Capitolo 25
Percepivo il cuore battermi forte come non mai mentre la paura mi immobilizzava dalla testa ai piedi.
Il mostro alzó quella che ipotizzai fosse la testa puntandola su di me come se volesse studiarmi, allungó le zampe anteriori verso il muro quindi prese a salire.
Sbarrai gli occhi, costrinsi la mia mente ad elaborare un piano ma non ne voleva sapere: ogni volta che cercavo di ideare una soluzione, i movimenti spietati della bestia mi fecero perdere la concentrazione obbligandomi a ricominciare da capo.
Dalla schiena viscida spuntó un'appendice terminante con un ago, chiusi le palpebre preparandomi a sentire il metallo bucarmi la pelle.
Lo stridore degli arti mi fece capire che il Dolente si stesse arrampicando sempre di piú e nel mentre si divertiva a graffiare la pietra con altri arti metallici rendendo quegli istanti terribili. I secondi scorrevano lenti e questo non aiutó a smorzare la tensione che si era creata, la mia pelle peró non fu torturata con l'ago come mi ero aspettata. Spalancai gli occhi non comprendendo il motivo per cui non avessi percepito nulla.
Thomas aveva allentato la presa dall'edera quindi era scivolato per terra, non appena appoggió le piante dei piedi sul pavimento, estrasse un pugnale e lo conficcó nella pelle umidiccia del mostro procurandogli una piccola ferita.
Quest'ultimo si giró verso il moro trovandolo molto piú interessante da sistemare per primo.
Il ragazzo aveva estratto subito l'arma dal corpo della bestia, mi aveva creato un diversivo, voleva che scendessi e magari scappassi via dalla spietata bestia.
Mi riscossi dal mio stato di trance, nascosi il corpo di Alby tra l'edera quindi scivolai contro la parete di pietra quindi atterrai alle spalle del Dolente. Proprio nell'istante in cui stavo per appoggiare le suole a terra, il mio piede destro decise di storcersi. Per la sorpresa mi sbilanciai verso l'interno del corridoio quindi buttai tutto il peso sulla caviglia che mi ringrazió producendo uno spaventoso "crack". Vissi quei secondi a rallentatore, stavo cadendo di fianco sulla pietra quindi di scatto portai le mani avanti per attutire la caduta. Mi ritrovai cosí con il naso a pochi centimetri da terra.
Mi sdraiai su un fianco e strinsi la caviglia gonfia tra le dita.
Dall'articolazione dolorante si sprigionó una fitta molto intensa e un fastidioso formicolio come se fosse avvolta da numerosi e spessi aghi freddi, mi morsi il labbro evitando di cacciare un urlo di dolore. Il panico mi assalí quando tentai di muovere il piede -che non percepivo piú- ma l'unica cosa che ottenni fu altro dolore. Respirai lentamente obbligandomi a placare quell'emozione che mi stava assalendo veloce prendendo il controllo del mio cervello.
Il Dolente era ancora distratto da Thomas il quale però stava esaurendo le idee per tenerlo a bada e rischiando di essere ferito dalle numerose appendici metalliche che scquarciavano l'aria tentando di mandare a segno qualche colpo.
Devo tirarmi su subito. Mi imposi mentalmente sperando di ignorare per il momento quella tortura.
Premetti i palmi sul pavimento e facendo leva con le braccia e la gamba sana, cercai di rimettermi in posizione eretta ma con scarso risultato. Riprovai di nuovo ma questa volta afferrai un rampicante usandolo come sostegno e finalmente tornai in piedi. Il formicolio al piede stava scemando lentamente e piano piano riuscii a riprenderne il controllo.
La fortuna non era dalla mia parte perché cadendo avevo attirato di nuovo l'attenzione della bestia su di me quindi il piano del Velocista andó in fumo.
Il Dolente si voltó nella mia direzione e non esitó ad estrarre dalla sua pelle flaccida un arto meccanico terminante con un'asta e indirizzarla verso di me.
Feci un respiro profondo per darmi forza ed estrassi la spada pronta per contrattaccare e parai il colpo.
Mi avvicinai un po' con una smorfia di dolore dipinta sul volto e infilzai la lama nel corpo del mostro sfiorando i macchinari che facevano muoverlo. L'ibrido, irato piú che mai, sfoderó altri arti meccanici terminanti con le seghe circolari.
Le mie reazioni erano molto rallentate, iniziavo ad essere stanca e le varie ferite che avevo non mi aiutavano molto.
Mi ripetei mentalmente che dovevo stare attenta, una sola distrazione avrebbe significato la mia fine.
Un paio di seghe si fiondarono verso di me, feci un balzo all'indietro schiavandole entrambe ma a causa della caviglia mi ritrovai nuovamente col sedere per terra.
Dalla mia bocca uscí un'imprecazione non molto consona per una ragazza, con fatica mi rimisi in piedi e caricai verso il mostro procurandogli un altro taglio sul fianco. L'olio caldo schizzó sulla mia faccia, con una mano mi pulii da quello schifo peró il Dolente colse quella mia distrazione puntandomi contro le tenaglie e l'ago.
Non appena riportai l'attenzione sullo scontro, impallidii realizzando quello che sarebbe successo a breve. Con un fendente tranciai di netto la giuntura che teneva legate le tenaglie con l'appendice. Il mostro, sorpreso, latró dal dolore -sempre che quel ruggito fosse dovuto dalle ferite- e ondeggió altri arti nell'aria. Tutto quel trambusto mi fece dimenticare dell'ago, con la coda dell'occhio lo vidi a pochi centimetri dal mio braccio destro. Di scatto mi scansai di lato andando a finire contro la parete di edera, la punta metallica sfioró il braccio procurandomi un leggero taglio verticale unendo cosí due ferite ancora aperte che mi ero procurata precedentemente con la "pioggia di pietre". Mi morsi il labbro nel sentire il freddo metallo tagliarmi la pelle come la punta di un coltello minaccioso.
Mi ricordai della presenza di Thomas solo quando lo vidi buttarsi a terra per evitare di essere tranciato a metà da una sega la quale si conficcó nella pietra sprigionando una cascata di scintille.
Per tutto il tempo il ragazzo era stato impegnato a tenere testa al mostro, mi si strinse il cuore al pensiero che avesse elaborato un piano e io, a causa di un errore, lo avevo distrutto.
Una vocina stridula nella mia testa urló: "Dannazione, non é stata colpa tua. Evita di autoinfliggerti la colpa."
Nel frattempo il moro stava camminando cautamente di lato stringendo saldamente il suo coltello intriso di olio.
Mi staccai dalla parete pronta ad infliggere altro dolore alla bestia, sempre se lo provava.
Tagliai a metà un'altra appendice, esattamente nel momento in cui il Dolente alzó un suo arto metallico, Thomas mi prese per un braccio obbligandomi a correre o meglio fuggire dal mostro.
Alla caviglia dolente non piacque molto, ad ogni passo si divertiva a insultarmi e sprigionare fitte sempre piú potenti.
Svoltammo a destra ritrovandoci nell'ennesimo corridoio illuminato a tratti dagli occhi delle Scacertole. Il ticchettio che producevano le zampe del mostro rimbombavano nel silenzioso Labirinto simulando che fosse in ogni direzione.
Superammo un incrocio ma quando girammo a destra, fummo accecati dalle luci che emanavano le appendici di altre tre bestie.
Sbarrai gli occhi, la prima cosa che pensai fu: "Ora siamo davvero spacciati."
Io e il moro ci scambiammo un'occhiata che mi fece comprendere che anche lui riteneva la situazione davvero pessima e non mi dava l'impressione di avere altri assi nelle maniche.
Mi voltai per esaminare la posizione del Dolente che avevamo alle spalle, il mostro era nella sua forma a "palla" e avanzava molto velocemente.
Un pensiero folle si insinuó nella mia mente, presi il ragazzo per il polso e lo trascinai contro il Dolente che stava rotolando. Quest'ultimo rimase sorpreso dal mio gesto e sembrava compiaciuto che avessi preso l'iniziativa di fiondarmi nelle sue fauci. Poco prima che avesse la possibilità di rimettersi in piedi, spinsi il moro a destra indirizzandolo in un corridoio che utilizzammo come nascondiglio provvisorio quindi ci addentrammo sempre piú in profondità nella struttura del Labirinto.
I quattro mostri erano ancora alle nostre calcagna, ostinati dall'idea di farci a fettine.
Thomas mi teneva per un braccio aiutandomi a non sforzare piú di tanto la caviglia e ogni tanto lanciava degli sguardi ai Dolenti che erano a diversi metri da noi.
"Hai qualche idea per seminarli?" ansimai stringendo saldamente l'elsa della spada.
"Pensavo che ce l'avessi tu." mi rispose col fiato corto.
Non appena pronunció quelle parole, delle mani sbucarono da un punto della pietra afferrando la maglietta del Velocista il quale, preso alla sprovvista, mi tiró verso di sé.
Sbarrai gli occhi quando un bagliore rosso illuminó il volto sudato e tagliato di Minho.
Feci per dirgliene quattro riguardo alla sua fuga e alla sua improvvisa comparsa, ma l'asiatico mi batté sul tempo.
"Vi ho visto sfuggire a quelle bestie e mi é venuta un'idea per fregarli." propose. "Li attireremo alla Scarpata poi li butteremo giú."
Sia io che Thomas acconsentimmo al piano, i Dolenti avevano velocizzato i loro movimenti, forse sfufi di vederci sfuggire come saponette.
"Hey, bestioni." urlai sbattendo la lama della spada contro la pietra per attirarli. "Venite a prenderci."
Subito i mostri si accorsero della mia presenza perció furono ben felici di venirmi in contro.
Insieme ai due ragazzi, rimpresi a correre svoltando diverse volte e pregando che questo piano andasse a buon fine.
Il moncone di pietra, noto anche con il nome di Scarpata, era a qualche centinaio di metri da me.
Il mio cuore martellava contro il petto come non mai mentre il mio labbro inferiore veniva torturato dai miei denti per tenere a bada le varie fitte.
Esattamente quando giungemmo ai pressi dell'orlo, Minho mi prese per i fianchi tuffandosi a destra mentre Thomas a sinistra. Il Dolente che era in testa alla fila, a causa della sua veloce andatura, sparí nell'oscurità seguito dal secondo. Il terzo tentó di frenare con le zampe anteriori ma non ci riuscí. L'ultimo invece si fermó in tempo e non sembrava molto contento della fine che avevano fatto i suoi compagni.
Senza esitare cercai di tagliargli una delle sue zampe anteriori mentre i due Velocisti spingevano da dietro aiutandosi anche con i piedi. Alla fine riuscimmo a fargli fare un bel volo, l'aria venne riempita dall'urlo frustrato del Dolente.
Mi lasciai cadere sul pavimento, dopo diverse ore o minuti, non ne ero certa di quanto tempo fosse passato, inalai aria pulita. Mi coprii il volto con i palmi e appoggiai la testa contro il muro. Dire che ero esausta era poco, l'energia e l'adrenalina che fino a quel momento avevano preso il controllo del mio corpo, mi abbandonarono bruscamente presentandomi il conto dei miei sforzi. Le ferite sulle mie braccia sanguinavano con minore potenza, il liquido cremisi che si era asciugato mi fece sentire piú sporca di quanto non lo fossi già. La caviglia gonfia pulsava, implorava riposo, se cercavo di muovere il piede venivo investita da una fitta di dolore che si propagava per metà gamba. Nonostante questo riuscivo a camminare, fortunatamente non era nulla di grave, ero lieta di non essermela rotta.
Afferrai l'elastico dai capelli e li sciolsi quindi lo infilai nel polso sinistro. I miei capelli riccaddero alle mie spalle, alcune ciocche mi coprirono il volto nascondendolo in parte. Meccanicamente me ne portai una dietro l'orecchio ma ció mi fece riportare a galla un ricordo.
Mi ricordai quando mi era scivolata una porzione di capelli sul viso e Newt amorevolmente l'aveva rimessa al suo posto.
Con gli avvenimenti di quella lunga giornata, solo ora comprendevo a pieno tutti i rischi che avevo corso. Il solo pensiero che se le cose fossero andate diversamente, mi fece spaventare.
Molto probabilmente non lo avrei rivisto piú.
Posai stancamente lo sguardo sulla mia spada, l'avevo posata sul pavimento accanto a me. La lama era rivolta verso il lato in cui c'erano le scritte, la situazione non miglioró perché mi fece ricordare di mia sorella.
Beatrice vedendomi in difficoltà, ebbe l'istinto di correre nella mia direzione. Non mi era difficile immedesimarmi in lei, se ci fossimo scambiate di ruolo avrei fatto lo stesso. Mi sarei precipitata da lei, ignorando il fatto che le porte si stessero chiudendo, che era da idioti imprigionarsi dentro un Labirinto da cui nessuno aveva avuto scampo. In quel momento ci sarebbe stata solo lei nei miei pensieri. Avrei messo la mano sul fuoco che per la bionda fosse avvenuto lo stesso, infondo ci eravamo promesse di ricostruire il nostro rapporto, legame.
Spostai lo sguardo verso gli altri due ragazzi, Thomas era straiato sul pavimento non molto lontano dall'orlo della Scarpata. Aveva lo sguardo fisso sul cielo, gli occhi velati da silenziose lacrime ed era assolto nei suoi pensieri; forse stava ripensando a tutto quello che era successo quel giorno.
Minho era seduto sul lato opposto del corridoio, aveva il viso coperto dalle mani. A poca distanza da lui era presente il suo coltello la cui lama argentata luccicava sotto la fioca luce.
Restammo in silenzio per diverso tempo rimuginando sui nostri dilemmi poi finalmente ci alzammo lasciando quel posto infernale alle spalle.
Il Labirinto era surrealmente silenzioso quasi calmo, gli unici rumori che si sentivano erano le zampette delle Scacertole che sfrecciavano veloci sulla pietra grigia e i nostri stanchi passi trascinati sul pavimento.
Senza che ce ne accorgemmo, svoltando l'angolo ci ritrovammo a percorrere il corridoio principale.
Il cielo aveva sfumature rosse, arancioni, gialle e infine un timido azzurro.
La porta era aperta. Eravamo sopravvissuti.
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