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Nuovo Lacaj ( di Gin, sbronze e sentimenti inespressi - espressi sotto coperte)

Sto scrivendo questo mega mappazzo di ottomila e passa parole ( razionalmente sarebbe da dividere non in che capitoli ma anche in tre ) dal 31 gennaio, volevo farlo uscire il primo ma fra cambiamenti e tempo che dovrei utilizzare per il primo esame della sessione di gennaio, riesco a farlo uscire solo oggi.
Sono esausta credo di averlo odiato sto capitolo, sono tre notti che faccio le due per finirlo e riadattarlo, ora basta
Domani probabilmente lo rimetterò in bozze perché fra confusione di passato remoto e prossimo, virgole e verbi penosi c'è tanto da sistemare come la coerenza di trama di sto capitolo ( salto da un argomento a un altro senza un criterio ) ma ora lo pubblico perché so sfinita.

Per chi vuole l'allegra brigata dei miracoli abbia pazienza perché questo è l'ennesimo capitoli incentrata sul passato di Markann ( sì vi vedo che vi state lamentando, qua ci sono più pov e capitoli riempitivi a rallentare la storia che in Games of Thrones ).

Il sapore del Guz, la torta di pane dolce allo zafferano ricoperta di uvette, frutta secca e a volte glassa di limone, dalla forma arrotolata come il guscio di una chiocciola, e con esso insieme al gioco della dama viola, aveva sempre accompagnato le feste di Lacaj, i festeggiamenti di fine estate e l'inizio dell'inverno.

Quando finiva l'estate si poteva vedere il cielo diventare turchese con sfumature di viola ( come la luce del tramonto e dell'alba ) dalla durata di tre giorni, la cui unica luce era quella della luna che in quell'occasione splendeva come il sole in una giornata senza nubi ma di una luce bianca, un fenomeno che veniva festeggiato con feste e fuochi d'artificio come il momento che segnava la fine definitiva dell'estate e l'inizio dell'inverno, un particolare avvenimento a cui era legata una leggenda tramandata oralmente.

Si diceva che all'inizio della vita nel mondo l'estate e l'inverno erano incarnati da due regni in lotta fra loro, quello della capitale Lavitia inaccessibile protetta da golem senzienti, che teneva  nascosta in profondità delle miniere di bronzo una porta di legno resistente al calore infernale delle miniere un luogo in cui nessuno sapeva dove essa avrebbe condotto, e dei pochi sventurati che avevano provato a entrarci non se n'era più saputo più nulla.

Il secondo era l'isola dell'Inverno abitata da immortali elfi albini dove la notte era perenne e la luce del sole non era altro che lo spauracchio proveniente da un regno vicino e pericoloso, quello dell'Estate, di cui avevamo contatti solo per commerciare il loro ghiaccio perenne e inscalfibile.

Ma la giovane figlia di uno dei tre re di Lavitia, stanca del caldo e della luce onnipresente che mai tramontava, decise di sfidare la sorte dopo una visione secondo cui solo chi sarebbe uscito indenne dalle oscurità che essa celava avrebbe posto fine all'estate eterna che attanagliava il suo regno e sarebbe riuscito a riunire i regni dell'Inverno e dell'estate, e negli anni tanti fallirono nell'impresa finché la principessa poi diventata una regina saggia e giusta che non si sposò mai, mori anch'essa, e la sua folle richiesta si perse nella leggenda e nel mito finché il figlio del re dell'Inverno, distrutto dalla rivalità fra il suo regno e quello dell'estate ( una rivalità che con gli anni si era trasformata in una guerra sanguinosa ) decise di affrontare le tenebre della grotta.

E così arruolandosi nell'esercito reale, con la pretesa di andare a combattere una guerra che in realtà non voleva altro che evitare, andò nel regno dell'estate e con l'inaspettato aiuto di un golem, riuscì a raggiungere la porta e avventurarcisi al suo interno.

- E poi cos'è successo?-

Nessuno seppe mai cosa accade al suo interno, solo che dopo mille anni ne uscì fuori, da solo, per poi scoprire che il regno dell'estate e quello dell'inverno erano entrambi stati distrutti dalla guerra, e tutto quello che ne restava erano rovine e polvere rossa e rovente per il regno di fuoco, blu e gelida come un fuoco fatuo durante una tormenta di neve, per il regno del ghiaccio.

Ma il futuro principe del Nord, la cui bellezza e giovinezza non era stata intaccata dal passare dei millenni della superficie, era riuscito a portare con sé dal viaggio  rubando ( e questa fu l'unica cosa che disse  in merito al suo viaggio ) a misteriose creature alate non dissimile alle arpie a due facce degli Inferi, una conchiglia preziosa a forma di chiocciola e di colore turchese, ma egli non riuscì a godere della sua vittoria vedendo la distruzione intorno a sé, perché essa si sarebbe accompagnata alla vergogna e al dolore di non esser riuscito a impedire la distruzione dei due regni.

E così il giovane principe, conscio ormai di non essere più degno di questo titolo dato che non aveva nessun regno su cui governare né una famiglia a cui tornare e sopratutto consapevole del suo fallimento, scoppiò a piangere desiderando che la morte venisse a prenderlo, ma non appena le sue lacrime colpirono la pietra preziosa, questa si dissolse in una nuvola splendente e azzurra, e non appena la luce si diradò il ragazzo vide davanti a sé una bellissima fanciulla vestita con tessuti che recavano con sé i simboli del regno e dell'estate uniti insieme.

La fanciulla rivelò al giovane di essere la principessa del regno dell'estate, la stessa che millenni prima aveva predetto d'unione dei regni solo in caso di superamento di tutte le prove che la porta misteriosa portava con sé, prove che il giovane elfo era riuscito a superare.

- Ma ho comunque fallito, quassù c'è solo distruzione, non è più rimasto nulla.-

Aveva commentato il giovane principe sconsolato, ma la principessa lo aveva rassicurato, non aveva fallito affatto. perché i due regni non avrebbero mai potuto unirsi e regnare insieme in armonia, dovevano distruggersi a vicenda per poi ricostruire un nuovo regno, completamente nuovo dalle ceneri di quelli vecchi unendo le caratteristiche di entrambi.

- Io lo so giovane principe, ho visto tutto ciò ma nessuno avrebbe potuto credermi, neanche gli dei lo fecero, così ho dovuto permettere la distruzione di due regni che non avrebbero mai potuto unirsi ma solo con la loro distruzione avrebbero potuto far rinascere un regno completamente nuovo. Ho sperato il contrario per decenni ma la vecchiaia mi ha raggiunto cosi ho finito la mia morte con una potente magia datami dall'Indovino di Werah, e così ho trasferito la mia anima trasfigurandola nella gemma che tu hai trovato, per poter essere infine liberata solo da colui che fosse degno di governare il nuovo regno.-

E fu così che il giovane principe sposò la principessa dell'estate, e insieme fondarono una nazione in cui i sudditi dell'estate e quelli dell'Inverno sarebbero potuti convivere pacificamente, dalla loro unione nacquero i gemelli aurora e crepuscolo dai capelli azzurri come il colore  della pietra a forma di chiocciola, e dagli occhi viola. Il giovane sovrano quando diede il nome ai gemelli decise di cambiare il suo, non più Feō, Gelo, ma Lâo come la chiocciola che liberò la sua amata principessa, ed è per questo che abbiamo l'alba e il tramonto viola dopo ogni notte oscura simbolo di quelle passate dal giovane principe della grotta, ed è sempre per tale motivo che si festeggia la fine dell'estate, come la morte della principessa all'inizio della storia, e l'avvenire dell'inverno, come la rinascita del giovane principe, non più un figlio del regno dell'Inverno, ma un sovrano nato anch'esso dall'unione di due regni finalmente uniti.

- E perché mangiamo questo dolce, mamma?-

Chiese dubbioso un piccolo Markann, decisamente perplesso da quella storia per lui piena di domande in sospeso, ma vedendo come suo fratello Borshin adorasse quel racconto narrato ogni anno in occasione della festa, aveva preferito tacere e tenersi i dubbi per sé, però nessuno gli aveva risposto perché si giocasse sempre alla dama viola ( oltre al significato del colore in sé ) né il perché degli ingredienti di quel dolce tranne l'ovvia spiegazione della forma a guscio di chiocciola.

E perché a superare le prove era riuscito proprio quel principe e non altri soldati elfici durante le guerre, perché ci erano voluti millenni?  Ed era davvero necessario che la principessa morisse? E sopratutto qual'era il preciso motivo dell'odio fra i due regni?

E sopratutto, perché la principessa dell'estate non aveva un nome, e perché quando era stata liberata era giovane invece di essere vecchia? E che fine aveva fatto il golem che aveva aiutato Feō a trovare la porta? E le prove in cosa consistevano e sopratutto venivano davvero dagli inferi come le arpie?

E la porta? Chi era stata a crearla, Werah? Gli dei?

E se i due regni erano stati distrutti da dove erano saltati fuori i sudditi superstiti per ripopolare il nuovo regno? Ce li aveva portati la principessa?

Sopratutto non capiva i festeggiamenti, a lui non piacevano quelle luci nel cielo che gli abitanti si ostinavano a creare con polvere da sparo di contrabbando mischiata a colorante essiccato e di pessima fattura che si trovava nei quartieri poveri di Issergundu ( come rimpiangeva, Markann, il suo vecchio villaggio, lì non c'era quella pessima abitudine che impazzava nella capitale, ma solo danze, musiche, dolci e vino o birra per gli adulti ) per non parlare dell'odiosa puzza di bruciato che impestava tutte le vie, e poi l'azzurro violetto del cielo che scompariva a causa dei fumi dei petardi.

Ma il vero motivo era che, da quando si erano trasferiti tutti a Issergundu, durante i Lacaj in casa restavano solo lui e suo fratello, suo padre si teneva occupato con il suo nuovo lavoro di venditore ambulante, ben diverso da quello di cacciatore (non vi erano foreste, a Issergundu, e uscire dalla città senza un permesso - che costava quanto due mesi dello stipendio di entrambi i genitori - era pressoché impossibile, e quindi suo padre si era dovuto adattare e cercare un nuovo mestiere ) mentre la madre aveva mantenuto il lavoro di levatrice, ma dato che non era una piccola città, ogni giorno nel quartiere una donna partoriva, e alla porta le si presentavano anche donne eleganti delle cerchie interne, data la fama, estesa con il passaparola della sua bravura e delicatezza nell'aiutare donne di qualsiasi ceto sociale, senza distinzione, a mettere al mondo bambini.

Motivo per cui la madre non poteva più essere presente per i figli alle feste, né preparare e quindi mangiare i Guz se non quelli che riusciva a comprare dai pasticcieri ambulanti la mattina seguente, ormai secchi e senza sapore, però erano diventati bravi, Markann e Borshin a giocare alla dama viola, con essa si tenevano impegnati durante i festeggiamenti di Lacaj mentre aspettavano il ritorno dei genitori.

_____

- Non è una bella storia, il principe elfico con la scusa di mettere fine al suo regno ha preferito nascondersi in una grotta per non combattere, e la principessa è un assassina, ha permesso che i due regni venissero distrutti quando poteva benissimo andare lei ad affrontare le prove senza delegarle ad altri, la profezia sicuramente è una storia che lei si è inventata e ha spacciato come tale pur di non affrontare lei le sfide, portare avanti la guerra così poter governare su un regno nuovo creato a sua immagine.-

Si era anche distratto, Markann, seduto insieme a Porsom sulle guglie che adornavano le torri del palazzo reale, giocando alla dama viola nell'attesa che il sole tramontasse in quell'ultimo giorno d'estate, aspettando il tramonto che avrebbe coperto il cielo di azzurro e viola insieme a una nebbiolina rosata, per i tre successivi giorni.

- Non distrarti, altrimenti ti batto come ho fatto l'anno scorso. E comune questa cosa me l'hai già raccontata, davvero detesti così tanto il Lacaj?-

Markann fece spallucce, concentrato sulle sue pedine ormai scarse di numero e in posizioni poco vantaggiose, niente da fare, non era mai stato bravo in quel gioco, preferiva di gran lunga gli scacchi un gioco con regole definite e senza possibilità di scherzetti strategici inventati sul momento cosa invece possibile con la dama viola, un gioco per lo più intuitivo le cui regole si potevano modificare facilmente a seconda delle esigenze, dato che non ne esistevano di fisse.

- È solo la storia che non mi piace, tutto qui -

Porsom osservò le linee scure su cui le sue pedine erano schierate, e sorrise comprendendo che anche quell'anno avrebbe vinto.

- Sei in trappola, ho vinto! No non è solo per la storia, giusto? E non mentire, mi accorgo quando dici bugie.-

Markann tacque osservando le sue pedine ormai bloccate agli angoli, niente da fare, anche quell'anno era stato battuto.

Alzando gli occhi al cielo si accorse che il sole cominciava a tramontare, e chissà perché si sentì fremere di un leggera angoscia abbastanza intensa da fargli venire la tachicardia , fra poco sarebbe terminata l'estate, nulla di diverso da quello che accadeva ogni anno, eppure da quando con la sua famiglia si erano trasferiti a Issergundu aveva provato quelle sensazione che attribuiva alla notte di solitudine in attesa che i suoi genitori tornassero, e dire che a undici anni né lui né Borshin erano più bambini piccoli, erano abituati da anni a rimanere da soli a casa.

- Markann? Tutto bene? Se vuoi possiamo fare un altra partita, mancano ancora parecchie ore alla fine della giornata, magari è la volta buona che vinci prima di domani.-

Annuì, assente, alle parole di Porsom abbozzando un sorriso distratto, impegnato, per evitare di fissare l'amico, a risistemare le pedine sulla strisce nere sul proprio lato del rettangolo di legno.

Una volta finito rimase in silenzio per qualche secondo, e poi notando che Porsom non accennava a sistemare le sue pedine, lo fece lui, grato di avere dalla sua parte anche pochi secondi in più per attendere, inutilmente, che gli sparissero i brividi e il cuore si calmasse, cose che non avvenne per nessuna delle due.

Ma Porsom non era uno sciocco, forse solo ingenuo come possono essere i figli dei reali cresciuti nei castelli e fra le mura reali, così, non volendo farsi vedere turbato ed evitare di spaventarlo e perdere la sua strana amicizia e con essa la possibilità di lasciare l'Accademia per occasioni che non fossero solo le due giornate che gli insegnanti lasciavano loro libere so mese, insieme alle feste come il Lacaj che da qualche anno preferiva passare nel dormitorio della scuola pur di non restare con suo fratello, in silenzio a giocare a dama aspettando che smettessero di lanciare petardi pericolosi e le strade si liberassero dagli ubriachi molesti.

- Guarda cos'ho rubato dalle cucine, dell'ottimo sidro di spezie delle isole tropicali.-

A quelle parole Markann sollevò  lo sguardo trattenendo un lieve sussulto nell'udire l'improvviso intervento di Porsom ( aveva sperato che restasse anche lui in silenzio, almeno per un po'), e nel vedere la bottiglia di vetro verde tirata fuori dal rudimentale sacco di tela in cui aveva messo anche la dama, e l'espressione stupidamente gongolante dell'amico, solo allora permise a sé stesso di rilassarsi e ridacchiare divertito.

Fra un sorso e l'altro Porsom mise via la damiera insieme alle pedine, gli si era seduto di fianco stringendosi la borsa di tela, per poi isolarsi in un silenzio dubbioso e d'attesa in cui Markann si era chiesto cosa l'amico stesse progettando.

Dopo aver bevuto nuovamente Markann mise via la bottiglia, ora più calmo grazie all'alcool che cominciava, insieme agli arti, a rallentargli anche i pensieri, così senza tanto rifletterci batté delicatamente una volta prima con il pollice e poi per due volte con l'indice e l'anulare, sul polso di Porsom.

- Te lo sei ricordato?-

Markann smise e riprese la bottiglia per berne ancora un sorso, strizzando gli occhi si accorse che il cielo iniziava a tingersi di azzurro e la nebbiolina rosa e umida che portava con sé il primo freddo ( con quella avrebbe giustificato i suoi brividi ) iniziava a scendere sulla città.

Iniziarono ad accendersi le luci delle case e delle bancherelle, per le vie della città iniziò a circolare l'odore della carne allo spiedo e quello dolce delle Guz e delle polpettine di zucchero filato, la gente iniziava a uscire per le strade portando con sé la famiglia e i bambini vestiti di viola e azzurro, e una volta che l'alcool avesse iniziata a fare effetto e le pance sazie allora si potevano udire i primi scoppi insieme alla musica delle ballate malinconiche che narravano delle notti eterne del Nord.

- Ce lo siamo inventati lo scorso anno questa specie di linguaggio in codice, battere una volta con il pollice e due con l'indice e l'anulare vuol dire che si è ubriachi, è vero? Lo sei già?-

Ecco un argomento di conversazione che non fosse il gioco della dama con il rischio di scivolare su argomenti più personali di cui Markann non voleva parlare, e di quello sciocco gioco da ubriachi inventato lo scorso anno, sul momento, ricordava solo quel gesto che li aveva fatto ridere fino a rischiare di cadere dalle guglie della torre.

- Dovresti mangiare qualcosa, tieni ho portato un po' di Guz, lo scorso anno non l'abbiamo mangiato, non ricordo perché.-

Porsom tirò fuori dalla borsa due piatti sigillati insieme al cui interno vi  erano quattro fette di torta ancora calde di forno e morbide al tatto.

I due ragazzi seguirono con lo sguardo le scie di calore disperdersi nell'aria fresca e umida della sera, Markann ricordo' di aver pensato che sulla torre, dall'esterno, con quelle piccole nubi grigie leggere come fumo di sigarette si poteva pensare che qualcuno avesse acceso un piccolo fuoco.

Sperò solo che i soldati di guardia non se ne fossero accorti, ma poi si rese conto quanto quel pensiero fosse ridicolo, il calore del cibo caldo era come il respiro d'inverno ovvero delle nuvolette impalpabili e invisibili a occhio esterno.

Diamine, sono già così ubriaco da formulare questi pensieri assurdi?

E dire che il sidro delle isole tropicali era alcolico quanto una birra nera delle foreste, non così tanto da indurre dopo tre o quattro sorsi a uno stato di alterazione simile al bere un quarto di whisky a stomaco vuoto.

Mentre Porsom si risiedeva a mangiare la sua fetta di torta osservando, con i piedi a penzoloni ( dondolandoli come se non esistesse nemmeno il pericolo di poter cadere e rimetterci la vita ) la città che cominciava ad affollarsi sotto di lui, Markann gli passò la bottiglia di sidro.

Il figlio del re la prese, bevve un paio di sorsi e poi dopo aver finito in pochi bocconi di mangiare la torta emise la sentenza con aria indifferente, per lo più solo sorpresa ma nemmeno troppo:

- Perché al posto del sidro qui c'è del gin nero?-

Pazienza, anzi meglio, almeno non ho più quella strana angoscia né tachicardia e sopratutto non mi sento malinconico, direi che il gin è stato provvidenziale, meglio così.

Markann dopo aver formulato questo pensiero fu abbastanza brillo da prendere una fetta di torta dal piatto e mangiarla in fretta finendola in tre bocconi, senza neanche il tempo di assaporarla, volendo evitare di pensare alle mattinate di festa prima del calare del sole passate a preparare il Guz, solo lui e sua madre insieme mentre Borshin e il padre andavano a caccia di cinghiale bianco per cena ( non si trovava più da anni quella specie di cinghiale, si diceva fosse estinta )

- Sei ancora triste, che succede?-

Ormai il sole era calato e la nebbia rosata ormai si era posata sulla città di cui si intravedevano solo le guglie dei campanili, luci accese delle case e i fuochi accessi, e sopra, il cielo limpido e azzurro con striature di vola chiaro ma non furono gli unici ad accorgersene perché la folla scoppiò in un grido unico di gioia, insieme ai petardi che illuminarono il cielo di scoppi variopinti e colorati.

Markann non aveva risposto, troppo alticcio per cedere alla malinconia e anche al timore che quei lampi di luce gli suscitavano, gli pareva di essere molto distante e sopratutto leggero, distante dai ricordi del bambino incupito di dover stare a casa da solo con il fratello che si metteva le mani sulle orecchie e piangeva perché i botti "gli facevano male", in ricordo del giorno di tanti anni prima in cui dei banditi distrussero il suo villaggio e uccisero la sua famiglia con delle armi infernali che "facevano rumore e fuoco", e solo giocare con la dama riusciva a distrarlo da quei ricordi e prima di trasferirsi a Issergundu, le storie della loro madre come la leggenda principale di Lacaj.

Ora che era adulto suo fratello era riuscito a guarire da questo suo terrore, ma aveva smesso di passare le serate con i genitori, ormai quasi anziani e con un carico di lavoro minore di quando avevano undici anni,  preferendo le fidanzate e i compagni di caccia, eppure il pensiero non poté che correre all'immagine di quel ragazzino di undici anni che regrediva al bambino di sei anni sopravvissuto ai banditi, ma traumatizzato al punto di diventare muto per quasi un anno.

Fin dall'età di sette anni Borshin si era impuntato di seguire il padre  a caccia imparando a utilizzare armi per uccidere animali in un modo non molto dissimile da quello utilizzato per uccidere i suoi genitori nella distruzione del suo villaggio, ed era quasi un paradosso che le armi non lo spaventassero ma i petardi sì.

- Forse è un modo per affrontare i ricordi, magari riuscendo a maneggiare quelle stesse armi usate per uccidere può credere di averne il controllo, non solo su di esse ma anche sul passato.-

Markann sussulto', aveva parlato ad alta voce?

Effettivamente era una cosa che faceva spesso, senza rendersene conto, pensava così intensamente da ritrovarsi a buttare fuori con le voce quei pensieri che altrimenti avrebbero continuato a ronzargli in testa senza uscirne, come quando da piccolo sentiva continuamente dei rumori provenienti dalla soffitta e contravvenendo al divieto dei suoi genitori ci era salito trovando un minuscolo nido di vespe nell'angolo più remoto della soffitta proprio sotto il soffitto della sua camera da letto.

Lo aveva sentito per anni successivi, quel ronzio nella sua testa, e quando iniziava allo stesso tempo arrivava anche la Voce.

- Mi dispiace, non sapevo questa cosa su tuo fratello. Ora capisco perché lo scorso anno sei andato a dormire prima dei petardi, e sopratutto perché hai messo il gin al posto del sidro.-

Markann ridacchiò bevendone un altro sorso, il gin nero aveva la stessa consistenza e colore del sidro tropicale, a prima vista nessuno si sarebbe accorto della differenza.

Da lucido avrebbe negato e inventato qualche scusa, forse si sarebbe anche arrabbiato per quelle insinuazione, ma era troppo brillo e con altri pensieri per occuparsene, addirittura si sentì in colpa per aver fatto ubriacare anche l'amico.

No, non ti senti affatto in colpa.

- Ora però basta bere, sei abbastanza ubriaco, puoi andare a dormire anzi lo farò pure io mi sa, comincio a vedere le cose sdoppiate.-

Porsom gli tirò via la bottiglietta verde, la osservò e facendo spallucce bevve ancora un sorso anche se cominciava ad avere difficoltà a portarsela alle labbra e dovendo per cioè dedicare a un azione così semplici dei necessari secondi in più.

- Possiamo dormire qui, c'è è una bella vista, e domani non hai impegni, la tua fidanzata è dai suoi genitori, il re e la regina invece sono ad accompagnare tua madredai suoi parenti in montagna e io all'accademia posso tornare fra due giorni .-

Markann si sdraiò sul pavimento della torre avvertendo la pietra umida e appuntita a premergli sulla schiena e inumidire la camicia di lino indossata per l'occasione.

L'amico non fece domande, era solo preoccupato che le guardie reali notando la sua assenza si mettessero a cercarli, Parsa si sarebbe sicuramente preoccupata o forse no, probabilmente era a festeggiare il Lacaj e guardare i fuochi nella sua camera da letto riccamente arrivata e riscaldata da vero sidro oltre che dalle braccia di Ashan, il nuovo cuoco reale con cui aveva una relazione da alcuni mesi.

- Se hai freddo credo che nella tua borsa ci siano delle coperte, prova a controllare.-

E effettivamente il giovane principe tirò fuori due coperte di lana leggera, sorpreso ma non del tutto.

-È la notte di fine estate, è ovvio che cominci a far freddo, dormire senza coprirsi sarebbe un suicidio. Lo scorso anno anche se siamo rientrati nel castello prima dei fuochi ti sei svegliato il giorno dopo con la febbre, ricordi?-

Porsom mentre ascoltava le motivazioni di Markann si avvolse nella coperta sdraiandosi a sua volta, Markann lo vide intento a osservare il cielo, impensierirsi, e i suoi bei occhi verdi assumere il colore del muschio invernale nel sottobosco delle foreste fuori Issergundu.

- Scommetto che con te hai anche le radici di Ika, giusto?-

Markann esitò prima di rispondere, chiedendosi se l'amico non se la fosse presa per quello "scambio" e temendo di aver superato il limite.

- Ne ho sempre con me un paio, lo sai... perché? Che succede?-

Coprendosi bene con la coperta tirata fino al mento Porsom si avvicinò all'amico, con cautela e cercando di non far sembrare i suoi movimenti affrettati o ansiosi.

- Ti avevo solo chiesto di tenermi la borsa per poche ore mentre convincevo mio padre a non farmi pedinare dalle sue guardie del corpo durante la sta assenza, il tutto cercando di rubare le fette di torte  eludendo la sorveglianza del fidanzatino di Parsa, e tu nel mentre hai scambiato il sidro con del gin e messo delle coperte infeltrite, fammi capire, volevi stordirmi abbastanza da convincermi a dormire qui con te? Sai che bastava chiedere invece di architettare tutto sto piano complicato e inutilmente dispendioso?-

Markann avvertì l'istinto tipico delle classi di basso lignaggio di ritirarsi indietro e abbassare gli occhi mostrando rispetto, ma no ormai conosceva Porsom da un anno abbondante abbastanza da impare come il giovane principe non fosse molto diverso da quei giovani mendicanti cenciosi che si vedevano nelle ultime cerchie della città, tutti duri e assassini a parole, ma poi bastava un calcio e fare la voce grossa per farli ritornare nei buchi pieni di immondizia da cui erano saltati fuori, e con i giovani ricchi non era molto diverso.

Ma con loro, a differenza di quei mendicanti, serviva qualcosa di più sottile e subdolo che minacciarli banalmente di uccisione, furto, debiti non pagati o rivelare chissà che sordidi e bassi segreti, lì bastava fare leva su una cosa molto più semplice.

Così gli si avvicinò a sua volta giocherellando con un pezzo di radice di Ika, e per un attimo si chiese se fosse ( sicuramente ) l'alcool a parlare o meglio formulare pensieri simili, ma non importava, non avrebbe permesso nemmeno al figlio di un re di mancargli di rispetto né di fare insinuazioni ma in quel caso ( perché era Porsom o perché viveva ormai alla corte reale da un anno? ).

Ma cosa diamine gli era venuto in mente?

No no, al momento serviva calmarsi un po' e non farsi prendere dell'indignazione e l'istinto di rispondere a male parole o peggio.

È pur sempre mio amico dopotutto, non si merita la mia cattiveria che si manifesta soprattutto con da ubriaco.
Cosa stavo pensando di fare?

- Non so se in caso contrario saresti venuto quassù, lo scorso anno ho dovuto convincerti parecchio, come ho dovuto convincerti che volessi andare via per l'ubriachezza o la mia scarsa sopportazione dei botti di fine estate, no avresti fatto storie e forse ora saremmo a giocare a dama nei sotterranei delle cucine con la puzza di fritto che resterà per giorno interi lì sotto a soffocare e poi pentirci di essere scesi solo perché tu hai paura di incontrare la tua promessa sposa, perché altrimenti dovresti spiegarle una volta per tutte perché eviti di passare anche solo qualche minuto in sua compagnia.-

Porsom tentò ad alzarsi ma non ci riuscì a causa della nausea datogli dal gin, preferendo stare seduto a fissare le pietre di cui era composto il pavimento, con un espressione persa nel vuoto.

- Sai, non te l'ho mai detto ma da quando sei arrivato qui che Parsa sostiene che tu sei un impostore che mi rovinerà definitivamente la vita, che sei entrato a corte solo per manipolarmi, e che la tua amicizia è una farsa. Lo dice fin da quando ti ha incontrato nel corridoio la prima a sera che sei venuto qui a cena, Parsa sostiene che sono le carte ad averglielo detto, sua madre era una zingara che leggeva i tarocchi, lo sapevi?-

Markann osservò il cielo pensando chissà perché ai figli gemelli del principe elfico e la principessa delle terri dell'Estate, a quei bambini nati con gli occhi viola come il tramonto e dell l'alba di cui avevamo preso il nome e dai capelli azzurri come la pietra in cui la loro madre era stata imprigionata ( di sua volontà) lo stesso colore del cielo nel momento in cui lo stavano guardando, mancava però da capire il perché della nebbia rosata.

- Ma perché la nebbia è rosa? Va bene il cielo azzurro e viola, ma perché la nebbia rosa?-

Il giovane medico si accorse di star nuovamente divagando, così riprese da dove aveva interrotto il discorso, il cattivo umore alimentato dall'ubriachezza e dalla luce che cominciava a dargli seriamente fastidio.

- Non so che ti abbia detto Parsa so solo che quella ragazza è gelosa di te, e ora che non è più la tua unica migliore amica e confidente, si sente messa da parte...fanno così le donne, fidati di me, anzi di solito fanno di peggio per essere al centro dell'attenzione. Meglio che tu non sappia che voci la tua fidanzata ha messo in giro.-

Il figlio del re si sdraio di nuovo, stufo di tutte quelle chiacchiere, insinuazioni e accuse, salvo poi pentirai di essersi fatto scappare quella confidenza su Parsa ( non era del tutto colpa sua, era stato provocato, che diritto aveva Markann di fare quelle insinuazioni sulla sua fidanzata e sul loro rapporto ).

Così decise semplicemente di lasciar perdere, era stanco e ubriaco, probabilmente il giorno dopo se ne sarebbe già dimenticato, e anche se sapeva che in realtà era sbagliato, cominciava a sentirsi male per tutti quei discorsi ( di nuovo, colpa del gin ).

- Senti, io dormo, mi sono stufato di questi discordi da ubriachi. Dovresti dormire anche tu magari smaltisci il gin prima di me e ti calmi.-

Borbottò il figlio del re girandosi dall'altra parte, definitivamente stufo e di mal umore, quella serata era iniziata così bene e senza  problemi...

- Sì bravo, fa' finta di niente, evita i discorsi, perché è quello in cui siete bravi voi reali, evitare gli argomenti pensando che tutto si risolva con il denaro e la vostra ipocrita diplomazia.-

Aveva a sua volta ribadito, con cattiveria e intenzione di ferire, Markann, per poi tirarsi la coperta fin sopra la testa per evitare la bianca luce accecante della luna, era inutile mettersi anche un braccio sopra gli occhi, con la coperta addosso andava un po' meglio, non poteva nemmeno girarsi di lato altrimenti sarebbe tornata la nausea, e non aveva nessuna voglia di vomitare ( forse perché Porsom era lì presente? Che figura ci avrebbe fatto?).

Un paio di ore più tardi, difficile capire esattamente in quale momento della giornata fossero, se tarda mattinata o peggio ora di pranzo, con quel cielo azzurro/violetto e quella luce bianca indefinibile a sfumare e addolcire ogni cosa, anche le ombre delle case e persone erano impercettibili, delle sagome grigiastre e informe, sparire, quasi, nel bianco di quei tre giorni immobili e eterni.

- Markann?-

Per sua sfortuna l'amico era sveglio da quando si era girato dalla parte opposta ( come diamine aveva fatto a non rimettere al primo movimento, con tutto quel gin in corpo? ) impossibile dormire con quella luce e quel cielo, anche con una coperta tirata sopra la testa e una tale quantità di alcool in corpo da stendere anche il più forte della guardia reale per giorni interi.

Non rispose preferendo fare finta di dormire e non muovendosi nemmeno quando avvertì dei passi - i suoi - avvicinarsi e e d'improvviso dovette strizzare gli occhi dal fastidio, della luce era entrata perché Porsom aveva alzato la sua coperta per infilarcisi sotto.

-  Fammi posto, qui c'è troppa luce, rimpiango lo scorso anno quando non eravamo così ubriachi da riuscire ad alzarci e rientrare.-

Markann, che dovette trattenere l'istinto di allontanarlo a calci, restò immobile ad aspettare che l'altro smettesse di muoversi e sistemare la propria coperta sopra la prima, solo allora si concessi di togliere il braccio dal viso e aprire gli occhi ritrovandosi in una piacevole penombra marrone.

Chissà perché gli vennero in mente i fortini di lenzuola che lui e Borshin costruivano sul pavimento della camera che condividevano da piccoli, quell'ammasso di coperte ammucchiate tirate fuori dall'armadio che faceva sempre arrabbiare la loro madre costringendoli a rimetterle al loro posto non prima di averle ripulire dalla polvere che riempiva costantemente il loro pavimento di terra battuta e fangosa della loro piccola casa nella capitale.

- Sai nemmeno a me piace la storia del principe e della principessa dei due regni in guerra fra loro, insomma, il loro amore è una menzogna, si sono sposati solo perché erano rimasti soli, il principe elfico perché aveva perso la sua famiglia e lei solo perché l'aveva previsto in una visione sacrificando la sua vita e il suo regno, per essa. È stata un unione senza alternative la loro, e il loro matrimonio sarà stato molto triste, senza vero affetto a legarli, se non i figli e la corona.-

Markann intuì che stava parlando del suo imminente matrimonio con la Principessa Evana, la cui unione aveva rimandato per anni, e ora a cinque anni dal fidanzamento e a due dal raggiungimento della maggiore età di Porsom, i genitori di lei avevano imposto come ultimatum ancora un anno di fidanzamento, non di più, altrimenti le terre dell'Est di Aghana che la principessa portava con sé in dote più le terre delle vali delle montagne acquisite dal suo precedente matrimonio, sarebbero andate ad altri pretendenti ben felici di accelerare il fidanzamento, che normalmente durava sei mesi, sposandosela subito pur di ottenere tutte quelle ricchezze.

Purtroppo non aveva mai avuto facoltà di scelta, quella donna più vecchia di lui di dieci anni gli era stata promessa dai genitori  fidanzandosi quando di anni lui ne aveva solo quindici e lei era una vedova di venticinque anni con un figlio di sette avuto dal precedente marito, un valoroso nobile, morto nella prima guerra contro i ribelli elfici.

E in quei cinque anni lei ci aveva provato, ad essere di più che la fidanzata promessa dai genitori che lo costringevano a incontrarla per formali cene e ricevimento, con tanto di balli organizzati per rinforzare la loro unione ( in verità quella delle due famiglie e i rispettivi regni) prima cercando di costruire un rapporto di amicizia e poi provando a sedurlo, ma dopo aver notato come il ragazzo fosse riluttante al secondo punto e accettasse di buon grado solo il primo, aveva iniziato a mettere in giro le voci che a detta di Markann continuavano a circolare ancora a castello.

- E chi è che vorresti sposare, Parsa? Seriamente?-

Markann si ostinava a tenere con gli occhi chiusi, li apri solo per porgere quella domanda travestita da commento sarcastico e prima di richiuderli,con la coda nell'occhio vide Porsom che tamburellava con le dita su di essa facendola dondolare lievemente, fissandola con occhi umidi e rossi.

Udì ridere l'amico e avvertì uno spostamento, le coperte che si aprivano lasciando entrare raggi di luce bianca e sprazzi di cielo Porsom si era girato verso di lui e poi aveva risistemato le coperte coprendo la luce e gli spicchi d'azzurro violaceo della miza ( così la chiamavano quelle tre notti e giorni uguali a sé stesse in cui il sole non tramontava né sorgeva lasciando la luna a farne le proprie veci ).

- Cosa? No, Parsa la conosco da quando avevamo entrambi dieci anni, è come una sorella per me, non potrei male. È solo che non voglio sposarmi, non al momento. Prima vorrei diventare re e imparare a governare da solo, come mio padre, una moglie sarebbe solo che una distrazione, solo dopo che avrò imparato a difendere e guidare Issergundu allora deciderò con chi e se sposarmi.-

Markann sospirò piano, ma in realtà avrebbe voluto emettere una risata amara, ridere della sua ingenuità sognatrice. Perfino lui sapeva che fra i reali non esistevano matrimoni d'amore e soprattutto che finché il re e la regina sarebbero stati in vita, lui sarebbe stato solo una facciata e subordinato ai loro voleri e così anche il consiglio reale.

- Ora dormi e continua a sognare, forse un giorno comprenderai la realtà. Non è con questi pensieri che si impara a governare un regno.-

Dopo qualche secondo di silenzio in cui Markann sperò vivamente di averlo convinto a a dormire ( e sopratutto smettere di parlare ) che era stufo e stanco e già presagiva l'arrivo dei postumi del giorno dopo ( con tutto quel gin non ci sarebbero bastare nemmeno dieci radici di Ika a smaltirli ) lo senti girarsi di nuovo, borbottare parole sconnesse ( forse nemmeno aveva sentito l'ultima cosa che aveva detto e un po' lo sperò perché lui stesso si sentiva in colpa per quelle parole - di nuovo, colpa del gin ).

- Dai Porsom, dormi e smettila di muoverti.-

Un altro borbottio, quasi un minuti di silenzio per poi avvertire due dita - fredde- picchiettargli la fronte, voleva proprio infastidirlo, allora...

- E piantala! Voglio dormire!-

Ed era pure divertito, Porsom, sorrideva allegramente ( era un sorriso ubriaco, altroché ) e canticchiava parole sconnesse nella sua lingua, pareva una filastrocca.

-Ábcd, ech e - eta va, s- eta va, ech d-as - í. -

Mentre canticchiava continuava a battere ritmicamente, con una cadenza definitiva quasi precisa, il medio e sulla sua fronte, Markann cercò di scacciarlo via e quello rideva a ogni tentativo.

- Àbcd, quattro colpi e poi un'ultimo con il medio, era un metodo del villaggio di mia madre, diceva che serviva a scacciare via il mal di testa, al suo villaggio funzionava anche con gli uomini che bevevano troppo, diceva che così facendo il giorno dopo si svegliano senza i postumi. La filastrocca non me l'ha mai tradotta dice che altrimenti non funziona, ma secondo me nemmeno lei sa cosa significano le parole.-

Si è decisamente andato, mi sta perfino toccando i capelli, ora basta, mi alzo e me ne vado.

- Non ti muovere, non funziona solo se reciti la filastrocca e batti sulla fronte, bisogna innanzitutto stare fermi...-

Non lo infastidivano quelle parole senza senso né il battere le dita sulla sua fronte ( che invece di scacciare il mal di testa lo faceva arrivare ), ma il fatto che gli fosse troppo vicino, gli dava fastidio il suo gomito sul petto, l'altro mano che gli spettinava i capelli da un lato, e sopratutto il suo alito puzzolente di gin direttamente sulla faccia, fra poco gli sarebbe tornata la nausea sicuramente.

-Per funzionare devi anche strapparmi i capelli?-

Porsom allora smise, ritirò la mano dalla sua fronte e smise di toccargli i capelli ritraendosi quel tanto da permettere a Markann di voltare la testa verso di lui.

- Mia madre mi massaggiava spesso la testa da piccolo, il lato destro per invocare il sonno quando non riesci a dormire, quello sinistro invece per scacciare i brutti pensieri.-

Markann restò qualche secondo a fissare il volto dell'amico stranamente rilassato e così vicino al suo da riuscire a contare le pagliuzze ambrate negli occhi verdi ancora leggermente arrossati e le lievi macchie ai lati della guancia simili a lentiggini, il tutto non sapendo come contrastare quelle informazioni per lui totalmente assurde.

Eppure nonostante l'insensatezza di tutto ciò totalmente estraneo alla medicina razionale che Markann era abituato a maneggiare giornalmente per mestiere, quello strano toccargli i capelli insieme al tamburello sulla fronte qualcosa doveva avergli fatto perché si sentiva effettivamente più calmo, le membra più rilassate e leggermente intorpidite, accorgendosi oltretutto di non essere più innervosito e propenso a sparare cattiverie ( si sentiva anche la testa stranamente vuota, e non era una sensazione del tutto malvagia ).

Poi fece qualcosa che l'indomani attribuì al gin ( tutto su quella strana uscita l'avrebbe attribuita all'alcool ) avvicinò una mano ai capelli ricci dell'amico, quelli che gli cadevano umidi sulla guancia destra, e iniziò a tirarli come lui aveva fatto con i suoi.

- Ecco fatto, lato destro, magari così ti addormenti prima tu e la pianti di infastidirmi.-

Porsom si mise a ridere non riuscendo a smettere, e di riflesso anche Markann venne preso dalla ridarella puzzolente di gin dell'amico, che cercava di dire qualcosa ma riusciva solo a scuotere la testa e asciugarsi gli occhi.

Dopo un po' entrambi smisero e Porsom, con voce un po' affaticata chiari' il reale utilizzo di quel rituale ribadendo che quello era tirare i capelli e anche in modo fastidioso, mica un reale massaggio alla testa.

- In realtà è il contrario, prima il lato sinistro, per scacciare i brutti pensieri e poi quello destro per invocare un sonno sereno e senza pensieri negativi che possono generare incubi che, secondo il popolo di mia madre, altro non sono che visioni malvagie evocate dagli spiriti di Semal, la controparte crudele e cattiva del Dio dei sogni.-

Markann allora afferrò una ciocca dal lato sinistro del suo viso e la tirò sorridendo, ora divertito e preso da quelle che credeva solo superstizioni, ma anche se non l'avrebbe mai ammesso ne era rimasto incuriosito e affascinato.

- Ora ti addormenterai e sognerai una bella principessa di cui ti innamorerai a prima vista al ballo di Inverno, e con lei  avrai tanti mocciosi urlanti a cui tramandare le storie di tua madre.-

Porsom si incupì, prese la mano di Markann che gli stringeva la ciocca e delicatamente se l'allontano' dal viso, ora non voleva più stare a quel gioco che lui stesso aveva iniziato.

- Ti sei dimenticato o no che sono fidanzato? E se mi dovessi mai ignorare di questa...ipotetica fanciulla dovrei lo stesso rinunciarvi, non sono il tipo di uomo che tradisce la propria sposa con servette o nobili annoiate ai ricevimenti per poi generare bastardi abbandonati a sé stessi. Hai ragione non esiste vero amore nel mondo dei reali, solo matrimoni di convenienza e amore di amanti dimostrato a peso d'oro. -

Mio padre ne sa qualcosa. E io non diventerò mai come lui.

Markann sbuffò tirandosi su troppo in fretta per poi riabbassarsi altrettanto in fretta a causa dell'arrivo di una prepotente nausea, per non parlare di quando si era alzato leggermente ma abbastanza da far entrare uno spirale di luce bianca e intravedere il cielo, affrettandosi a chiudere lo spiraglio, così si rimise su un fianco e chiuse gli occhi respirano lentamente, dove diamine aveva messo la radice? Ne aveva assolutamente bisogno...

- Tieni eccoti un pezzo di radice, ti era caduta.-

Markann trovò un pezzettino nelle tasche che ingoiò senza quasi masticarla, rischiando di soffocare.

Molto meglio...

- Scusa amico, io non volevo fare chissà che insinuazioni solo...oh lascia perdere, mettiamoci a dormire che è meglio.-

Porsom annuì lentamente, lo sguardo vitreo e assente, forse per i ricordi, oppure il sonno e l'alcool, ma prima di rimettersi supino osservò Markann già in posizione per chiudere e gli occhi e verificare se le superstizioni di Porsom fossero reali o meno.

No non vuoi dormire, vuoi continuare a parlare ed è meglio che ti sbrighi, hai cominciato e ora concludi prima che tutta questa conversazione finisca perduta nei mondi del sogno.

Ma per fortuna Markann riprese la parola, colto d'improvviso da un dubbio o forse una perplessità, insomma qualcosa rimasto da qualche parte insoluto, o forse era solo una curiosità insolente da ubriachi volgari.

- Ma quindi qui a castello non ti piace davvero nessuna? Anche solo per divertiti intanto che aspetti di sposarti  che prima di scambiarsi le promesse mica è peccato divertirsi un po'... Sai tempo fa è arrivata una nuova domestica, Ima mi pare si chiami, davvero niente male se non l'hai mai incontrata te la faccio conoscere volentieri.-

Porsom si girò dall'altra parte pentendosi immediatamente di aver formulato quel pensiero, forse se fosse stato zitto...ma arrivato a questo punto ormai non poteva esimersi dal rispondere a domande simili, quindi decise di scegliere la strada della sincerità, e ringraziando dentro di sé lo scambio di alcolici che avrebbe permesso una amnesia confusa non verificabile il giorno seguente, rispose ormai fregandosene delle conseguenze delle proprie parole.

- No grazie, l'ho già vista, Ima, è la moretta riccia, bassina, che flirta sempre con il capo delle guardie, giusto? Non è il mio tipo, è il tuo-

Markann si voltò verso di lui o meglio verso le sua schiena, perplesso e anche infastidito o meglio insospettito, di tale vaghezza su un simile e apparentemente banale argomento.

- Insomma, Parsa no, Evana no, nemmeno la piccola Ima, ci dev'essere qualcuna, una ragazza della città, di una delle cerchie, per caso? E io comunque Ima mica me la voglio sposare, anzi io sì che non mi sposerò mai probabilmente, tanto meno qui a corte, dove la trovo una signorina interessata al figlio di una levatrice che è entrato in una prestigiosa scuola di accademia solo grazie a una borsa di studio?-

Porsom restò fermo sulla sua posizione, no non avrebbe inventato una fantomatica servetta, pescivendola o solo una qualche misteriosa straniera delle terre orientali, non più, quella era una cosa che faceva da prima del suo fidanzamento con Evana, uno degli aspetti positivi di esso era appunto il cessare con le domande impertinenti e maliziose, o almeno così aveva sperato, fino a quel momento.

- Ti ho già detto che i miei interessi sono orientato al governo del regno e al prepararmi per l'incoronazione, non a trovarmi amanti intercambiabili solo per mio esclusivo divertimento. E comunque è un peccato che tu non ti voglia sposare, una delle cose positive di essere di umili origini è che i vostri matrimoni sono più liberi e legati più ai sentimenti e meno a transazioni politiche e finanziarie.-

Markann borbottò qualcosa che poteva essere interpretato come un "non conosci affatto la vita nelle cerchie, è vero i miei si sono sposati per amore, e fidati sono rari i casi simili" poi sentì ribadire di nuovo a Porsom che era davvero un peccato che non si volesse sposare

Poi sospirò, chiuse gli occhi e si fece sfuggire qualcosa che spero' Markann non avesse udito, cosa che disgraziatamente era riuscita a cogliere, ma aveva evitato di commentare.

Il medico avrebbe voluto ribattere, insistere, conscio che probabilmente non avrebbe ottenuto risposto quella serata e che forzare risposte era inutile, si era un po' ripreso grazie alla radice, eppure si ritrovò a desiderare un altro sorso di gin, per ritrovare lo stordimento necessario a non provare, ora che aveva acquisito anche se solo un minimo di principio di lucidità, quello strano disagio e imbarazzo m nel ritrovarsi sotto a una coperta ( terribilmente ridicolo e infantile, solo da completamente ubriaco qual'era appena pochi minuti prima poteva apprezzare quel raccoglimento ovattato e artefatto che erano riusciti a ricreare con delle coperte di lana) e a una tale vicinanza  con un coetaneo anche se era il suo migliore amico, oltre che il figlio del re.

Imbarazzo misto a disagio che si amplificò quando Porsom, per assicurarsi che dormisse si voltò nuovamente verso di lui ( stando, in modo quasi imbarazzante, attento a non far entrare nemmeno un raggio di luna o dell'azzurro del cielo, insomma evitando qualsiasi elemento di realtà esterna che contaminasse quella sorta di bolla inscalfibile che si erano creati ) e come in precedenza mentre gli toccava i capelli, standogli praticamente addosso.

- Credo che la radice di Ika abbia funzionato fin troppo bene, mi ha fatto passare il sonno ma non ho nessuna voglia di alzarmi di qui, mi passeresti la bottiglia di gin?-

Borbottò evitando di fissarlo in viso, fin troppo vicino per il suo metro di ritrovata ( o almeno parziale ) lucidità , se voleva rimanere lì fino all'indomani in quell'assurda situazione ( ora che era di nuovo abbastanza lucido e fermo sulle gambe perché non si alzava, e rientrava a palazzo, perché non proponeva all'amico di andare a dormire nelle rispettive camere, cosa lo tratteneva che non aveva più la scusa della nausea - forse solo la stanchezza ma non era una scusa sufficiente ) aveva bisogno di un aiutino stordente.

- Non hai bisogno di altro gin.-

Aveva riso Porsom, ora razionalmente Markann riusciva a intravedere, nella penombra quanto l'amico fosse stanco e sfinito anch'egli, tutto quel parlare, tutto quel bere, come avevano fatto a resistere fino a quel punto senza svenire per tutto quel gin, rimettere o peggio prendersi a male parole arrivando alle mani?

Markann decise definitivamente di non insistere, non era vero aveva sonno eccome e la lucidità sparì nel momento stesso in cui chiuse gli occhi, sentiva Porsom parlare dirgli qualcosa ma non distingueva le parole o forse stava cantando nella sua lingua non riusciva a capirlo ormai avviluppato nuovamente dalla stanchezza alcolica e quella terribile luce che impediva il sopraggiungere del sonno, la stupida leggenda che sentiva da vent'anni e trovava ripetitivamente insopportabile e gli odiosi botti a ricordagli che suo fratello era da qualche parte là fuori a sparare e uccidere selvaggina come in una perversa unione fra bestie e strumenti mortalmente selvatici pur di addomesticare dei ricordi da cui era impossibile nascondersi, neanche ranicchiandosi in fortini di coperte, ma le vespe, il rumore sordo e costante delle voci nella testa, e fuori, li avrebbero comunque trovati ovunque si nascondessero.

- L'hai fatto di nuovo.-

Markann riapri gli occhi' si sentiva la bocca secca, le palpebre pesanti, qualcosa di indefinibile gli provocò un sussulto, e le parole di Porsom arrivarono ovattate.

Sentiva la lana della coperta pungergli il volto e il tessuto dargli la sensazione di soffocare, scostò le coperte strizzando gli occhi alla luce bianca della luna, a malapena si ricordava perché il cielo avesse assunto quel colore azzurro violetto invece del solito rosso d'estate.

Cercò di tirarsi su a fatica, si girò e vide Porsom osservarlo con una espressione preoccupata.

Non notò come anche lui avesse gli occhi arrossati e scure occhiaie, né il modo in cui si stringeva a sé la coperta, rabbrividendo.

Mentre riacquisiva lucidità ricordo' effettivamente che, forse si era addormentato ( e Porsom gli diede conferma di ciò facendolo sentire, chissà perché, in colpa ).

- Ti era addormentato e parlavi nel sonno, non capisco se eri sveglio o dormivi, mi sembravi agitato e così...-

Si strinse la coperta addosso e facendosi forza si alzò, rabbrividendo.

Non rispose a Porsom, gli si avvicinò solo per aiutarlo ad alzarsi a sua volta, finse di non aver sentito le sue ultime parole.

Markann borbottò qualcosa sul fatto che era davvero il caso di andarsene nelle rispettive camere a farsi una dormire su un letto vero e fra lenzuola pulite e non infeltrite.

Porsom parve capire il suo stato d'animo e il suo smarrimento perché lo assecondo', raccolse la borsa di tela con i resti della Guz e la bottiglia di gin/sidro al suo interno, e così, con le coperte strette addosso, spettinati e sgualciti, il passo incerto, spaesati come due sopravvissuti scampati miracolosamente all'aggressione o assalto di banditi ( chi erano i banditi di quella storia? Il gin poteva definirsi colpevole o la scappatoia per sfuggire all'imboscata?), rientrarono e in silenzio e barcollando leggermente si diressero verso le rispettive camere.

Per fortuna il corridoio era deserto, le guardie così come gli altri soldati e nobili erano nel cortile o nella sala grande a festeggiare da ore ( non udivano rumori, né risa né altri segni di festeggiamento, forse erano quasi tutti affari a dormire o svenuti da qualche parte ), lentamente e con difficoltà ( a riconoscere quasi l'ambiente intorno a loro ) si diressero verso la camera di Porsom.

Il ragazzo ci entrò e Markann, di riflesso lo seguì troppo stanco per ricordarsi dove fosse la sua camera o solo cercarla, e di certo non voleva finire con l'addormrntarsi in mezzo al corridoio, vinto dal sonno.

Markann ebbe però l'asennatezza di dirigersi verso uno dei tre divani accanto al letto matrimoniale del figlio del re ( un enorme letto a due piazze in cui avrebbero potuto starci in cinque senza mai sfiorarsi per sbaglio ) ma prefereri' andare sul sicuro scegliendo il divano in cui a malapena ci stavano due persone.

Sentì Porsom borbottare un biascicato buonanotte, e poi più nulla, sicuramente era crollato immediatamente.

E così provo' a fare Markann, ma c'era qualcosa che gli ronzava in testa e non gli dava pace, quella frase che aveva udito ( e sapeva non avrebbe dovuto udire ) dopo che Porsom aveva commentato il suo dispiacere che lui non volesse sposarsi e che probabilmente nessuna lo avrebbe fatto dato la sua estrazione che non era ricca ma nemmeno di classe media:

Se mi fosse possibile romperei il fidanzamento e ti sposerei io subito,  anche domani

Non era neanche sicuro di averla udita, forse era solo l'alcool, o forse i suoi pensieri che prendevano vita e gli cercano allucinazioni uditive ( quando non parlava da solo o intervenivano la Voce o le vespe ).

Prima di addormentarsi giunse alla conclusione.

Era stato il gin, a parlare. Di questa serata ogni parola e azione sono scaturiti dall'alcool.

Decisamente, il gin.

____

Non so nemmeno io perché questa storia ha imboccato sta direzione che mi ricorda troppo quegli imbarazzanti young adult della mia adolescenza e storie d'amore poco sane e tanto tossiche, e io in sta storia non volevo nemmeno metterci una dell'ammmore.

Sarà che Markann che non doveva essere il protagonista ma un personaggio secondario una sorta di trickster che aiuta i personaggi facendogli da guida ma meglio guardarsene le spalle, io non so come è diventato il protagonista e una sorta di mio "alter ego" letterario, e insieme a Porsom sono diventati il ricettacolo delle mie sfighe e esperienze reali o vicino a me d'amore, io davvero non lo so.

So solo che pure questo è un capitolo "filler" e non so come far andare avanti la storia con gli altri personaggi dell'Armata Brancaleone ( no non è vero lo so negli altri non ci ho messo così tanta emotività e introspezione come in Markann che ormai lo ritengo direttamente collegato ai miei sbalzi emotivi quindi se emotivamente non sto bene state sicuri che avrò scritto qualcosa con lui protagonista ).

E niente riassunto di questo capitolo: se ve dovete dichiarare o comunque far capire qualcosina al vostro amico che emotivamente non capisce una ceppa evitate di ubriacarvi perché in vino veritas fino a un certo punto.

Riferimenti: Lacaj è una parola friulana ( lacai) che significa lumaca, e per la forma del Guz ho preso ispirazione da un tipico dolce friulano, la Gubana.

Per la storia potrei avere preso ispirazioni da vari miti e leggende che ora nemmeno ricordo ( p.s per la figura accennata del golem ho preso ispirazione dal film  omonimo del 1915 di Galeen Paul Wegener ), e per il fenomeno atmosferico ho avuoto l'ispirazione dalle notti estive dell'Islanda ( in cui il sole tramonta solo tre ore al giorno ).

Quando ho accennato alla carne che si mangia in quei giorni ho scritto cinghiale, bianco in riferimento alla canzone di Battiato.

E niente, in questo capitolo non succede niente ma succede tutto ( dipende da come la si legge).

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