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Capitolo 7

La giornata non è iniziata nel migliore dei modi. Ieri sera ero convinta: sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontarlo in qualche modo, ma non ho la minima idea di come devo comportarmi. So che lui non prova ciò che ho provato io per tutto questo tempo e mi sento di star perdendo il mio tempo, senza riuscire a farne a meno. Mi sono svegliata e ho ricontrollato la chat di Eric, ho riletto il messaggio che gli ho scritto prima di addormentarmi e me ne sono pentita.

Non so con che coraggio l'ho fatto... In questo momento vorrei solo scappare a gambe levate dalla realtà.

«Signorina Smith... tutto bene?» mi chiede la docente di matematica, che si è avvicinata al mio banco senza che io me ne rendessi conto.

«Sì... mi scusi» balbetto imbarazzata.

La professoressa riprende a spiegare, ignorandomi.

Ripunto lo sguardo fuori dalla finestra, intravedo due ragazzi ridere guardando lo schermo di un telefono e, accanto a loro, un mucchietto di ragazze adoranti emettono gridolini per cercare di catturare la loro attenzione, ma non sembrano riuscirci minimamente. All'ombra degli alberi, seduti sul prato, ci sono diversi studenti che ripetono le materie dell'ora successiva, sperando probabilmente di non venire chiamati alla lavagna per qualche esercizio. Dal lato opposto del cortile vedo Iris e Jane sorridere e passeggiare rilassate. Jane butta indietro la sua chioma bionda, mentre Iris è intenta a osservare i ragazzi di prima che ridono guardando il telefono. Si avvicinano e uno dei due alza immediatamente lo sguardo su Iris, abbracciandola, e si presenta a Jane. Non lo vedo bene da questa distanza ma i capelli neri si differenziano dalla capigliatura biondo-canarino dell'amico. E' un nero scuro, ombroso, simile a quello di Iris. Si allontanano da quei ragazzi sedendosi su una panchina poco più lontana e noto Jane buttare la testa all'indietro, la conosco abbastanza bene da sapere che è solo segno della sua spensieratezza: lo fa sempre quando è felice. Le piace sentire l'aria in viso e guardare il cielo per un secondo, pensando all'immensità di tutto ciò che ci circonda. A quel pensiero mi viene in mente la serata passata sulla spiaggia, in riva al mare, a chiacchierare sull'universo come se fosse un classico discorso per un ragazzo della nostra età.

Mi mancano quei momenti, e sembra quasi che dall'inizio della scuola abbia più interesse a stare con Iris piuttosto che con me, mi sembra abbia lasciato tutto alle spalle.

Tutti i bei momenti.

Tutte le risate.

I pigiama party.

Le chiacchierate sui ragazzi.

Tutte le volte che ci preparavamo a casa insieme prima di uscire, consigliandoci il vestito da indossare e la tinta labbra che si abbinava di più.

Mi manca tutto questo, stringo la matita che ho tra le mani esercitando pressione su di essa per cercare di scacciare la malinconia dai miei pensieri.

Troppe cose sono cambiate, e ora non posso fare a meno di osservare quelle due ragazze che ridono come se si conoscessero da una vita intera, e di pensare che in questo trio, forse, sono io quella di troppo.

Non è la prima volta che vengo esclusa da un gruppetto, anzi... Alle elementari spesso ero presa di mira, a causa della frangetta che avevo sulla fronte e che mi faceva somigliare ad un fungo. Era a quel tempo che Jane si era fatta largo nel mio cuore, prendendomi da parte per rassicurarmi e difendendomi davanti a tutti. 

Sento il rumore del gessetto bianco sulla lavagna che stride, una penna picchietta con insistenza sul banco. Mi prude la testa, mi fischiano le orecchie e mi formicolano le gambe.

A un certo punto qualcosa mi tocca la spalla.

«Tutto bene?»

Il colpo della matita che si spezza sotto le mie mani mi riporta alla realtà, non mi ero resa conto di star stringendo così forte la presa. Guardo le due metà sui palmi delle mie mani, con un pesante senso di colpa. Mi scuso con la professoressa, che nel frattempo mi guardava da sopra la sua spalla, con ancora il gesso poggiato sulla lavagna, inorridita come se avesse appena assistito a un crimine con i propri occhi.

Andrew si è spostato dal suo banco sedendosi accanto a me.

«Come hai fatto a spostarti?» gli chiedo, ignorando la sua domanda alla quale non ho una risposta che sembri sincera.

Ripongo ciò che resta della matita nel borsellino, ignorando gli sguardi dei miei compagni addosso.

Ero completamente immersa tra i miei pensieri. Così tanto da non accorgermi che Andrew Woods aveva portato tutte le sue cose accanto a me.

«Non è stato difficile.» Mi indica la professoressa distratta alla lavagna, che ha ripreso a trascrivere un'equazione. «Che ti succede?» I suoi occhi puntano i miei, sento le gote bruciare sotto il suo sguardo. Tiene una penna in mano facendola rigirare tra le sue dita, dopodiché la incastra dietro l'orecchio.

«Nulla» deglutisco, rendendomi conto di aver osservato l'intera scena in apnea. Prendo una penna dal borsellino e copio ciò che sta scrivendo la professoressa, se non lo faccio so che quando sarà il momento di studiare me ne pentirò.

Andrew mi passa un foglio sotto il naso, e mi accorgo essere gli appunti dell'intera lezione.

«Avevo notato che non li stavi prendendo. Li puoi tenere.»

«Sicuro? Sono gli appunti dell'intera lezione...»

Lui annuisce, «Non fa niente, questo argomento lo avevo già anticipato.» Osservo il leggero incurvamento delle sue labbra e sorrido a mia volta, «Grazie, davvero.»

«Che hai?» Prova a chiedere per l'ennesima volta.

«Niente, stavo solo pensando.» Tento.

Mi guarda e alza le sopracciglia.

«Che c'è?» sussurro, dipingendo un sorriso sulle labbra, divertita da quella situazione. Andrew Woods prova a parlarmi e io non faccio altro che allontanarlo. Buffo vero? E perché, poi?

Rivolge lo sguardo alla lavagna, continuando a prendere gli appunti. Ha una calligrafia ordinata, il che mi sorprende, è chiara e comprensibile. Indugio lo sguardo sulle sue mani cosparse di anelli mentre sfila la penna da dietro al suo orecchio. Lui lo nota e per un attimo cerco di guardare altrove, ma è troppo tardi.

«Prima non vuoi parlare e poi mi fissi?» esclama.

«Cosa?» Faccio la finta caduta dalle nuvole, funziona sempre.

«Si vabbè... "Cosa?"» Mi imita con una leggera risata, scuotendo la testa.

Sembra aver finito di parlare, ma dopo poco riprende.

Non ha funzionato.

«Cos'hai da fissare?»

In quel momento suona la campanella, che mi salva dall'imbarazzo di trovare una risposta.

Ripongo nello zaino tutti i libri e mi alzo. Appena sollevo lo sguardo lo trovo di fronte a me, con la sua statura alta e possente che mi sovrasta.

Inclina la testa, ripetendo la domanda.

«Prima cosa, non ti stavo fissando...»

Prima che possa continuare mi interrompe: «Va bene, però la prossima volta non ti fare sgamare, se poi non intendi ammetterlo.» Scherza con fare canzonatorio.

«Per prima cosa, io non ti stavo fissando! - continuo a dire - Stavamo parlando e tu ti giri all'improvviso, è normale che per un attimo ho continuato a guardare nella tua direzione!» Esclamo, mettendogli un dito sul petto per rafforzare il tono.

Sento sotto il polpastrello il tessuto caldo della sua felpa e lui segue il movimento del dito senza perderlo di vista.

«Dai, continua! Qual è la seconda cosa?» Mi incita.

Torno seria e lo guardo negli occhi, facendo un respiro profondo, che mi serve per ammettere ciò che sto per dire.

«Non sono più tanto sicura di volerci uscire oggi.» Confesso. «Con... Eric, intendo.»

«Hai paura?» Ribatte lui, tornato serio a sua volta.

«In realtà... no. Lo so che tra noi non ci sarà nulla e voglio lasciarmelo alle spalle» rifletto.

«Che ne sai che tra di voi non ci sarà nulla?» Si addolcisce.

«Beh, anche se lo nego, dentro di me so che non succederà. Tra noi è sempre stato complicato, peggiorerebbe solo le cose. E poi... fa parte del passato ormai.»

"Come molte altre cose", penso.

«Perché non può far parte del presente? Ci deve essere un motivo», incurva il labbro superiore, rivelando un piccolo sorriso.

So ciò che vuole sentire, lo capisco dal suo sguardo, ma non gli darò la soddisfazione di guadagnarsi anche il mio interesse oltre a quello che ha da parte di tutte le altre ragazzine della scuola.

«Non voglio uscirci e basta», pronuncio dopo qualche secondo di silenzio.

Fuori intravedo Iris al suo armadietto. Non posso lasciare che mi vedi parlare con Andrew. Cerco di superarlo, ma non me lo lascia fare, spostandosi di fronte a me.

«Non può non esserci un motivo», ribadisce. Il suo sorrisetto da "so già tutto" mi inizia a dare leggermente sui nervi.

Sento il cuore martellare nel petto per la paura, se solo Iris si girasse di qualche millimetro finirebbe la mia amicizia con lei.

«Non c'è», ripeto con insistenza, provando per la seconda volta a superarlo, per poter uscire dalla classe, ma lui di nuovo mi blocca la strada.

Si accorge che continuo a guardare al di là delle sue spalle possenti e, seppur controvoglia, si arrende. Punta anche lui il suo sguardo fuori dalla classe, scorgendo Iris.

Mi scruta, leggo nei suoi occhi una punta di indecisione che finisce per avere la meglio su di lui. «Va bene. Sappi che secondo me dovresti, anche solo per chiudere il capitolo.» Dice infine, e si mette da parte lasciandomi libero il passaggio. Il suo sguardo si raffredda e anche il suo tono è distaccato.

Capisco che forse sono stata brusca e cerco di scusarmi, ma prima che io possa dire qualunque cosa lui si riversa in corridoio, perdendosi tra le centinaia di studenti che vagano avanti e indietro.

«Ciao amore! Ti ho lasciato un po' di ravioli, ti vanno o hai già mangiato?» sillaba mia madre, sentendomi arrivare dall'ingresso. «Grazie mamma.»

Siedo sullo sgabello davanti al bancone e riscaldo i ravioli qualche secondo nel microonde. Mia mamma mi raggiunge, con il solito blocco di fogli in mano.

«Com'è andata a scuola?» pronuncia sfogliando i fascicoli.

«Bene! - faccio una breve pausa, rigirando la forchetta tra le dita - Novità a lavoro?» chiedo curiosa. Lei si toglie gli occhiali lasciandoli penzolare al collo, tenuti dalla catenella.

Mi torna in mente Andrew e non riesco a fare a meno di pensare a quanto sia stata brusca, d'altronde lui voleva solo aiutarmi...

«Purtroppo ancora non si sa nulla dal tribunale.» Mormora in tono distrutto.

«Ma, non ho ben capito... Cosa gli è successo?» chiedo.

«Ti ricordi quella gioielleria al centro commerciale, quella in fase di chiusura?»

«...Sì.», mormoro.

«Sta chiudendo perché quest'estate è stata derubata, e il proprietario non ha la possibilità di far continuare l'attività. Pensano sia stato Woods ma lo hanno incastrato. Non è ben chiaro il motivo perché non hanno voluto iniziare le indagini, convinti di aver già trovato il colpevole. Lui in quel periodo era alla casa vacanze di famiglia, al lago. Ancora, però, non essendoci stata l'udienza non ho potuto mostrare le prove e la famiglia non ha potuto testimoniare, e per ora gli hanno dato una pena minima da scontare in carcere, in attesa del giudizio.» Mi spiega, senza smettere di controllare uno ad uno i fogli davanti a lei, come se ripetesse questa storia a tutti più volte al giorno e ormai l'avesse imparata a memoria.

«...Non mi fanno neanche parlare con lui!» sibila a denti stretti e a bassa voce, prima di dare un colpo deciso con la spillatrice. Abbandono la forchetta nel piatto, dopo aver notato che le lancette dell'orologio puntano le quattro. Mi allontano dalla cucina a grandi falcate, augurando buona fortuna a mia mamma e raggiungendo il bagno. Mi lavo i denti e salgo in camera a cambiarmi. Resto bloccata lì, ad osservare le pile di magliette che ho davanti, senza sapermi muovere. Rimango a fissare la mia figura nello specchio, cercando di immaginarmi i capi addosso. Alla fine indosso dei semplici jeans neri con le air force e una maglietta rosa, che fa risaltare i colpi di sole dei miei boccoli. Mi pettino e mi metto un gloss, dopodiché tiro fuori dall'armadio lo skate e mi precipito giù dalle scale, fuori casa, salutando mia madre con un cenno e informandola dell'orario di ritorno.

Arrivata al parco mi verrebbe quasi la tentazione di tornare indietro, ma cerco di reprimerla.

Avevamo prefissato di arrivare lì per le 16:30 ma dopo un'altra mezz'ora ancora non si è fatto vivo. Ho passato questo tempo andando sullo skate, cercando di ricordarmi come si facesse dopo un'estate intera in cui è rimasto chiuso nell'armadio, ricoperto da cianfrusaglie e scatole del cambio stagione. Mi siedo sulla tavola muovendo le gambe avanti e indietro, percorrendo l'intera pista da seduta. A un certo punto prendo il telefono e, nonostante ci abbia provato con tutte le mie forze, non posso fare a meno di scrivere ad Andrew. Non riesco a togliermelo dalla testa da quando è uscito dalla classe con quello sguardo offeso.

E: Scusa per stamattina.

Invio il messaggio, pentendomene subito. Non dovrei scrivergli, ma in realtà non dovrei fare tante cose.

Mi risponde subito e ciò mi rincuora. Anche questo non dovrebbe succedere.

A: Per cosa? Non avermi calcolato seppure ti volessi solo aiutare?

Sembra contrariato e offeso. Anche se non posso sapere la sua vera reazione da uno schermo... in tal caso avrebbe totalmente ragione.

E: Sono pessima, lo so, scusa.

A: Ora lo ammetti che mi hai fissato?

E: Ancora! Non ti stavo fissando...

A: Va bene, ho capito. Non lo ammetterai mai! Piuttosto... non dovresti essere in buona compagnia a quest'ora?

Già. Dovrei!

E: Non si è ancora fatto vivo.

Mi sento una cretina. Alla minima attenzione sto già cedendo e di questo passo mi metterò solo nei casini!

A: Quando dovevate vedervi?

E: Un'ora fa.

A: E perché scrivi a me?

Il messaggio rimane solo visualizzato per un po'. Non ho la minima idea della risposta a questa domanda, so solo che ha ragione. Dopotutto... perché invece di scrivere al diretto interessato ho pensato prima di farlo sapere a lui? Abbozzo qualche risposta, ma le cancello tutte una dopo l'altra.

«Ciao Ele!» La voce di Eric dietro di me mi riscuote e non faccio in tempo a chiudere il telefono che lui ha già probabilmente letto ogni singolo messaggio, grazie al fatto che la mia statura gli consente di riuscire a guardare tutto leggermente dall'alto.

«Ciao!» Ricambio il saluto.

Mette lo skate a terra di fronte a me e ci si siede sopra.

«Chi era?»

Il suo primo pensiero è questo? Partiamo male.

«Niente, un amico.» Rispondo senza pensarci, e subito dopo mi rendo conto del mio errore.

«Un amico...?»

«Si, cioè... l'ho conosciuto da poco. Abbiamo i corsi di matematica e teatro insieme.» Ho esagerato dicendo la parola "amico", anche perché solo a pensare a quel pomeriggio in cui Shelly mi ha definito un'"amica" di Eric mi rendo conto che allora abbiamo diverse opinioni riguardo il valore di questo nominativo. Cerco di farla sembrare una cosa normale, ma il mio umore si percepisce a chilometri di distanza. Non posso negare che Andrew mi stia simpatico, se non fosse per tutta questa storia non avrei mai allontanato le sue attenzioni. Con tutto il rispetto per il ragazzo che mi trovo davanti, che in realtà non ha fatto altro che distruggermi, Andrew in poco tempo è riuscito a risvegliare quel tipo di umorismo pungente e ironico in me che ormai avevo perso.

E forse Eric se ne accorge. Mi scruta sotto le sue sopracciglia folte, e i suoi occhi neri si fissano sui miei, ricordandomi tutti i brividi provati nel corso degli anni. Li sento ancora addosso, tutti quanti. E' una reazione a catena, il mio corpo è abituato a reagire in quel modo davanti a lui.

«Ne sembri parecchio contenta!» Commenta sarcastico.

«Ma va! Che dici...» Mi soffermo troppo sulla seconda parte della frase, il che mi fa risultare per niente credibile.

«Ele! - mi ammonisce - E' con me che stai parlando. Sputa il rospo.» Lo guardo negli occhi, mettendo da parte tutto ciò che più di lui mi fa del male, mettendo in un angolo le sensazioni provate in sua presenza, cercando di vederlo in una luce diversa, più amichevole che altro. D'altronde è ciò che c'è sempre stato realmente da parte sua nonostante non volessi ammetterlo a me stessa.

«Non c'è niente da dire. E' un mio compagno di corso, tutto qua.» Rido per la sfacciataggine con la quale ultimamente ho imparato a mentire.

Lui non ci sta più a questo giochetto, mi studia con fare attento, per poi ridere e pronunciare: «Non mi freghi!», prima di afferrarmi il telefono. Scattiamo entrambi in piedi, ma è più alto di me e mentre scorre in cerca della chat che gli interessa cerco di aggrapparmi al suo braccio, senza riuscire ad avvicinarmi minimamente al mio cellulare. Mi dimeno pregandolo di restituirmelo ma non ne vuole sapere nulla. Imperterrito continua a cercare e, purtroppo, la trova.

«Neanche vi siete scambiati il numero? Ancora su instagram parlate...» Mi prende in giro.

«Ma non sono affari tuoi dove parliamo!» Sbotto infastidita, continuando ad allungare le braccia il più possibile.

«Abitate di fronte!!» Esclama a un tratto, e capisco che sta scorrendo tutti i messaggi.

Smetto di lamentarmi, sapendo che non otterrò niente.

«Ma Eric fatti i fatti tuoi!» Mi inizio ad innervosire davvero.

«Oddio, che schifo! Vuol dire che è anche un mio vicino...»

Improvvisamente un brivido mi riscuote, la paura. La sento accapponarmi le viscere e scorrere nel sangue. Con Andrew ho parlato anche di Eric, rivelandogli tutte le cose che mi avevano ferita, gli ho parlato di tutto!

«Eric stammi a sentire.» La paura prende il sopravvento sul mio corpo e sulle mie azioni. Giro il suo viso verso di me, sicura che guardi me mentre parlo.

Non può leggere quei messaggi!

Al mio tocco saetta immediatamente l'attenzione sul mio sguardo. «Dammi immediatamente il telefono. Non te lo ripeterò due volte.» Serro le palpebre.

Lui accenna una risata, «Perché dovrei?»

«Perché non sono affari tuoi!»

Rimane fisso con lo sguardo su di me, schiudendo le labbra in un leggero sorriso.

«Ti prometto che smetto di leggere i messaggi, ma voglio fare una cosa...» dice poi. Sento il cuore martellarmi nel petto, per tanti motivi. Da una parte sono contenta che abbia rinunciato a leggere i messaggi, così la nostra amicizia è salva, e dall'altra ho anche ansia. Cosa vuole fare?

«Una cosa di che tipo?»

Abbassa il braccio e provo ad approfittarmi della sua distrazione per recuperare il telefono, ma si accorge della mia intenzione distendendosi nuovamente. «Non barare!», mi sussurra. In quel momento mi rendo effettivamente conto di avere i polpastrelli sulle sue guance scavate. Per la paura che lui leggesse i messaggi ho addirittura ignorato il mio imbarazzo in sua presenza.

E' proprio vero che la paura ti fa fare di tutto.

«Acconsenti quindi?» Lascia scappare l'ennesimo risolino, e mi tremano le gambe.

«Cosa vuoi fare...?»

Ho paura.

«Okay. Non importa. Continuo a leggere i messaggi che con tanta insistenza non vuoi che io veda!» Mi minaccia.

«Eric...» Lo sto praticamente pregando.

«Mm... Fammi mandare una foto», mormora.

Per Favore... no.

Non so perché mi dia fastidio, sarebbe il modo perfetto per togliermi questa situazione dai piedi ed evitare casini ma una parte di me non vuole che Andrew mi veda con Eric. Non voglio che pensi che abbiamo parlato di lui, che abbiamo aperto la sua chat e che qualcuno oltre me abbia letto i nostri messaggi.

Eric prende il mio silenzio come risposta definitiva. Con un sospiro mi sposta la mano dal suo viso con delicatezza, e in un attimo gli si dipinge sulle labbra il sorriso di poco prima. Ritorna con lo sguardo sul telefono e il cuore minaccia di uscire dalla mia gabbia toracica.

Non. Può. Leggere. Quei. Messaggi.

«No! Eric mi hai stancato. Ridammi quel telefono.» Sbotto.

La paura si tramuta in furia, i battiti aumentano e lungo le braccia serro i pugni. Lui riporta i suoi occhi su di me, sbigottito dalla mia reazione. Si rende conto che non sto scherzando e abbassa il braccio, consegnandomi il telefono. Lo afferro subito, tenendolo stretto tra le mani.

«Non volevo che ti arrabbiassi! Stavo solo... cioè, volevo solo scherzare.» Si scusa, abbassando il capo.

Ci sediamo sugli skate, a guerra finita. Il mio petto si alza e si abbassa a un ritmo decisamente più stabile di poco prima e con calma riprendo la via della ragione.

Inspiro.

«Tranquillo. Scusami tu.»

Espiro.

Perché mi ritrovo sempre io a scusarmi?

«Cosa c'è in quella chat di così segreto?» Pronuncia a voce bassa. Dopo tutte le grida mi sembra di star sussurrando adesso. «Nulla che ti riguardi.» Mento.

Tutto il contrario.

«Ti piace?» Mi chiede, con tono risoluto e calmo, pacato.

«No, non può piacermi!»

«Però ti piace...» Ripete.

«Ma se ti ho appena detto che non può piacermi!» Ribadisco.

«Sono due cose diverse.»

«Senti...»

Faccio un respiro profondo, cacciando fuori tutta l'agitazione che sento ancora nel corpo.

«...Ti basti sapere che non può piacermi. Si sente con una mia amica e non sono solita rubare i ragazzi alle altre.»

«E, a questa tua... amica, le hai detto che abitate di fronte e che vi scrivete?» Muove i piedi avanti e indietro, spostandosi con lo skate.

Emetto una risatina nervosa.

«Pensi che le farebbe piacere?»

«Beh...no. Ma penso anche che non le piacerebbe sapere che glielo hai nascosto.»

Ok, adesso basta!

«Non hai voce in capitolo, quindi non ti mettere in mezzo.» Mi alzo mettendo lo skate sotto braccio.

Comincio a camminare, allontanandomi da lui, quando mi afferra per la spalla.

«Dove stai andando?»

«A casa.» Continuo a camminare, senza voltarmi.

«Non volevo che te la prendessi. Scusa.» Mormora, ormai lontano. Non smetto di andare per la mia strada.

Mi concentro sullo scricchiolio della ghiaia sotto le mie scarpe, senza rispondergli.

«La tua felpa l'ho dimenticata!» Sento la sua voce ovattata, ormai molto distante da me.

«Te la puoi pure tenere!» Sbotto, in preda alla rabbia.

Sono quasi a casa quando mi arriva un suo messaggio.

Eric: Scusa se ti ho fatto arrabbiare. Non volevo mettermi in mezzo, solo darti un consiglio. Mi dispiace di aver letto i vostri messaggi. Non dovevo.

Visualizzo il messaggio senza rispondere e chiudo la chat.

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