20 - Eva
Quando ti ritrovi ad affrontare un fatto traumatizzante non sai mai bene come affronterai la cosa. A volte lo superi facilmente, magari con un piccolo aiuto. Altre volte invece il buio ti sovrasta e non c'è più quella tanto attesa luce al fondo del tunnel.
Non c'è uno spazio illuminato, tutto è buio, i colori non esistono più, le forme non esistono più. Niente esiste più. Nessuno ha più importanza. Gli amici, i familiari, nessuno.
Il senso di perdita è talmente grande da lacerarti il cuore, da crearti un buco così grande che non ci sarà niente in grado di ricucirlo.
Ciò che però sta sgretolando Chris è il senso di colpa. Credo non ci sia niente di peggiore. La consapevolezza di guidare quell'auto, di essersi distratto un attimo e poi il dramma.
Chris è uscito dall'ospedale da qualche giorno. Ma di Chris è rimasto solo il suo corpo, al momento mal messo. La sua anima invece è volata via insieme alla madre.
Il ragazzo scontroso e sempre ironico, che amava le feste e la musica è scomparso lasciando solo una persona svuotata da tutti i sentimenti, cupa e grigia.
Ecco, il grigio è il colore che assocerei a Chris in questo momento. Un colore indefinito, a mio parere senza senso, un misto tra il bianco e il nero. Qualcosa di forte e qualcosa di debole.
Da quando è uscito da quel maledetto ospedale non ha voluto vedere nessuno, si è rintanato da qualche parte e si rifiuta di parlare anche con me. Lui pensa che io non possa capirlo, la verità è che lo capisco meglio di chiunque altro.
Ma io non accetto le sue scelte. Voglio dirgli che non è solo, che io ci sono. Voglio assicurargli che non è colpa sua, che è capitato, è stato un incidente, ma che non ha ucciso sua madre.
Il problema è che nonostante io stia suonando il campanello da più di venti minuti, nessuno è ancora venuto ad aprirmi ed io sto letteralmente congelando.
La sciarpa di lana copre un po' le mie labbra tremanti, ma non è sufficiente. Sento che se non entro in un posto caldo al più presto, potrei davvero stare male.
Suono di nuovo e busso freneticamente.
<<Chris! Lo so che ci sei. Per favore aprimi>>
Attendo ancora qualche minuto, ma dall'altra parte sento solo silenzio.
Busso più forte.
<<Sappi che non ho problemi a buttare giù la porta>> tento, anche se entrambi sappiamo che non ne sono in grado.
Qualche secondo dopo, avverto dei passi risuonare sul pavimento in legno. Si avvicinano alla porta, riesco a sentirli, ma non mi apre.
<<Ti sento, Chris>>
Silenzio.
<<So che sei qui>> provo di nuovo. Ma nessuna risposta.
Così mi siedo, poggio le spalle contro al legno e butto fuori tutto ciò che ho trattenuto in tutto questo tempo.
<<Tu pensi che nessuno ti capisca. Beh ti sbagli Chris, notizia del secolo: io ti capisco>> deglutisco perché quello che sto per dire fa troppo male.
<<Credi che il dolore che tu stai provando durerà per sempre. Bene, hai ragione. Il dolore esisterà per sempre Chris, mi dispiace. Solo imparerai a conviverci e a sopportarlo. Ci saranno giorni in cui farà più male, ed altri in cui ti sembrerà letteralmente di impazzire. Giorni in cui ti sentirai solo e disideri di morire ed altri che saranno un po' più sopportabili. È questa la realtà purtroppo. Solo sappi che non sarai l'unico a sentirti così.>>
Tiro su dal naso e aspetto un cenno di risposta che non arriva, così continuo a parlare.
<< È esattamente così che mi sento io. Non ho mai avuto un padre, mai Chris, mai. E anche se voglio un bene infinito a mia madre, lei non c'è mai, né ora, né quando ero più piccola e avevo bisogno di attenzioni. E l'unica persona che da piccola me ne dava era mio nonno. Era come se fosse mio padre e nei primi anni di vita lo chiamavo davvero "papà". Era fondamentale nella mia vita, forse la persona più importante per me. Mi ha cresciuta come se fossi una figlia, mi ha dato delle vere e proprie lezioni di vita, mi ha curata quando stavo male e mi ha coccolata quando nessun altro lo faceva.>>
Mi asciugo una lacrima dal volto che è scesa fino alle labbra.
<<E quando è morto mi sono sentita vuota. Distrutta, privata di una parte fondamentale della mia anima. Era come se un pezzo di me se ne fosse andato insieme a lui. Ho cominciato a passare le giornate da sola e vedevo la sua figura ovunque, mi sembrava di averlo seduto vicino sul quel divano dove guardavamo sempre la tv. Quando mi giravo era come se lo vedessi in ogni angolo della casa. E per un po' di tempo mi sembrò di impazzire. Ma poi ci ho fatto l'abitudine, alcune cose sono cambiate e nonostante sentirò sempre la mancanza e il dolore, sono andata avanti.>>
C'è un minuto di silenzio in cui le mie lacrime scendono inconsolabili dai miei occhi. Il freddo ormai mi ha congelato ogni parte del corpo ed inizio a sentire la testa pesante.
Poi però lo scrocchio della serratura mi arriva diretto nelle orecchie e la porta si apre violentemente.
La stanza buia mi accoglie e per un attimo sono spaventata all'idea di entrarci, ma poi un passo dopo l'altro mi trascino al di là della soglia. Supero quella porta in legno contro la quale settimane prima Chris mi aveva baciata e poi mi volto di scatto, attirata da quell'ombra ai miei piedi.
<<Chris? Oh mio Dio mi hai spaventata>> mi porto una mano sul cuore, preso a battere troppo velocemente per lo spavento.
Chris è seduto per terra con la schiena appoggiata al muro, a pochi passi dall'entrata. Ha lo sguardo perso e triste.
<<Cosa fai li per terra?>>
<<Non lo so>> scuote la testa, ma continua a guardare dritto davanti a sé.
Mi sta spaventando.
<<Ho bussato. Un sacco di volte>> gli comunico accovacciandomi davanti a lui.
<<Lo so>>
Gli porto una mano sulla fronte, la pelle bianca cadaverica e gli occhi arrossati non promettono nulla di buono. Gli accarezzo i capelli e poi la guancia. E' leggermente ruvida a causa della barba di diversi giorni.
<<Come ti senti?>> chiedo preoccupata, anche se so già la risposta. Chris non sta bene.
<<Sto bene.>> si lascia sfuggire lui a mezza voce, ma sta mentendo.
Gli prendo il volto tra le mani e lo esamino. I lividi sono ancora evidenti, ma stanno guarendo. Ma non sono quelli a preoccuparmi, è la sua espressione. La sofferenza e il dolore che gli si leggono in faccia. L'espressione di chi sta rinunciando a tutto.
<<Dai tirati su, ti riaccompagno in camera. Hai bisogno di riposare>> Allungo una mano, gli lancio un appiglio, un'ancora di salvataggio. Un modo per dirgli che anche se tutto sta andando per il verso sbagliato io sono pronta a tirarlo su.
Chris però non l'afferra. Resta un po' attonito, sbatte pesantemente le palpebre, come se si fosse appena risvegliato da un brutto sogno e mi guarda.
Poi come se le parole gli uscissero da sole, a mezza voce esclama: <<Ha chiamato mio padre>>
Resto per un attimo perplessa, ancora ferma con la mano tesa davanti al suo viso. La mia figura che si impone sulla sua in quel buio mortificante.
Deglutisco cercando qualcosa da dire, qualsiasi cosa pur di non lasciare morire il discorso. Se Chris ha bisogno di parlare o di sfogarsi con me lo può fare.
<<Cosa ti ha detto?>> mi chino di nuovo accanto a lui.
<<La verità>>
Mi volto a guardarlo, perplessa e spaventata dalle sue parole. Chris guarda dritto davanti a sé, gli occhi leggermente socchiusi e la bocca che forma una linea perfettamente dritta, non ha espressione.
<<Cosa vuoi dire?>>
Chris mi lancia un'occhiata vuota, senza sentimento e poi curva leggermente la testa.
<<Che è colpa mia>> arriccia le labbra e rilascia scivolare la testa contro al muro.
Mi agito immediatamente.
<<Non è colpa tua, Chris. Smettila di pensare che quello che è accaduto possa essere colpa tua.>> Gli afferro il mento e lo costringo a guardarmi negli occhi. <<Non puoi accusarti di una cosa così brutta>>
<<Guidavo io>> gli occhi puntati nei miei hanno preso un colore diverso, sembrano essere diventati grigi, come il resto della sua anima.
<<Non guidavi quel camion Chris, non sei stato tu ad invadere la corsia opposta. Non eri tu ubriaco alla guida. Almeno questo lo vuoi capire?>>
Fa spallucce, ma non risponde.
Non so come un padre possa arrivare a tanto, accusare il figlio di qualcosa di così terribile. Poi però l'immagine dei lividi sulla sua pelle mi ritorna pian piano alla mente. Non ho mai saputo i dettagli con certezza, ma tutto mi lasciava pensare che quelle brutte ferite gliele avesse causate proprio lui. Il sangue del suo sangue.
<<Dov'è ora?>> chiedo sperando di non farlo agitare.
<<Da qualche parte nel mondo, non lo so>>
Spalanco gli occhi: <<E dopo quello che è successo non torna qui?>>
<<Non gliene importa niente. Né di me, né di mia madre. Si è solo liberato di un peso.>>
Quello che mi sconvolge, però, non è solo l'insensibilità di quell'uomo, considerato un padre di famiglia, ma è la calma terrificante con cui Chris sta parlando. Privo di ogni sentimento, freddo, scostato.
Per la prima volta sto vedendo un lato di lui che mi spaventa, che mi mette letteralmente i brividi. Lo stomaco mi si restringe e la gola inizia a farmi male.
<<E'... ingiusto>> è l'unica cosa che riesco a dire.
Restiamo per un po' uno affianco all'altra appoggiati a quel muro freddo in perfetto silenzio. Non c'è bisogno di nessun parola, perché i nostri pensieri sono così rumorosi da far tremare ogni parete.
Poi Chris gira la testa nella mia direzione, mi guarda per un attimo, sembra stia cercando di leggere un qualcosa sul mio viso e quando lo vedo chinarsi è troppo tardi.
Chris mi bacia, è irruente, famelico, si tuffa sulle mie labbra come se fossero un appiglio, qualcosa a cui appendersi per portare la sua vita in salvo.
Non mi tocca, ma continua a giocare con la mia bocca con forza. Non ho il tempo per potermi muovere perché è lui a condurre i giochi.
Allunga una mano e mi afferra le spalle, mi tira a sé mentre mi morde. Soffoco un urlo di dolore, subito sostituito dalla sua lingua. Lecca, bagna le mie ferite. Anche se credo che stia cercando di curare le sue.
Mi tira sulle sue ginocchia piegate, con forza. Si fa spazio nella mia bocca ed io non riesco a stare al suo passo. Afferra i miei capelli in un pugno e tira leggermente per farmi alzare il mento. Poi prende a baciarmi il collo. Bacia, lecca, mordicchia e poi ancora lecca, succhia.
<<Chris>> mugugno, ma lui non mi da ascolto.
Sento tutto il corpo bruciare e una scarica di piacere si fa spazio nella mia pancia fino a scendere sempre più sotto.
Vorrei afferrargli i capelli, restituirgli i baci, ma le sue braccia me lo impediscono.
La sua mano si fa spazio sotto alla maglia, accarezza la pelle rovente della pancia e poi prosegue su fino al reggiseno.
Sento il mio cuore battere ad un ritmo troppo veloce, mentre cerco di restare in equilibrio, di non lasciarmi andare, di non stringerlo. Perché so che al momento non è ciò che vuole.
Le sue mani raggiungono velocemente il bottone dei miei jeans. Si muovono impazienti, cercano di fare il più presto possibile. Ma prima che ci riesca, poso le mie mani sulle sue e lo blocco.
Chris rialza la testa dal mio collo quel tanto per riuscire a guardarmi.
<<Non voglio pensarci. Ho bisogno di pensare ad altro almeno per un po'>>
Non dice altro, non mi chiede esplicitamente il permesso, ma lo fa con gli occhi. Due specchi di dolore che mi stanno chiedendo di distrarlo.
E anche se so che mi sta solo usando, che non sarà altro che sesso, lascio che le sue mani mi sbottonino i jeans, tirino giù la cerniera e si insinuano dove non avrei mai creduto di lasciarlo entrare.
Chris è veloce, esattamente come lo è stato prima.
Mi fa sdraiare su quel pavimento freddo, all'interno di quella stanza buia, animata solo dai nostri sospiri.
Non mi toglie nemmeno tutti i vestiti. Solo i pantaloni, lasciando che le mattonelle fredde entrino in contatto con le mie gambe nude. Si sdraia su di me, mi avventa di nuovo le labbra e prende a spingere con forza.
Sento il suo dolore entrare in contatto col mio. Si mescola, si amalgama e si unisce. Ad ogni spinta riesco a sentire il corpo di Chris farsi meno rigido, rilassarsi un po' di più e la mia anima farsi sempre più fragile.
Chris non sa quanto mi sta facendo del male in questo momento, ma non glielo dico. Ho promesso di essere la sua ancora di salvataggio e così sarà.
Siamo due corpi sudati e ansimanti sdraiati sulle mattonelle dell'ingresso di casa sua. Chris si tiene sollevato con le mani puntate vicino alla mia testa, io invece non ho il coraggio di muovermi. Vorrei stringerlo di nuovo tra le braccia, fare l'amore con lui. Ma non è ciò che vuole lui e devo farmelo andare bene così.
Chris affonda la testa nel mio collo continuando a spingere, sento che sta arrivando al limite. Mi lascia un bacio umido sotto alla mascella e sembra essersi calmato rispetto all'irruenza dell'inizio. Questo però non impedisce al mio corpo di sentirsi usato e nonostante io abbia acconsentito, sento gli occhi farsi sempre più gonfi e pieni di lacrime. Lacrime che presto iniziano a sgorgare.
Sto di nuovo mescolando il mio dolore al suo.
Chris si ferma per un secondo, mi lancia uno sguardo triste e addolorato, mi sussurra un "mi dispiace" contro la pelle. Forse vuole uscire da me, non lo so con esattezza.
So solo che gli stringo le gambe attorno al bacino e faccio quello che mi sono impedita di fare fin dall'inizio: lo abbraccio.
Lo stringo forte come se non volessi lasciarlo più andare via. Lo bacio piano, con calma. Incastro le mie dita tra i suoi capelli e lo accarezzo. Gli insegno a far l'amore.
Chris è attonito, mi guarda spaventato, si blocca completamente, ma io non lo lascio andare.
Lo stringo ancora più forte se possibile, cerco di comunicargli con gli occhi che va tutto bene, che così è meglio. Chris riprende a muoversi più piano.
E seppur in modo quasi spaventato inizia a toccarmi, ad accarezzarmi. Fa scorrere le sue mani sulla pelle della mia pancia, poi sulle braccia e infine mi stringe il viso. Mi bacia e quando arriva al limite posa la testa nell'incavo del mio collo e si lascia andare.
Chris rimane nella stessa posizione per un po', con le mie gambe che ancora gli circondano la vita e il suo fiato che mi scalda il collo. Lascia che anche io arrivi al limite.
Il piacere si mescola alle mie lacrime e quando tutto è finito non mi sento bene come ci si dovrebbe aspettare. Mi sento vuota e terribilmente sola.
Chris esce frastornato dal mio corpo. Si tira su i pantaloncini della tuta velocemente e non mi guarda. Nemmeno per un secondo.
Le lacrime tornano a scendere sulle guance, mentre cerco di nasconderle, ma mi sento sempre più sola, sempre più uno schifo. Anche se non mi pento di ciò che è appena successo.
Mi tiro su a sedere e mi risistemo a fatica. Mi sento sudata e appiccicaticcia, ma questo passa in secondo piano quando il ragazzo con cui ho appena fatto sesso incontra il mio sguardo.
E' triste e sconvolto, forse ciò che è appena successo era totalmente inaspettato, ma so che gli ha fatto bene ed è per questo che non me ne pento.
Mi sorride lievemente e sussurra: <<Grazie>>
Così lo stesso faccio io, gli sorrido, apro la porta e me ne vado sconvolta e completamente sola.
Fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo :)
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