Una nuova ciurma
Tortuga
Anno Domini 1632
Inutile.
Era così che si sentiva John Watson dopo il suo congedo forzato dalla Marina britannica.
Con uno sbuffo risentito mandò giù un'altra sorsata di birra, cercando di estraniarsi dalla confusione che regnava incontrastata nella taverna.
Ovunque volgesse lo sguardo vedeva pirati intenti al gioco d'azzardo o a confabulare di Dio solo sapeva cosa; cameriere vestite succintamente servivano boccali colmi di rhum-oppure offrivano ben altro-e, in sottofondo, una sorta di orchestra improvvisata suonava una musica assordante alternando, di tanto in tanto, assoli di chitarra e pianoforte.
In alcuni angoli, anche tre o più uomini erano impegnati in qualche rissa, che però nessuno si dava la pena di sedare: anzi, incitavano i contendenti con urla e fischi.
Oltre a questo, l'aria era soffocante, permeata dall'odore pungente di fumo e alcool.
D'altra parte cosa ci si poteva aspettare da una taverna di Tortuga?
Nonostante avesse scelto quella che gli era parsa meno affollata, la gente che si rischiava di incontrare era sempre la stessa. Così come donne procaci dalle ampie scollature che intrattenevano i bevitori. Una di loro aveva pure tentato con lui un approccio, ma l'espressione di sconfitta e disillusione dipinta sul suo volto-e, non per ultimo, che non l'avesse neppure quasi guardata-l'avevano fatta velocemente desistere, per dedicarsi ad un soggetto ben più propenso a farsi sedurre e da cui guadagnare qualche moneta.
John lasciò ancora vagare lo sguardo su quella confusione, per poi riabbassarlo di nuovo sul suo boccale, gli occhi blu cupi, il capo biondo chino, disinteressandosi forzatamente di chi aveva intorno.
Come ex soldato della Marina non era la prima volta che si recava in quel porto, noto per attirare a sé criminali di ogni specie.
Ma persino lui sapeva che arrestare qualcuno lì sarebbe stato completamente inutile, quanto rischioso: era infatti un vero e proprio "Porto di pirati", uno dei pochi rimasti ancora liberi dal controllo della Compagnia delle Indie Orientali, che negli ultimi anni si stava facendo sempre più aggressiva, costringendo anche la Marina a continui controlli.
Ma tanto a lui cosa importava?
Non ne faceva parte.
Non più.
A quel pensiero prese un grosso sorso e posò poi il boccale sul bancone con tale veemenza da far cadere alcune gocce della bevanda sul legno; ma quel brusco movimento gli costò una fitta di dolore, le labbra strette in un'involontaria smorfia per trattenere un gemito. Il colpo di pistola che gli aveva lesionato la spalla a volte pareva risvegliarsi, causandogli quelle dolorose fitte.
Sembrava schernirlo.
Ecco, vedi?
Neppure un semplice movimento ti è concesso.
Non puoi più nemmeno combattere.
Sei inutile...
Scosse la testa, doppiamente infastidito e amareggiato, stropicciandosi poi il volto, che aveva in quei giorni trascurato di radere, facendosi così crescere una leggera peluria, che tra non molto sarebbe diventata una barba vera e propria se non vi avesse posto presto rimedio. Inusuale, per lui, che aveva fin da quando era entrato nella Marina dovuto badare che il suo aspetto fosse sempre curato e impeccabile. Ma anche quello, ormai, non aveva più alcuna importanza, no?
D'un tratto la confusione nel locale parve stranamente acquietarsi, cogliendolo di sorpresa e strappandolo a quei pensieri così cupi; anche l'orchestra aveva smesso di suonare, mentre al contrario alcune voci-soprattutto femminili-si levavano.
-Forza, non si faccia pregare!-disse una.
-Sì, la prego, signor Holmes, ci suoni qualcosa!-incalzò un'altra.
John si voltò verso quelle voci, che sembravano rivolte a un individuo in particolare. L'uomo in questione spiccava in mezzo agli altri; non solo per l'abbigliamento, ma anche per la postura.
Portava un'elegante giacca lunga nera con bottoni d'argento, alla cui vita era legato un pesante cinturone, in cui era infilata, a sinistra, una carabina dal manico di legno chiaro e a destra un fodero con una spada dall'elsa color bronzo: sotto alla giacca, una camicia di seta bianca -appena sbottonata sul torace- dei pantaloni neri dal taglio classico, e dei lucidi stivali. I suoi capelli erano ricci, neri e lucidi come l'ala di un corvo: questo, più tutto quel colore scuro da lui indossato, creava un netto contrasto con la sua pelle candida. Anche il suo viso era fuori dal comune, con dei lineamenti duri e affilati, senza ombra di barba sulle guance, più simile ad un nobile che non a un uomo di mare.
L'abbigliamento lo classificava però come un pirata di rango, non di certo uno qualunque.
John era altresì sicuro che da qualche parte-magari sul braccio-ci sarebbe stata una bruciatura a forma di lettera "P": il marchio di ogni pirata, gentilmente offerto dalla Compagnia delle Indie.
Stranamente, però, quando questi si tolse la giacca e posò il cinturone con le armi vicino ad essa, rimanendo solo in maniche di camicia, non scorse tatuaggi di nessun tipo sulla sua pelle, neppure attraverso il sottile tessuto dell'indumento, e questo era un dettaglio decisamente insolito; i pirati in cui si era imbattuto sino ad allora, infatti, tendevano a coprire ogni centimetro del proprio corpo con i disegni più disparati.
Quel pirata, a quanto pareva, no.
La sua pelle, poi, era davvero fin troppo candida, diafana addirittura: comunque non appariva bruciata dal sole tanto quanto la sua o come quella di chiunque altro fosse abituato a stare in mare, sotto al sole cocente. Forse passava molto tempo sottocoperta...
Il misterioso uomo, nel frattempo, sembrò lamentarsi con un'anziana donna-vestita con uno sgargiante abito lilla colmo di ruches-la quale però seguitava a fare gesti, come a spronarlo, o a pregarlo di fare qualcosa.
Alla fine lo vide annuire e alzare gli occhi al cielo, ma notò anche che aveva sul volto un'espressione chiaramente lusingata.
La donna batté le mani, entusiasta, ed esortò i clienti del locale a fare silenzio.
Con immenso stupore di John, tutti i presenti le diedero retta: persino i tre impegnati nella rissa smisero per un momento di prendersi a pugni; probabilmente quella donna era la proprietaria, dato il rispetto che chiaramente le riservavano.
Nella locanda era sceso un silenzio quasi irreale, di attesa: l'uomo di nome Holmes, intanto, aveva tirato fuori da una custodia di pelle nera nientemeno che un violino: lo posò sulla spalla, con movimenti rapidi e sicuri, e subito iniziò a suonare una bellissima melodia.
Watson sgranò gli occhi, già catturato dalla prima nota; di certo non era una delle arie che era abituato a sentire in quelle taverne: era avvezzo ad accordi serrati, veloci, e quasi assordanti.
La melodia eseguita dal pirata, invece, era lenta, struggente... quasi ipnotica.
E lui la stava suonando ad occhi chiusi, completamente concentrato: le sue dita affusolate pizzicavano con perizia e rapidità le corde dello strumento, muovendo l'archetto allo stesso modo.
L'esecuzione durò circa un paio di minuti, o forse di più, e per tutta la sua durata non si sentì volare una mosca.
Una volta che l'ultima nota si spense, ponendo fine alla performance, tutti gli avventori si produssero in un fragoroso applauso, John incluso: non ne poté fare a meno.
Il pirata fece un sorrisino e un sarcastico inchino ai presenti: ripose quindi con religiosa delicatezza lo strumento nella sua custodia, per poi sedersi scomposto su una sedia, con in mano un boccale.
Nel locale riprese la consueta confusione, anche se più sommessa, come se lo spettacolo avesse in qualche modo stregato i presenti.
John stesso si riscosse a fatica: quella melodia l'aveva davvero colpito.
E suonata da un pirata, per di più!
Lavorando per la Marina, e quindi abituato a sbatterli perennemente in cella, aveva sempre dato per scontato che fossero individui rozzi e privi di sensibilità.
Di certo, quello non era un pirata come tanti altri: bastava osservare il suo modo di porsi, lo sguardo che aveva mentre suonava...
Una voce alle sue spalle si intromise improvvisamente nei suoi pensieri.
-... John?? John Watson??
Quest'ultimo si voltò di scatto e si trovò davanti un uomo dagli occhi castani e un sorriso gioviale, con una bandana rossa che gli copriva il capo: aggrottò la fronte, incerto.
-Sono Stamford! Mike Stamford, ricordi??
John stavolta sorrise, avendolo finalmente riconosciuto.
-Ma certo, Mike! Come potrei dimenticare? Eravamo insieme all'accademia! Prego, siediti. Ti offro una pinta- disse, facendo un cenno verso una delle cameriere.
-Volentieri!-Mike annuì, accomodandosi sullo sgabello vicino al suo.-Mi rinfresco l'ugola con piacere, prima di ripartire. Il nostro capitano non ama stare troppo a lungo sulla terraferma.
-Su quale nave ti ha imbarcato la Marina?
-Nessuna. Non lavoro più per loro. Non esattamente...
Stamford fece un sorrisetto allusivo e John fece tanto d'occhi, incredulo.
-Sei diventato... un pirata??-gli domandò sottovoce guardandosi istintivamente intorno, seppur consapevole che lì non ci fossero soldati.
-No, non proprio-lo rassicuró però lui.-Il nostro capitano è un corsaro al servizio della Corona.-Abbassò la voce in tono cospiratorio, mentre la cameriera gli portava un boccale e lo posava di fronte a lui.-Non dirgli che ti ho detto una cosa del genere, sarebbe capace di farmi fare un giro sull'asse...
-... E come mai?-ridacchiò John, incuriosito.
-Lui si considera... uno spirito libero. Non ammetterebbe mai di essere al servizio di qualcuno.-Mike fece una smorfia divertita, bevendo un sorso.- Tuttavia la Corona si rivolge spesso a lui per aiuto. Sai, i pirati hanno mezzi molto veloci per ottenere informazioni. Io faccio parte della sua ciurma da due anni circa. Ma dimmi di te! Giorni fa ho saputo che sei stato congedato in seguito ad una ferita. Avrei voluto contattarti, ma non sapevo come. Ora cosa farai?
-Già...-Il biondo annuì con una smorfia, facendosi di nuovo cupo.- Francamente non lo so... per ora ci siamo solo io e questo boccale. Per il mio futuro, non vedo altro...
-E la tua esperienza in ambito medico?
Ah... sì... quella.
-Sì. La ho ancora. Potrei lavorare da qualche parte come medico. Ma, ti dirò... non so se questa sia la vita che voglio davvero. Sono stato congedato da appena un mese e già mi manca andare per mare...-replicò John, e dalla sua voce trapelò una evidente sofferenza, al punto che Mike gli strinse appena il braccio con fare consolatorio e comprensivo.
-Perchè non cerchi di farti arruolare su qualche nave?-gli suggerì, all'improvviso.
-Pff!- sbuffò l'ex soldato, con una risatina amara.-Con una spalla lesionata? Vuoi scherzare? Nessuno sano di mente mi vorrebbe nel suo equipaggio...
Inspiegabilmente Mike scoppiò a ridere, a quelle parole, e l'altro lo guardò interrogativo.
-Tu non ci crederai, ma il mio capitano ha detto più o meno le tue stesse parole, non più tardi di stamattina-gli spiegò.- E sta cercando un primo ufficiale.
John scosse la testa, incredulo ma soprattutto scettico.
-Io? Diventare un pirata??
-Te l'ho detto. Non siamo esattamente pirati. O meglio, lo siamo, ma al servizio della Corona. Non siamo dei volgari tagliagole, questo te lo posso garantire. E poi, l'hai detto tu stesso: nessun altro ti arruolerebbe, no?
Il biondo si massaggiò la spalla in un gesto automatico: gli seccava molto ammetterlo, ma Stamford aveva ragione. Dopotutto, cosa aveva da perdere?
-... D'accordo- sospirò infine, rassegnato.-Dove lo trovo, il tuo capitano?
Mike sorrise.
-Aspettami qui- disse, e si alzò dallo sgabello, facendosi poi largo tra la calca.
L'ex ufficiale scosse la testa, portandosi di nuovo il boccale alle labbra, la mente piena di dubbi e incertezze, ma anche di una minuscola scintilla di speranza che non avvertiva davvero da molto tempo.
... Sto per farlo davvero?
Io, un pirata?
Solcare di nuovo i Mari... Sembra troppo bello per essere vero.
E poi... sto correndo troppo.
Chi mi dice che questo misterioso capitano mi accetti?
Chi sarà mai, poi?
Da come Mike me l'ha descritto, deve essere un tipo proprio fuori dal comune...
Non aveva ancora finito di pensarlo che un uomo andò a sedersi vicino a lui, tendendogli la mano destra, mentre nell'altra teneva un boccale: John rimase un momento allibito quando realizzò di trovarsi di fronte proprio il misterioso pirata di poco prima, con di nuovo indosso giacca e cinturone.
-Sherlock Holmes- si presentò l'uomo, con voce bassa e baritonale.- Capitan Sherlock Holmes- precisò.
John, dopo una breve esitazione, gliela strinse, scoprendosi intimidito di fronte a lui.
Perché infatti, incastonati nel suo viso già fuori dal comune, vi erano degli occhi dal colore più particolare che gli fosse mai capitato di vedere. Non avrebbe neppure saputo definirne l'esatto colore: parevano azzurri, ma anche grigio verdi, come il colore del mare dopo una tempesta. Era come se mutassero a seconda della luce. Non solo: emanavano intelligenza, e in quel momento lo stavano osservando in un modo così intenso tanto che sembravano andare oltre lui stesso.
-Mike mi ha detto che sta cercando una nave su cui arruolarsi- proseguì il pirata, seguitando a tenere quegli occhi dal colore così inusuale e penetranti puntati nei suoi.
-Esatto-rispose lui, schiarendosi la voce, cercando di riprendersi.-Ma devo avvertirla che...
-... Ha una spalla lesionata da una ferita d'arma da fuoco. E faceva parte della Marina Britannica. Ora è in congedo forzato. E l'unica cosa che desidera è tornare per mare, sebbene la sua conoscenza come medico le garantirebbe un lavoro in una qualsiasi altra struttura- lo anticipò il capitano, quasi senza riprendere fiato tra una parola e l'altra.
John rimase un momento sconcertato, dopo quel fuoco di fila di informazioni.
-... Ehm... sì. Vedo che Mike l'ha già informata sul mio...
-Si sbaglia- lo contraddisse l'altro immediatamente.- Lui non mi ha detto nulla. L'ho solo notato.
-Oddio, capitano... l'ha fatto di nuovo, vero??
Prima che il biondo potesse dire qualunque cosa, Mike aveva fatto ritorno, in volto un'espressione insieme divertita ed esasperata.
- Fa sempre così: ti guarda un momento, e in due secondi capisce tutto della tua vita- gli spiegò, grattandosi la nuca.-Ti assicuro che non gli ho detto nulla riguardo a te. Solo che cercavi una nave su cui arruolarti. Nient'altro.
-Ma, allora... come faceva a saperlo??-esclamò John, attonito.
Gli occhi di Sherlock brillarono, come se non avesse aspettato altro che quella domanda.
-Oh, no... Ora ricomincia...-ridacchiò Mike di nuovo, scuotendo la testa.
Il capitano si voltò verso di lui, con un cipiglio severo ma al tempo stesso ironico.
-Mike, invece di perdere tempo qui, ti consiglio di andare a fare la tua solita visitina a quella cameriera a cui vai dietro da almeno quattro mesi. E ti invito altresì a fare in fretta: domattina salpiamo, ricordatelo.
Stamford scoppiò a ridere, facendogli un saluto scherzosamente militare; fece poi un sorriso a John e si diresse baldanzoso verso una cameriera dai capelli ricci biondi, che subito gli gettò le braccia al collo con evidente entusiasmo.
Al bancone rimasero solo lui e Watson, che continuava a fissare il pirata con uno sguardo inquisitore.
-...Va bene-esordì infine l'ex soldato, ancora scettico.-Come sapeva della ferita e di tutto il resto?
Il capitano Holmes gli sorrise.
-Per quanto riguarda quella, non è stato difficile: quando si è voltato verso di me ha fatto una leggera smorfia: ciò significa che è stato ferito. Per il colpo di pistola ammetto di aver azzardato: poteva essere anche una lesione procurata da una sciabola. Ma data la sua posizione ero quasi certo che si trattasse di quello. Ha ancora indosso la camicia dell'uniforme della Marina: riconosco quei bordi dorati sul colletto: forse una svista, ma più probabilmente perché ancora non accetta il congedo. Lei e Stamford vi conoscete, e so che lui ha studiato all'Accademia Militare con specializzazione medica, perciò è ovvio che anche lei la abbia frequentata, seppur poi abbia scelto di far carriera nel campo militare, forse aspirava persino alla carica di commodoro. Ma la lesione le ha imposto il congedo. Potrebbe quindi almeno lavorare sulla terraferma come semplice medico, avendone i requisiti base, ma non lo desidera, altrimenti non si troverebbe qui, ad affogare i suoi dispiaceri in una taverna dalla dubbia moralità. Il suo desiderio di tornare per mare è forte al punto da proporsi persino su una nave pirata, pur di realizzarlo.
Queste ultime parole le disse fissandolo ancor più intensamente, acuendo il suo disagio; il suo sguardo era così intenso che pareva davvero leggergli dentro.
Sotto quello sguardo, si sentì come se venisse... valutato. E la cosa non gli piaceva.
Ma, allo stesso tempo, era ammirato da quella sua capacità e doveva ammettere che quel pirata dagli occhi di ghiaccio e tempesta gli aveva appena fatto un ritratto perfetto senza neppure conoscerlo.
-... Ha ragione. È tutto esatto. Forse non potrò combattere o duellare, con questa spalla, ma sono un buon medico- affermò infine l'ex ufficiale, con voce ferma e sicura.- Credo che potrei esserle comunque utile, sulla sua nave.
Capitan Holmes non replicò e distolse per un momento lo sguardo.
All'improvviso il boccale gli cadde di mano: Watson, dimostrando un'incredibile prontezza e rapidità, lo afferrò al volo con la mano sinistra, prima che cadesse sul pavimento.
-Eccellenti riflessi. Andrà bene.
Il corvino esibì un sorrisino soddisfatto, quasi compiaciuto, mentre John aveva ancora gli occhi sbarrati, il boccale stretto tra le dita, avendo realizzato cosa aveva appena fatto; e soprattutto che, per la prima volta dopo tanto tempo, non aveva avvertito alcun dolore alla spalla; come se, per un istante, se ne fosse completamente scordato.
-Le do un paio di settimane e tornerà a duellare meglio di prima. Si prenda pure un'altra birra- aggiunse Sherlock, sempre con quel mezzo sorriso sulle labbra, mentre prendeva da un appendino poco distante un cappello nero, per poi indossarlo, coprendo così la sua chioma riccioluta.- Dica alla signora Hudson, la proprietaria, che offro io.
Il pirata si incamminò lentamente verso la porta, con il biondo che lo fissava, ancora incredulo: si voltò poi un'ultima volta verso di lui.
-Salpiamo all'alba. Benvenuto nella ciurma della Perla Nera, dottor Watson.
Capitan Sherlock Holmes gli fece un occhiolino, il bavero della giacca a coprirgli appena il volto, per poi sparire nella notte.
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