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Capitolo 7

Ero a casa con i miei genitori e mia sorella gemella Jennifer. Stavamo seduti attorno al tavolo rotondo della cucina. Nella stanza stava regnando, da ormai parecchio tempo, un silenzio inquietante.
Poteva sembrare una giornata tranquilla come tutte, ma non era affatto così. Nell'aria c'era agitazione, paura.
Mia madre picchiettava nervosamente le dita sul tavolo, non era mai stata così nervosa da quando era arrivata quella dannata notizia. Essa era giunta e diffusa dalle voci che circolavano in città. Si diceva che degli uomini armati con indosso una divisa scura si fossero recati in un paesino poco distante da qui, erano al servizio di un organizzazione molto famosa e importante, la W.I.C.K.E.D., e sarebbero venuti con l'obiettivo di eseguire il test sull'Eruzione per prelevare gli eventuali immuni e non. Stando alle ultime novità, girava voce che gli Immuni non vengano protetti, essendo molto rari, ma sfruttati come cavie da laboratorio per trovare una cura per il virus. Anche se ciò dovesse essere vero, in tutta la città c'era un'immensa tenzione e preoccupazione perché presto sarebbero giunti anche qui.
Mia madre stava ancora sbattendo i polpastrelli sul tavolo finché non esclamai esasperata: "Mamma, per favore, potresti smettere? Mi stai innervosendo."

"Oh, si, scusa. É solo che devo smaltire la rabbia e la tensione."

"Ti capisco." si intromise Jenny nella conversazione.

"Mi fa impazzire il fatto che dobbiamo stare qui, senza fare nulla, ad aspettare che quegli stronzi vengano a farci del male!" questa volta fu mio padre a parlare, quando pronunció l'ultima parola, mi accorsi che aveva serrato a pugno la mano destra e stringeva le dita nel palmo della mano talmente forte da far diventare le nocche bianche.

Mi faceva impressione vederlo così. Di solito quando si alterava cercava sempre un modo per calmarsi e mantenere il senno, ma mai e poi mai si era comportato in quel modo fino ad oggi.
D'un tratto la porta principale che si affacciava sulla cucina, si aprì, rivelando la persona che aveva compiuto quell'azione.
Era mia zia.
Essa lavorava come scienziata per la W.I.C.K.E.D., ma appena seppe dei loro scopi malvagi, trovò un'altra organizzazione che come unico obbiettivo aveva di fermarla e distruggerla. Attualmente lavorava ancora per la W.I.C.K.E.D. ma appena avrebbe ottenuto il licenziamento, si sarebbe unita all'altra.

"Gli scienziati e le guardie stanno arrivando. Vogliono le ragazze, ho fatto il prima possibile per avvisarvi in tempo e non destare sospetti." affermó ansimando.

Sicuramente avrà fatto una bella corsetta per raggiungerci. Pensai.

"Grazie." la ringraziò papà "Voi due andate." disse ora rivolto a me e a Jennifer.

Annuii decisa, feci un cenno di incoraggiamento a mia sorella e ci dirigemmo alla porta che distava solo qualche metro. Nostra zia era subito dietro di noi, con un po' di malinconia salutammo i nostri genitori. Senza mai voltarci e guardare indietro, percorremmo tutta la via dove abitavamo.
Appena fuori dai cancelli che circondavano l'intera città, c'era una maestosa Berga.

Non ero mai stata così vicina a un affare del genere. Mi dissi tra me e me.

Più ci avvicinavamo, più ci accorgemmo che altri ragazzi su per giú della nostra età, stavano percorrendo il portellone dell'aeromobile. Tutti avevano stampata in volto un'espressione triste e rassegnata.
Ora toccava a noi entrare.
Il cuore mi batteva a mille per la paura. Cercai la mano di mia sorella e gliela strinsi con la sparanza che mi avrebbe tranquillizzato un pochino.
La Berga era gigantesca.
Rimasi ad ammirarla per qualche secondo fino a quando Jennifer sfiló la mano dalla mia, allontanandosi per mettersi seduta su uno dei pochi posti liberi rimasti su un divano.

"Di già odio queste persone." borbottó Jenny dopo che mi fui sistemata accanto a lei.

"Anche io." le sussurrai nell'orecchio.

"Isabella?" disse mia zia attirando la mia attenzione dopo aver esaminato con lo sguardo ogni angolo della sala.

"Si?"

"Tuo padre avrebbe voluto dartela lui stesso." mi annunció. Assicuratasi di non essere vista da nessuno, si portó una mano dentro al candido camice aperto, dietro la schiena della donna spuntó un oggetto. Sulle prime non capii cosa fosse ma poi lei mi porse una spada.

"Wow, é stupenda!" esclamai rigirandomela tra le mani.

"Sono contenta che ti piaccia." si voltó circospetta intorno. "Presto nascondila."

Ubbidii alle sue parole, tentai di metterla dietro la schiena come aveva fatto mia zia prima ma era troppo lunga e scomodo. Quindi optai di metterla tra me e mia sorella, infilzai una parte della spada tra i cuscini del divano, presto io e la mia gemella ci appiccicammo l'una contro l'altra per coprire anche la parte che fuoriusciva.

"La adoro!" esclamai ringraziando la mia parente.

Avevo visto molte volte quella spada, papà la teneva orgogliosamente in alto sopra il camino. Quell'arma era particolare perché c'erano delle frasi incise sull'elsa: "Sotto le false identità, si cela sempre la verità." e la mia preferita: "L'inverno sta arrivando."
L'ultima frase era diventata una specie di "motto" della nostra famiglia, lo usavamo quando una situazione stava peggiorando o era sul punto di esserlo.

"É vero zia che hai fatto incidere tu le due frasi? E dove le hai sentite?" chiesi curiosa di sapere la risposta.

"Sí é vero." ora le luccicavano gli occhi. "Le ho inventate e mi sembrava carino metterle su qualcosa di importante come la spada."

"Non mi ero mai accorta che avevi una fantastica originalità!" si complimentó mia sorella.

"Grazie. Allora... come pensi di chiamarla?" mi chiese zia.

"Come? Da quanto le spade hanno un nome?" le domandai sorpresa obbligandomi a sopportare metà elsa che premeva sulla mia schiena.

"Beh, da sempre! Tutte le spade di valore hanno un nome."

"La chiamerò..." feci una pausa per riflettere, la mia mente finiva sempre sulle fiammelle che creavano un contrasto con il nero del fodero."...Fiamma!"

"Fiamma." ripeté mia zia in un sussurro.

"É proprio un bel nome, mi piace." commentò Jennifer.

"Promettimi una cosa." zia fece una pausa e si guardò nuovamente intorno."Proteggila come se fosse la tua stessa vita."

"Te lo prometto." le risposi decisa.

Mi svegliai mettendomi seduta di scatto sul letto. Molti particolari nitidi svanirono dalla mia testa, mi ricordai soltanto di mia sorella e la spada. Il viso dei miei genitori e quello di mia zia, ad esempio, mi appariva sfocato e impossibile da riconoscere.

Non può essere solo una coincidenza! La spada che mi ha dato quella donna é identica a quella che ho trovato quando ero sulla Scatola. Non può essere solo una casualità, deve essere un ricordo, come tutti gli altri sogni.

Mi alzai dal materasso sbadigliando ma ancora scossa dal "ricordo". Il mio sguardo finí casualmente sul letto vuoto ancora intatto. Non seppi perché ma in me crebbe una strana sensazione di vuoto, sentivo che mi mancava qualcosa o meglio una parte di me. Mi stropicciai gli occhi con i polpastrelli obbligandomi ad ignorare quel momento.
I corridoi del Casolare erano deserti e immersi nel torpore del mattino. Di rado si scorgeva qualche Raduraio apprestarsi per andare a lavoro o a fare colazione. Uscita dal edificio, venni travolta dall'aria fresca del mattino che mi fece definitivamente svegliare.
Mi avvicinai cosí alle cucine e mi sedetti vicino Chuck che, nel frattempo, stava mangiando.

"Con chi hai l'onore di lavorare oggi?" chiese il ragazzo curioso tra un boccone e l'altro.

"Dai Cuochi, l'Intendente dovrebbe essere Frypan, giusto?"

"Si. Ti dovranno fare santa."

"Perché?"

"A Frypan piace molto parlare." mi avvertí.

"E a te mangiare." lo rimbeccai.

"Hahahahah! Inizi a conoscermi, pive!"

"Già."

Passammo il resto della colazione ridendo e facendo battute. Chuck era un tipo simpatico ma Minho batteva tutti! A mio parere diceva barzellette squallide ma almeno erano divertenti e facevano morire dal ridere.
Molti Radurai se ne andarono a lavorare, feci lo stesso anche io: mi alzai dal tavolo ed entrai in cucina. Frypan stava pulendo delle pentole.

"Hey Frypan, oggi lavorerò con te."

"Si, potresti portarmi i piatti?" chiese senza staccare gli occhi dalle pentole.

"Certo."

Uscii e ne presi due, poi ritornai indietro e li appoggiai su uno spazio vuoto nel lavello.
Considerando il fatto che c'erano circa una cinquantina di ragazzi, se fossi andata avanti prendendo sue soli piatti alla volta avrei fatto avanti e indietro per venticinque volte o piú.
Sulla base di questo pensiero, raccolsi piú piatti per fare meno "viaggi", stando ovviamente attenta a non farli cadere. Ringraziai mentalmente i ragazzi per aver spazzolato a dovere i piatti cosí non mi era toccato svuotare quest'ultimi da eventuali avanzi.

"Grazie." mi ringrazió il cuoco non appena posai gli ultimi piatti sul lavandino. "Ora mi servirebbe una mano per lavarli. Io lavo, tu sciugi."

"Ok, mi va bene."

Il cuoco sciacquó un piatto, me lo porse e io lo asciugai.
Lava, asciuga. Lava, asciuga. Ció andò avanti per un altra cinquantina di volte.

Tra poco impazzisco. Ma come fa Frypan? Poveretto che lo deve fare tre volte al giorno per tutti i giorni! Se io fossi in lui, mi sarei già smattita!

Finalmente anche l'ultimo piatto fu stato pulito e rimesso a posso nella credenza.

"Bene. Ti concedo una pausa."

"Bene così."

Il cuoco osservò qualcosa all'interno del figo poi borbottó qualche parola che non riuscii bene a capire.

"Vado a prendere i rifornimenti." annunció per poi andarsene lasciandomi per il momento sola.

Mi mancava un po' di solitudine.

Nell'attesa mi appoggiai alla parete vicino al forno chiudendo gli occhi.
Anche se in alcuni istanti il silenzio poteva apparire terrificante, altre volte era piacevole.
Riaprii gli le palpebre.
Rimasi a fissare un punto non definito della cucina fino a quando non ritornó Frypan. Sulle braccia teneva del cibo: carote, vari panini, formaggio, carne. Mi spiegò che se volevo fare la Cuoca dovevo sempre pensare al cibo,...
Blah, blah e blah.
Per la maggior parte del tempo non lo ascoltai, se l'avessi fatto avrei rischiato di addormentarmi. Ogni tanto annuivo per fargli capire che stavo attenta a ciò che diceva.

Chuck aveva ragione. Eccome se ce l'aveva!

"Un'ultima cosa: non voglio che tu rovini le padelle. Sono preziose. Se lo fai considerati morta! Sono stato chiaro?"

Questo Chuck non me lo aveva detto: Frypan ama le sue pentole.

 "Si, d'accordo. Starò attenta alle tue adorate pentole."
 
"Bene così."

Grazie a Dio, finalmente ha finito!

Passammo il resto della mattinata a riordinare il cibo e a cucinare per il prossimo pasto. Frypan osservava attentamente ogni mio movimento, mi coreggeva se sbagliavo qualche passaggio e scioglieva pazientemente ogni mio dubbio.

"Il tuo lavoro é finito, per ora." mi informò il ragazzo.

Salutai il cuoco rubando dalla cucina del cibo che avevo preparato prima. Uscii dalla Cucina e mi lasciai cadere per terra di fronte a Chuck gustandomi il pasto.

"Hey Chuck, perdona la domanda ma che lavoro fai?" chiesi di punto in bianco al riccioluto.

"Spalatore." borbottó con un filo di voce.

"Che sarebbe?" l'unica cosa che sapevo era che non era molto bello.

"Pulisco il bagno, le docce, il sangue dopo che i macellai hanno fatto a pezzi gli animali." si fermó un attimo per tirare un sospiro. "Se non sai fare niente, ti tocca questo."

Rimasi sorpresa dalle parole del ragazzo, non mi sarei mai aspettata un lavoro cosí. In quell'attimo capivo perché Zart lo prendesse in giro e come si sentisse Chuck.

"Mi dispiace." tentai di rassicurarlo.

Il riccio finí di mangiare ritornando a lavorare, avrei dovuto fare la stessa cosa ma mi diressi in un luogo non precisato. Senza volerlo mi ritrovai di fronte al bosco delle Faccemorte. I tronchi scuri delle prime file di alberi si stagliavano imponenti di fronte a me, i rami nodosi e le fitte foglie verdi creavano una sorta di cupola sopra la mia testa.
Mi addentrai all'interno per rifugiarmi nel mio "nascondiglio segreto". Era tale e quale all'ultima volta: fiori, albero maestoso, un piccolo paradiso pieno di pace e tranquillità che contrastava violentemente con il resto della Radura e con il Labirinto.
Appoggiai la schiena al tronco ruvido, a quel punto i miei "dilemmi" viaggiarono nella mia testa. La spada, mia sorella, i luoghi dei primi due sogni, sentivo che era tutto collegato ma ancora mancavano pezzi importanti del puzzle che mi avrebbero permesso di avere una visione migliore di tutto.
Sospirai esasparata, a quanto pareva dovevo aspettare ancora prima di trovare le risposte che cercavo.
D'un tratto sentii un ramoscello spezzarsi poco lontano da me, ció mi fece riportare buscamente alla realtà.

Me lo sono solo immaginato. Tentai di tranquillizzarmi.

Scossi il capo, magari involontariamente ero stata io stessa a produrlo.
Accadde di nuovo, ancora e ancora.
Ora avevo la certezza di non essere io la causa.
Il mio cuore martellava nel petto, sembrava volesse uscire.
Mi obbligai a riprendere la calma, doveva essere sicuramente qualche ragazzo che voleva svagarsi.

Inspira, espira.

"Se é uno scherzo di voi pive, venite fuori!" urlai. "Non é divertente."

Nessuno rispose.
Il rumore si fermó per qualche istante, per ricominciare stavolta dietro di me.
Era sempre piú dannatamente vicino. 
 
"Basta, non ne posso piú! Se cercate di spaventarmi ci siete riusciti benissimo."

Ancora una volta non ebbi risposta da parte di nessuno.
La calma e la razionalità che avevo prima erano andate a farsi benedire, ora in me regnava solo la paura. Scattai in piedi allontanandomi di un paio di passi dall'albero lasciando il prato fiorito alle mie spalle, pronta a scoprire cosa o chi si stava divertendo a spaventarmi. Tra le fronde degli alberi non c'era nessuno.
Di fianco a me esattamente dietro il tronco di un pino apparve un ragazzo, era pallido come un lenzuolo.
Era il ragazzo malato.
Ben.

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