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Capitolo 19

Erano passati giorni da quando mi avevano separata dalla mia gemella. Era estenuante sentire perennemente il nulla dentro, mi mancava da morire.
Mi avevano messa in una piccola stanza identica a quella che condividevo con Beatrice: stessi muri grigi, mancanza di mobili eccetto il letto e una scrivania.
Me ne stavo seduta sulla sedia di legno osservando stanca la camera vuota. Chiusi gli occhi e mi sforzai di immaginarmi mia sorella, col passare delle ore mi ero convinta che se mi fossi impegnata molto, lei sarebbe comparsa come per magia accanto a me. Li aprii, sperando di trovare una testolina bionda dalle iridi azzurre ma con mia immensa delusione, lei non era lí.

Chissà quando avrei potuto rivederla, anche solo per un abbraccio. Pensai malinconica.

Sentii gli occhi pizzicarmi, le lacrime stavano salendo veloci con l'intenzione di sfociare con tutta la loro forza sulle mie pallide guance. Volevo urlare, togliermi quel peso che avevo sul cuore, mi avrebbe fatto bene. Ma loro sarebbero stati contenti, si aspettavano esattamente quello e io non volevo dargli la soddisfazione. Esaminai il soffitto con lo sguardo, odiavo sentirmi osservata, quelle dannate telecamere erano ovunque, non mi sarei sorpresa se le avessi trovate anche nel bagno.
Ingoiai nuovamente il dolore facendo aumentare la massa del macigno che mi portavo dietro.
Mi accovacciai nascondendo il viso sulle ginocchia e pregai che le poche lacrime che erano sfuggite dal mio controllo non avessero dato nell'occhio e quindi essere captate dalle precise telecamere.
Come se non bastasse avevano scoperto che possedevo una spada -fin da quando avevo messo piede in quella struttura sapevo che era questione di tempo prima che se ne accorgessero, infondo loro hanno occhi ovunque, ti controllano e prevedono ogni singola mossa che farai- perció avevano avuto la brillante idea di togliermi anche quella. Non avevo piú niente. Mia zia era sparita, mia sorella era stata "segregata" da qualche parte lontana da me, la spada era finita in mani sbagliate. La situazione aveva preso una brutta piega e non avevo la minima idea per come fare a migliorarla.
Qualcuno bussó alla porta, per una frazione di secondo sperai fosse la mia gemella ma ovviamente non era lei. Dovevo smetterla di vedere Beatrice ovunque. No, no, non potevo ma soprattutto non dovevo dimenticarla se no avrebbero vinto.

É quello che vogliono. Ipotizzai. Non devono riuscire nel loro intento.

Alzai il capo per vedere chi fosse entrato nella stanza, una donna bionda con un camice bianco teneva in mano dei fogli e una penna, sul volto aveva un sorriso cordiale.
Odiavo il suo sorriso e i suoi occhi, era una bugiarda. Ogni volta che ero in sua presenza mi sentivo rassicurata, in qualche modo sentivo di potermi fidare di lei. Ció mi spaventava molto, dovevo stare attenta.

Non posso fidarmi di nessuno. Solevo ripetermi in mente.

"Sei pronta per le analisi?" mi chiese la dottoressa Paige con uno strano luccichio nelle pupille.

Le avrei voluto urlare che non le volevo fare, che erano inutili. Volevo ribellarmi, fuggire con mia sorella ed essere libere.
Non avevo freddo ma rabbrividii lo stesso.
Scesi con calma dalla sedia ancora convinta che presto si sarebbe risolto tutto per il meglio e seguii la donna senza proferire alcuna parola.

Il sogno venne interrotto dalle urla di una ragazza. Mi voltai di scatto chiedendomi a chi appartenessero poi i miei occhi incontrarono la figura di mia sorella.
Mi alzai dal letto sbadigliando e andai nella sua direzione.
Beatrice aveva gli occhi fissi sul soffitto, il suo petto andava su e giú velocemente e la fronte madida di sudore.

Mi chinai per essere al suo pari e le appoggiai una mano sulla spalla, con un tono dolce le domandai: "Ti va di raccontarmi l'incubo?"

Percependo la mia presenza, rivolse tutta l'attenzione su di me, per un attimo sembró non riconoscermi ma poi le ripassarono in mente gli avvenimenti del giorno prima.

"Come facevi a sapere che ho avuto un incubo?" si mise a sedere sul materasso.

"Mi hai svegliata urlando e ti ricordo che li faccio anche io." sospirai vedendola passarsi una mano sul volto.

"Ah già, giusto." borbottó con la voce impastata dal sonno.

Mi sedetti accanto a lei e le circondai i fianchi con le braccia, la bionda non oppose resistenza e si abbandonó sul mio corpo appoggiando la testa sulla mia spalla.

"La maggior parte del sogno non me la ricordo." inizió rispondendo alla mia domanda. "Ma mi sono rimaste impresse le cose fondamentali."

"Se ti turba, non é necessario che me lo racconti."

"No, no. Va bene." si staccó da me per potermi vedere bene in faccia. "Stavamo correndo lungo un corridoio grigio, se non erro. So che eravamo felici, libere; il motivo per cui ci sentivamo cosí ora mi sfugge, mi sembra proprio per la fuga. Poi é spuntato un uomo e altre persone vestite di scuro che ci hanno separate."

Sbattei gli occhi piú volte, quel sogno lo conoscevo, lo avevo fatto anche io.

"Tutto bene?" chiese la bionda notando la mia sorpresa nel udire quel ricordo.

"Si, si. Ho solo rivissuto quel momento esattamente ieri." la informai.

"Mi racconti gli altri che hai fatto?" mi chiese con occhi da cui traspariva curiosità.

"Fammi pensare." mi presi qualche secondo per riordinare i pochi ricordi confusi che avevo. "Ho sognato quando mi hanno mandata nella Scatola, quando ci hanno portate in quell'edificio tutto grigio, quando ho ricevuto la spada e quando mi hanno rinchiusa in una stanza da sola, senza di te, e sentivo molto la tua mancanca."

"Dovevamo avere un legame forte." suppose Beatrice.

"Penso proprio di si, da quando sono arrivata percepivo che mi mancasse qualcosa. Poi quando ieri sei spuntata tu, non ho sentito piú niente."

Il suo sguardo si fece serio, mi prese le mani e pronunció parole che mi riempirono il cuore di felicità. "Riusciremo a ricostruire tutto. Nessuno e niente ci dividerà di nuovo ma soprattutto saremo piú legate che mai."

Non potei fare a meno di sorridere e giurare che avrei fatto di tutto per mantenere la promessa, ovviamente non potevo immaginare quello che sarebbe successo di lí a pochi mesi.

"Da quanto sei qui?" cambió discorso.

"Poco piú di una settimana." sospirai osservando la luce che filtrava dalla finestra disegnando la figura alterata del vetro sul muro.

Mi alzai pigramente per prendere lo zaino e le armi, volevo rimanere un altro po' con mia sorella ma il dovere me lo impediva.

"Dove vai?" la sentii implorare alle mie spalle. "Non puoi rimanere un altro po'?"

Mi morsi il labbro quando mi voltai incrociando i suoi occhi, mi aveva dato come l'impressione di una persona che vedeva andare via il suo punto di riferimento. "Mi dispiace ma il lavoro chiama, almeno oggi non faró tardi." le risposi allacciandomi la cintura alla vita per poi sistemarmi i capelli in una coda.

"Ti lascio im buone mani, degli altri puoi fidarti." aggiunsi dopo un po'.

Feci per oltrepassare la porta ma mi sentii tirare per un braccio.

"Cosí conciata non esci." affermò Beatrice obbligandomi a sedere per terra.

"Ma perché? Lasciami stare i capelli." mi lamentai quando le sue mani esperte mi tolsero l'elastico dalla testa.

"Eri spettinata e la coda era uno schifo." si giustificó iniziando a pettinarmi la folta chioma con le dita.

"Simpatica..." borbottai incrociando le braccia al petto.

"Ti ricordo che sono qui dietro. Faccio ancora in tempo a tirarti i capelli per farti tacere." mi minacció sistemando pazientemente l'elastico.

Non appena quella tortura finí, mi diressi alle cucine per prendere l'acqua, gli spuntini e il pranzo.
Appena Thomas e Minho mi videro, sbarrarono gli occhi non credendo a quello che vedevano.

"Cosa ti é successo ai capelli?" chiese Thomas.

"Me lo sentivo che non dovevo farci mettere le mani a Beatrice." pensai ad alta voce certa di avere un pessimo aspetto.

"Quindi é cosí che si chiama la Fagiolina." dedusse il moro.

"Stai benissimo, per una volta hai i capelli in ordine." mi rassicuró Minho.

Non fidandomi delle sue parole, andai a specchiarmi sul retro di una padella -per quanto mi fu possibile dalla superficie irregolare- e con mia sorpresa constatai che non ero tanto male.

"Andiamo." liquidai il discorso prendendo i due ragazzi per un braccio ciascuno non volendo continuare l'argomento.

La Porta Orientale era ancora chiusa, il cielo si stava schiarendo velocemente annunciando un nuovo giorno.
Mi sedetti sul freddo pavimento di pietra per fare streching, che a quanto sembrava non mi piaceva molto. Nella lunga lista delle cose che odiavo dovetti aggiungere anche quello.

Non si direbbe che sono una Velocista. Pensai ironica.

Un rombo simile a un tuono annunció l'apertura della Porta quindi entrammo nel Labirinto percorrendo il corridoio principale.
La mia monotona routine era appena iniziata, i muri avevano cambiato di nuovo schema e questo voleva dire che dovevo disegnare una nuova mappa.

Urrà! Esclamai con finto entusiasmo nella mia mente ricordando il disastro che avevo fatto il giorno prima.

Superammo un incrocio, svoltammo un paio di volte a sinistra poi a destra e infine andammo dritti per circa un chilometro, nel frattempo Thomas era sparito da qualche parte addentrandosi nei nodosi corridoi.
Eravamo ancora nell'ottava Sezione quando Minho si fermó di colpo con poco preavviso. Per poco non gli andai a sbattere contro, il ragazzo si sporse un po' dall'angolo per osservare di nuovo ció che impediva di proseguire la corsa, non appena compí l'azione ritornó con la schiena contro il muro con uno sguardo paonazzo.

"Che succede?" non appena quelle parole uscirono dalla mia bocca, l'Intendente si portó in dito sulle labbra in segno di fare silenzio.

"Un Dolente ci blocca la strada." sussurró. "Sembra strano."

"Cosa intendi con "strano"?" mi affiancai a lui cercando di guardare quel mostro senza dare nell'occhio e reprimere l'ansia che cresceva nel mio corpo.

"Sta lí fermo, non si muove."

"Che facciamo?" domandai tenendo un tono di voce basso e ignorando la velocità per la quale percepivo battere il mio cuore.

"Se ci insegue torniamo indietro, di corsa." scandí lui.

La bestia se ne stava appoggiata per metà sulla parete di pietra qualche metro piú in là, sembrava esausta, sfinita. La sua pelle molliccia e lucida andava su e giú piano, ad una prima occhiata non vidi il liquido puzzolente per terra quindi esclusi che fosse ferita. Poi, come se si fosse rianimata improvvisamente, si mise in piedi sulle sue esili zampette e prese a correre in avanti lungo un corridoio diretto chissà dove.

L'asiatico mi prese per un braccio e schizzó all'inseguimento del mostro. Ad ogni svolta vedevo in lontananza la lunga appendice metallica che ondeggiava per via dell'andatura del Dolente.

Lungo il nostro pedinamento incrociammo un Thomas stupito dalla nostra presenza nella sua Sezione. "Che ci fate voi qui?"

"Seguiamo un Dolente." risposi semplicemente.

Senza aggiundere altro, il ragazzo si uní di nuovo a noi.
Il mostro svoltó per l'ultima volta a destra, il nuovo corridoio era diverso da tutti gli altri infatti finiva con uno strapiombo che dava sull'ennesimo pavimento di pietra. La creatura parve non darci peso infatti accelleró buttandosi di sotto.
L'apparente suicidio della bestia non era la cosa che mi aveva turbata; io, Minho e Thomas ci precipitammo al bordo del precipizio, mi sarei aspettata di trovare il Dolente sul pavimento sottostante simile a una massa informe ma lui non era lí.
Dopo che si era lanciato era sparito nel nulla sotto ai nostri occhi.

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