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Capitolo 10

Eravamo appena arrivate alla sede centrale della W.I.C.K.E.D. Tutto mi appariva sfocato: i corridoi, le porte, le persone. Magari fosse solo quello.
I suoni mi arrivavano alle orecchie ottavati, come se stessi tenendo la testa sott'acqua.
Un uomo ci accolse.
Da quello che riuscivo a vedere dedussi che era di mezza età, aveva i capelli scuri che si stavano ingrigendo e delle borse sotto agli occhi marroni. Nonostante il suo aspetto non molto curato, mi dava l'impressione di una di quelle persone che sembravano dimostare meno anni di quanto ne avessero davvero.
Ci annunció di essere il cancelliere Kevin Anderson.
Una donna era accanto a lui, indossava un camice bianco che si intonava benissimo al grigio dei corridoi, i suoi capelli biondi erano raccolti in uno chignon. Sul viso erano presenti delle rughe e facevano capire che era anch'essa di mezza età, forse coetanea all'uomo. Aveva un'aria cordiale, cosa che ritenni un ossimoro per il personale che lavorava in quell'edificio, essa si presentó come la dottoressa Ava Paige.
Nonostante tutto la W.I.C.K.E.D. non sembrava poi cosí crudele come mi sarei aspettata o meglio come le dicerie davano a volere.
Ma sentivo che non potevo fidarmi, c'era qualcosa sotto.
Avevo avuto un brutto presentimento fin dal primo istante in cui misi piede in quel postaccio, fortunatamente non ero sola: anche per mia sorella era lo stesso, glielo leggevo negli occhi.
Forse tutta questa gentilezza si sarebbe rivelata letale un giorno.
Che ci stessero tendendo una trappola? Non lo sapevo, ma era meglio non prendere per vero tutto quello che sostenevano.
Spostai la mia attenzione dalla dottoressa alla mia gemella. Aveva un'espressione spaventata come la mia, quando incroció il mio sguardo si calmó lievemente. Passarono qualche minuto ma ero sicura che fosse passata quasi un'ora da quando avevamo messo piede nell'istituto. In quel luogo il tempo sembrava essersi fermato. C'era una certa monotonia, dei medici passeggiavano nei lunghi corridoi tristi e grigi, qualche volta si rivogevano la parola. Insieme a loro erano presenti anche delle persone che indossavano una divisa nera, nel petto c'era una parola color oro ma non capii bene cosa ci fosse scritto, inoltre tenevano una specie di "arma" dall'aria non molto rassicurante avente le sembianze di un fucile o di una grossa pistola deformata, l'unica cosa certa era che quel "coso" fosse di colore nero e per poco non lo si confondeva con la divisa. Tutte le persone, sia uomini che donne, non facevano trasparire nessuna emozione. Come potevano essere cosí freddi? Era una cosa decisamente non naturale eppure sembrava facesse parte del loro lavoro, della loro quotidianità.

Ma in che razza di posto siamo finite? Mi chiesi rabbrividendo sempre di piú.

"Seguitemi, vi mostreró la vostra nuova camera." la voce provenne da un uomo vestito di nero.

Con un pò di esitazione lo seguimmo, insieme a noi si aggiunse la dottoressa Paige.

"Non ti sembrano tutti un tantino... strani?" sussurró Jenny.

Cercammo di parlare piano con lo scopo di non far capire niente della discussione all'uomo che ci stava guidando a quella che aveva definito "nuova camera" e alla dottoressa.

"Si, l'ho notato. In questo posto c'é fin troppa monotonia e tranquillità."

"La cosa piú strana é che in giro non c'é neanche un ragazzino." riprese mia sorella.

"Ora che me lo fai notare hai ragione. Ci sono solo adulti."

Durante la conversazione l'uomo ci fece svoltare e percorrere numerosi corridoi. Tutti uguali e tutti completamente grigi. Mi meravigliai del senso di orientamento del personale.

Ma questo posto é un labirinto? Ma le persone non si perdono mai fra tutti questi corridoi identici? A quanto pareva, no. Pensai tra me e me.

Finalmente ci fermammo davanti a una porta dell'ennesimo colore "vivace" dei corridoi: grigio.

Nella W.I.C.K.E.D. si divertono molto con questa felicità nei colori. Dedussi sarcasticamente.

L'uomo aprí la porta che emise un fastidiso scricchiolio. C'erano due letti, una scrivania e un paio di sedie.

"Destra." disse mia sorella sedendosi sul letto di destra.

Questo era il modo in cui decidevamo le cose: una sceglieva e l'altra pendeva quello che rimaneva. Molto spesso facendo in questo modo litigavamo e finivamo col fare una battaglia di cuscini e ridere come matte fino al punto da dimenticarci del motivo per cui avessimo iniziato la lite. Sorrisi al ricordo che al momento mi parve molto lontano.

"Sinistra." sospirai sdraiandomi sul materasso.

La dottoressa Paige era rimasta a osservarci anche dopo che l'uomo se ne fosse andato. "Dopo l'arrivo di voi ragazzi, come ordine del cancelliere Anderson, dobbiamo cambiarvi il nome." spiegó.

Lanciai uno sguardo perplesso a mia sorella la quale, dopo che la donna pronunció quelle assurde parole, mi stava fissando come per dirmi "Non sta parlando seriamente, spero."
Scossi la testa come per risponderle.

"Lo so che vi puó sembrare strano ma devo farlo." Riprese. "So che siete intelligenti, spero possiate capire presto."

"Va bene." acconsentí mia sorella con un filo di voce.

"Sono contenta che collaboriate. Tu, Isabella, ti chiamerai Angelica, mentre Jennifer si chiamerà Beatrice. Spero che vi abituerete presto ai vostri nuovi nomi." sorrise e ci lasció sole.

Il sogno divenne ancora piú sfocato di come fosse prima, mi parve che stessi osservando i fatti sotto la superficie dell'acqua di un mare in tempesta. Piano piano il tutto si fece sempre piú confuso, per la prima volta mi svegliai tranquillamente senza che mi venisse un colpo.

"Finalmente ti sei svegliata." disse una voce maschile che proveniva dalla stanza.

Mi resi conto che era stato Newt a parlare il quale si era seduto su un lato del mio letto.
Quando mi resi conto che fosse lui per poco il mio cuore non si fermò.

"Buongiorno. Per quale caspio di motivo sei qui?" chiesi sbadigliando sonoramente e con la voce impastata dal sonno.

"Prima che tu inizi a lavorare, ti devo mostrare una cosa. Ordine di Alby."

Mi misi seduta pregando con tutta me stessa che l'improvvisa vampata di calore che percepivo non avesse contagiato le mie guance rendendole rosse.
Lanciai un'occhiata stanca alla finestra sporca e da quello che potevo vedere attraverso il sudicuime, mi accorsi che era ancora notte.

Oggi sono molto sveglia.

"Ma se io ritorno a dormire?" alzai un sopracciglio in segno di sfida.

"Non puoi, quello che devo mostrarti devi vederlo ora." mi sorrise, il che non fece che aumentare ancora di piú la mia temperatura corporea.

Feci per appoggiare la testa sul mio adorato cuscino, ignorando le sue parole, ma il ragazzo, che si era alzato, iniziò a tirare le mie braccia obbligandomi a restare seduta.
Mi rassegnai e, quindi, mi alzai. Per poco non andai a sbattere la mia faccia contro il suo petto.

Ci mancava solo questa e sarei stata apposto.

Mi prese la mano -a quel contatto sorrisi come un'ebete, come se non mi bastassero i mille gradi che avevo momentaneamente in corpo- e mi guidó fuori dal Casolare stando ben attenti a non cadere sopra i corpi dei Radurai addormentati o pestare loro le mani.
La Radura di notte era magnifica, silenziosa e misteriosa, tutto incorniciato dalle mura del Labirinto che, con l'oscurità, sembravano piú imponenti e spaventosi di come lo fossero già.
Ancora mano nella mano -per mia immensa gioia oserei dire-, il ragazzo mi condusse davanti a un muro pieno di edera.
Newt, delicatamente, sfiló le sue dita dalle mie, fece un passo avanti e affondó le mani nell'edera, scostando diversi tralicci per rivelare una finestra impolverata. Era quadrata e larga circa sessanta centimetri. In quel momento era scura, come se fosse stata dipinta di nero.
Mi intrufolai tra le sue braccia per osservare meglio, ora la mia schiena toccava il suo petto e riuscivo a sentire il suo respiro caldo sul mio collo facendomi sciogliere ancora di piú.

"Tutto qui? Una semplice finestra su un muro?" chiesi abbastanza perplessa.

Mi sarei aspettata qualcosa di piú non una finestra che dava su uno dei tanti corridoi del Labitinto.

"Ma cosa hai capito?" ridacchió per poi riprendere a spiegare. "Alby voleva che ti facessi vedere quello che gira lí dentro."

Dalla finestra arrivarono bagliori di una luce funerea, proiettando uno spettro di colori tremolanti sul nostro corpo e sul nostro viso, come se ci fossimo trovati accanto a una piscina illuminata.
Mi piegai in avanti fino a toccare con il naso la superficie fredda del vetro. Passó qualche minuto prima che le mie pupille notassero una strana ombra sul pavimento. Strizzai le palpebre per riuscire a vedere meglio nell'oscurità, ci misi un attimo prima che mi rendessi conto a quale "oggetto" provenissero i movimenti all'esterno.
Una grande creatura gibbosa delle dimensoni di una mucca, che peró non aveva una forma nettamente distinguibile, si agitava e si contorceva per terra nel corridoio all'esterno. Delle luci provenivano da una fonte sconosciuta e che rivelavano punte argentate e carne luccicante. Dal corpo di quel mostro protundevano, come braccia, terribili appendici che alle estremità avevano degli strumenti: una lama da sega, un paio di cesoie, lunge aste il cui scopo si poteva solo indovinare. La creatura era uno spaventoso incrocio tra un animale e una macchina e sembrava capire di essere osservata. Pareva sapere cosa ci fosse tra le pareti della Radura, e voler entrare per banchettare con la carne dei raggazzi mutilandoli e straziando i loro corpi. Il mostro si arrampicó sul muro di fronte e balzó contro il vetro spesso della finestra con un gran tonfo. Arretrai di qualche passo fino a quando non ritornai a sentire il corpo di Newt accanto al mio, continuando a osservare spaventata il mostro incapace di distogliere lo sguardo.
Con una lunga appendice di metallo picchiettava contro il vetro sudicio della finestra. Con un salto la creatura si staccó dal muro e sparí in un corridoio di pietra del Labirinto producendo un terribile ticchettio dovuto alle zampe di metallo che sbattevano sulla pietra.
Newt molló la presa sull'edera che, in seguito, ritornó a nascondere la finestra.
Mi presi qualche secondo per elaborare ció che avevo visto. Il mio cuore per tutto il tempo aveva preso a battere all'impazzata e quando il mostro si era arrampicato sul muro, non aveva migliorato molto la situazione.
Mi portai un palmo sul petto all'altezza del muscolo e inspirai piú volte per tranquillizzarmi.

"Che diamine era quella cosa?" chiesi ancora inorridita dalla vista di quell'essere.

Lo sentii sospirare poi parló.
"Quello che tu chiami 'cosa', in realtà é un Dolente."

"Quindi i Creatori hanno creato quei mostri come delle specie di guardie del Labirinto?"

"Esatto." ammise non molto contento.

Il ragazzo dai capelli biondo cenere mi circondó i fianchi con le sue braccia, purtroppo premette contro i punti procurandomi una smorfia di dolore al volto.

"Newt, i punti." lo informai.

Il ragazzo si scusó e allentó un po' la presa. "Va meglio ora?"

"Si, ora si." e lasciai che un sorriso si formasse sul mio volto.

Mi girai cosí da poter vedere il ragazzo ben in faccia. Appoggiai i palmi sul suo petto e mi accoccolai contro di lui.
Chiusi gli occhi, in quel preciso istante mi sembrava di stare in Paradiso, solo io e lui.

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