05. Il Compleanno Di Léon
Quando la campanella suonò segnalando l'inizio dell'intervallo, Seba si stiracchiò sulla sedia e si alzò; quella mattina la sveglia non aveva fatto il suo dovere, suo fratello aveva occupato il bagno per più di dieci minuti, e lui era dovuto correre a scuola senza riuscire nemmeno a farsi una doccia.
Non era neppure riuscito a salutare i suoi amici, dato che erano già entrati tutti al suo arrivo a scuola.
Si sentiva particolarmente irritato dalla piega che avevano preso gli eventi, essendo una persona molto legata alla sua routine giornaliera.
«Usciamo un po' in cortile?» gli chiese Andrea, gli occhioni azzurri arrossati dagli innumerevoli sbadigli.
«Passo un attimo alle macchinette, stamattina non ho fatto colazione. Vi raggiungo subito» rispose lui con un tono vagamente scazzato.
Fortunatamente ai distributori non c'era fila, quindi poteva permettersi di scegliere con tutta calma: cioccolato fondente, al latte, con nocciole, bianco, con riso soffiato; c'era solo l'imbarazzo della scelta.
Il cioccolato era una delle poche costanti della sua vita: poteva succedere qualsiasi cosa, e lui sapeva che il suo umore sarebbe migliorato mangiandone anche solo un pezzetto.
Quella, però, non doveva essere proprio la sua giornata fortunata; dopo aver inserito le monete, il meccanismo che avrebbe dovuto spingere in avanti la sua bramata tavoletta di felicità si inceppò, facendola restare sospesa tra quella specie di molla e il vuoto.
Seba si guardò in giro e, dopo aver appurato che non ci fosse gente attorno a lui, tentò con una spallata a quell'aggeggio malefico; poi fu la volta di un calcio ben assestato sul fianco e, infine, gli mollò un pugno.
Niente da fare: la sua merendina era rimasta ferma nella stessa identica posizione.
«Stupida, stupida macchinetta!» borbottò tra sé e sé.
«Problemi?»
Si voltò di scatto nel sentire quella voce e, come aveva immaginato, si ritrovò Léon davanti.
Ma perché spuntava fuori sempre nei momenti peggiori? Aveva un talento innato per caso? Lo guardava con quegli occhi grigiognoli e aveva la stessa espressione che si ha quando si incontra un pazzo.
«Questo coso non funziona. Stupido, stupido coso» disse a denti stretti fissando male il distributore e sferrandogli un altro calcio.
«Aspetta, proviamo così» Léon frugò nelle tasche e tirò fuori una moneta, la infilò nell'apposita fessura e digitò di nuovo il numerino che aveva selezionato poco prima Sebastiano.
Il meccanismo si azionò nuovamente e finì la corsa interrotta poco prima, rilasciando così sia la tavoletta che era rimasta appesa, che quella nuova.
Gli occhi di Seba si illuminarono quando Léon tirò fuori dallo sportellino quelle due meraviglie al cioccolato bianco con nocciole.
«Ecco» gli disse porgendogli una delle due tavolette.
«Grazie» rispose Seba con un leggero imbarazzo. Non sapeva perché, eppure la presenza di Léon, oltre ad irritarlo, lo metteva sempre un po' in soggezione.
«Figurati! Ci si vede stasera» gli fece un cenno con la mano e si avviò verso l'uscita. Probabilmente avrebbe raggiunto il resto del gruppo fuori.
«Buon compleanno!» Seba si pentì immediatamente di avergli gridato dietro quella frase. Avrebbe potuto fargli gli auguri direttamente a casa sua, in serata. Ma che cosa gli prendeva? Era sempre stato un ragazzo molto sicuro di sé, e invece con quello stupido francesino si sentiva sempre in difetto.
Léon si voltò verso di lui, fece qualche passo camminando all'indietro, gli strizzò un occhiolino mentre tirava su appena un angolo della bocca, e tornò a marciare tranquillo nella direzione che aveva preso poco prima, con quell'andamento sciancato che lo contraddistingueva.
Stupido, stupido Seba.
Erano quasi le 19:00 quando Sebastiano decise di alzare il culo dal divano; si era intrippato con una nuova serie su Netflix e il pomeriggio era volato così, tra un sonnellino e una puntata.
Dopo aver fatto una doccia nella speranza di distendere i nervi, andò davanti all'armadio. Era una serata tra amici, non doveva essere difficile scegliere cosa mettersi, giusto? Sbagliato! Seba era nella confusione più totale.
Nessuno aveva specificato se dopo cena avrebbero fatto qualcosa -anche solo un giro in centro o una birra in qualche pub- così lui si ritrovava a non sapere cosa indossare.
Non voleva essere troppo elegante, nel caso fossero rimasti tutta la sera a casa, ma nemmeno troppo sportivo nell'eventualità di un'uscita.
Ma da quando in qua si faceva tutti quei problemi?
Ripescò dall'armadio una maglietta semplice, nera, e un paio di jeans dai toni sbiaditi, cercando di smetterla di farsi tutte quelle paranoie da adolescente in piena crisi ormonale. Era pur sempre un uomo, per Dio!
I capelli erano stati sapientemente fonati, e il ciuffo riusciva ad avere la giusta piega senza la presenza di gel o lacche.
Lui odiava tutti quei prodotti che ti impiastricciano le dita non appena ci passi una mano in mezzo.
Guardò l'orologio appeso alla parete di camera sua e notò che ci aveva messo una mezz'oretta abbondante per prepararsi, e ora era arrivato il momento di rispondere alla domanda che si era posto per tutta la giornata: come cazzo si incarta un archetto?
Seba aveva vagliato più opportunità, ma nessuna sembrava adatta a confezionare quell'aggeggio.
Alla fine optò per la soluzione più semplice, ovvero rigirarlo in un pezzo di carta regalo e modellarla a mo' di caramella.
Faceva veramente schifo, ma al momento gli sembrava l'unico modo per non farlo sbatacchiare a destra e a manca.
Seba guardò un'ultima volta la scritta che aveva fatto qualche ora prima, sentendosi soddisfatto del risultato; la "L" iniziale aveva un bel ricciolo, e il resto del nome era legato ad essa con estrema eleganza.
Aveva ereditato la bella calligrafia da sua madre, ma raramente si applicava per esibirla e, solitamente, nei suoi scritti c'erano giusto due o tre lettere che potevano definirsi belle, il resto era quasi più un geroglifico che un testo vero e proprio. Eppure, quando si impegnava, eccole lì, le belle lettere che componevano il nome "Léon".
Seba alla fine aveva deciso di non aggiungere nessuna "e" finale. Era pur sempre il nome di colui che aveva salvato la sua cioccolata!
Il viaggio in motorino non fu particolarmente traumatico, per fortuna l'aria era ancora abbastanza tiepida anche di sera, e gli era bastato mettere una felpa leggera per non farsi infastidire dal vento.
La casa di Léon era accanto al condominio in cui abitava Alex, e lui dal suo migliore amico c'era stato un'infinità di volte, eppure non si era mai soffermato a guardarla.
Era una villettina a due piani recintata da un elegante cancello in ferro battuto, e il giardino curato che la circondava dava un tocco di classe a quella casetta.
Di fianco al cancelletto pedonale vide Chiara, che sorrise non appena lo riconobbe.
Seba infilò il casco sotto la sella e si diede un'occhiata veloce in uno degli specchietti, notando che i capelli erano ovviamente un disastro. Ci passò le mani in mezzo sbuffando, poi si avviò verso la sua ragazza.
«Ciao amore.»
«Hai preso il regalo?»
Seba alzò gli occhi al cielo; da quando era più importante chiedere di uno stupido regalo piuttosto che salutare il proprio ragazzo?
«Ripeto: ciao, amore!»
Chiara scoppiò a ridere.
«Scusami» gli disse dopo aver allacciato le mani al suo collo e avergli stampato un bacio, «Ciao anche a te. Hai portato il regalo?»
«Certo che no! Questa che vedi impacchettata nella mia mano è una bacchetta magica, me l'ha mandata Hagrid direttamente da Hogwarts!»
«Quanto sei scemo!» gli sorrise lei, «Dai, entriamo.»
Ma era proprio necessario? Seba voleva condividere meno tempo possibile con quel francesino; fosse stato per lui avrebbe mollato il pacchetto a Chiara e sarebbe tornato a casa sul suo adorato divano.
Il cancello pedonale si aprì, e sulla soglia di casa comparve la figura di Giada, i lunghi capelli castani lasciati sciolti e gli occhioni nocciola che sembravano brillare anche a qualche metro di distanza.
«Uh, è già una perfetta padrona di casa» sussurrò Seba.
Incassò la gomitata della sua ragazza senza battere ciglio, e promise di non fare assolutamente nessuna allusione che potesse mettere in imbarazzo la loro amica.
Una volta in casa si guardò attorno: l'entrata affacciava direttamente sul salone, un ambiente abbastanza grande, arredato in modo piuttosto classico. I mobili erano sui toni del legno scuro, ma l'atmosfera era alleggerita dalle pareti tinteggiate di un giallo tenue; la cosa che lo colpì maggiormente fu il grande camino posto nella parete laterale, sulla cui mensola erano poggiate cornici contenenti attimi di vita sorridente.
C'era anche Léon, tra tutti quei volti, coi suoi capelli sparati in ogni direzione e gli occhi sempre in tempesta.
Seba poteva immaginarselo lì, su uno dei due divani dall'aria così comoda, mentre leggeva qualcosa preso dalla grande libreria dall'aria antica, alla sola luce naturale del fuoco che scoppiettava in quel meraviglioso caminetto.
Chissà se poi era uno che leggeva, lui. Seba era convinto di sì.
In fondo al salotto, dall'arco in mattoncini a vista si poteva intravedere la cucina. Lui e la sua fidanzata si stavano dirigendo proprio lì, dove i suoi amici si erano radunati.
Salutarono tutti e rinnovarono gli auguri al festeggiato, che in quel momento si stava passando la mano tra i capelli con aria afflitta.
«Ma chissenefrega! Ci arrangiamo, Léon, stai tranquillo» stava dicendo Andrea.
«Che succede?» chiese Chiara, che probabilmente aveva notato l'espressione un po' stranita degli altri.
«Succede che a compiere vent'anni la memoria ti si impalla. Ho dimenticato di ordinare le pizze e ci vorranno almeno due ore prima che siano pronte.»
«Oh... Non hai niente da cucinare qui a casa?»
«Certo, la dispensa è piena. Il problema è che vorrei evitare di finire la serata in ospedale. Sai che figata di compleanno? Al posto della torta, lavanda gastrica per tutti.»
Gli altri scoppiarono a ridere, e Alex puntò gli occhi sul suo migliore amico.
«Dai, salvaci da questo disastro!»
«Sì! Seba è bravissimo a cucinare! Vedrai che risolviamo in fretta» confermò Giada.
Gli occhi di Léon scattarono sul viso del diretto interessato, e aveva l'aria un po' troppo stupita per i gusti di Sebastiano. Che c'è? Lo riteneva un completo incapace?
«Davvero? Pensi di poter rimediare qualcosa?» chiese con tono speranzoso.
Seba portò una mano dietro la nuca e iniziò a grattarla in maniera leggermente imbarazzata.
«Beh, se vi accontentate... un piatto di pasta riesco a farlo di sicuro.»
Alex scoppiò in una risata.
«Ma tutta questa modestia da dove l'hai presa? Era in offerta al mercato? Ti sei sempre vantato di essere uno chef mancato!»
Seba sentì le guance andare a fuoco.
Era vero, sapeva di essere bravo in cucina, ma non voleva mostrarsi troppo sicuro di sé, specialmente tenendo conto del fatto che quando il francese era nei dintorni, lui sembrava sempre dare il peggio.
«Fantastico!» applaudì Léon, con evidente aria sollevata e incamminandosi verso di lui.
«Ragazzi, tutti in salotto. Io e Sébastien abbiamo bisogno di spazio e concentrazione. Forza, tutti fuori!» gli si era affiancato mentre lo diceva, e poi aveva allungato un braccio per circondargli spalle.
Seba trovò veramente fastidioso quel gesto, e il fatto che di nuovo lo avesse chiamato "Sébastien" lo irritò talmente tanto che iniziò a sentire il cuore accelerare, tanta era la rabbia.
Cercò di calmarsi facendo qualche respiro profondo, tentando di non farsi notare da quello stupido francesino.
Quando tutti furono fuori dalla cucina, Léon si mise davanti a lui e, dopo aver appoggiato anche l'altra mano sulla sua spalla, si chinò verso il suo viso.
Quegli occhi grigi riempirono di nuovo tutto il campo visivo di Sebastiano, che iniziava a vedere i contorni quasi sfocati e sentiva i rumori come ovattati arrivare alle sue orecchie.
Gli sembrava di essere in una bolla in cui erano presenti solo lui e la tempesta che aveva di fronte.
«Allora, sei pronto?» chiese con un mezzo sorriso sulle labbra.
Seba sgranò leggermente gli occhi; era mai possibile che dovesse bloccarsi così ogni volta che si trovavano faccia a faccia?
«S-sì, certo.»
«Iniziamo!»
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