Capitolo 2
- 4 anni, 8 mesi e 6 giorni
Affilati raggi di Sole filtravano tra le silenziose fronde della pineta, dorando a piccole chiazze il tappeto di aghi di pino sottostante.
Ogni suono giungeva ovattato, l'unico che riusciva a penetrare quella barriera di vegetazione era lo scroscio delle onde del mare, le quali a solo poche decine di metri di distanza accarezzavano gli scogli della baia.
Una mano si protese verso l'alto, come nel tentativo di agguantare uno di quei sottili fili di luce.
Quindi se ne sollevò una seconda la quale, dopo aver dato pigramente un cinque all'altra, anziché ritrarsi, rimase lì, sospesa a mezz'aria, mentre le sue dita si intrecciavano a quelle della prima.
Sussurri e risate sommesse infrangevano di tanto in tanto la quiete, caricando l'aria di elettricità.
Il mondo al di fuori di quella loro piccola isola di pace sembrava infinitamente lontano, irraggiungibile. Un mondo fatto di responsabilità, ansie e dubbi era un mondo che, nella quiete della pineta, appariva così incomprensibile da dover essere sicuramente frutto della loro immaginazione.
Labbra che si inarcavano verso l'alto a formare due timide mezze Lune, due mignoli stretti e due parole sussurrate alla brezza estiva.
Ancora oggi a volte quel placido vento torna a scuotere le fronde dei pini e a creare morbidi solchi sulla sabbia di quella baia. La brezza torna e porta con sé l'eco di quelle due parole, le sussurra agli aghi di pino e ai raggi del Sole, ma nessuno di loro è più in grado di comprenderle.
Perché nel momento in cui Peter e Wendy sono andati via, nell'Isola Che Non C'è hanno smesso di avere senso le parole "per sempre".
Le mie nocche picchiettavano ripetutamente contro la superficie lignea della porta.
Dalla camera da letto di mio padre nessuna risposta. Niente di strano, quando dorme dopo aver fatto il turno di notte, neanche una cannonata riuscirebbe a svegliarlo prima che siano come minimo le undici.
Ho annunciato a gran voce la mia partenza imminente, ma ancora una volta non ho attenuto alcuna reazione. Pazienza.
Probabilmente neanche si ricordava che oggi sarei partito con la scuola per una gita alla quale, tra l'altro, era stato proprio lui a costringermi a partecipare.
Sono tornato in camera decidendo che più tardi gli avrei mandato un messaggio per avvertirlo, giusto per sicurezza.
Ho agguantato al volo lo zaino, il mio unico bagaglio. Avendolo preparato in fretta e furia la sera scorsa, giusto un attimo prima di andare a letto, mi sarei dovuto accertare di averci messo dentro tutto l'occorrente, ma essendo già in ritardo ho deciso di lasciar perdere. D'altronde, se anche avessi dimenticato qualcosa, si trattava solo di quattro giorni fuori casa, quindi che importanza poteva avere?
Fortunatamente la stazione si trova a solo mezzo chilometro da casa, così sono arrivato in tempo per unirmi alla mia classe, riunitasi all'ingresso insieme all'altra con la quale avremmo trascorso la gita. Mi sono confuso tra la folla e ho risposto "presente" all'appello come se fossi lì in piedi ad aspettare da ore. Avere il cognome che inizia per V ha i suoi vantaggi.
Solo dieci minuti dopo, quando sono arrivati anche gli ultimi ritardatari, abbiamo preso d'assalto il treno, o meglio, i miei compagni di classe l'hanno preso d'assalto. Io, infatti, ho preferito tenermi fuori dalla maratona in cui tutti si sono lanciati per accaparrarsi i posti migliori, a dispetto degli strepitii quasi isterici della prof Barbieri.
Tra la mia classe e la sezione A abbiamo occupato giusto giusto un vagone intero, purtroppo però io, essendomela presa con comodo, al mio arrivo mi sono ritrovato davanti una scelta davvero misera. C'erano due posti liberi proprio all'ingresso, ma immaginando che si trattasse di quelli riservati alle nostre accompagnatrici, ho iniziato subito a cercare un'alternativa. In un primo momento mi è sembrato che non ce ne fossero di altre opzioni e quasi mi stavo rassegnando all'idea di passare il viaggio al fianco della prof, quando ho constatato che, essendo noi alunni in ventisei e gli accompagnatori uno per classe, doveva esserci necessariamente un posto ancora libero accanto a qualche compagno. E infatti guardando meglio ho notato che uno dei due posti dietro quelli riservati alle prof era vuoto. Certo, non si trattava di uno dei posti migliori: su una scala da prima a terza classe, il posto dietro l'insegnante corrispondeva all'incirca alla stiva della nave, ma sapevo di avere ben poco da fare lo schizzinoso, tanto non è che avessi chissà che progetti per quel viaggio. Anzi, forse è stato anche un bene, perché quelli sarebbero stati sicuramente gli unici posti con un minimo di tranquillità, proprio ciò che mi serviva per recuperare tutte le ore di sonno perse nel corso della settimana a causa degli orari improponibili ai quali la scuola ci costringe a svegliarci.
Se avessi dormito quelle sei ore sarebbero passate letteralmente in un battito di ciglia.
Mentre mi avviavo verso il posto, ho lanciato un rapido sguardo al compagno che stava occupando il sedile accanto, quello che si affacciava sul corridoio. Bisogna dire però che era talmente scontato di chi si trattasse che avrei potuto benissimo farne a meno.
Subito dietro i professori, nessuno che gli stesse seduto vicino... Già questi indizi da soli sarebbero stati più che sufficienti, ma dato che lui non delude mai le aspettative, ecco che mi ha offerto anche la ciliegina sulla torta: il capo chino con il naso lentigginoso già immerso in uno di quei mattoni che io non mi sarei sorbito per tutto l'oro del mondo...
D'accordo, non esageriamo, forse su pagamento sarei anche stato disposto a farci un pensierino.
Ovviamente si trattava del secchione della classe: Adriano Salio.
«Occupato?» ho chiesto.
Ma sapevamo entrambi che si trattava di una semplice formalità, infatti neanche si è degnato di alzare lo sguardo dalla pagina, limitandosi a scuotere il capo.
Sono rimasto fermo, in attesa che slittasse al posto vicino al finestrino, invece lui ha tirato indietro le gambe per farmi spazio. Seppur un po' goffamente, sono riuscito a prendere posto e poi, senza perdere tempo, mi sono messo alla ricerca di una posizione per dormire che a lungo andare non mi intorpidisse il collo.
Il treno intanto stava uscendo dalla stazione e nonostante il borbottio del motore, il vociare dei miei compagni e il mormorio sommesso delle due prof sedute davanti, sapevo che questo non avrebbe costituito alcun ostacolo per me. In questo devo proprio aver preso da mio padre.
Prima di chiudere gli occhi, ho rivolto quasi per puro caso uno sguardo al libro che Adriano stava leggendo. Aveva i bordi consunti e le pagine ingiallite, come se fosse stato letto più e più volte.
Non ho potuto fare a meno di chiedermi di cosa si trattasse. Forse un romanzo storico, di quelli che si fanno chiamare "romanzi" giusto perché non hanno i riassunti alla fine dei capitoli e le domande di comprensione, perché altrimenti sarebbero tali e quali a dei semplici testi scolastici di storia; o magari si trattava di un classico, di quelli che la prof di italiano ci dà sempre da leggere per le vacanze, pur essendo consapevole del fatto che nessuno avrebbe seguito la sua indicazione. Nessuno tranne Adriano, chiaramente.
Stanco di pormi domande e darmi da solo risposte che non sarei mai stato in grado di verificare, stavo per abbandonare quello sciocco dubbio e mettermi a dormire, quando Adriano nel girare la pagina ha messo per un attimo in mostra la copertina, permettendomi di leggere il titolo.
Quella non me l'aspettavo proprio. Chi l'avrebbe mai detto che il serioso Adriano fosse un patito di storie per bambini? Trovata la risposta al mistero ho chiuso gli occhi, ma finché non ho preso sonno non sono riuscito a togliermi dalla mente quel titolo.
Chissà cosa ci trova Adriano di tanto interessante, a me la storia di Peter Pan non è mai piaciuta.
«...e questo è tutto per quanto riguarda l'omicidio di Chiara Cirilli. Continuano invece le ricerche di Mario Reina, diciassettenne residente nel quartiere Vallone di Pavia del quale si sono perse le tracce da lunedì 6 aprile, quando ha lasciato la sua abitazione per recarsi a scuola, dove, però, pare non sia mai-»
«Scusami, cara» è intervenuta la voce squillante della prof di scienze, sovrapponendosi a quella del giornalista, «ti dispiacerebbe abbassare il volume? Sai, ultimamente non riesco più a soffrirlo il notiziario. A te non mette angoscia? Perché non cerchi qualcosa di più allegro? Un po' di musica, che ne dici? Qualcosa di bello forte, così teniamo svegli i ragazzi e questa sera magari riusciamo a dormire» ha concluso con un risolino, al che la prof di italiano, seppur di malavoglia, si è vista costretta a chiudere l'applicazione sul cellulare dalla quale stava sentendo il TG, per mettersi a cercare una canzone che accontentasse la richiesta della collega. Avrebbe fatto meglio a mettersi gli auricolari.
Guardandomi intorno ho notato che effettivamente diversi ragazzi si erano addormentati, a quanto pareva non ero l'unico con un po' di sonno arretrato sulle spalle.
Dopo essermi stropicciato gli occhi, ho preso il cellulare per controllare che ore fossero: erano passate solo due ore dalla partenza.
Speravo di svegliarmi solo all'arrivo, ma comunque non mi era andata poi così male.
A quell'ora Adriano doveva aver finito di leggere Peter Pan, dopotutto quando eravamo partiti si trovava già a buon punto.
Mi sono voltato con discrezione nella sua direzione, ma solo per scoprire con leggero disappunto che anche lui aveva preso sonno. Il suo indice destro era ancora infilato tra le pagine a tenere in segno, mentre tutto il busto era reclinato in avanti, con la fronte che ad ogni sbalzo del treno colpiva il sedile della Barbieri. Al suo risveglio lo avrebbe atteso un mal di schiena coi fiocchi e forse anche un bel bernoccolo al centro della fronte.
Proprio in quel momento un treno ci è passato accanto e il vagone ha oscillato, scuotendo il corpo inerme di Adriano e facendo compiere un piccolo balzo anche al libro che fino a un attimo prima si trovava sulle sue cosce, mentre ora stava ondeggiando sul suo ginocchio in un equilibrio precario. Ho allungato una mano, quasi senza pensarci, ma a metà strada mi sono bloccato.
Cosa me ne fregava a me di che fine avrebbe potuto fare il suo vecchio libro per bambini?
Neanche cinque secondi dopo Peter Pan ha compiuto il salto nel vuoto, tuttavia, a conferma della sua innata immunità nei confronti della legge della gravità, non ha mai toccato terra.
Ebbene sì, all'ultimo ho ceduto e così ecco che mi sono ritrovato inclinato in basso con il libro stretto tra le mani.
Ho sollevato lo sguardo verso Adriano, ma lui dormiva ancora profondamente. Neanche la chiassosa musica Rock 'n Roll che la prof aveva appena messo su costrizione della Barbieri sembrava sortire alcun effetto su lui. Sono rimasto fermo in quella posizione per diversi secondi, col timore che il più piccolo movimento lo avrebbe potuto svegliare, rischiando di mettermi in una situazione alquanto scomoda. Ma non appena uno dei suoi ricci castani mi ha solleticato il naso, mi è venuto da starnutire e non ho avuto altra scelta che ritrarmi di scatto, soffocando lo starnuto contro la manica mentre mi tiravo su a sedere, guardandomi furtivamente intorno per accertarmi che nessuno avesse assistito alla scena.
Fortunatamente le due ragazze sedute nella mia stessa fila, oltre lo stretto corridoio che divideva in due il vagone, erano concentrate sui rispettivi cellulari, mentre i due seduti nei posti subito davanti a loro stavano parlottando a bassa voce, rivolti nella direzione opposta.
Con esitazione ho chinato lo sguardo sul libro. Visto da vicino sembrava ancora più logoro di quanto non mi fosse sembrato a un primo sguardo. Dalla copertina rigida, di un intenso verde scuro e con i bordi decorati da ricami dorati, ho intuito che doveva trattarsi di una vecchia edizione.
Ho rivolto uno sguardo di sottecchi in direzione di Adriano, ma sembrava che nulla al momento fosse in grado di svegliarlo, così mi sono arrischiato a dare una rapida sbirciata.
Le pagine erano spesse e piacevolmente ruvide al tatto e di tanto in tanto il testo, scritto in caratteri leggermente più grandi della norma, era inframmezzato da delle illustrazioni in bianco e nero.
Su alcune delle pagine ingiallite si erano addirittura incrostate delle piccole briciole, mentre verso la fine ne ho trovata qualcuna un po' rovinata, con i bordi ondulati e l'inchiostro sbiadito, come se fosse finito in acqua. Ho continuato a sfogliare finché all'improvviso non mi sono ritrovato davanti un'immagine. In un primo momento ho fatto come per superarla, dando per scontato che fosse una delle illustrazioni del libro, ma non appena l'ho vista scivolare via sono tornato indietro e l'ho messa a fuoco. No, non si trattava di un'illustrazione. Era una foto. Una foto vecchia almeno quanto il libro in cui era stata riposta. Ritraeva due bambini in età da fine elementari o inizio medie, che si trovavano in una zona alberata, forse un bosco o una pineta. La foto era troppo sgranata per distinguere i loro lineamenti, ma dagli occhiali e dal groviglio informe di capelli che aveva il bambino sulla destra ho intuito che si trattasse di Adriano. L'identità del bambino a sinistra tuttavia rimaneva un mistero. Abiti trasandati, pelle abbronzata, un sorriso sdentato che metteva in mostra tutti i denti superstiti e spettinati capelli neri. No, non mi diceva proprio nulla.
Ho fatto appena in tempo a rimettere la foto a posto e a chiudere il libro quando...
«Il...il mio libro» ha mormorato una voce flebile, impastata dal sonno, facendomi sussultare.
«Ti era caduto» mi sono subito giustificato, dopo essermi ripreso dalla sorpresa iniziale.
«Oh. Capisco... Grazie.»
Le sue dita sottili si sono serrate sul libro come una tagliola sulla zampa di una lepre e subito se l'è tirato a sé, indugiando con i polpastrelli sulla copertina per alcuni istanti prima di sistemarlo in verticale tra il bracciolo del sedile e la coscia, così da prevenire un suo secondo tentativo suicida.
Non ho potuto fare a meno di pensare che fosse davvero bizzarro il suo modo di fare. Anche se abbiamo frequentato la stessa classe per ben cinque anni, era ancora impacciato come se avesse davanti un completo sconosciuto. E questo non era certo un privilegio che riservava solo a me, ma anche a tutti gli altri nostri compagni di classe, eccezion fatta forse per Rossella, con la quale ogni tanto scambiava due parole a ricreazione, ma nulla di più.
Proprio nel momento in cui pensavo ciò, sono stato ridestato dallo sferragliare del treno, che stava progressivamente perdendo velocità. Guardando fuori dal finestrino ho notato che eravamo arrivati alla stazione di Verona. Ho sentito le porte aprirsi e proprio in quel momento Adriano si è alzato senza dire una parola. Ho pensato subito che fosse diretto in bagno, d'altronde era quella l'unica spiegazione plausibile, ma allora perché si stava portando dietro lo zaino?
Non appena è uscito dal vagone mi sono alzato anch'io e, mettendomi a mia volta lo zaino in spalla senza quasi rendermene conto, ho raggiunto la porta scorrevole. Le professoresse si erano addormentate, la maggior parte dei miei compagni di classe, invece, adesso era sveglia, ma erano tutti impegnati a chiacchierare o a smanettare sui rispettivi cellulari. Nessuno stava facendo caso a me, così come nessuno aveva fatto caso ad Adriano.
Ho aperto la porta e me la sono richiusa alle spalle il più silenziosamente possibile.
Per quale motivo lo stavo seguendo? Non riuscivo a spiegarmelo. O meglio, lo sapevo, ma al tempo stesso non riuscivo a crederci. Era una follia, non poteva essere vero. Eppure ero stato attraversato da un brivido gelido nel momento in cui avevo visto il suo sguardo mentre puntava verso quella porta; i movimenti decisi con cui aveva afferrato lo zaino per le bretelle e si è diretto verso l'uscita del vagone senza dire niente a nessuno.
No, non poteva essere, ho continuato a ripetermi, pensando che sicuramente l'avrei raggiunto appena in tempo per vederlo chiudersi la porta del bagno alle spalle. Se fosse andata così, ovviamente, sarei tornato subito indietro. D'altronde, riservato com'è, non ci sarebbe stato proprio nulla di strano se avesse deciso di portarsi dietro lo zaino per andare in bagno a causa di semplice disagio a lasciarlo lì con me, specie dopo che mi aveva trovato con il suo libro tra le mani.
Però non riuscivo a chiudere un occhio su quello strano presentimento, il presentimento che Adriano fosse intenzionato ad approfittare della distrazione generale per darsi alla fuga. Ma non poteva essere, dopotutto lui, al contrario di me, come bagaglio non si era portato solo quello zaino, ma anche una valigia e di certo quando era uscito dal nostro vagone non se la stava portando dietro.
Mentre formulavo questi pensieri stavo attraversando il traballante corridoio che collegava i due vagoni del treno, ma arrivato dalla parte opposta, invece di aprire la porta ho sbirciato dalla finestrella posta su di essa e ho scorso Adriano. Si trovava in fondo al vagone e aveva le braccia protese verso l'alto come per prendere qualcosa dalla cappelliera. Mi si è seccata la bocca nel momento in cui l'ho visto afferrare e posare a terra accanto a sé nientemeno che la sua valigia.
L'aveva messa in un altro vagone per non attirare l'attenzione? Quindi era tutto premeditato?
Ha tirato su il manico e si è confuso tra la fiumana di gente che ancora stava scendendo dal treno.
Mentre lo raggiungevo, non ho potuto fare a meno di chiedermi per quale motivo lo stessi facendo. Voglio dire, se voleva fare una pazzia era affar suo, io non c'entravo proprio niente. Però sono stato l'unico ad accorgersi di ciò che stava accadendo e forse è stato proprio questo a mettermi addosso come un senso di responsabilità nei confronti di tutta quella faccenda.
Sì, avrei potuto avvertire i professori, ma lì sul momento ho pensato che non fosse necessario. Avrei potuto risolvere tutto da solo, loro non avrebbero fatto altro che alzare un polverone, dandogli tutto il tempo di seminarci.
Mi sono aperto una strada in mezzo alla folla. La sua folta chioma di ricci non passava affatto inosservata, tuttavia mentre scendeva l'ho visto che si tirava su il cappuccio grigio della felpa.
Anche se con qualche difficoltà, sono riuscito a individuarlo. Mi sono ritrovato ad arrancare per raggiungerlo, sorpreso da quanto il suo passo fosse deciso, dritto verso la meta, ovvero una macchinetta per fare i biglietti.
Ho affrettato il passo, ma quando ho raggiunto la biglietteria lui aveva già finito e si stava affrettando verso uno dei binari più lontani con il biglietto stretto in mano.
Ero circa a metà strada quando ho sentito uno sferragliare alle mie spalle e ho deglutito al pensiero che potesse trattarsi del mio treno. Non ho osato voltarmi per accertarmene, ma d'altronde non era nulla a cui non avrei potuto porre rimedio: sarebbe bastato prendere il prossimo per Venezia e, a parte una bella strigliata da parte delle prof, sarebbe stato come se non fosse successo nulla.
Sono arrivato di fronte al binario numero due giusto in tempo per vederlo salire sul treno. Correndo ho raggiunto la portiera dalla quale era appena entrato e posando una mano sullo stipite mi sono affacciato all'interno del vagone.
«Adriano!» ho esclamato e lui, che stava salendo la rampa di scale che porta ai sedili del piano superiore, si è immobilizzato all'istante, suscitando non poche proteste da parte dei passeggeri alle sue spalle.
Dopo un attimo di esitazione, Adriano si è voltato verso di me e io, nel vedere il suo sguardo disorientato, quasi spaventato, ho capito che sarei riuscito a farlo uscire di lì.
Tutta questa storia si sarebbe potuta concludere proprio così, in un attimo, in un nulla di fatto: Adriano che per qualche motivo tenta la fuga, io che lo raggiungo e lui che, capendo quale pazzia stesse per compiere, decide docilmente di tornare sui suoi passi e scende dal treno senza fare storie. I professori se ne sarebbero accorti solo all'ultimo e la situazione si sarebbe risolta prima ancora di dare loro il tempo di arrabbiarsi.
Nessuno avrebbe mai saputo cosa sarebbe potuto accadere, sarebbe rimasto per sempre il nostro segreto. Condividerlo non ci avrebbe avvicinato in alcun modo, avremmo continuato a vita ad essere l'uno per l'altro nulla di più che due completi estranei. Tutto ciò che avremmo mai condiviso sarebbe stato quell'unico istante, in cui Adriano si è voltato verso di me e ha capito di stare commettendo uno sbaglio.
Già, sarebbe potuta andare così, se solo in quel preciso istante qualcuno, di corsa per paura di perdere il treno, non fosse inciampato, finendomi addosso e rovinando insieme a me per terra all'interno del vagone, sotto lo sguardo allibito di Adriano e quello divertito e allarmato di qualche passeggero.
Nel sentire un cigolio familiare alle mie spalle, subito mi sono tolto quel corpo di dosso e sono scattato in piedi. La mia mano ha raggiunto il pulsante verde proprio nell'istante in cui le porte automatiche si sono chiuse e una registrazione ha annunciato dagli altoparlanti la partenza imminente.
Forse è stato solo in quel momento che il mio viaggio è davvero iniziato.
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