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Capitolo 28

Come se non se avessi avuto abbastanza, l'ennesima ondata gelida mi scivolò dalla testa ai piedi. Le sue parole mi giunsero come un dardo appena scoccato conficcandosi nella mia pelle. I secondi successivi mi parvero scorrere molto lenti mentre la mia bocca divenne arida come un deserto su qui batteva ininterrottamente il sole. Come un fulmine a ciel sereno, la sua affermazione portò alla luce le accuse che mi aveva rivolto Ben il giorno in cui tentò di farmi fuori. Il mio cervello prese ad elaborare velocemente le informazioni che aveva ricevuto e il risultato non era molto rassicurante. Prima il Velocita mi urlava contro di essere la causa di tutto, poi ora ero stata io a fare qualcosa che ancora ignoravo. In entrambi i casi i ragazzi erano stati punti da un Dolente quindi avevano affrontato la Mutazione.
Centrava forse qualcosa ciò? Avevano detto quelle parole perché avevano visto qualcosa di tremendo nella Mutazione?
Non voletti trovare la risposta a quelle domande perché sapevo che mi avrebbe fatto stare male. Non volevo crederci, volevo aprire gli occhi e scoprire che fosse solo un assurdo incubo. Eppure quella era la realtà, che mi piacesse o meno.  
Mi obbligai a mandare giù un groppo di saliva, avevo gli occhi di tutti puntati contro di me. L'ansia cresceva rigogliosa dentro il mio petto, avendo trovato un terreno fertile su cui vivere. Volevo sprofondare e urlare che non centrassi nulla, che era solo un'incomprensione. Non avevo freddo ma rabbrividii lo stesso.
L'aria si era fatta tremendamente pesante perciò rivolsi uno sguardo a mia sorella. La bionda aveva un'aria assente e si osservava le scarpe come se non avesse nient'altro di meglio da fare, di tanto in tanto si mordeva il labbro inferiore come se i suoi pensieri la turbassero parecchio. Anche se non avevo passato molto tempo con lei, vederla così mi preoccupò un po' e in qualche modo sapevo che quel suo atteggiamento non fosse da lei. L'aria cupa che l'avvolgeva da quando aveva varcato la soglia della porta della mia camera, mi parve scurirsi ancora un po'. Un'intuizione si infilò nella mia mente, non aveva ancora una forma definita, era piena zeppa di se e di ma, tuttavia il suo aspetto generale non mi rassicurava per niente. Avevo paura di quello a cui ero giunta e pregai vivamente di sbagliarmi.

Lei non centra nulla. Tentai di rassicurarmi.

Lentamente alzò il capo e ingoiò ciò che l'assillava la mente, gli occhi iniettati di sangue di Alby e le iridi azzurre di Beatrice si incrociarono e si scambiarono un pensiero mentalmente, solo loro potevano sapere cosa si erano "detti" in quel modo.

Serrai nuovamente le labbra formando una linea sottile e mi imposi che i miei dubbi fossero infondati, dovevano esserlo.

"Non so di cosa tu stia parlando, Alby." parlai per la prima volta rompendo il silenzio, per un attimo rimasi sorpresa nell'udire la mia voce fuoriuscire dalla mia bocca.

Il diretto interessato mi rivolse la sua solita occhiata furente come se gli avessi appena detto che i ricordi che gli erano appena stati restituiti fossero di poco conto. "Sto rivalutando la possibilità di farti spalare sploff per settimane."

"Non sforzarti, i ricordi saranno confusi..." tentò Minho ma fu interrotto dalla voce ferma del capo.

"So quello che ho visto." confermò strofinandosi la tempia con i polpastrelli come per voler riacciuffare il sogno per poterlo esaminare meglio, poi riprese borbottando: "Dannazione, vi assomigliare così tanto."

Nell'udire quel sussurro, il mio cuore prese a battere veloce come se fosse stato animato da un'improvvisa speranza, impossibilitata di darle un freno. Io e Beatrice eravamo praticamente identiche, e se ci fosse la possibilità che quella che avesse visto Alby non fossi io? Scambiare me e mia sorella era facilissimo. Per pochi secondi mi aggrappai a quella possibilità ma poi, quando realizzai cosa volessero dire i miei pensieri, mi sentii malissimo nell'essere arrivata a quella conclusione per la seconda volta. Mi sentii uno schifo nel sperare che quella ragazza fosse mia sorella. Quello che aveva visto Alby poteva essere fasullo, non vero. Doveva essere per forza contaminato dal suo subconscio facendogli credere una cosa che non poteva essere. Poi mi tornò in mente Ben e le sue parole, e ciò non fece altro che mandare in fumo le mie speranze e le mie ipotesi, dato che le accuse dei due ragazzi coincidevano. 

Una strana consapevolezza prese a crescere nel  mio petto, avrei dovuto farci l'abitudine e iniziare a convivere con questo peso sulla coscienza. Magari entrambe avevamo contribuito in qualche modo. L'unica cosa certa era che qualcosa di grosso era successo ma ovviamente la nostra amnesia ci impediva di dare una risposta decente ai nostri dilemmi. 

No, dovevo smetterla. Io e Beatrice non centravamo nulla. Non avevamo fatto niente di male. Noi non eravamo capaci di fare cose orribili. Eravamo dalla loro parte, dalla parte dei Radurai. 

"Minho ha ragione, hai affrontato la Mutazione. Ti serve del riposo." gli andò in soccorso Newt avvicinandosi al letto.

Il ragazzo di colore, però, sembrava irremovibile. Era come se avesse ricevuto una prova schiacciante, la quale gettava delle forti fondamenta nei i suoi pensieri, ricordi. Esattamente in quel momento entrò nella stanza Thomas, come per l'Intendente dei Velocisti, il suo aspetto non era malaccio. Anche se aveva una nuova maglietta non mi fu difficile immaginarmi chiaramente il suo busto fasciato da candide bende. Il poveretto appena varcò la soglia, si ritrovò gli occhi di tutti puntati addosso. Il Velocista si sentì un po' in imbarazzo poiché aveva l'impressione di aver interrotto qualcosa di importante. Fece per andarsene ma il capo gli fece cenno di restare.

"Ho visto anche te."

Il castano udendo tali parole corrugò le sopracciglia non sapendo anche lui a cosa si stesse riferendo Alby. 

"A grandi linee mi è tutto chiaro ma allo stesso tempo è così confuso." riprese sondando il volto dei presenti con i suoi occhi arrossati. "Le cose che sono venuto a sapere sono orrende." lasciò la frase sospesa, una porzione del suo cervello mi parve ostinato a non credere ai ricordi che gli erano appena stati restituiti, l'altra invece li stavano accettando gradualmente.

Per la prima volta da quando eravamo entrati nella stanza, Beatrice parlò. La sua voce era ferma e chiara. "Sei molto provato, perché non ti riposi un po' magari..." anche la sua proposta non ebbe fine poiché venne interrotta.

"Fagio smettila, che ne sai tu? Sei appena arrivata e ignori ancora tante cose."

La bionda serrò le labbra, voleva rispondere a tono ma ovviamente non poteva farlo. Quelle parole erano veritiere, aveva ancora molto da scoprire e imparare. La vidi stringere le dita in un pugno e prendere ampie boccate, per un momento giurai che stesse per esplodere ma riprese il controllo di sé con una velocità incredibile. 

"Tutti fuori, il capo ha bisogno di riposo." esclamò Jeff incitandoci a lasciare la stanza ed impedendo a mia sorella di far esprimere i suoi pensieri.

Non appena rivolsi le spalle al ragazzo malato, esso riprese la nostra attenzione bofonchiando: "Proteggete le mappe. E state attenti alle ragazze, soprattutto l'ultima arrivata. Non mi convincono molto." detto ciò si rintanò sotto le coperte chiudendo definitivamente la questione.

 Altre domande si aggiunsero al turbinio estenuante dentro la mia testa. Perché Alby non si fidava di noi? Cosa intendeva con: "Proteggere le Mappe"? Erano forse in pericolo? E se anche lo fossero, a chi interesserebbero dei pezzi di carta con delle linee sopra? Certo, erano fondamentali per risolvere il dilemma del Labirinto, forse la soluzione era proprio in quei tratti scuri. Magari qualcuno non voleva che trovassimo una via di fuga... E poi per quale motivo qualcuno non volesse evadere da questa sorta di carcere?
Scossi il capo per scacciare momentaneamente il flusso dei miei pensieri.

Il gruppetto che formavamo, avanzava in silenzio, interrompendo quest'ultimo di tanto in tanto con brevi conversazioni. Newt voleva farsi spiegare come fossimo sopravvissuti ai Dolenti e come al solito Minho ingigantiva ironicamente la cosa. Jeff mi interrogava sulla caviglia e si raccomandò di non sforzarla troppo. 

L'unica che non accennava a dire una parola era Beatrice che al momento trovava interessanti i lacci delle sue scarpe e le assi del pavimento, solo occasionalmente annuiva e sembrava interessata ai discorsi. Nonostante la tensione, che si era formata dalle parole di Alby, si fosse attenuata e ormai sparita, la ragazza manteneva in modo insistente la sua "aura" scura.
Quella ragazza aveva qualcosa dentro e prima o poi avrei scoperto di cosa si trattasse.    

"Abbiamo ancora tanto da fare." Annunciò il Medicale a mia sorella.

La bionda seguì l'Intendente sospirando un po' e sparendo in uno dei numerosi corridoi andandosi ad occupare dell'ennesimo paziente.
Seguii con gli occhi la chioma dorata fino a che non fu più visibile, riportai lo sguardo sui tre ragazzi e non potei fare a meno di pensare che tenessi molto a loro. Anche se il posto in cui ero stata spedita fosse orrendo, avevo trovato delle ottime persone e perfino l'amore. 

Oh, giusto. Newt...

Il biondo non riusciva a staccarmi gli occhi di dosso. Ogni volta che facevo una smorfia di dolore dovuta alla  caviglia malandata, i suoi occhi sembravano riempirsi di dolore come se riuscisse a percepire le mie fitte. Guardarlo così mi intenerì il cuore e allo stesso tempo mi dispiacque che potesse immaginare il mio tormento.
Per tutto il tempo non lo avevo degnato molto di uno sguardo, il mio cuore stava urlando di andargli vicino e parlargli ma il cervello lo zittiva ricordandogli l'abbraccio con mia sorella. Dentro di me era scoppiata una guerra, ragione contro sentimenti. Avevo come l'impressione che tale conflitto non si sarebbe calmato tanto facilmente né tantomeno in poco tempo.

Ero talmente assolta nei miei pensieri da non essermi accorta che Newt fosse entrato nel mio campo visivo. Il ragazzo aveva abbozzato un sorriso sul volto e ovviamente non potei fare a meno di trovarlo dannatamente attraente.

"Hey -iniziò incerto con un filo di voce- come va?" 

Prima che potessi trattenermi, percepii il palmo della sua mano adagiarsi lentamente sulla mia schiena e la mia pelle bruciare. La mia mente andò in cortocircuito quindi le lettere non ne volevano sapere di formare parole di senso compiuto. 

Angelica, datti una calmata. É solo un ragazzo. Tentai inutilmente di farmi forza. Però è bellissimo...

"B-Bene, credo." balbettai prendendo le prime due parole che mi erano passate davanti agli occhi.

Iniziammo a scendere le scale e questo voleva dire imprecare come non mai per il dolore. La cosa più terribile di quando ti facevi male alla caviglia era proprio le scale. Mi dovetti mordere leggermente la lingua per evitare di snocciolare tremende imprecazioni davanti a Newt.

Il ragazzo si accorse delle mie fitte quindi portò la sua mano sul mio fianco per aiutarmi meglio a camminare, purtroppo ci mise troppa forza cosí il mio viso urtò la sua spalla. Quel contatto non fece altro che aumentare il mio battito cardiaco e il rossore sul volto. Incrociai gli occhi del biondo il quale ricambiò il mio sguardo, per via di quella estrema vicinanza sbarrò gli occhi e anche la sua pelle si colorò leggermente di rosso. Feci per parlare ma lui, capendo cosa gli volessi far sapere, allentò la presa facendomi distaccare dalla sua spalla. Lo ringraziai mentalmente e tirai un sospiro di sollievo per non essere più così vicina a lui, anche se al mio corpo non era dispiaciuto affatto.

Dopo qualche gradino sentii Minho e Thomas, che erano alle mie spalle, borbottare qualcosa e ridacchiare così mi voltai e li guardai storto perché ero certa che avessero reagito così per via della scena a cui avevano appena assistito, e come dargli torto...
Dopo diverse imprecazioni mentali, giunsi alla fine della rampa di scale. Sperai che Newt mi lasciasse il fianco ma non sembrava molto intenzionato a farlo.
La luce del mattino era così potente da accecarmi gli occhi così mi coprii d'istinto il volto nella maglietta del biondo. Dopo qualche secondo le mie iridi si abituarono a quel brusco cambio di luce. I Radurai erano affaccendati come al solito, ad una prima occhiata sembrava una giornata come tante. 

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