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Il rintoccare continuo dell'orologio barocco appeso alla parete si propaga per tutta la stanza in un ritmo cadenzato.

Nella sua intensità crescente diventa poi parte di un complesso di tanti piccoli suoni che, assieme al soffuso vociare del mondo esterno e al lieve fruscio del vento alimentato dal balcone socchiuso, ricorda quasi una meravigliosa orchestra sinfonica.

O forse è solo Nunù che è troppo rapito da un senso di beatitudine ultraterrena per capirci qualcosa.

Che in effetti beato ci si sente davvero, come mai crede di esserlo stato in vita sua.
E il tutto mentre, dalla posizione comoda in cui si trova, gode di uno spettacolo unico.
Incredibile come proprio lui sembri adesso un privilegiato al quale sono state spalancate le porte del Paradiso.

Non che sia una persona credente, intendiamoci.
Anzi, ha imparato ben presto che la fede non è qualcosa sulla quale poter fare affidamento.

Per quanto, per un periodo neanche tanto breve, la stessa ha esercitato uno strano fascino su di lui.

Se lo ricorda nitidamente infatti che da ragazzino, per sfuggire alla spietata calura estiva o al continuo volare di suppellettili di casa sua - questi ultimi non solo nei pomeriggi roventi di agosto - il piedicroce della chiesetta di quartiere si rivelava un palliativo valido, ma soprattutto, gratuito.
Non come quel cinemino di periferia dove ogni volta gli chiedevano 1500 lire per entrare.
Con quella cifra il giovane Nunù ci faceva ben due pasti, grazie tante.

Ed ecco perché finiva sempre per rifugiarsi al fresco delle navate sacre e, con il naso all'insù rivolto agli affreschi lì rappresentati, iniziava a farselo da solo il cinema.

La realtà era scadente e lui se ne creava un'altra tutta per sé.

Una realtà fatta di cori liturgici in sottofondo e olezzo di incenso benedetto a invadergli le narici nauseandolo.

E, per quanto provasse a modificarne la storia con la sua fervida fantasia, gli parevano sempre eccessivamente tristi quegli angeli dalla bellezza intatta che lottavano sopra la sua testa incantata.
Senza dubbio erano destinati ad un'esistenza di schiavitù per un Dio che forse mai avrebbero visto.

Che vita era la loro?

Il terrore poi di ridursi nella stessa identica maniera stringeva il suo corpo impubere in una morsa soffocante e lo obbligava con forza a distogliere lo sguardo.
Quasi che, se avesse continuato ad osservare le volte dipinte, vi avrebbe visto prima o poi anche un presagio impietoso del suo futuro più prossimo.

Il richiamo di quelle iconografie religiose, però, era giunto al punto di tormentarlo in modo perpetuo, oscillando fra incanto e angoscia senza soluzione di continuità.
Stai a vedé che divento frate, pensò addirittura un giorno in cui faceva più caldo del solito.

Il pensiero durò un pomeriggio intero, appena il tempo di arrivare a fine serata sul lungomare di Ostia e ricevere la prima fellatio della sua giovane vita.
Aveva 15 anni Nunù quando smise di frequentare le chiese.

Quasi dieci anni dopo, l'epifania di quei momenti lo folgora come San Paolo sulla via di Damasco.
Ma per la prima volta le raffigurazioni artistiche si fondono con armonie di tutt'altra fattezza.

Una serie di respiri strozzati, sono infatti la melodia d'accompagnamento alla visione celestiale di angeli che, raccolti in piccoli nugoli, si affaccendano a districarsi fra drappi di seta pervinca sul soffitto di casa Balestra.
Il rosone dorato che corposo incornicia la scena sacra, serve solo a renderla ancora più opulenta e onirica ai suoi occhi pesanti e vinti dall'estasi.

In teoria, nulla di quanto lo circonda dovrebbe essere per lui familiare o domestico.
Lo stesso letto a baldacchino sul quale giace scomposto, con il continuo stridio del materasso sollecitato dalla sua presenza, tenta di rammentargli che-

"Mi fa impazzire vederti così..."

...è esattamente dove dovrebbe essere.

Come biglie scure che scorrono lungo un percorso certo e liscio, così le pupille ora dilatate di Nunù scivolano rapide verso il basso.

E se il panorama dipinto sopra di lui era un chiaro paesaggio di pura beatitudine, questo che lo accoglie rannicchiato fra le sue stesse gambe, non può essere altro che l'Empireo, il massimo cielo - fuori da tempo e spazio - l'abisso spirituale nel quale cadere per raggiungere finalmente il Paradiso, quello vero.

Nunù l'ha sognata così tante volte questa precisa immagine che lo scatto repentino delle braccia alla ricerca di una rassicurazione materiale e di un viluppo di capelli da afferrare, accade prima ancora che possa darne comando alla mente in continua macchinazione.

Per poco sradica i lati della testiera con uno strattone particolarmente brusco.
Lo reitera altre due volte, tre, sei, con foga sempre più disperata, finché si ricorda che ogni movimento gli è impedito per un volere a lui superiore.

Guardare è tutto ciò che può fare.

"Ma quanto casino fai?" domanda in mancanza d'altro cercando lo sguardo già fisso nel suo.
Un lamento sfugge alla bocca rossa e occupata, ricordando il guaito di una bestiola abbandonata.
Il viso sotto di sé contratto in un sforzo tangibile e gli occhi velati portano Nunù a chiedersi se a questo punto quello davvero incatenato sia lui.

"Te devi fa sentì per forza? Perciò hai lasciato tutto aperto?" il tono è volutamente denigratorio "e io che pensavo di zittirti con un cazzo in bocca... ma tu manco così riesci a fare silenzio, eh Direttò?"

L'inaspettata sensazione di fresco che colpisce il suo membro rovente quasi lo ammazza sul posto.
"Ferro" le labbra gonfie scintillano coperte da una patina leggera "non so quanto ti convenga provocarmi legato come sei..."

Nunù sbuffa, strepita, si dimena come un animale in gabbia e, sempre per quell'istinto atavico che lo porta a contrastare il suo direttore ogni volta che ne ha l'opportunità, riprova a tirare - in un tentativo patetico di rivolta - contro la stoffa che lo bracca.

"Oh... ora vuoi andartene?" gli chiede fintamente curioso Simone "eppure me l'hai chiesto tu di legarti al mio letto con la mia camicia... te lo sei già scordato?" una mano sale violenta a stringergli il volto "te lo sei già scordato che pure tu sei mio anche fuori dalla fabbrica, eh Manuel?"
"Vaffanculo!" sbraita tendando di mordere le dita appiccicose che vanno subito via "solo questo puoi fare tu! Succhiarmelo!"

Il sorriso che appare strafottente a redarguirlo gli rammollisce del tutto il cervello.
"Beh, io almeno posso farlo... tu non servi nemmeno a quello ora..."
E mentre pensa a qualcosa di intelligente da replicare, Simone lo coglie alla sprovvista e - nudo e etereo com'è - puntella le ginocchia sul materasso per tirarsi su.
Nunù è divorato dalla voglia di toccare ciò che gli si para davanti.

E l'altro evidentemente lo sa, visto il modo in cui trascina un palmo lungo la sua stessa figura partendo dal collo bianchissimo fino al sesso turgido che abbraccia in una stretta convinta e-
"Stai sbavando Ferro... te ne rendi conto?" la risata insolente che segue gli risuona nelle orecchie come un ceffone ben assestato.
Nemmeno se n'era accorto che Simone si fosse allungato interamente su di lui.

Il contatto fra le loro erezioni bollenti lo fa rabbrividire quasi quanto l'accenno di lingua che gli sfiora il lobo.
"Me lo dai un bacetto?" sussurrano le maledette labbra umide arrivandogli alla mandibola "un bacetto al tuo direttore?"
"Te do na capocciata se non te levi di dosso" ringhia Nunù divincolandosi alla meglio.
"No grazie" la bocca praticamente premuta sulla sua si imbroncia "che poi mi pareva piacessero più a te quel tipo di effusioni, Ferro..."

E, senza attendere replica, si solleva dalla posizione attuale per affondare, come se niente fosse, la gola sul pene che ha davanti.
Nunù dal canto suo, reagisce nell'unico modo che può.

La sequela di spinte che infligge con rabbia stimola in risposta delle piccole lacrime che scendono a morire sul suo inguine.
E' inebriato da questa immagine e, mentre un brivido convulso lo attraversa da parte a parte, si perde e si annulla - di nuovo - nel manto caldo dal quale è avvolto.

Le mani rimangono immobili al loro posto e il capo rassegnato ridiscende placido sul cuscino imbottito che lo accoglie.
Forse sperando di trovarvi qualcosa di diverso, Nunù alza gli occhi al soffitto.

I servitori alati sono sempre lì sopra la sua testa.

Agitati e irrequieti, tentano di liberarsi dalla tirannia dei tendaggi stretti attorno ai loro arti in tensione.
Battagliano fieri contro quell'oppressione che li piega, con la fronte imperlata di sudore e il volto contorto dal dolore.

Magari anche loro sognavano un destino differente.
Magari anche loro, nell'accettare mestamente la condizione di sottoposti, conoscevano per qualche momento il desiderio furente di ribellarsi alla stessa.
Di essere altro da questo.

Perso nei suoi tormenti Nunù manco se lo chiede da dove arriva l'odore di incenso che inaspettato giunge a seccargli la gola e pizzicargli gli occhi.
Le palpebre si serrano, in un moto difensivo, ma le immagini continuano a riprodursi irrefrenabili nella testa.

Da ragazzo faceva bene a temere quei dipinti.
Crescendo sarebbe diventato esattamente uguale a loro.

Proprio come nelle fantasie di adolescente solitario, si trova ad essere lui stesso un angelo che lotta fra tessuti rigidi che lo costringono e comprimono.

Le ali spiegate battono furiose e insistenti nel tentativo di conferirgli forza, ma non può nulla contro la resistenza che lo paralizza.
Li sente proprio i segni che si imprimono sul corpo già martoriato dalla stanchezza e che gli tengono i polsi a guisa di catene.
E più si contorce, più le fasciature stringono, stringono, stringono e-
"Manuel"

E' un soffio di vento la carezza che gli sposta via i capelli appiccicati alla fronte.

Nessun calore benefico ad ammantarlo, ma solo sbuffi d'aria freschi che gli solleticano il viso.
Nel silenzio che segue però, Nunù affonda più di quanto già stava facendo.
Lascia che il letto si trasformi in una pozza scura e che lo trascini verso profondità di cui ignora la fine.

I cherubini piangono la loro sorte eterna di invisibili schiavi senza possibilità di riscatto e lui - arreso - li emula.
Rovinando negli inferi della sua miseria, ritrova tutta l'indifferenza del mondo che l'ha logorato, le sofferenze che l'hanno abbrutito, le-
"Va meglio così?"

le mani sciolte dal vincolo asfissiante.

Precipitano inermi lungo i fianchi e con un piccolo «tumpf» rimbalzano un paio di volte sul materasso.
Spiegare le ali non sembra poi così difficile.
Ha ancora le palpebre serrate, ma è libertà che vede adesso davanti agli occhi:
gli angeli sono slegati e roteano leggeri nell'etere che li circonda.

Magari potrebbe provarci anche lui.

"Manuel guardami."

Oppure no.

Un diniego spaventato fuoriesce rapido dalle labbra schiuse e, come fosse fatto di pietra, Nunù si irrigidisce totalmente.
Il comando gli scivola sotto pelle, diventando veleno che lo paralizza e sconforta.

In un modo o nell'altro, un giogo deve sempre attanagliarlo e spogliarlo di ogni volere.
Forse lui è destinato soltanto ad una condizione di servo vile, di mero oggetto nelle mani di un padrone che lo vede esclusivamente come un-

"Amore?"

Oh.

Delle dita premurose cominciano a tratteggiargli i contorni del busto e dell'addome, fermandosi sul petto trafelato.
"Non è un ordine... non è un ordine il mio"

Il tocco dolce e lento si sposta sui polsi ancora tremanti, per poi salire dagli avambracci fino alle spalle.
Scorre lieve sulle scapole appuntite che sembrano sciogliersi ed ammorbidirsi al contatto.
"Non te lo sto ordinando" reitera la bella voce che lo culla "te lo sto chiedendo. Lo capisci amore?"

Il cuore prende a battere all'impazzata mentre gli occhi si spalancano fiduciosi.

"Manu"

E Manu non vuole mai più chiuderli quegli occhi se farlo significa privarsi di questa vista sublime.
Con le braccia ancora intorpidite sale a sfiorare il corpo inginocchiato accanto a sé.
Lo vezzeggia piano e con cura, come se avesse il diritto di farlo, come se fosse qualcosa che gli appartiene.
Qualcosa che anche lui può finalmente permettersi.

"Simo..."
"Eccomi" e la conferma non viene dalle parole, ma dallo sguardo completamente rapito, perso, nel suo "sono qui con te... sono tuo."

Le parole si susseguono gentili accanto al suo viso sempre più calmo.
Lo rassicurano con la loro intonazione melodica che riverbera nella mente di Nunù come un canto ammaliatore.
"Adesso però non ti distrarre più..." è l'ultima cosa che sente prima che due cuscini compaiano a sollevargli la parte inferiore del corpo portandola alla stessa altezza del volto.

Simone si è già trincerato dietro di essi, disteso serenamente fra le gambe alzate e tremanti che si carica sulle spalle larghe.
"Guarda sempre me Manu" gli sussurra piano scendendo poi a marchiarlo con uno schiocco bagnato che gli fa socchiudere le palpebre.
"No!" lo ammonisce rapido mordendo la coscia delicata alla sua sinistra "è un ordine questo... hai capito Ferro?"

E Nunù, annuendo con gli occhi fissi davanti a sé, non si è mai sentito più libero di così.

E' libero quando Simone affonda il piatto della lingua nelle sue carni morbide e accoglienti.

E' libero quando lo stimola con dita sicure e ferme che scandiscono un tempo che appartiene a loro e soltanto a loro.

Ed è libero soprattutto quando si unisce a lui in modo indissolubile e completo.

Con le mani strette nei capelli corvini, sua personale ancora di salvezza, si lascia finalmente andare al sollievo tanto cercato, accasciandosi poi sfinito fra il materasso e il corpo che lo sovrasta.

Nient'altro da guardare se non il viso soave di Simone che "la realtà mi sembrava così scadente" mormora ancora affannato contro la sua bocca socchiusa "da ragazzino mi rifugiavo in un cinemino dei quartieri popolari, vicino ad una chiesetta diroccata, per fuggire un po' da tutto... 3000 lire al giorno Manu, tanto valeva il bene di mia madre preso direttamente dalla sua borsetta griffata..."

Nunù annuisce in silenzio, troppo sconvolto da queste informazioni.

"Però ero sempre solo lì dentro... sempre io e ste 1500 lire di resto a guardare quei cazzo di film di Fellini che nessuno m'ha mai spiegato." continua ancora Simone quasi commosso "Ho scoperto cosa fosse il surrealismo prima ancora di capire come ci si sega!"

La risata che coglie entrambi di sorpresa alleggerisce un po' l'aria attorno.
"E adesso?" osa chiedere dopo un po' Nunù, mentre una serie di pensieri su occasioni perdute e rimorsi passati si affaccia intrusiva nel suo cervello.
"E adesso cosa?"
"La realtà..." elabora incerto e col volto paonazzo "come- come ti sembra la realtà adesso direttò?"
"Ce stai tu Ferro... come vuoi che mi sembri?" sorride tranquillo lasciandogli un bacio a fior di labbra "un paradiso, no?"

E quando qualche giorno dopo, di ritorno dal suo primo appuntamento al cinema con Simone, Nunù si ritroverà in quello stesso letto, sollevando la testa, non avrà più motivo di temere.
Nessun angelo incatenato ad impaurirlo o tanfo di incenso a rivoltargli lo stomaco, solo un leggero odore di vernice appena data e la promessa di un nuovo affresco da scegliere insieme a colorare le pareti.





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nota dell'autrice:
Il titolo della OS è ispirato a "il sogno di Maria" di Faber, che spero solo non mi venga a cercare in sonno.

Questa è una fetecchia che ovviamente dovrebbe aggiungersi a La classe operaia, ma non l'ho pubblicata assieme perché mi pareva che non c'azzeccasse nulla.

Grazie sempre dell'affetto che mi riservate e un grazie particolare a Les e Nanni.

nanniswritings specialmente senza di te Nunù non avrebbe mai visto la luce del sole ♥️

Ciao!🧚‍♀️

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