𝚔𝚎𝚎𝚙 𝚢𝚘𝚞 𝚜𝚊𝚏𝚎
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Mi sveglio perché sento freddo.
Apro gli occhi, di mattina prestissimo come rivelano le luci chiare e cerulee fuori dalla finestra, perché ho un freddo cane.
Sto gelando.
Le ossa, i muscoli, la pelle e tutto quello che ci sta in mezzo.
Ho...
No, non ho freddo.
Non ho...
Sono confuso.
Rincoglionito, intorpidito e stanco, steso su un letto che devo ammettere è decisamente comodo, con una maglietta non mia addosso e le mutande.
Sono...
Non ho freddo.
Avevo paura, non freddo.
Ho solo confuso i brividi con...
Che cazzo di ore sono?
Non so nemmeno se ho sonno.
Ho sonno?
Com'è che mi chiamavo io, già?
Dio, non so nemmeno se questo pianeta è ancora la Terra.
Mi sale di nuovo il freddo, o la paura, quello che è. Un'ondata dai piedi alla testa che mi fa tremare come una foglia. Mi sembra che le stesse cellule del mio corpo tremino le une sulle altre, di essere scosso dalle fondamenta.
Le coperte.
Dove sono le coperte?
Le ho addosso, miseria.
Non ho voglia di alzarmi per mettermi dei pantaloni, dovrei ricordarmi in che galassia vivo per farlo e al momento sono qui, tutto intorpidito e tremante, e vorrei rimanere qui.
Mi sposto appena appena.
Percepisco qualcosa di caldo.
Qualcosa di...
Bollente.
Giro la testa.
C'è un uomo nudo nel mio letto. Nudo sul petto, non so se abbia i pantaloni. È caldo. Molto caldo. Spande calore e io ho freddo e se è qui è perché ci vuole stare quindi...
Aderisco come una ventosa all'uomo nudo nel mio letto.
Che poi non è palesemente il mio letto quindi intendo sia il suo.
Mmh, è caldo. Ha la pelle liscia e profuma, si sentono i muscoli sotto, è morbido sopra, è solido... dentro. Ha senso? Boh, che ne so, che ne...
Gli passo un braccio sul petto, infilo una gamba fra le sue – portava i pantaloni, per la cronaca – e nascondo la faccia contro il suo fianco, mi spingo di più verso di lui, ancora di più. Più caldo, ho ancora troppo freddo, voglio sentire più caldo, voglio bollire come la minestra in una pentola a pressione, voglio scoppiettare come il brodo sul fuoco, voglio prendere fuoco come un incendio, divampare come...
Quando stringo l'uomo fino quasi a strizzarmelo addosso, quello reagisce.
Si muove.
La sua voce esce in un mugugno che penso mi suggerisca che anche lui sta riemergendo alla coscienza come, all'incirca, ho fatto io, poi tira su una mano, se la schiaffa in faccia, la muove sopra gli occhi per massaggiarseli.
– Keiji? –
Keiji...
Sono io, Keiji. Ok, sono sveglio abbastanza per sapere questo, e anche per sapere che lui non è solo un uomo nudo, è il mio uomo nudo, ed è davvero bello, davvero nudo. Potrebbe essere più nudo, ma...
– Ho freddo. –
– Hai freddo? –
– Sto gelando. –
– Mmh, arrivo. –
Si stiracchia da testa a piedi, poi si gira dalla mia parte, mi abbraccia forte contro di sé, mi avvolge con le braccia.
Ora fa meno...
Oh, con questo calduccio potrei tornare a dormire.
Però...
Un altro brivido.
No, non è freddo.
È decisamente paura.
Ho paura di...
Il mondo mi crolla addosso.
La mia coscienza si risveglia e si riapre, e il mondo mi crolla addosso. Mi tornano alla mente la sensazione dell'intonaco contro la mia faccia, le mani dietro la schiena, il rumore della pistola. Mi ricordo della sala e della villa, dei vestiti, di quando mi sono sentito sporco e...
Mi ricordo anche Kōtarō che mi bacia e che mi chiede di diventare il suo ragazzo.
E mi ricordo tante lacrime, Kenma, una doccia aperta, un cagnolino grosso quanto la mia testa e...
È presto, non voglio pensarci. Mi gira la testa al solo riemergere di tutto quello che è successo nel giro di due giorni e io sono stanco, mi sento sfinito e vorrei solo godermi la pace, il tepore, la calma.
Basta, Keiji, datti un secondo di respiro, datti un po' di tempo.
Non...
– Kōtarō? –
– Sì? –
Mi rintano di più fra le sue braccia.
– Mi stai sopra un po'? –
– Eh? –
– Sopra di me. Senza fare niente, solo... mi stai sopra. –
– Come una coperta? –
– Tipo. –
Sbadiglia, poi mugugna e si sistema addosso a me.
– Ma non ti schiaccio? –
– Mi piace se mi schiacci un po'. –
– Sei sicu... –
– Se poi non ti va più smetti. –
Borbotta qualcosa, poi apre le braccia e mi spinge con la schiena sul letto. Ha gli occhi semichiusi, quando si sposta su di me e appoggia una guancia sul mio petto. Apro le gambe attorno alla sua schiena, appoggio le mani sulle sue spalle, muovo piano le unghie sulla pelle.
Sorride.
– Mmh, è bello. –
– È vero. –
L'ho letto su un libro una volta, che la pressione tattile profonda è un'informazione sensoriale che mette il corpo in condizioni di riposo.
Non so se sia vero.
Non so se sia Bokuto o sia la pressione, a calmarmi.
So che infilo le dita fra i suoi capelli, che lo osservo baciarmi distrattamente il petto e rimettersi giù l'attimo dopo per riposarsi, che l'ansia si allontana.
Mi adagio sul cuscino.
Cerco di chiudere gli occhi.
Va tutto bene, va tutto bene.
Tutto è andato per il meglio.
È presto, saranno le cinque, forse le sei del mattino, hai ancora tempo per dormire e riposarsi con Bokuto, che ora è il tuo ragazzo, prima di andare a portare il suo cane a spasso e andare al lavoro. Non farti prendere dal panico, non pensarci troppo, è tutto...
Mi scorre un brivido lungo la spina dorsale.
Le immagini mi si piantano di fronte come una sequela di fotogrammi che il mio cervello si rifiuta categoricamente di cancellarmi dalla memoria.
Le gambe delle persone nella stanza, la luce verso di me, le mani sul mio corpo, la voce. Dita che spalancano i miei occhi, vestiti che si strappano, commenti, un milione di commenti, sguardi e la sensazione di essere sporco, di fare schifo, di...
– Chiudi gli occhi, Keiji, chiudili un attimo. –
La voce di Bokuto è rauca, intorpidita dal sonno come lo siamo entrambi, ma è familiare ed è calda, contro il gelo che il terrore mi spande sulla pelle.
Obbedisco.
– Va tutto bene, sei con me, sei al sicuro. Siamo a casa mia, stiamo bene. Va tutto bene. Sei vivo, nessuno ti farà del male. Ci sono io con te. Ci sono io. –
Giallo oro.
La voce di Bokuto è giallo oro.
Come i suoi occhi.
È...
Accogliente.
Stringo le mani sulla sua pelle.
– Non c'è niente che non va. Non vado da nessuna parte. Sei al sicuro, Keiji, sei al sicuro. –
Le trascino su, verso il suo collo, sento la sua pelle sotto le mie dita, come sia morbida e l'odore buono che ha, la consistenza e quanto sia liscia.
– Ci penso io a te, ok? –
Apro gli occhi.
Azzurro ghiaccio su giallo oro.
Ha il viso arrossato sulle guance dal sonno ma è bello, così bello, con questa luce che lo prende di taglio. Mi piacciono le sue ciglia quando un raggio di Sole le colpisce, perché sono chiare e brillano attorno ai suoi occhi.
Sono qui, qui con te.
Non sono da nessun'altra parte.
Sono qui con te.
Qui non fa freddo, qui non fa paura. Qui fa caldo, si sta bene. Non è ieri notte, oggi, non è cinque anni fa, non è mia madre, non è la sensazione di non essere niente, non è il male del mondo.
È tutto il contrario.
Sei tu.
Annuisco.
– Ti prego. Ti prego, Kōtarō, ti prego. –
– Tutto quello che vuoi. –
Si sporge verso di me e io mi sporgo verso di lui.
È un po' come va tutto fra noi, il bacio che ci diamo.
È incontrarci a metà strada.
Con Bokuto che si avvicina e che invita me a fare lo stesso.
Mi godo la sensazione pacata delle sue labbra che s'impastano sulle mie. Sa ancora lontanamente di dentifricio, alla fine non saranno passate più di tre ore da quando siamo andati a dormire, e il modo in cui si muove su di me è ancora sonnolento, intorpidito.
Mi arriva addosso.
Io mi ancoro a lui con le gambe e con le braccia, me lo tiro sopra.
Chiudo gli occhi.
Ancora, ancora, ancora. Fai diventare un incendio questo fuoco che si è appena acceso dentro la mia pancia, fai scomparire ogni traccia di preoccupazione. Baciami, baciami ancora, baciami finché tu non sarai tutto quello che saprò del mondo.
Mi stringe il fianco con una delle sue mani.
A contatto con la pelle, la maglietta tirata su che è più un ostacolo che una protezione dal freddo, le dita che mi affondano addosso.
Quando si stacca non si allontana. Rimane là, con la fronte sulla mia, e respira me, la mia pelle, senza distanziarsi di un solo centimetro dal mio viso.
Ancora la mano sull'orlo delle mie mutande.
– Queste le possiamo togliere? Ti va? –
Sposto la testa in su e in giù.
– Con le parole, Keiji, per favore. –
Ripesco la mia voce dal fondo del mio torace. È confusa ancora dal sonno, ma la uso per essere il più chiaro e perentorio possibile.
– Sì, Kōtarō. Sì. –
– Perfetto. –
Stringe l'elastico e lo tira giù. Non me le sfila di dosso, le lascia appese alle mie ginocchia, ma le abbassa quel che è necessario perché io sia scoperto.
L'attimo dopo mi sta baciando di nuovo, e la sua mano invece che il fianco, mi stringe chiaramente il culo.
Mi piace.
Che... mi tocchi così.
Lo so che sembra stupido e superficiale ma...
Essere voluto è una cosa che per me è importante. Non sentirmi bello, non guardarmi e dirmi che il mio aspetto è affascinante o elegante o qualsiasi cosa sia. Voluto. Desiderato.
Bokuto mi desidera.
È...
Eccitato da me.
Mi guarda e pensa che mi vorrebbe, mi guarda e mi vuole.
È importante, per me.
Perché mi fa sentire... qualcosa che qualcuno vuole e non il solito rifiuto costante verso tutto quello che sono.
Mi lascio baciare e mi adagio contro le sue mani, uso le mie per lasciargliele scorrere sulla schiena, sulle braccia. Mi piacciono anche le sue braccia, mi piacciono tanto. Sembra acciaio, il muscolo che riposa sotto la distesa liscia della sua pelle, come tutto il resto del suo corpo, ed eppure nonostante sembri la più limata colatura di metallo, è dolce, è morbido, è malleabile.
Il mio...
È il mio ragazzo, Bokuto.
E mi piace tanto che lo sia.
E vorrei che lo fosse ancora e ancora.
E...
Allungo una mano di lato, verso il comodino. Ci serve il lubrificante e credo l'abbia messo qui, se lo cerco magari...
Scaccia via la mia mano con la sua.
La prende e me la rimette addosso.
Quando apro gli occhi per guardarlo, sembra una via di mezzo fra intenerito ed esasperato.
– Faccio io, Keiji, tu non devi fare niente. Ce la fai per un secondo della tua vita a lasciare che qualcuno si prenda cura di te? –
Ride al fondo della frase, e rido io quando lo fa lui.
– Non lo so, non sono molto abituato. –
Sporge il braccio dove l'avevo sporto io un secondo fa.
– Ti abituerai. –
– Dici che ce la farò? –
– Te lo garantisco. –
Apre il cassetto, tira fuori il lubrificante, lo molla sul letto al mio fianco e torna con le mani su di me.
– Tu stai fermo e stenditi, ci penso io a te. Che ne dici, ti sembra una cattiva idea? –
Scuoto la testa.
– Mi sembra un'ottima idea. –
Sorride, la luce del Sole dietro di lui non compete con l'illuminarsi del suo viso, quando lo fa.
– Vedi che sai essere una polpettina obbediente? –
– Guarda che divento una polpettina incazzata se non mi sco... –
– Ssh, ssh, non rovinare il momento. –
Ridacchio al modo infantile in cui lo dice, scuotendo la testa, e tiro su una mano timida sulla sua guancia. La tengo ferma lì, con il pollice che gli scorre sulla pelle, lo guardo negli occhi mentre lo faccio.
Gli faccio capire che voglio che si avvicini.
Lo fa.
Le nostre labbra s'incontrano a metà strada, un'altra volta.
Quando ci stacchiamo il mio cuore è più leggero di quanto non lo sia mai stato, i colori sono vividi nel mondo che ci circonda, l'aria sa di lui, e mi sembra di non aver mai provato una gioia simile in tutta la mia intera esistenza.
– Mi prometti che mi farai stare bene, Kōtarō? –
– Te lo prometto. –
– E che esisti davvero e che non sono in coma ad immaginarmi una vita alternativa perfetta in cui ho tutte le cose che ho sempre voluto? –
Sorride.
– Sono reale, te lo prometto. O se non lo sono stiamo allucinando in due. –
Gli sfrego uno zigomo con le dita.
– Certe volte penso che tu sia così bello e così perfetto che non sia possibile che tu esista davvero. – commento.
Si china sul mio viso.
– Penso lo stesso di te dalla prima volta che ti ho visto. E non due settimane fa al tuo dipartimento, Keiji. Intendo proprio la prima volta che ti ho visto. –
– La prima volta? –
Annuisce.
– Tu non te la ricordi perché hai passato tutto il tempo a parlare col procuratore di non so che cosa, ma io ti ho visto per la prima volta due anni fa alla festa del dipartimento. –
– Davvero? –
– Già. –
Ferma le dita all'angolo di uno dei miei occhi, poi di nuovo sorride come se fosse lui, la stella che brilla sull'umanità, e non una palla di fuoco che intravedo fuori dalla finestra.
– Eri bellissimo allora e sei bellissimo adesso. Tu non hai la minima idea di quanto io mi senta fortunato e grato e felice di essere qui con te. Di aver avuto l'opportunità di lavorare con te, di starti vicino, che tu ieri mi abbia detto sì. Lo so che sono un tipo che s'infatua in fretta e che sono emotivo, ma non è per questo che te lo sto dicendo, te lo sto dicendo perché è la verità e perché voglio che tu sappia quanto bene mi fai stare. –
Mi manca il fiato dal petto.
Respiro ma mi sembra di non farlo.
Mi... mi pizzicano gli occhi.
Sbatto le palpebre per cacciare il principio di lacrime che si era annidato sulle mie ciglia, sorrido il mio sorriso più sincero, più aperto.
Fortunato, lui?
Io sono quello fortunato, qui.
Ventisei anni a credere di essere qualcuno e due settimane per capire quanto in realtà io di me stesso non sapessi niente.
Tu sei fatto d'amore, Kōtarō.
Sei composto e intessuto d'amore.
Brilli e scaldi come un abbraccio, sai di tutto quello che di bello c'è al mondo, non respingi, non giudichi, non rifiuti, tu ami e ami con tutto te stesso anche chi il tuo amore non credeva di volerlo. Sei una persona così... bella, Bokuto Kōtarō. Una persona così dolce e comprensiva, una persona che ama e che non s'imbarazza di farlo, non si risparmia, non si trattiene.
Io non lo sapevo, davvero, fino a due settimane fa.
Ma lo so adesso.
Accettare me stesso, amare me stesso, non è difficile come credevo.
Perché se lo fai tu, che sei la bontà e la dolcezza di un mondo intero racchiuse dentro una sola, unica persona, allora non è sbagliato che lo faccia anch'io.
Sei...
Lo tiro verso di me prima di scoppiare in lacrime. Respingo il pianto baciandolo, sentendo il suo peso sopra di me e il suo corpo attorno al mio, godendomi la sensazione di essere protetto e schermato da tutto solo con le sue braccia avvolte su di me.
Mi bacia ma lo fa con calma, non con foga.
Intreccia la lingua con la mia e ingoia ogni mio singolo ansimo o respiro, si muove con dolcezza, lentamente su di me.
Le sue mani scorrono il mio corpo, i miei fianchi, la vita, il viso e il collo, mi apre dolcemente le gambe, mi accarezza le cosce, si muove sulla mia pelle come un soffio di vento.
Non è aggressivo come l'altra volta, sa che non è questo che voglio ora, probabilmente non lo vuole nemmeno lui. È piacevole e delicato, si... prende cura di me.
Quando ci stacchiamo entrambi abbiamo il fiatone.
Ed entrambi stiamo sorridendo come due idioti.
Si allontana piano da me senza dire niente, si tira su, sposta le coperte con sé, prende il lubrificante. Mi guarda senza proferire parola e allo stesso modo io annuisco, poi apre la bottiglietta, spreme un po' del liquido sulle dita e avvicina la mano a me.
Delicato.
È delicato.
Infila due dita dentro il mio corpo piano, con calma, senza fretta.
Sono rilassato e non faccio resistenza, mi lascio andare sul letto e mi godo la sensazione della sua mano che si muove dentro di me.
Il mio fiato si fa appena appena più veloce, ma non gemo, non ad alta voce, ansimo e basta con lo sguardo rivolto verso il soffitto, il calore che mi si espande dentro.
Piacevole, è piacevole, tremendamente...
Piega le dita.
La mia schiena si stacca dal cuscino.
La mia voce rotola fuori in un verso sconnesso e decisamente più forte di quelli di prima.
Sposto lo sguardo su Kōtarō che sorride, non ferma la mano anzi, continua a piegare piano le dita, mi guarda di rimando e preme la mano libera contro la mia spalla, spingendomi indietro, di nuovo sul letto.
– Non muoverti, lascia fare a me. Ssh, calmo, calmo, Keiji. –
Si muove un po' più velocemente.
Il mio fiato si spezza.
– Kōtarō... –
– Ssh, ssh, rilassati, rilassati. –
Cerco di farlo ma...
È a metà fra la cosa più piacevole e dolce che qualcuno mi abbia mai fatto e un principio di piacere caldo e bruciante nel mio stomaco. È a metà fra la voglia di chiudere gli occhi e farmi cullare dalla sensazione piacevole della sua mano dentro di me e quella di aprire le cosce e accogliere tutto di lui nel mio corpo.
È...
Mi tiene fermo contro il letto, quando inserisce un terzo dito.
Mi obbliga a stare giù.
Il mio corpo si tende e le mie gambe s'irrigidiscono, ma il lubrificante rende tutto scivoloso e comodo e la sua mano mi tiene immobile e steso sui cuscini.
È...
Come se non fossi mio.
Come se fossi in balia del controllo e della mente di qualcun altro.
Ed è un incredibile... sollievo.
Separa le dita e con calma le lascia uscire ed entrare per far rilassare i miei muscoli interni, mi sussurra "bravo" e "rilassati" e "lascia fare a me" con la sua voce un po' bassa del mattino, dolce, avvolgente. Lo guardo attraverso le ciglia bagnate di lacrime e non so se sia il piacere, che ora mi scalda come se venisse da un posto arcano e nascosto dentro di me, o la sola sensazione per una volta nella vita di non avere il peso del mondo sulle spalle.
Ansimo, gemo, ma è pacato, è tutto pacato.
Si lecca le labbra, indietreggia e mi guarda nel punto dove le sue dita entrano ed escono da me.
Famelico, ma di una fame muta, sorda, pacifica.
Si vede dai pantaloni del pigiama quando dolorosamente sia eccitato ma non ha fretta, non dimostra né usa fretta con me, no. È come se mi stesse coccolando, anche se quello che stiamo facendo è chiaramente sessuale.
È... incredibile.
Davvero incredibile.
Si sente solo il rumore dei nostri respiri e quello umidiccio del lubrificante. La luce del mattino illumina la stanza di un colore tenue, l'aria attorno a noi frizza del tipico freddo mattutino, c'è silenzio, pace.
Intimo.
È intimo.
Ed è dolce, così dolce.
Si china su di me e cattura le mie labbra in un bacio sottile, accennato, quando si stacca rimane lì, a sentirmi ansimare mentre muove le sue dita fuori e dentro da me.
– Sei bellissimo. – mi ripete, e io non posso fare altro che emettere piccoli versi sottili e appena accennati per rispondere.
Il mio corpo si tende ma si rilassa subito dopo, mi sembra di non avere più nemmeno un osso sottopelle, solo la sensazione bruciante del piacere che mi rende morbido, molle, inerme.
– E sei così bravo per me, Keiji. –
Di nuovo, gemo e non molto di più, mi lascio catturare dalla sensazione.
– Potrei prendermi cura di te in questo modo per sempre. Potrei stare qui a farti star bene per sempre, Keiji, davvero. –
Annuisco per quel che riesco a fare, socchiudo gli occhi quando piega le dita un po' più rigidamente di prima, mi mordo forte l'interno della bocca.
Mi prende il viso con una mano.
Massaggia il muscolo della mandibola finché non lascio andare la presa sui miei denti.
– Su, rilassati, da bravo. Rilassati, rilassati, rilassati. Così, bravo, così. –
Sciolgo i muscoli uno ad uno, quelli del corpo e quelli del viso. Preme ancora un po' sulla mia bocca, finché non cedo e le mie labbra si separano.
Mi prende quello inferiore fra i denti, lo mordicchia, ma quando tento di chiudere la distanza fra noi per baciarlo, si allontana quel tanto che basta a impedirmi di raggiungerlo.
Ride piano.
– Sta giù, Keiji. –
– Mmh, vieni qui. –
– Vuoi un bacio? –
Annuisco, di nuovo provo a tendere il collo dalla sua parte ma si allontana.
– Kōtarō, per favore. Vieni qui, vieni... –
– Il mio piccolo Keiji vuole un bacio? –
Sposto un'altra volta il mento su e giù, cerco come riesco di tirarmelo addosso, ma non c'è verso di spostarlo. Non ho l'energia per costringerlo e l'avessi comunque penso non basterebbe, però...
– Ti prego, vieni qui, Kōtarō, ti prego. –
Gli scintillano gli occhi.
– Mi preghi? –
– Ti prego, sì. –
Sorride ed è appena più malefico, quando lo fa. È giusto un accenno sul suo viso perfetto, ma...
– Come potrei dirti di no, quando sei così disperato. Arrivo, Keiji, un attimo e arrivo. –
Apro la bocca per protestare di nuovo ma il fiato mi si spezza quando sento le sue dita uscire da me e le sue mani ancorarsi alle mie cosce.
Le separa con calma, tira via le mutande ancora incastrate sulle mie ginocchia.
Poi riprende il lubrificante, se ne spreme un po' sulla mano aperta e abbassa i suoi pantaloni per metterlo su se stesso.
La vista mi fa sbavare, come mi fa sbavare ogni angolo di lui.
È davvero eccitante, Bokuto Kōtarō, coi suoi addominali che sembrano scolpiti nel marmo, la linea di peli chiarissimi che scende dall'ombelico e la sua pelle abbronzata.
È qualcosa che vorrei vedere tutti i giorni.
Mi dico, con una punta di orgoglio e una di stupidissima felicità, che è il mio ragazzo e che è decisamente l'uomo più bello che io abbia mai visto.
– Ti piace quel che vedi? –
Tiro su lo sguardo sui suoi occhi.
No, non m'imbarazza farlo, sono disinibito e lo sono sempre stato con chiunque, con lui poi non ho nemmeno motivo di vergognarmi nel farlo. Chiunque fisserebbe se avesse l'incarnazione della bellezza di fronte alla faccia, no?
– Mi piace molto. Non dovrebbe? –
Si sposta verso di me, appoggia una mano a fianco della mia testa, sul cuscino, con l'altra allinea se stesso con me.
– Mi piace piacerti. – mormora.
– E allora ti farà piacere sapere che mi piaci da morire. –
Sorride, si lecca le labbra e poi si spinge dentro di me.
Come prima, non è né frettoloso né di quel tipo di piacere violento e rude che arriva come una pugnalata nello stomaco. È un piacere che si costruisce a poco a poco, sfacciato, chiaro ma delicato, come lo è lui questa mattina.
Mi ha preparato bene e con calma, quindi non sento nemmeno il minimo accenno di dolore, solo una sensazione di pressione piacevole fra le mie gambe.
Arriva in fondo che quella pressione mi si è adagiata sul fiato.
Ha gli occhi che scintillano e il corpo in tensione, ma nonostante tutto sta fermo, a guardarmi con tutta la dolcezza che possiede.
– Va bene? Male? –
– Benissimo, Kō, va benissimo. Sei... –
Avvicina le labbra al mio orecchio.
– Meraviglioso? Perfetto? –
Gli rispondo con un sospiro.
– Volevo dire grosso. –
Lo sento distintamente irrigidirsi ancora dentro di me. Gli piace, eh, al ragazzone, sentirselo dire? Che poi non è una di quelle cose fondamentali in un rapporto e sono d'accordo che certe volte possa anche essere un limite ma...
'Fanculo, non sono qui a salvare il mondo, per una volta.
Posso dire al mio ragazzo la verità senza sentirmi in colpa.
Soprattutto se gli piace.
Soprattutto se...
Si muove una volta fuori e dentro da me. Sento il mio corpo accoglierlo senza problemi, il calore espandersi sulle mie gambe, le mie mani stringersi sulle sue braccia.
Lui mi bacia una tempia.
– Cazzo, Keiji, lo vuoi sentire? –
– Sì, Kōtarō, sì, ti prego, ti prego, ti... –
Non è un ritmo frettoloso o violento o brutale come è stato l'altra volta. Ma è profondo, e sento, sento tutto, tutto davvero.
Esce ed entra da me con calma ma senza fermarsi, il letto non cigola e la testiera non sbatte contro il muro ma il mio corpo si apre e il suo si fonde col mio, il calore diventa quasi febbricitante, dentro di me.
Quando mi sposta appena appena il bacino verso l'alto la mia bocca si apre da sola.
La mia voce esce da sola.
E dice il suo nome, perché credo al momento di non conoscere nessun'altra parola che non sia quella.
Kōtarō mi accarezza il fianco, mentre mi guarda prendere tutto e non lasciar scappare niente fuori da me. Mi accarezza il fianco con delicatezza e le sue mani sono grandi e più scure del colore lattiginoso della mia pelle, lievi su di me come se fossi sul punto di rompermi, come se fossi qualcosa da custodire.
L'ho già detto, ma non è per questo meno vero adesso.
Non sembra che stiamo facendo sesso, da come mi guarda e da come mi tocca.
Sembra mi stia coccolando.
Non l'avevo mai fatto... così.
Non che qualcuno mi avesse mai sfiancato come lui l'altra volta o che si fosse azzardato a chiamarmi "troia", ma quello è un genere a cui sono decisamente più abituato, rude, un po' più volgare, più fisico.
Questo è mentale.
Corporeo nella misura in cui siamo noi due, sudati e insieme che ci aggrappiamo l'uno all'altro, ma mentale, perché sembra che mi stia abbracciando e cullando dolcemente nelle prime ore del mattino per sciogliere la tensione dentro di me.
Non...
Non so come reagire.
E non saperlo non m'interessa.
Reagisco come sento.
Credo che l'unica persona in grado di farmi agire senza pensare a come farlo, sia qui con me.
Gli avvolgo le gambe sulla schiena, incrocio le caviglie fra di loro, lo spingo verso di me.
– Kōtarō! –
La schiena mi s'inarca, la mia voce è più strozzata, più sfiatata, le unghie affondano sui suoi bicipiti.
Si ferma.
Mi bacia la fronte, mi accarezza di nuovo il fianco, poi una spalla e il viso.
– Ssh, Keiji, sta' giù. –
– Non... –
– Giù, sta' giù. –
È più difficile star giù che reagire.
Lo sa.
Lo so anch'io.
Ma non può coccolarmi se reagisco, e lui questo vuole fare, coccolarmi, e non credo accetterebbe di smettere di farlo.
Cerco di lasciarmi andare sui cuscini.
Mi adagio sul materasso e lui si tira un po' su sulle ginocchia, si tira indietro i capelli, mi apre un po' di più le cosce.
È una visione, letteralmente una visione.
Bokuto Kōtarō coi capelli giù, ancora un po' umidi dalla doccia, un sottilissimo strato di occhiaie che sembra quasi matita sotto i suoi occhi che brillano d'oro, le ciglia chiare che s'infrangono contro la luce gelida del mattino.
Bokuto Kōtarō, che si sposta le ciocche dalla fronte con una mano, col braccio che si flette per farlo, i muscoli uno più surreale dell'altro che s'intravedono sotto la sua pelle.
Bokuto Kōtarō, con le spalle larghe, gli addominali e il corpo intagliato nel diamante, che guarda me, me soltanto, fra le mie gambe, una mattina come un'altra, come se fossimo qualcosa di quotidiano, come se fossimo solo noi due, come se non esistesse nient'altro.
Mi vengono i brividi.
Quando è successo?
Quando...
Si sposta fino in fondo dentro di me e si ferma un istante.
Prima che ricominci a muoversi tendo un braccio dalla sua parte.
– Vieni qui, Kō, per favore. –
Prende la mia mano tesa con le sue e bacia piano le nocche. Sposta il viso, prima di sorridermi e rispondere.
– Ti manco di già? –
– Da morire. –
Luce sul suo viso e sulle sue labbra tese che sembrano nascondere la più luminosa delle stelle.
Si china.
Lo stringo forte contro di me, un po' si sbilancia contro il mio corpo e un po' mi schiaccia ma mi piace che sia così perché lo sento, lo sento tutto, sopra e dentro e attorno a me.
Sposto il naso sopra il suo orecchio.
Prendo fiato e coraggio.
Il mio cuore sembra un martello sulle mie costole.
– Quand'è che mi hai reso così felice, Kōtarō? –
Sento la sua schiena irrigidirsi.
Trattiene il fiato.
Ma ormai ho iniziato a parlare, e non vedo perché dovrei smettere.
– Quand'è che questo è diventato qualcosa che vorrei fare e vedere tutti i giorni? Quand'è che sei diventato così importante? –
Gli bacio la tempia.
– Quand'è che la cosa di cui sono più fiero nel mondo è diventata essere qualcuno che tu chiami "il mio ragazzo"? –
Si sposta verso di me.
Dico l'ultima frase con gli occhi nei suoi.
– Quand'è che ho iniziato a meritarmi qualcuno come te? –
Sta piangendo.
Ha gli occhi grandi e vitrei, pieni di lacrime che gli rigano le guance.
Si avvicina a me e mi bacia con le labbra che sanno di sale.
– Tu ti sei sempre meritato tutto, Keiji. –
– Tu sei molto più di... –
– Il mondo è stato così orribile con te e tu sei comunque la persona più meravigliosa che io abbia mai conosciuto. –
Mi bacia di nuovo, le sue anche ricominciano a muoversi con calma sulle mie. Coi corpi così schiacciati fa frizione su di me e il piacere si unisce e mescola con la sfrenata euforia che provo.
Apro le labbra, accolgo Kōtarō dentro di me per come è, perché non lo vorrei diverso, e a dirla tutta il modo in cui è non potrebbe essere più perfetto.
Singhiozza piano.
C'è qualcosa di attraente, così attraente nel viso di un uomo della sua età che piange per me e che piange per le emozioni così forti che prova.
– Tu sei forte. E sei intelligente e sei coraggioso, sei interessante e sei bello, Dio quanto sei bello. –
Afferra una delle mie cosce dal retro, la tira su, la apre sul letto.
Le sue lacrime mi cadono contro il viso, ma le accetto sorridendo, perché sono sue, perché le sta versando per colpa delle emozioni che prova per me.
– Sei divertente e mi piaci tanto, tanto tanto, Keiji. Mi piaci così tanto che tutto quello che mi è piaciuto prima di te ora quasi non mi piace più. –
Si spinge dentro di me e i movimenti diventano più bruschi.
Mi mordo il labbro inferiore, nascondo in gola un gemito.
– Renderti felice rende me fiero di me stesso. –
Esce ed entra in me più velocemente.
– Perché te lo meriti tutta, la felicità, e sapere che io ne faccio parte è la cosa più bella che io abbia mai provato in tutta la mia vita. –
Sbatto le palpebre che sento gli angoli dei miei occhi inumidirsi.
Apro le cosce e sento il calore espandersi.
Stringo forte le braccia dietro il collo di Kōtarō e fondo le labbra con le sue, convinto, certo, che quello che mi abbia detto valga tanto, così tanto, che se anche mi avesse detto "ti amo" non mi sarei sentito così.
Sa sempre cosa dire.
Sa sempre cosa dire a me.
E sa come farmi sentire...
Una persona che si merita quello che ha.
Mi bacia abbandonando quasi del tutto la dolcezza di prima. Sembra disperato e sono disperato anch'io, disperato di volerne di più, ancora di più, tutto, tutto quanto. Sento il suo sapore e le sue lacrime e lui sente il mio, i nostri corpi s'intrecciano, il suo si addentra nel mio sempre meno delicatamente, il calore diventa insostenibile.
Gli pianto le unghie sulla schiena, lui mi tiene giù con una mano che quasi fa male sulla mia spalla, si sente il rumore dei nostri corpi che si uniscono, che sbattono l'uno contro l'altro, la parete dei suoi addominali fa frizione contro di me e le mie ginocchia chi si chiudono addosso, è bello, è così bello, così bello che...
È così bello che non ce la faccio più.
È così bello che si scioglie.
È così bello che fra le sue braccia, con le labbra sulle mie e lui dentro di me, mi lascio andare.
Mi sembra di cadere a pezzi o di disfarmi in mille coriandoli di carta, di perdere il filo di me stesso, di sfaldarmi nell'aria. Mi sembra di separarmi, di evaporare, di sparire.
È...
Intenso.
Bokuto che mi segue e il suo corpo che s'irrigidisce sul mio, le mie unghie che gli perforano la carne, la mia schiena che si tende sopra le lenzuola tanto che temo possa spezzarsi.
È intenso.
Così intenso che non so cosa provo dopo.
Non ne ho idea.
So solo che è caldo.
Che la mia mente è vuota.
E che sto bene, perché si è preso cura di me, perché lui c'è e non se ne va, perché sono al sicuro.
Perché mi fa stare bene.
La verità è questa.
Che Bokuto Kōtarō, mi fa stare bene.
Un'ora dopo, coi capelli asciugati alla bell'e'meglio, un paio di jeans che grazie al cielo avevo in macchina e una felpa delle Forze Speciali che mi sta enorme in ogni punto del corpo, sono sottobraccio al mio – adoro dirlo – ragazzo che zompetta tutto felice col guinzaglio in mano.
Abbiamo fatto una doccia.
E abbiamo anche fatto sesso un'altra volta nella doccia, per questo ho i capelli un po' umidicci, perché eravamo in ritardo e anche se il turno a lavoro oggi inizia un po' più tardi avremmo rischiato di togliere spazio alla religiosa passeggiatina del cane di Kōtarō.
Poi abbiamo fatto colazione e ho guardato Bokuto mangiare una cosa come dodici pancake di fila, quasi senza respirare fra uno e l'altro, che "fare attività fisica mi fa venire fame" e "la colazione è il pasto più importante della giornata."
Ci siamo vestiti, io coi sopracitati jeans e felpa, una sciarpa nera che mi copre per bene il collo e tutti i peccati che ci sono sopra, Bokuto simile a me ma con la giacca di jeans sopra la felpa perché dice che gli piace e che piace anche alle sue amiche del parco, abbiamo rifatto il letto e siamo usciti.
Per la cronaca, non abbiamo dormito tanto stanotte.
È stata movimentata, la cosa.
Quindi siamo usciti col guinzaglio senza cane.
Siamo tornati indietro a recuperarlo qualche minuto dopo e sono scoppiato a ridere, quando l'abbiamo fatto, perché ripeto che solo Bokuto Kōtarō può rendere il mio cervello così tranquillo da non rendermi conto di una cosa del genere.
– Capitano, non tirare, lo so che ci sono i tuoi amici ma non posso liberarti qui, se qualcuno ti rapisce? –
Esco dai miei pensieri sbattendo le palpebre nell'aria frizzante del mattino.
Sposto lo sguardo su Bokuto, che guarda a sua volta il cagnolino che scodinzola e cerca di trascinarlo a qualche metro da lui.
È piccolino, è piccolino per davvero.
Ed è effettivamente pigro, non cammina molto svelto né saltella in giro per casa.
Però è un cucciolo e immagino che la prospettiva dell'area cani a due passi da noi sia allettante anche se è di natura pigra.
– Dai, Capitano, non fare così, arriviamo subito. Se vuoi ti prendo in braccio. Ti prendo in braccio? –
Si gira, lo guarda e scodinzola come se gli stesse chiedendo qualcosa. Credo riconosca le parole "ti prendo in braccio".
Poi però credo cambi idea, perché ricomincia a tirare e a muovere le zampette paffute verso l'area cani.
– Ok, non ti prendo, ma fai il bravo. Non farmi fare brutta figura davanti a Keiji che poi se mi lascia te lo sorbisci tu il mio cuore spezzato. –
Rido piano, lo colpisco piegando la testa verso di lui.
– Non fargli ricatti emotivi, non è carino. –
– Non è un ricatto, è la verità. –
Ride anche lui, gira il capo, mi bacia fra i capelli e ricomincia a camminare.
Due passi, davvero.
Un paio di metri.
E poi apre la recinzione di metallo, s'infila dentro con me al seguito, e apre il gancetto del guinzaglio lasciando il Capitano liberissimo di correre scodinzolare dai suoi amici.
Lo guarda sorridendo, Kōtarō, e io guardo sorridendo lui.
– Guarda come corre, gli devono essere mancati. –
– Lo porti raramente? –
– Lo porto tutti i giorni, ma gli devono essere mancati lo stesso! –
La luce.
Tu sei... sei davvero la luce.
Dopo aver salutato il Capitano come se partisse per la guerra per almeno due minuti buoni, si scrolla di dosso l'improvvisa nostalgia che ha in corpo e mi prende per mano.
– Oh, dimenticavo, ora ti devo presentare le mie amiche. Vieni, Keiji, su, avanti, eeeeeccole... –
Mi trascina di lato su una panchina che esibisce quattro signore decisamente anziane sedute ordinatamente in fila.
Hanno il viso simpatico ma indagatore, quando lo portano a me, e vedo curiosità, curiosità e interesse nei miei confronti.
– ...qua! Signore, buongiorno, scusate il ritardo ma sono un rincoglionito e abbiamo fatto nottata a lavoro. Vi presento il mio ragazzo. –
Mi spinge un po' avanti e sorride a trentadue denti.
– Keiji, loro sono le mie amiche del parco, signore, lui è Keiji. –
Rimango in silenzio.
Sono...
Appena stato presentato a quattro vecchie dal mio ragazzo ventisettenne? Mi stanno esaminando, vero? Mi stanno... oddio, oddio, cosa dico? Cosa devo dire? Io...
E se mi odiassero?
E se non sapessero che Bokuto è bi?
E se...
Quella più al centro mi sorride.
Mi mostra un paio di occhi scuri e mi sorride.
Poi si gira verso Bokuto.
– Ce l'hai fatta a chiederglielo, eh, Kōtarō? Bravo figliolo, bel colpo. È molto più bello di quanto ci avessi detto. –
– Ve l'avevo detto che era bello, non mentire! –
– Ci avevi detto che aveva gli occhi azzurri e un gran bel sedere, tutto il resto no. Invece è bello sul serio. Ciao giovanotto, come hai detto di chiamarti? –
Mi fissa.
Io...
Non so come reagire.
Sono successe tante cose e di queste tante cose credo che...
Lascio perdere.
Lascio perdere e sorrido, perché se ci pensassi so che peggiorerei le cose e basta.
Prendo un bel respiro.
– Akaashi Keiji, sono... sono il ragazzo di Bokuto. Sono anche... –
– Sì, sì, lo sappiamo, lavorate insieme. Non hai idea della testa che ci ha fatto. Sono due settimane che fa comizio parlando di te, ma credevo non avrebbe mai trovato il coraggio di dichiararsi per davvero. – commenta un'altra delle signore, quella più a sinistra.
Unisco le mani di fronte a me.
– L'ha fatto ieri sera. – mormoro, e sento le mie guance scurirsi.
Quella al centro tira su il bastone e colpisce Kō su un fianco.
– E bravo il ragazzone, hai fatto centro, di' la verità. –
– Lo so! –
Mi scuote il retro delle spalle con le mani, poi mi bacia forte una guancia. È inappropriato, è rumoroso e per niente sobrio, ma è... dolce. Ed è carino. E mi piace, mi piace tanto.
Mi ride contro i capelli, quando si stacca.
– Ora vi presento tutte una per una. Allora, lei è... –
La signora al centro lo colpisce di nuovo.
– Il tuo cane sta inseguendo un Cavalier. La odia proprio quella razza di cani, miseria. –
– Eh? –
Indica dietro di noi, mi giro con lui. C'è il Capitano che corre – cosa che non credevo sapesse fare – con il fare di un cane da caccia, il muso dritto e le orecchie abbassate dietro ad un piccolo, morbido Cavalier King.
– Se vuoi evitare la lite come la scorsa settimana vai a riprenderlo prima che lo mangi. –
– Oh, merda. –
Mi guarda un secondo.
– Arrivo subito. – borbotta, poi scompare verso il Capitano, chiamandolo al grido di "avevamo parlato della non-violenza, Capitano, non puoi fare così solo con lui, è razzista" e andandosene via.
Io rimango...
Da solo con le anziane.
Con le anziane che si separano al centro e mi fanno cenno di sedersi.
Allucinato dal paradosso che sto vivendo accetto di buon grado, mi siedo e accavallo le gambe, cerco nella tasca una sigaretta e chiedo loro se le infastidisca il fatto che fumi.
Ad una risposta negativa la infilo fra le labbra.
Alzo lo sguardo e fisso Kōtarō correre dietro al suo cane.
È... ridicolo e adorabile assieme.
È Kōtarō.
La donna al mio fianco mi dà una botta col gomito.
– Lo sai che hai fatto jackpot giovanotto, vero? –
– Scusi? –
– Kōtarō, dico. So che sono di parte perché mi aiuta a portare la spesa e mi ha regalato i fiori per il mio compleanno il mese scorso, ma è la verità. Hai fatto jackpot. –
Mi giro per guardarla, le sorrido.
– Ha ragione. È proprio... è proprio vero. –
Alza una mano raggrinzita e me l'appoggia piano sulla spalla.
Stringe in un gesto affettuoso.
– Quello è un uomo che capita una volta nella vita. –
– Sì, è vero. –
Gli lancio un'occhiata furtiva.
Ha il suo cane in braccio.
Credo gli stia facendo... un discorso motivazionale.
– Ed è per questo che non ho la minima intenzione di lasciarmelo scappare. –
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
OK SO WE'RE BACK ANCHE CON QUESTA
non so se vi aspettavate lo smut ma non vi ho detto niente perchè già "sparisco per due mesi" è da infami ma "sparisco per due mesi e ci va lo smut al prossimo capitolo" credo mi avreste - giustamente - lapidata
e niente, so che questo e scottish sithe un pelino si somigliano (più che altro perchè ci sono i personaggi che fanno sesso di mattina non per altro lol) però spero che non sia un problema (?) giuro che non sono io a corto di idee (anzi) ma è proprio così che deve andare la trama
tra l'altro io ho il vuoto totale dallo studio a settembre e stavo meditando che se non avrò finito questa storia per la fine degli esami (non sarà così e lo so già) potrei anche prendermi un attimo per finire questa e dedicarmi solo a questo perchè in realtà non è che manchi tantissimo eh
in ogni caso spero che il capitolo vi sia piaciuto!!! ci vediamo prestissimissimo con new americana e niente see u soon <3
mel :D
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