Haiku
La navetta correva veloce lungo una delle torakku litoranee; da un lato, accecanti macchie di rododendri; dall'altro, il mare blu, a perdita d'occhio. Viaggiare in un mezzo non condiviso era costoso ma decisamente più comodo: niente orari, niente fermate, sedili confortevoli. Ma quello che Meisa amava di più erano i panorami che si potevano godere dalle torakku riservate ai veicoli a singolo passeggero. Durante il tragitto lasciava il suo sguardo accarezzare le onde, senza mai sfiorare le rocce sottostanti, erose dal vento salmastro del Pacifico. Sola, sedeva con la schiena dritta come un filo a piombo, le gambe sottili unite e allungate davanti a sé.
Quel giorno, in quella parte di costa, c'era molto vento e il mare era particolarmente impetuoso. Mentre la navetta si apprestava a percorrere una curva, un'onda si infranse sugli scogli sottostanti alzando degli alti spruzzi di schiuma bianca. Un raggio di sole la accecò per un attimo. Immagini sfocate si presentarono alla sua mente, fotogrammi di qualcosa estraneo e allo stesso tempo intimo. Il dorso di una mano in una lenta carezza su una guancia, occhi intensi come la notte più scura. Un petalo di rosa, a sfiorare la spalla nuda, in una luce abbagliante. Un ombrello rosso e una mano sui capelli, giù fino alla schiena delicata. Immagini di un tempo lontano, di una Meisa che, ormai, non esisteva più. Si stupì di quei ricordi: non aveva alcun bisogno delle reminescenze di una vita così lontana da sembrare non essere più la sua. Continuò a guardare il mare, lasciando che quelle gocce di passato le scivolassero addosso senza bagnarla.
* * *
La città le scorreva intorno, mentre raggiungeva il suo obiettivo: il Golden Gai. Le voci erano anonime, non si rivolgevano a lei e le ignorò. Gli sguardi incontravano il suo corpo. Non era importante, perché li vedeva scivolare via. Il target non era il ragazzino con i capelli verdi e nemmeno l'uomo anziano dagli occhi come capocchie di spillo. La fretta era inutile. Camminava lentamente: era importante per dare tempo all'occhio esterno di guardare il corpo al di là delle vesti, di sobria sensualità. I movimenti erano leggeri come l'acqua di un ruscello, necessari a catturare lo sguardo e a cullarlo con seduttiva indolenza. I capelli, lunghi e setosi, ondeggiavano, così evidentemente morbidi da destare il desiderio di affondarci le mani.
* * *
Jin aveva contato i minuti che lo separavano dall'uscita dal lavoro. Non c'era stata sera che non si fosse ammazzato sul computer, con gli occhi che bruciavano come brace e le sinapsi stimolate fino a fargli venire le vertigini. Ma il venerdì era il suo momento: quello in cui svuotava la testa per le strade di Tokyo, con la cravatta slacciata infilata in tasca.
L'ascensore si aprì, lasciando uscire figure all'apparenza anonime: non lo sarebbero più state, una volta riversate nel labirinto delle strade. Slacciò il primo bottone della camicia, allargando leggermente il colletto. Fame. Questo era il primo bisogno da soddisfare.
Mosse i primi passi per uno dei viottoli del Golden Gai e si trovò catapultato in un caos di voci chiassose e vivaci. Tacchi vertiginosi, gonne così corte da coprire a stento glutei sodi, scollature generose e sguardi provocanti: era venerdì sera per tutti a Tokyo.
Yakitori e sochu. Sì! Aveva voglia di qualcosa di saporito, che facesse da preludio a un fine settimana sfrenato.
Entrò nel locale dando uno sguardo veloce per trovare uno sgabello libero ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa di diverso. Seduta con grazia, come una farfalla su un fiore, una giovane donna. Un tubino chiaro le fasciava il corpo senza volgarità, i capelli, lucidi e lunghi, accarezzavano la schiena. Lo sgabello alla sua sinistra era libero e Jin, calamitato, non esitò neanche un istante e con passo deciso si fiondò a occuparlo.
Si voltò con discrezione, ma l'odore nauseabondo lo colpì prima che lui potesse guardarle il volto: funazushi.
- Ti piace quella roba? Non riesco proprio a toccarla!
Vide il delicato ovale alzarsi dal piatto e due occhi stupiti fissarsi nei suoi.
- Lo sto mangiando io infatti!
- Scusami, non volevo essere scortese! Credo solo che tu stia mangiando la cosa che più mi disgusta e mi chiedo: ma come fai?
- A me piace molto la sua consistenza. In quanto al sapore non saprei. Per me un piatto vale l'altro.
- Ageusia?
- Esatto! Come fai a conoscere questo termine?
- Mi piace l'enigmistica!
Le labbra della ragazza si distesero in un bellissimo sorriso.
- Mi chiamo Jin.
- Aya.
Le ore passarono. Jin non si sarebbe mai alzato da quello sgabello. Era stregato. Una piccola Majo, forse, ma non riusciva a smettere di parlarle e di ascoltarla. E di guardarla. Non era bella in maniera appariscente ma tutto in lei gli pareva esattamente come doveva essere, si accorgeva di desiderarla con un ardore che gli bruciava fin nelle viscere, gli faceva palpitare il cuore come da troppo tempo non accadeva più. Da Meisa.
Aya stava parlando del mare, del suo fascino, del suo odore, di quanto le piacesse lasciarsi bagnare dagli spruzzi delle onde che si infrangevano sugli scogli e lasciarsi asciugare dal tepore del sole. Aya smise di parlare, vedendo Jin, che la stava guardando negli occhi, incantato: sembrava non percepisse più le sue parole ma fosse solo cullato dal suono della sua voce. Il tempo si fermò per un istante e le labbra di Jin si mossero, sussurrando:
Perle di pioggia sulla pelle
Brividi i tuoi occhi
Raggi del sole
Quell'haiku! Gli era uscito dalla bocca con una naturalezza disarmante. Jin non immaginava che l'avrebbe recitato ancora, non per una donna diversa da Meisa. La bocca dischiusa sull'ultima sillaba, rimase immobile: quelle parole sembrava avessero fatto vibrare le corde di Aya: le sue labbra semichiuse, gli occhi che le brillavano. Jin le prese la mano e, continuando a guardarla negli occhi, si avvicinò per baciarla. Aya si tirò indietro e, con dolcezza, portò la sua mano sulla bocca di lui.
- Non baciarmi!
Un'espressione di delusione si dipinse sul volto di Jin.
Poi Aya proseguì:
- Ageusia ricordi? Baciare mi provoca una sensazione sgradevole.
- Oh! Non immaginavo!
- Ci sono molti altri modi per amare...
E dicendo queste parole, sfiorò delicatamente la guancia di Jin con il dorso delle dita.
- Niente baci allora!
rispose prontamente Jin. Aya si sentì compresa. L'espressione che si dipinse sul suo volto era indescrivibile: un misto tra lo stupore e desiderio.
Jin si avvicinò lentamente all'orecchio di Aya, ormai senza più freni ed espresse, sottovoce, il suo desiderio:
- Vieni a casa mia!
Aya lo guardò negli occhi e fece un cenno di assenso, leggero come un petalo di ciliegio.
***
La porta si chiuse alle loro spalle. Aya, girò leggermente la testa, cercandolo con la coda dell'occhio. Le mani di lui, da dietro, le cinsero la vita. Le guance si sfiorarono. Aya chiuse gli occhi e inclinò la testa, sciolta dal calore del corpo di Jin che la stringeva. La baciò sul collo con tale foga che lei gli afferrò i capelli trattenendo a stento un gemito.
Anche Jin ansimava: la sua arrendevolezza, le sue piccole mani allacciate al collo, tutto di lei lo rendeva folle. L'odore che le sentiva addosso era inebriante. La voltò desideroso di guardarla in viso. Si fermò, poggiando la fronte a quella di Aya. La voglia di assaggiare il sapore delle sue labbra era dirompente ma... Ageusia, ricordò, con un lampo, spalancando per un attimo gli occhi. Glielo aveva promesso, non poteva mancarle di rispetto. Gli parve bellissima, con gli occhi scintillanti e i capelli che lui stesso aveva arruffato. La vide avvicinare la mano alla cerniera del suo vestito per spogliarsi e scosse la testa, sorridendo poi della sua confusione: voleva spogliarla lui. Voleva essere spogliato da lei. Quando le sfiorò con dolcezza il seno, per sfilarle la biancheria, sentì il cuore di Aya martellare nel petto freneticamente. Poi i loro corpi sul letto, intrecciati come i loro sguardi.
Ripeté il suo nome come un mantra, pieno di passione. Lo gridò, quasi, al culmine del piacere ma, in quel momento, vide i suoi occhi rovesciarsi e il corpo abbandonarsi.
- Aya! Che succede? Aya!
Sfiorò il suo petto, si chinò ad ascoltare, ma niente. Nessun battito: niente, niente!
Il campanello ruppe il silenzio angosciato. Jin, sconvolto, afferrò un asciugamano e lo legò sui fianchi.
Un gruppo di uomini, un inchino frettoloso; quello davanti dichiarò
- HUMANOTIC! Dobbiamo entrare! - e senza altri convenevoli furono in casa.
Due energumeni gli si pararono davanti mentre altri due si diressero, senza esitare, in camera da letto.
- Chi siete? Non potete entrare così!
Jin fu fatto sedere, mentre un tizio alto aprì una valigetta, porgendogli un foglio.
- Nakano Satoshi, psicologo della Humanotic. L'unità con cui si è intrattenuto finora ha subito un guasto fatale. Credo se ne sia accorto. Intanto firmi qui per la riservatezza, signor Okada.
- ... Humanotic? La Humanotic dei cyborg?
Nakano assentì. Jin lo guardò, in preda allo sgomento.
- Aya... un cyborg?
Altro cenno di assenso. Jin si lasciò andare sul divano, come una marionetta dai fili tagliati.
- AIA57863. È il prototipo di un'unità di intrattenimento per adulti: la nostra ultima creazione.
Puntualizzò un uomo calvo che non si era presentato.
* * *
Nella camera da letto due tecnici stavano lavorando intensamente, analizzando la IA del cyborg.
- L'anomalia inizia quando il signor Okada pronuncia quell'haiku e il punto critico... quando Okada ha rispettato la richiesta di non baciarla.
- Guarda l'evoluzione dell'ipersfera decisionale: ci sono una serie di segmenti che hanno cominciato ad avere un peso notevolmente più elevato. È per questo che ha deciso di seguire Okada a casa, nonostante avessimo imposto regole decisionali precise.
- E durante il rapporto ha cominciato a richiamare questo segmento nel loop che ha causato il guasto fatale.
- Sto vedendo che sono tutte zone che riguardano Okada o elementi a lui collegati. È come se...
* * *
- Aya è un'unità speciale, creata per riuscire a donare un'esperienza più coinvolgente. Ha l'obiettivo di attrarre, non solo per il suo aspetto, ma soprattutto per il suo modo di fare. Si è accorto quanto piacevole fosse conversare con lei? Però, ci sono delle regole che il cyborg dovrebbe seguire, perché non vogliamo che arrivi a far innamorare l'interlocutore. Dovrebbe rifiutare qualsiasi "percorso" diverso da quello che farebbe una escort...
I due tecnici entrarono nel living e si rivolsero al tizio calvo:
- Abbiamo trovato la causa del guasto, signor Yamada. Ha dell'incredibile: è come se il signor Okada avesse fatto innamorare il cyborg.
- Ridicolo!
Sbottò il calvo Yamada.
- Difatti è un'anomalia mai riscontrata prima. Abbiamo approfondito eseguendo la Mind Correlation della IA, con le mappe mentali di tutti i soggetti che hanno partecipato all'addestramento: è venuto fuori un risultato che non fa che avvalorare questa tesi...
Spiegò il primo tecnico.
- Abbiamo trovato dei punteggi di correlazione alti con molti dei soggetti ma ce n'è uno che spicca di almeno il 40% su tutti gli altri: si tratta di Sumiko...
- Signor Okada, ha mai avuto rapporti o relazioni con una escort di nome Sumiko?
Chiese Yamada.
- Non sono mai andato con una escort e il nome Sumiko non mi dice nulla.
- È necessario un confronto diretto per fugare ogni dubbio. Mi sono preso la libertà di convocare la signorina Sumiko. Dovrebbe essere qui a breve.
Yamada ammutolì alla vista della figura gentile, bellissima che, con passi leggeri, entrò nell'appartamento.
Nakano Satoshi si inchinò in segno di cortesia e salutò:
- Benvenuta, signorina Sumiko.
Tutti gli altri si inchinarono. Sumiko passò in rassegna tutti, facendo un piccolo cenno con il capo per contraccambiare il saluto. Poi, i suoi occhi si fissarono negli occhi neri e spalancati di un uomo, con i capelli arruffati e coperto solo di un asciugamano.
- Jin!
Esclamò Sumiko in un soffio.
Jin, la bocca aperta e gli occhi che si stavano inumidendo, sospirò:
- Meisa!
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