmente Emy sarà in giro con quell'idiota di Mark e non posso fare a meno di provare fastidio. Poggio le chiavi di casa sul tavolino in soggiorno e poi mi dirigo verso il bagno, pronto per fare una doccia. Appena apro la porta, resto sbigottito e senza parole; Emy è nella vasca piena d'acqua e il peggio è che è completamente vestita, gli occhi chiusi e sembra svenuta. Cazzo, ha fatto qualche sciocchezza? Entro a passo veloce all'interno del bagno e le afferro il viso tra le mani, scuotendola appena.

«Emy.» pronuncio il suo nome, spaventato.

Apre gli occhi lentamente e mi sorride triste.

«Ciao... Sam.» dice con voce roca e ciò mi fa pensare che stesse dormendo realmente.

Al solo pensiero mi vengono i brividi, avrebbe potuto affogare.

«Cosa ci fai qui dentro?»

«Non lo so, volevo farmi una doccia, ma non ho avuto la forza di togliermi i vestiti, così ho lasciato che l'acqua riempisse la vasca.»

Sembra confusa e stanca, sto iniziando a preoccuparmi sul serio. Dove diavolo è Mark, perché non si è preso cura di lei?

«Adesso usciamo da questa vasca.» l'afferro per il busto, ma non vuole saperne, opponendo resistenza.

«No... voglio restare qui.» dice in tono lamentoso.

Tiro il tappo della vasca e faccio scivolare via l'acqua, mentre lei resta immobile e con lo sguardo perso nel vuoto, non l'avevo mai vista in questo stato.

«Non puoi restartene qui.» cerco di convincerla.

«Invece sì!» sbotta.

«Cos'è successo?»

Non mi risponde e richiude nuovamente gli occhi. Cerco di afferrarla, ma si libera dalle mie mani, allora insisto, fino a caricarla sulle mie spalle e inzuppandomi la maglietta.

«Mettimi giù.» si lamenta senza fiato.

Ignoro le sue parole e le avvolgo un accappatoio intorno al corpo fradicio. L'accompagno in camera e la costringo a sedersi sul letto.

«Cos'è successo?» chiedo nuovamente, ma il suo sguardo resta basso. Le sollevo la testa con la mano e finalmente posso vedere i suoi occhi tristi. «Emy, ti prego, parlami.»

«Lui...»

Pare proprio che non riesca a dirlo. Cosa gli ha fatto quel coglione?

«Lui, cosa?» la sprono a parlare.

«L-lui... è andato via.» balbetta.

Non capisco, aveva detto di voler stare con lei e che non gli importava delle conseguenze, ora l'ha lasciata sola? Adesso sono davvero furioso.

«Dov'è andato?»

«È andato via.» ripete.

«È tornato a casa?»

Non risponde e stringe la mia maglietta in un pugno, poggiando la testa contro il mio addome.

«Profumi di mare.» sussurra, mentre si stringe a me.

«Sì, sono stato al mare.»

«Wow.»

La sua voce è come un lamento, come una persona ubriaca che non sa cosa dire. Mi fa una rabbia, come ha potuto andare via? Stavolta me la pagherà sul serio, non sopporto più il modo in cui la tratta. Abbasso lo sguardo verso Emy e mi meraviglia il fatto che si sia addormentata, abbracciandomi. L'adagio sul letto e resto a fissarla per un po'; credo proprio che dovrò spogliarla, non posso lasciarla dormire con quei vestiti zuppi. Senza pensarci oltre, raggiungo il suo armadio e tiro fuori un pigiama. Ritorno da lei e resto imbambolato a fissarla. Ha un'aria così serena quando dorme, vorrei che lo fosse in ogni istante, vorrei che non soffrisse più. Lentamente la libero dall'accappatoio, facendo attenzione a non svegliarla. Le sfilo la maglietta bagnata e il mio cuore perde un battito; non indossa il reggiseno. Volto lo sguardo altrove e cerco di infilarle la maglia del pigiama in questo modo, poi faccio lo stesso con la parte di sotto. Forse non le piacerà che l'abbia vista nuda, ma sono gay, quindi cosa importa? Mi sento male, l'ho lasciata sola con lui, avrei dovuto proteggerla e invece ho pensato soltanto a me stesso. Avrei dovuto prevedere una cosa del genere, non ho mai creduto alle parole di quel verme, ho sempre pensato che non l'amasse sul serio. Senza pensarci su, tiro fuori il cellulare dalla tasca e gli telefono.

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