Capitolo 30
Continuavo a rivolgere loro brevi occhiate ma stanche. Ero stufa di sentirmi presa in giro da Newt. Perché una volta per tutte non mi diceva come stavano le cose? Aveva forse paura? E poi di cosa? Un ragazzo bello e muscoloso come lui era difficile da immaginare indifeso e confuso dinnanzi i suoi sentimenti. Esalai un sospiro sfinita da quella situazione e mi obbligai ad accantonare i pensieri. Nel mio stomaco si era creata un'immensa voragine che risucchiava dentro tutto come un buco nero. Il cibo sembrava aver perso consistenza: ogni volta che assaporavo un boccone, il suo gusto spariva, era come se non stessi mangiando affatto. Il turbamento che prima percepivo divenne più forte, ero andata a sbattere nuovamente contro la fredda parete della realtà.
Per quante volte ancora mi ci dovrò scontrare? Mi chiesi. Quella domanda rimase senza risposta, come le altre d'altronde.
Senza che me ne accorgessi il mio piatto era vuoto e avevo una voglia assurda di alzarmi per togliermi dalla vista quei due. Mia sorella continuava a sorridergli e Newt sosteneva il suo sguardo. Mi era impossibile distogliere gli occhi da loro, sapevo che mi stavo facendo male da sola ma una forza invisibile più forte della mia volontà, me lo impediva.
Mi alzai di scatto facendo sobbalzare i presenti. Quel momento era divenuto troppo stretto, come se dei muri scorrevoli stessero scivolando l'uno verso l'altro, facendo sì che la loro distanza si accorciasse sempre di più. Io mi ritrovavo in mezzo a quelle fredde pareti, avevo due scelte: lasciarmi schiacciare oppure fuggire. Ovviamente la mia scelta fu l'ultima opzione, avendone fin sopra i capelli.
"Dove stai andando?" domandò Thomas ma la sua voce si dissolse nell'aria perché lo ignorai.
Non conoscevo ancora la mia meta ma sicuramente volevo allontanarmi da lì il più possibile o almeno dove la mia caviglia me lo permettesse. Udii altre voci che volevano spiegazioni ma continuai imperterrita sulla mia strada. Una mano si posò sul mio polso e con un leggero strattone mi costrinse a voltarmi.
Degli occhi a mandorla mi guardavano preoccupati, feci per aprire bocca ma l'asiatico mi precedette. "Hey, che ti succede?"
"Niente, sto benissimo." ingoiai momentaneamente il dolore.
Minho alzò un sopracciglio riconoscendo la mia menzogna. "Riguarda Newt?"
Sbarrai gli occhi sentendo la mia corazza sgretolarsi sotto quella verità, aprii la bocca più volte per cercare di ribattere ma nulla uscì fuori. Mi fu impossibile inventare un'altra scusa perciò sospirai sconfitta un: "Sì" non molto allegro e pieno di vita.
Mi guardò comprensivo e fece una cosa che non mi sarei mai aspettata: mi abbracciò. Senza esitare le sue braccia muscolose mi circondarono i fianchi e mi trascinarono sul suo petto, che a giudicare dai muscoli era marmoreo. Senza pensarci due volte ricambiai il gesto e chiusi gli occhi nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. La volta precedente che aveva compiuto quell'azione, il Velocista mi stava consolando dalla visione dei due biondi abbracciati. Quel ricordo minacciò la fuoriuscita di alcune lacrime che a stento riuscii a trattenere. Mi aggrappai al suo corpo come se non avessi nessun'altro appiglio. Mi abbandonai a lui come se fosse la mia salvezza. Ciò che provai in quel contatto fu diverso dalle uniche due volte in cui strinsi a me il biondo. Minho mi fece sentire meglio e ciò era evidente, alleggerì il peso che portavo dentro il petto ma niente poteva competere o si poteva paragonare ai forti sentimenti che provavo per Newt. Non sapevo perché ma avevo come l'impressione che mi potesse capire.
Le dita del corvino si divertirono a stuzzicare le punte dei miei capelli, percorsero tutte le onde che trovavano per poi affondare sulla mia testa. Era noto a tutti che il Velocista avesse una stazza imponente e dei muscoli ben definiti, quelle braccia sembravano capaci di spezzare tutto. Percepire il ragazzo compiere quei gesti con così delicatezza e attenzione, pareva una cosa irreale.
Per un attimo mi parve di stringere tra le mie braccia il biondo: entrambi erano ben piazzati e avevano il petto ampio. La mia mente era ostinata a credere che fosse lui. Non mi era difficile immaginare i suoi capelli ribelli e i suoi occhi nocciola che tanto mi avevano colpita. A discapito del mio desiderio, mi obbligai a metterlo da parte non essendo dell'umore giusto per pensare a lui. Mi scansai di poco e svogliatamente dalla spalla del mio capo, anche se mi ripetevo in mente di star bene non potevo nascondere gli occhi lucidi.
"Tranquilla, ci penso io." sussurrò notando le mie lacrime sull'orlo di bagnare le mie guance e prima di lasciarmi andare per la mia strada.
Le sue braccia abbandonarono lentamente il mio corpo, oppure ero io a vedere tutto rallentato. Il calore che prima mi aveva donato, scivolò lungo tutto il mio corpo rimpiazzato da quel freddo vuoto. Lo osservai girare i tacchi e tornare insieme agli altri. Odiavo il gelo che era salito dalle mie viscere, ma avevo come la sensazione che ci avrei dovuto fare l'abitudine.
Mia sorella fece per alzarsi non curandosi delle voci che volevano che mi lasciassero in pace. Poi il corvino la prese per il polso e, dicendole alcune parole che per la distanza non udii, placò la sua marcia. Il resto dei miei amici mi guardavano con sguardo interrogativo non riuscendo a comprendere la situazione e il motivo per cui il Velocista mi avesse abbracciata.
Questa fu l'ultima cosa che vidi prima di proseguire. Mi strinsi le braccia al petto, presi a stuzzicarmi il labbro inferiore ed imboccai la via per il Casolare.
Quello che non potevo sapere era che un paio di occhi mi stessero seguendo.
Lungo tutto il tragitto venni interrotta da alcuni ragazzi che si complimentavano della riuscita dell' "impresa", stancamente li ringraziai e pregai mentalmente che smettessero preso, non sopportavo di essere al centro dell'attenzione.
L'edificio era silenzioso anche se ogni tanto si udivano le urla di Alby che mi procuravano la pelle d'oca. Salii lentamente i gradini strizzando ad ogni passo le palpebre e imprecando sottovoce per il dolore. Giunta in cima alla prima rampa di scale, mi congratulai sarcasticamente sul fatto che la mia camera era ancora lontana.
Non feci in tempo a fare qualche altro passo verso i rimanenti scalini, che qualcuno di gran fretta mi raggiunse producendo un frastuono tremendo. Feci per voltarmi e vedere chi fosse ma un ragazzo mi circondò il busto da dietro e mi tappò la bocca con una mano impedendomi di urlare. Strabuzzai gli occhi con il cuore in gola che batteva come un matto.
Ti prego non di nuovo.
Sperai con tutte le mie forze di sbagliarmi e credere che fosse solo uno scherzo "innocente" -per quanto lo possa essere prendere di sorpresa le persone in quel modo- ma ovviamente la fortuna non era dalla mia parte.
Il ragazzo mi portò in un corridoio lontano da occhi indiscreti e non molto distante dalle scale, poi aprì con un calcio una porta socchiusa ed entrò nella stanza vuota assicurandosi di non essere visto o che qualcuno non lo interrompesse. Udendo la sua voce mi maledissi del guaio in cui mi ero cacciata.
"Riprendiamo da dove ci eravamo interrotti?" propose la malefica voce di Zart nel mio orecchio.
Un'ondata di disgusto mi travolse in pieno. Come se mi fossi svegliata all'improvviso dallo shock iniziale, presi a dimenarmi dalle sue braccia ma la presa si fece più forte. Mugugnai irritata, riconoscendo che le possibilità di liberarmi alla svelta stavano sparendo rapidamente. Sapere che quella testa di sploff mi stava stingendo contro il suo busto, mi faceva salire la bile alla gola.
"Ma no, che fai? Così complichi tutto." Riprese con una strana inclinazione delle sue parole.
Le sue dita callose per via del duro lavoro nei campi, presero a sfiorarmi il fianco coperto dalla maglietta. Il suo fiato caldo e ripugnante toccò appena il mio collo. I secondi scorrevano lenti e scanditi dal battito del mio cuore. Stavo iniziando a perdere le speranze quando una parziale e confusa idea si infilò nella mia mente. Mi divincolai dalle sue braccia giusto quel piccolo spazio per permettergli di dare una gomitata sulle costole. L'Intendente lasciò sfuggire un verso di sorpresa dalla sua bocca. Approfittando di quei pochi attimi di distrazione da parte sua e ricordandomi che aveva ancora un palmo premuto sulle mie labbra, affondai i denti non troppo forte nella carne. A questo punto il biondo riccioluto mollò la presa sul mio corpo dopo aver emesso un ultimo gemito e io potei darmela a gambe.
Mi sembrava di rivivere quel momento alle docce quando fui accerchiata dai cinque ragazzi e per un pelo, e anche grazie all'arrivo di Gally, riuscii a salvarmi. Ora era una sorta di faccia a faccia, ma nessuno mi avrebbe detto se da un angolo potessero spuntare i suoi amici. A quel punto sarei stata spacciata, sempre se qualcuno non fosse spuntato fuori a salvarmi. Pregai vivamente che fosse così ma dalle scale o nei dintorni non giungeva nessuno.
Alle mie spalle il ragazzo imprecando e minacciandomi, avanzava terreno come un predatore pronto a saltare addosso alla sua vittima.
Voltai il capo a destra e a sinistra con la disperata ricerca di salvezza, mi sarebbe bastato qualsiasi cosa per cavarmi dai guai.
Avevo ottenuto un discreto vantaggio dal ragazzo: non appena mi ero liberata gli avevo sbattuto letteralmente la porta in faccia ed ero schizzata lontano da lì. Non feci in tempo a tirare un sospiro di sollievo che una fitta si propagò dalla caviglia destra.
Dannazione, adesso anche questa?
Appoggiai la schiena contro la parete di legno e respirai a fondo dato che la concentrazione di ossigeno nell'aria pareva essersi ridotta drasticamente. Presto, le condizioni favorevoli che avevano permesso la mia fuga svanirono quando nel mio campo visivo entrò il ragazzo che si massaggiava il naso dolorante. Misi ulteriore distanza tra di noi ma il dolore non era intenzionato ad andare via alla svelta. Il biondo, con un ultimo scatto, mi raggiunse e mi mise letteralmente le spalle al muro.
"Cosa vuoi da me?" sbottai con un tono stranamente fermo per quel momento orrendo.
Il ragazzo rise come se la risposta fosse evidente e scontata. "Solo vendicarmi."
"Quindi non mi lascerai in pace tanto facilmente." pensai ad alta voce e sostenendo il suo sguardo.
Un sorriso compiaciuto si formò sul suo volto in segno che ero giunta al nocciolo. Strinse di più le dita attorno alle mie spalle, facendomi aderire la schiena contro il legno, e si avvicinò al mio corpo. Non seppi come feci ma riuscii ad accantonare il terrore e mettere al primo posto l'imprudenza. Senza sprecare altri istanti, gli rifilai un destro in faccia. Non sapevo cosa avessi colpito, mi importò solo che il colpo andasse a segno. Per la sorpresa mi liberò e io potei imboccare finalmente la scalinata.
Dove potevo andare? Salire le scale fino a raggiungere l'ultimo piano dell'edificio? Non se ne parlava, dato che mi sarei ritrovata di fronte ad un vicolo cieco e non credevo che la caviglia avesse retto così tanto senza che mi facesse lo stesso scherzetto di prima. Una lampadina mi si accese realizzando che mi stessi avvicinando alla mia camera nella quale tenevo le mie armi. Nel frattempo Zart era ai piedi della rampa di scale, mi incitai mentalmente ad arrivare nel pianerottolo e maledissi quel dannato dolente per avermi regalato quel supplizio. Cercavo di andare avanti il più velocemente possibile, ad ogni passo mi aggrappavo al corrimano come se stessi tirando una corda. L'impulso che avevo avuto prima, se ne era andato da un bel pezzo lasciando posto all'ansia. Pregai con tutto il cuore di riuscire a scamparla di nuovo, non volevo ritrovarmi per la terza volta nelle grinfie di quell'essere.
Da un angolo o dalla prima scalinata, non lo seppi di preciso, spuntò un ragazzo che prese la stessa rampa di scale che tentavo di scalare. Zart se ne accorse e si bloccò di colpo irrigidendosi all'istante come una statua, conficcò le unghie lerce nel palmo della sua mano poi si voltò andandosene. Sbattei le palpebre più volte non credendo a quello che avevo appena assistito. In testa mi frullavano un miliardo di domande, prima che il biondo potesse cambiare idea, mi recai nella mia stanza abbandonandomi sul materasso.
I miei pensieri vennero interrotti dall'entrata di Beatrice nella camera. "Che muso lungo che hai. Dai vieni." mi prese per un braccio e mi buttò fuori dalla stanza, letteralmente.
"Ti prego, lasciami perdere. Non sono dell'umore giusto... " mi lamentai ma lei mi rifilò in risposta un'occhiataccia che probabilmente significava: "Piantala " e in men che non si dica mi ritrovai fuori dall'edificio.
"Quel tizio -scusa ma non ricordo il suo nome- mi ha impedito di venire da te. Ora dimmi: cosa c'è che non va?" non staccò gli occhi dalla sua meta.
"Niente, è tutto ok." Nell'udire quelle parole mi guardò storto di nuovo, se i suoi occhi potessero incenerire a questo punto sarei stata polvere.
Emise un sospiro frustrata. "Ti conosco. Stai male, sei o non sei mia sorella?"
"Sto benissimo." ripetei ostinata.
Sorella. Quella parola mi rimbombò nella mente. Era la prima volta che mi chiamava in quel modo. Io l'avevo sempre definita tale, ma ora che lo sentii uscire dalle sue labbra aveva assunto un significato diverso, diventando forse una consapevolezza del legame che ci legava. Per quale motivo mi dava questo effetto? Mi sentii un po' strana e in colpa per gli altri ragazzi: loro aspiravano giorno dopo giorno a rivedere la loro famiglia, e io avevo avuto l'immenso privilegio di ritrovarmi in questo casino con un pezzetto della mia.
A quel punto la bionda alzò gli occhi al cielo, segno che aveva deciso di sventolare la bandiera bianca con me. Ci fu qualche secondo di silenzio poi chiesi dove stessimo andando. Beatrice puntò i piedi a terra arrestando di colpo la sua andatura spedita, mi rivolse la sua attenzione quindi aprì bocca ed esclamò: "Non lo so."
Corrugai le sopracciglia convinta che sapesse ciò che stava facendo poi ebbi un'illuminazione. "Seguimi, conosco un posto carino."
"Ah perché qui esistono?" domandò scettica e sarcastica.
"Strano ma vero."
Il bosco era come al solito macabro e poco invitante.
"Vuoi davvero entrare qui dentro?" mi chiese guardandosi circospetta come se un lupo cattivo potesse spuntare da un momento all'altro.
"Fidati di me." stavolta fu io a prenderla per il polso e trascinarla di peso ignorando i suoi lamenti.
Un'esclamazione di meraviglia fuggì dalle sue labbra quando scansò il ramo che le bloccava la strada. Le sue iridi azzurre esaminarono ogni singolo centimetro di quel piccolo paradiso. Dopo aver fatto diversi giri su se stessa riportò la sua attenzione su di me, fece per chiedere spiegazioni ma, comprendendo ciò, la precedetti.
"L'ho scoperto per caso. É un po' strana l'esistenza di questo luogo."
La bionda si accomodò nelle vicinanze del prato fiorito e mi fece segno di ricopiarla. "Ora parliamo di cose serie."
Sentii la solita ondata gelida invadermi il corpo, in questo caso temetti che facesse pressione sul mio stato d'animo o che avesse dedotto che avessi una cotta per Newt. Mi inumidii le labbra che nel mentre si erano fatte aride, mi preparai al suo interrogatorio e ciò che pronunciò mi spiazzò.
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