Capitolo 9
Ero nelle Faccemorte da sola. Non sapevo definire con esattezza se era tardo pomeriggio o mattino presto, il cielo aveva un colore azzurro spento, tendente al bianco e le fronde degli alberi non aiutavano molto.
Quercie e pini dal tronco maestoso mi circondavano.
Udii uno scricchiolio come se qualcuno avesse spezzato un ramoscello.
Mi girai di scatto dove provenne quel rumore. Non c'era nessuno.
Non di nuovo. Pensai allarmata.
Ne udii un altro, stavolta era di fronte a me.
Poi un altro alle mie spalle.
"Ben fatti vedere. Lo so che sei tu." avevo la voce un po' tremolante per la paura.
Poi ancora, davanti a me, un'ombra scura attraversó velocemente la mia visuale.
"Ti prego, smettila. Se non ti fai vedere sei un vigliacco." dopo che pronunciai queste parole, il ragazzo si piazzó di fronte a me.
Non aveva un'aria minacciosa ma l'oggetto che teneva nella mano destra lo era: si trattava di un coltello. Sapevo bene cosa volesse da me, la mia morte, perció scappai. Nonostante sorpassassi alberi, rami, tombe di Radurai morti, il bosco sembrava non finire mai. Ad ogni passo si allungava di qualche decina di metri.
Sembrava uno di quegli incubi terribili in cui si cerca di salvarsi in tutti i modi ma é solo un tentativo vano, inutile, perché si é destinati a una morte atroce e sofferente.
Beh, questo É uno di quegli incubi. Mi dissi.
I passi di Ben ecchegiavano dietro di me, d'un tratto cessarono.
Mi voltai spaventata con il cuore a mille.
Non c'era, era sparito di nuovo.
Qualcosa mi causó un bruciore insopportabile all'altezza del mio cuore e percepivo qualcosa di freddo all'interno della mia pelle. Abbassai lo sguardo, in quel punto il mio sangue sgorgava senza fermarsi.
Ben mi aveva appena accoltellato. Alzai gli occhi, nel mio sguardo tentai di metterci tutta la rabbia che avevo.
Il ragazzo stava sorridendo e sghignazzando divertito.
Al posto di un cuore non ha nulla. Pensai.
Ben mi si avvicinó, con un colpo secco tolse il coltello dal mio petto. Mi premetti i palmi sul cuore boccheggiando per prendere un po' d'aria mentre lacrime di dolore correvano veloci sulle mie guance.
L'unica cosa che mi passó nella testa era che mi faceva tanto male la ferita.
Le mie gambe cedettero ormai sfinite. Ora ero distesa per terra aspettando la Morte giungere a prendermi tra la sua oscurità. Il sangue non aveva smesso di traboccare dallo squarcio, imbrattando i fili d'erba di un colore vermiglio. Tutte le volte che lo osservavo sembrava che ne uscisse di piú e la mia pelle non smetteva di bruciare e di colorarsi bianco.
La mia vista si fece annebbiata.
Poi il nero e il buio mi circondarono tra le loro braccia...
Mi svegliai sudata, per poco non urlai.
Rilassati. Tentai di tranquillizarmi. Era solo un incubo, niente di reale.
Nella mia mente sapevo che poteva accadere sul serio, se Ben avesse avuto con sé un'arma mi avrebbe fatto fuori in un batter d'occhio.
Mi misi a sedere, portai la testa tra le mani e inspirai a fondo, ancora scossa per quello che avevo appena sognato. Mi strofinai gli occhi con le dita, nelle mie palpebre era rimasto impresso il sorriso sadico di Ben quando nel sogno mi aveva accoltellato.
Il giorno precedente era stato davvero traumatico. Durante l'Esilio non ero riuscita a provare nulla, era come se in quel momento tutte le mie emozioni fossero state risucchiate da qualche parte, avevo fissato imbambolata tutta la scena senza dire una parola. Solo ora iniziavo metabolizzare la cosa.
Incrociai le braccia al petto, ero indecisa se andare a fare colazione, riflettere ancora oppure svuotare la mente contemplando i miei capelli.
Alla fine scesi dal letto, una fitta attraversó il polpaccio.
Buongiorno anche a te, mi sei mancata. Pensai ironica.
Questo mi bastó per farmi ricordare dell'altra ferita sul fianco.
Infilai le scarpe e andai a fare colazione.
Con mia immensa gioia nel corridoio vidi Newt chiudere la porta della sua camera e percorrere il corridoio. Guardandolo mi fece per un attimo dimenticare l'incubo e i pensieri negativi che, fino a qualche secondo fa, viaggiavano liberi nella mia testa.
Lo raggiunsi e quando fui al suo pari lo salutai.
"Ti vedo di ottimo umore, Angie." commentó notando la mia allegria.
Effettivamente ero contenta di vederlo, sicuramente avevo trasmesso ció nelle mie parole.
"Tu dici? Mi sento come tutte le mattine: stanca e consapevole che devo provare un mestiere per trovare quello giusto per me." dissi quest'ultima frase come se fosse una regola ripetuta all'infinito.
"A proposito, hai scelto che lavoro fare?" mi guardó curioso.
Ho mai detto che adoravo i suoi occhi? E il mio nuovo soprannome?
"No, non ancora." mi scossi da quel pensiero. "Ma so quali non faró mai: Costruttore e Cuoco."
"Costruttore posso capire, non ti si addice neanche. Ma credevo che alle ragazze piacesse cucinare."
"Beh, si. Ma non ho voglia di passare tutta la giornata dietro hai fornelli, mi annoierei. Inoltre devo stare attenta alle preziose padelle di Frypan, se vede solo un graffio si arrabbia."
"Già, io, Minho, Chuck e Thomas sospettiamo che abbia una relazione segreta con loro." ridacchió.
"Una relazione segreta." ripetei "Ora si spiegano tante cose."
"Non dirlo a Frypan." si affrettó ad aggiungere.
"E perché dovrei?" gli rivolsi un sorriso complice.
Senza che ce ne accorgessimo, raggiungemmo il tavolo da picnic. Lanciai uno sguardo alle Porte, una parte dentro di me pregó che Ben si fosse in qualche modo salvato, ma non c'era nessuno.
"Ieri mi sono preoccupato a morte." ammise il biondo accortosi della mia occhiata alla Porta.
Incrociai i suoi occhi, ovviamente pregando di non essere arrossita, potevo scorgere in essi un po' di paura. Senza pensarci mi morsi il labbro per evitare di sorridere a quelle parole che mi sciolsero il cuore.
"Anche io mi sono spaventata molto." questo era tutto ció che mi uscí dalla bocca, non era un granchè.
La conversazione finí lí, avrei voluto continuare ma non avevo argomenti pronti. Al momento la mia riserva di parole si era esaurita.
Finito di mangiare, borbottai abbastanza forte da far sentire dai miei amici che dovevo andare al Macello.
"Secondo me, non resisterai nemmeno un secondo." fu Gally a parlare, inutile dire che lo riconobbi dal suo alito pesante.
Riuscí a sentire quello che avevo detto perché stava vicino Minho.
"Ne sei proprio sicuro? E se ti sbagliassi?" gli chiesi alzando un sopracciglio.
"Tutte le ragazze alla vista del sangue svengono." lo disse come se fosse una cosa ovvia.
"Credici quanto vuoi. Comunque, non é affatto vero."
"Questo lo dici tu." mi stuzzicó.
"Io non sono come tutte le ragazze smorfiose e perfettine che se appena vedono una goccia di sangue, svengono, impallidiscono o si sploffano addosso dalla paura, come dici tu. Io sono diversa!" dopo che dissi l'ultima frase, mi accorsi che avevo conficcato involontariamente il coltello nel tavolo, ma non troppo forte da romperlo.
Lo estrassi e lo posai sotto gli occhi sbarrati dei ragazzi.
I miei amici erano rimasti impassibili, ascoltando silenziosamente la discussione tra me e Gally. Senza degnare di uno sguardo quest'ultimo, me ne andai a sud della Radura: al Macello.
Il Macello era un edificio di piccole dimensioni e aveva una recinzione la quale circondava gli animali. Sulla porta mi aspettava un Raduraio basso, muscoloso e pieno di acne.
Forse é l'Intendente.
"Ciao, sono Winston e Intendente degli Squartatori." si presentó.
Dal nome dei macellai non prometteva nulla di buono.
Spero che non sia un serial killer.
Mi tornó in mente la conversazione con Gally e mi promisi che non sarei impallidita difronte a del sangue, non gliela avrei data vinta. Non volevo sentirlo canzonarmi sul fatto che potrebbe avere ragione, per la mia mancanza di memoria non potevo essere certa se mi facesse impressione il sangue o meno.
"Angelica." dissi stringendogli la mano.
Il ragazzo mi fece vedere l'interno dell'edificio.
Sulla parete di sinistra, c'era un tavolo di legno e, attaccati al muro, vari coltelli ben affilati. La cosa piú inquietante era che, sul tavolo, erano presenti chiazze di sangue e qualche interiora di poveri animali.
Purtroppo quello non era l'unico bancone da lavoro, cosa che sperai vivamente, mi imbattei quindi in altri "luoghi di tortura" dove dei ragazzi erano intenti a fare a pezzi le carni di non so quale sventurato essere vivente.
Rabbrividii solo al pensiero di far fuori un animaletto indifeso.
Successivamente mi mostró i recinti con gli animali, le gabbie destinate per i polli e i tacchini e, infine, dove si potevano trovare e sistemare le varie cose nel granaio.
Da lontano sentii che un animale a quattro zampe si stava avvicinando, era un labrador nero.
Gli accarezzai la testa, la sua pelliccia era morbida.
"Come si chiama?" chiesi curiosa di sapere il nome di quell'affettuoso cagnolone.
"Il suo nome é Bau."
Nome strano per un cane che non ho ancora sentito abbaiare, nemmeno quando ho attraversato la porta del Macello.
Nella prima ora di lavoro mi occupai degli animali della fattoria: nutrirli, pulirli e aggiustare uno steccato. Nel fare tutto questo dovetti sopportare l'odore della sploff, avrei preferito di gran lunga l'alito di Gally.
"Bene, puoi andare a pranzare con gli altri, io ti raggiungo fra poco." mi congedó Wiston.
"Ok."
Me ne andai.
Non avrei mai pensato che il Macello fosse un luogo cosí inquietante.
Appena Gally mi vide disse in tono acido: "Ho notato come non ti faccia impressione il sangue."
Adesso gli spacco la faccia! Pensai irritata. Parli del diavolo e spuntano le corna.
Mi conficcai le unghie nei palmi per cercare di restare calma e per ignorarlo. Non avrebbe portato nessun risultato se io avessi ceduto alle sue provocazioni e lo avessi riempito di botte. In compenso non feci a meno di lanciargli uno sguardo d'odio.
Finito il pranzo, ritornai a lavorare.
Nelle ultime ore di lavoro venne la parte difficile: dovevo macellare gli animali.
Prima di tutto l'Intendente mi spiegó le parti piú importanti del maiale e come fare a tagliarle.
Come primo animale mi toccó un coniglio. Dovetti scuoiarlo, rimuovere gli organi vitali e tagliarlo il tanti pezzi, tra cui levargli la testa.
Bastava un colpo secco con il coltello; mi ero ripetuta in testa che la vita di quella povera creatura innocente era andata via da un bel pezzo, nonostante ció mi faceva pena ridurla a brandelli. Quando la lama attraversó il collo, uno scricciolio di ossa che si stavano rompendo si diffuse nell'aria.
Non é niente. Mi dissi. Immagina che sia la testa di Gally quella che stai staccando.
Malgrado cercassi di rassicurarmi, quel fastidioso rumore mi faceva ricordare quando diedi a Ben il calcio sulla faccia e gli spaccai il naso. Scossi la testa per scacciare quel pensiero.
Come secondo animale, invece, dovetti "uccidere per una seconda volta" un maiale: feci lo stesso che avevo fatto con il coniglio.
Non avrei mai pensato di ammetterlo ma preferivo di gran lunga fare a pezzi un coniglio piuttosto che un maiale.
Al termine di questa giornata di lavoro mi ritrovai con le mani insanguinate. Decisi di andare in bagno per togliermi quello schifo, nel percorso mi imbattei in Gally.
"Ma guarda chi abbiamio qui, la Fagiolina che si crede chi sa chi." inizió.
Secondo me, quello sei tu!
"Ma senti chi parla." gli risposi con tono di sfida. "Ah, dimenticavo." gli mostrai le mani imbrattate di sangue per fargli notare la mia mancanza di terrore per il liquido cremisi.
Gally aveva una faccia sorpresa. Lo sorpassai continuando per la mia strada e ignorando la sua reazione anche se ero molto divertita e soddisfatta.
Sotto il getto dell'acqua, le mie mani ritornarono come prima. Le ultime tracce di sangue colavano dalla mia pelle -facendo riacquistare a quest'ultima il suo solito colorito- per poi imbrattare il candido lavandino.
Alla vista di ció il mio cervello decise di far tornare a galla la pessima esperienza di ieri.
Dovevo decidermi di mettere da una parte quella faccenda, ma come potevo farlo se avevo un fianco fasciato e dei segni di denti sulla carne?
Per rimanere in tema percepii una leggera fitta di dolore alla gamba.
Il polpaccio.
La garza era quasi completamente ricoperta di sangue. La tolsi notando che la ferita si stava rimarginando. Della crosta di colore rosso scuro si era formata dove Ben mi aveva morso lasciandomi la sua arcata dentale.
Essendo quasi ora di cena, la mia pancia brontolava, per ció presi posto al tavolo. Gally non osava guardarmi. Ero contenta, gliela avevo fatta pagare e questo mi bastava per essere felice.
I miei amici sembravano essersi accorti di questa piccola vittoria, infatti mi chiesero per quale motivo avevo quell'aria cosí raggiante.
"Ho dimostrato a Gally che si sbagliava."
"Non gli avrai mica fatto vedere un animale scuoiato con le tue stesse mani, spero." fu Thomas a parlare.
"No, non sono cosí crudele con quelle povere creature. Gli ho solo mostrato le mie mani insanguinate. Dovevate vedere la sua faccia!" mi dovetti trattenere dal ridacchiare.
Trascoremmo il resto della cena a parlare del piú e del meno e a ridere delle figuracce piú divertenti.
Quando ormai la luna era splendente nel cielo scuro, ci augurammo la buonanotte.
Mi trovavo distesa sul letto a fissare il soffitto di legno. Le mie palpebre si facevano a mano a mano piú pesanti e mi addormentai profondamente.
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