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Le carte

Jack rincasa. Possono essere alla peggio le otto, di un fresca serata d'ottobre. E la lettera giunta per posta rimane sul comodino, dove si era arenata. Il vento muggisce, bussa insistente alla finestra. Jack sbuffa. Le buste tra le mani  gli scivolano di dosso, arrancando raggiunge la cucina. Accende la luce. Apparecchia la tavola. Qui una forchetta, qui un piatto. Uh, una macchia sulla tovaglia. Merda, pensavo fosse pulita. Mette in fresco i liquori appena comperati e si appresta a preparare la cena. Aleggia una calma silente, morbosa, ad arredare l'appartamento. Non nella testa di Jack. Lì regna il caos. Un mal di testa a forma di martello pneumatico lo percuote, gli annebbia la mente. Pensieri prima scacciati ora riaffiorano, tornano a galla nel mare di merda di quel pessimo pomeriggio. Adesso non vuole sentirseli, troppo profondi. Abissali. (L'oceano, Jack, giragli alla larga. Sarebbe la tua tomba. )Gli affonderebbero l'intera serata. No, Jack, tu non vuoi ascoltarti. Vuoi ridere. Ridere e bere. Perché no? Un goccio ci fa bene, a volte. 

"In stazione, il treno del divertimento! Ciuf-ciuf! Stasera non sono ammessi musi lunghi. I pianti a domani."
E allora fila svelto in cucina, gli ospiti arriveranno a breve. E avranno fame. E vorranno giocare. E Jack, dovrai essere in forma, tu. Almeno tu. Divertiti tu per tutti e due. 
Quindi accende il gas, riversa in pentola l'acqua e ne attende l'ebollizione, per poi annegarci dentro la pasta e fiondarsi ad assemblare un condimento fresco fresco. No, dai, non gli va, meglio un'altra volta.
Una lacrima gli accarezza le guance. Uh, una macchia, pensavo fosse pulita. Un goccio ci fa bene, a volte.
Apre il frigo, rassegnato, e vi cava via un vasetto di pesto pronto. È lì da parecchio, abbandonato al buio di un inverno artificiale dalla sua creatrice. "Parmigiano, basilico, olio e pinoli. Cose semplici, mamma mia, ma il risultato ha del clamoroso," è scritto su un'etichetta, sopra al tappo. Lì accanto, la data di preparazione e un cuoricino. Una settimana fa. È ancora commestibile? Ma sì, un goccio ci fa bene a volte. Ciuf-ciuf!
Il campanello suona all'improvviso. Il suo asmatico squillare rimbomba fino alle orecchie di Jack, proprio ora che si era focalizzato perfettamente sulla cucina e sulle poche preparazioni di sua competenza. Sono in due. Uno si presenta tarchiato, basso, con i segni di una gioventù fin troppo vissuta di cui sono reduci i pochi capelli rimasti a far capolino sulla vetta del capo. L'altro è alto, altissimo anzi, e tremendamente snello, asciutto, ("mamma mia, ma sei secco come uno stecchino! Jack, non mi hai mai raccontato di avere una sottiletta tra i tuoi amici"), e dagli occhi incavati, con un candido sorriso, persistente, ma incrinato dai malumori. Un impiegato di banca ed uno scrittore fallito: due anime superstiti di vite sbiadite. Si siedono a tavola e consumano il pasto ("sarà l'ultimo. Goditelo, almeno. almeno tu per entrambi") svogliatamente, accompagnati dalle solite battute. Tu sei un nano. E tu lavati, puzzi, razza di gigante. Jack si alza e comincia a sparecchiare. Porta piatti e posate al lavello, lasciandoli lì a sguazzare nel loro sporco. Li guarda. E scappa a prendere i mazzi da Poker, che poggia di fronte ai suoi due commensali.
"Torno subito, mi serve un momento il bagno." In stazione, il treno del divertimento!
Barcolla verso la stanza. Come una torre che traballa ma non crolla. E per camminare si appoggia alla parete. Poi si posiziona dinanzi allo specchio. Si fa schifo. Gli sembra di avvertire ancora quel profumo. Gli pare di essere ancora quel che era. E ("cambia, cambia costantemente! Ma rimani sempre al mio fianco, intesi?") si sbaglia. Del vecchio Jack non resta che un'ombra. Un velo sottile di luce, durante una buia notte di nebbia. La vista gli si offusca, come accadde il giorno del funerale. Ripensa alla lettera. E un'altra lacrima gli riga le labbra.
"No. No! Devo stare allegro. È una bella serata, questa." Ciuf-ciuf!
Con un vigore nuovo rientra in salotto, corre al frigo e prende gli alcolici, sua salvezza, e tre miseri bicchierini. Poi torna dai suoi ospiti, che intanto hanno ansiosamente preparato le carte.
Comincia il gioco. E si punta meccanicamente. Non si riflette. È un bisogno semplice, avido e perverso. I giocatori allora puntano, le fiches colorate sembrano simpatiche, ma lanciano occhiate sordide, malevole.
Nel frattempo Jack beve, cercando di mantenersi allegro. A lui le carte non interessano un granché. Prende parte a un vizio per  motivare l'altro, per non restare sul divano da solo con una bottiglia vuota in mano, e poi un'altra, ed un'altra, ed un'altra ancora fino a sentirsi svenire. Un goccio ci fa bene, a volte.

 L'uomo basso rilancia. Jack passa. L'uomo sottile vede. Si scoprono le carte. Si ricomincia. Jack ha un poker per le mani. Ma perde. Perché l'amico alla sua destra ha una scala reale ("mamma mia, Pip, sei proprio scaltro"). Almeno, così dice ("bugiardo! Pip, sei un bugiardo, mamma mia! Proprio pessimo"). Il gioco riparte, un'altra volta. Così avanti e indietro fino a notte inoltrata, quando i due commensali si alzano, prendono le loro attese vincite e lasciano l'appartamento.
Jack resta da solo. L'allegria lo abbandona. E annega in quei pensieri pesanti. L'oceano, il mondo è buio come un oceano. Il sole si tuffa. Ma anche chi nuota poi affoga. E si spengono le poche fantasie. 

Si rifugia nel letto. Trova riparo nel sonno, nei sogni. Rivive le mille avventure piene di brio. Corre tra i boschi. Sotto un frassino ascolta il canto dei passeri. E si innamora. Di nuovo. E di nuovo non può far nulla per impedire l'avverarsi dell'inevitabile. Ancora va al funerale. Ancora legge la lettera. Infine si sveglia, all'alba di nuovo giorno ("altro giro altra corsa, come dico sempre").  Il mal di testa l'ha lasciato stare. La lettera giace nel fondo del distruggi-documenti. Jack si alza. Va al lavoro. Vive la sua vita come se quella  sera non ci fosse mai stata. Come se quella lettera, quell'eco dagli inferi, memoria di un amore sepolto, non fosse mai giunta.

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