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Capitolo 5

La guardia della W.I.C.K.E.D. mi stava portando verso una porta in fondo al corridoio. Il silenzio era interrotto solo dai nostri passi pesanti e dal tintinnio del lanciagranate dell'uomo contro un mazzo di chiavi le quali erano agganciate a uno dei passanti dei pantaloni. Avevo le mani legate dietro la schiena con un pezzo di corda abbastanza rubusto. Ciò, mi rendeva difficile tagliarlo ma, fortunatamente, avevo ancora la mia spada legata al mio fianco sinistro. Avevo una voglia assurda di liberarmi e dare una bella lezione ad almeno la metà delle guardie e del personale che lavorava in quel luogo infernale. I lunghi corridoi che si snodavano dentro la struttura, le ampie stanze piene di schermi e la vista di numerose porte sigillate mettevano a dura prova la mia concentrazione. In nessun angolo dell'edificio avrei trovato qualche oggetto utile per togliermi da quella assurda situazione. Il mio cervello tentó lo stesso di trovare una soluzione, dovevo usare quello che avevo a dispozione. Avrei potuto cogliere di sorpresa la guardia magari sarei riuscita anche a fargli perdere conoscenza per un po'. Rimaneva il fatto che avevo le mani legate, come potevo liberarmi? Avevo la spada ma non sarei mai riuscita a sguainarla, tagliare la corda liberandomi. Dovevo assolutamente trovare un'altro modo. Nel frattempo raggiungemmo la nostra meta perció la guardia della W.I.C.K.E.D. aprí quella rigida porta di metallo che avevamo di fronte, quando fu del tutto aperta realizzai di trovarmi in una stanza scura. Accendendo la luce, potei notare al centro una specie di enorme cassa marrone alta circa un paio di metri. Ai lati c'erano delle spesse funi nere. Probabilmente sarebbero servite per tirare su la cassa. Supposi.
Se non fosse stato per quel coso marrone, la stanza era completamente bianca e spoglia.

"Il vicedirettore Janson ha deciso che tu verrai mandata nel Labirinto A." spiegò la guardia.

"Oh, no. Il test di Violenza." dissi con un sussurro.

La guardia si voltó guardandomi di traverso come per dire: "Allora non sei così stupida come pensavo!"

"E Beatrice?" chiesi. "Che ne sarà di lei?"

Speravo con tutto il cuore che almeno lei si sarebbe salvata ma, la risposta dell'uomo mi fece salire la tristezza e, allo stesso tempo, mi tornó la voglia di fare una strage, avrei ucciso senza pietà tutte le persone che avevano torturato dei poveri ragazzi, soltanto per una lurida cura contro l'Eruzione!
Infatti mi rispose che mia sorella, nei giorni seguenti, sarebbe costretta a eseguire gli ordini che le saranno imposti da Janson. E, se avesse provato a ribellarsi- cosa che avrebbe fatto, conoscendola- sarebbe venuta severamente punita con un'adeguata tortura.
Non appena la guardia pronunciò queste parole, non ebbi il coraggio di ribattere per paura di beccarmi non so quale martirio. Un silenzio inquietante e minaccioso caló tra noi fin quando lui mi tolse la corda dai polsi. Tirai un sospiro di sollievo e mi massaggiai i polsi arrosati e doloranti. Purtroppo la piccola speranza che stava crescendo dentro di me, scemó quando l'uomo mi puntó alla fronte il lanciagranate minacciandomi che se non avessi fatto ció che mi ordinava, non avrebbe esitato a spararmi.

"Janson non ti permetterebbe mai di ammazzarmi. Sono troppo importante per i suoi loschi esperimenti." lo provocai.

Con la coda dell'occhio vidi il suo indice iniziare a premere il grilletto, forse tentava di incutermi terrore. Mi ci voleva ben altro, non mi spaventavo facilmente.

"Stai zitta! Cammina!" mi ordinò.

Iniziai a camminare in direzione della Scatola- se non erro, dovrebbero chiamarla cosí i Radurai- e mi venne in mente un'idea per liberarmi della guardia. Ora che avevo i polsi liberi avrei potuto coglierla di sorpresa e riempirla di pugni, non sarebbe stata una cattiva idea! Pensai.

"Togliti la spada dal fianco." sibiló a denti stretti aumentando la pressione del lanciagranate sulla mia testa.

Feci come disse ma... lanciai la spada dentro alla cassa. Con mia immensa fortuna centrai il bersaio.

"Ma che cazzo fai?" mi urló contro la guardia. "Hai superato ogni limite."

Dopo queste parole mi aspettavo di ricevere una granata elettrica sulla tempia. Automaticamente il mio cervello inizió ad elencare cosa sarebbe successo dopo lo sparo: avrei avuto il corpo coperto di spasmi per un po' e forse sarei anche svenuta per una manciata di minuti, giusto il tempo per rinchiudermi dentro alla Scatola con facilità. Ma l'uomo con uno scatto del braccio mi colpí sullo stomaco. La botta improvvisa mi fece piegare in due portandomi le mani sulla pancia, tentai di riprendere aria da rimettere nei polmoni ma il risultato fu una ragazza che boccheggiava, sbatteva ripetutamente le palpebre come se le avessero lanciato un secchio d'acqua gelata e cercava di tenere a freno i conati di vomito. A quel punto la guardia fece cadere a terra l'arma prendendomi in braccio. Cercai di liberarmi in tutti i modi da quella presa ferrea ma non ci riuscii, malgrado avessi assestato un bel calcio alla gamba sinistra. Una volta sopra la Scatola, mi fece cadere violentemente sul pavimento pieno di scatoloni, facendomi sbattere la testa e il sedere. I quali mi facevano male, molto male, sopratutto la testa. Per un secondo temei di essere morta, scossi il capo scacciando quel pensiero idiota e riacquistando il senno. L'uomo entrò nella cassa, in mano aveva una boccetta trasparente con dentro un liquido, appena i miei occhi incontrarono quella fiala, il mio cuore perse un battito. Sapevo benissimo cosa sarebbe successo se solo una goccia fosse scesa lungo il mio esofago.

"Bevila!" urlò seccato.

"No!" esclamai a pieni polmoni ignorando i dolori lungo il mio corpo.

"Vuoi le maniere pesanti, eh? Allora le avrai!" mi minacciò e si chinó per farmi prendere quella roba.

Ero ancora sdraiata, ogni mio movimento e tentativo per alzarmi, mi causava delle fitte tremende che si propagarono su tutto il mio corpo.

"Non ne sarei così sicura, se fossi in te." dissi a denti stretti.

Gli diedi un calcio -obbligandomi a soppotare la mia momentanea sofferenza- centrando la boccetta, ma riuscii solo a romperla in quache punto e ferendo lievemente l'uomo alla mano. Vidi il suo sangue scorrere sul palmo e imbrattare il pavimento, goccia dopo goccia, proprio vicino ai pezzi di vetro appena caduti.

"Lurida fioletta puttanella!" mi insultò.

Strinse la mano sana in un pugno e mi diede un cazzotto sullo stomaco, come se non mi facesse già male. Non feci in tempo a urlare di dolore -l'ennesimo tormento di cui lamentarsi- che la guardia non perse tempo a farmi ingogliare quella sostanza. Poi, non vidi più nulla, solo nero.

Il sogno stava scomparendo gradualmente, sentivo qualcuno scuotermi energicamente. Chi poteva mai essere tanto intelligente da "sfrattarmi" dal mio amatissimo letto?
Per ripicca mi girai dall'altro lato, la faccia premuta contro il cuscino. Bofonchiai un "voglio dormire" o qualcosa di simile visto che continuavo a ranicchiarmi nelle coperte. Ovviamente quell'essere umano che si era permesso di svegliarmi, non smise di scuotermi. Dopo una manciata di secondi mi decisi a girarmi e aprire gli occhi per vedere chi mi stesse importunando. Minho se ne stava a qualche centimetro dalla mia faccia con un'espressione un po' esasperata, per poco non mi fece prendere un colpo. Chissà da quanto tempo mi scollava...

"Che ci fai qui?" chiesi ancora assonata e con la guancia premuta sul guanciale.

"Sbrigati o ti perdi lo spettacolo!" esclamó facendo un sorrisetto.

"Quale...? Ah." Mi ricordai che la scorsa notte avevamo fatto uno scherzo a Zart.

Sbadigliando, mi misi a sedere sul materasso e notai che erano presenti anche Newt e Thomas.

"Potete uscire, per favore? Vi raggiungo tra qualche secondo." annunciai.

"Basta che non crolli di nuovo." mi implorò Minho.

I ragazzi sparirono dietro la porta, tornai sdraiata sul letto fissando il soffitto marrone e riflettei sul sogno che avevo appena fatto. Mi dispiaceva aver cacciato i ragazzi, non potevo usare la scusa: "devo cambiarmi" perché non possedevo un pigiama, avevo solo bisogno di qualche secondo per riorganizzare le idee. Come accadde per il precedente incubo, mi dimenticai la maggior parte di ciò che successe. Immagini confuse danzavano nella mia mente, tutto quello che riuscivo a cogliere era che mi trovavo in un luogo ignoto, percorrevo un corridoio bianco fino a raggiungere la stanza anch'essa bianca che, a quanto sembrava, conteneva la Scatola ovvero quell'ascensore che due giorni prima mi condusse alla mia nuova casa, la Radura. Due giorni. Solo due ne erano passati da quel risveglio surreale, eppure mi sembrava fosse passata un'eternità.
Mi portai i palmi sul viso e strofinai le palpebre con i polpastrelli.
Quel gesto mi riportó alla mente un altro parcolare del sogno-incubo: Beatrice. Quel nome mi rimbombó nel cervello facendomi scattare qualcosa. D'un tratto, come un fulmine, mi ricordai che nella Scatola mi tornó in mente una persona familiare a cui non riuscivo ad attribuire un nome. Successivamente nel primo "incubo" fui separata da una ragazza dai capelli chiari che chiamai "sorella" e come se non bastasse nominavo una certa Beatrice. Avrei tanto voluto mettere insieme le tessere di quello strano puzzle per avere una visione chiara di tutto ma c'era qualcosa che me lo impediva, ciò mi dava sui nervi. Scossi la testa frustrata per allontanare momentaneamente i miei dilemmi e attinsi a tutta la mia forza di volontà per togliermi da dosso le coperte e a svegliarmi completamente.

Bene, il prossimo passo é trovare le scarpe. Dove le ho messe?

Guardai sotto al letto a testa in giù e le trovai. Le indossai e mi diressi dai ragazzi senza perdere altro tempo prezioso. Trovai i tre Raduarai esattamente dietro la mia porta, appena mi videro iniziammo a scendere cauti le scale che portavano alla camerata di quella Testapuzzona, una volta giunti si fermarono sulla soglia della porta.

"Non facciamoci vedere." sussurò Thomas.

"Sta ancora dormendo?" domandò Newt.

Mi sporsi per vedere, ora che potevo scrutare meglio la stanza constatai che era composta da quattro letti, due su ogni lato della porta. Il letto di Zart era ben visibile dalla porta socchiusa. Feci per rispondere ma mi interruppi subito perché vidi uno dei Radurai muoversi e ritornai tra i miei amici.

"Quindi?" mi incitò Thomas.

Posai un dito sulle labbra in segno di fare silenzio. Dalla stanza si sentirono delle imprecazioni e numerosi insulti che avrebbero fatto concorrenza ad uno scaricatore di porto.

"Scappiamo prima che ci scoprano." propose Minho visibilmente divertito.

"Va bene, andiamo." Dopo che dissi questo, ci allontanammo lentamente cercando di non far scricchiolare le assi di legno sotto i nostri piedi. Una volta assicurati di essere abbastanza lontani iniziammo a correre fuori dal Casolare tentando di trattenere le risate.
Appena mettemmo piede fuori, ci apoggiammo alla parete di legno e scoppiammo a ridere. Il cielo era blu scuro ma stava assumendo varie sfumature, rendendo un aspetto magnifico all'alba.

"Non ho mai riso così tanto, in questi due anni alla Radura!" esclamò Newt.

"É tutto merito di Angelica." continuò Thomas.

"Mi era venuta una semplice idea, poteva venire a chiunque." gli risposi lasciandomi cadere sul pavimento di pietra.

"Non penso che ad altri pive gli possa venire una cosa così geniale. E, ad essere sincero, non ho mai pensato a uno scherzo contro di lui." ci informò Minho.

"Geniale? Ma sei tu che hai organizzato tutto." ribattei. "A me é solo venuto in mente di fargliela pagare."

"Sciocchezze." esclamò il Velocista. "Sei una pive in gamba, ti terrò d'occhio."

"Devo spaventarmi?" risi puntando lo sguardo su di lui.

Dopo qualche secondo in cui non proferimmo parola, Thomas ruppe il silenzio dando voce anche ai miei pensieri: "Non vedo l'ora di vedere come la prenderà Chuck."

"Scommetto che quando lo saprà non smetterà più di ridere." gli rispose Newt.

Minho guardò il quadrante del suo orologio nero e pensò ad alta voce: "Sono quasi le sei, devo sbrigarmi."

Guardai di traverso l'asiatico, a quanto pareva mi aveva buttata dal letto un po' prestino. "Quando si aprono le Porte?" tratteni a stento uno sbadiglio.

"Alle sette in punto." mi risposero in coro i tre ragazzi come se fosse una cosa ovvia.

I Radurai risero, segno che avevo fatto una faccia strana. Mi alzai dal pavimento decisa a ritornare tra le coperte, alle mie spalle udii qualcuno esclamare che fossi pigra, un altro disse che ero un caso perso.

Quei tre sono fantastici. Pensai abbozzando un sorriso.

Tornai in camera passando per altri corridoi e scale, stando lontana dalla camera di Zart. Appena varcata la porta, mi fiondai sul materasso come farebbe una persona che non aveva dormito la notte precedente.
Fu un raggio di sole a svegliarmi, per mia fortuna durante il mio "pisolino" non sognai piú cose "strane". Guardai dalla finestra e vidi le Porte del Labirinto aperte, senza indugiare mi diressi a fare colazione.
Trovai Newt poco distante dalla cucina, dopo pochi minuti, ci venne in contro Chuck con un grosso sorriso sulle labbra.

"Non potete immaginare quello che é successo questa mattina a Zart." anninció ridendo.

"L'abbiamo sentito dire tra alcuni Radurai. I Pive che hanno fatto lo scherzo hanno avuto un'ottima idea." gli rispose Newt.

"Si... Non smetto piú... Di ridere!" disse Chuck tra una risata e un'altra.

Mi rese felice sapere che eravamo riusciti a fargli riportare il buon umore, almeno per ora. La stessa cosa lessi negli del biondino.

"Parliamo delle cose importanti: Angelica, se non sbaglio tu sei dai Costruttori, giusto?" si riprese Chuck

"Si, quindi?" lo incitai.

"Sei consapevole di chi sia l'Intendente?" il riccioluto mi guardó divertito.

"No."

"É Gally."

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