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𐐪 5. Scintille intrise di pioggia

𝗔 𝗟 𝗧 𝗛 𝗘 𝗔 𝗠 𝗢 𝗢 𝗥 𝗘

Tre anni prima.
Cork, Irlanda.


«Così questo è il tuo studio», volteggio nella stanza per cogliere ogni dettaglio, anche se c'è davvero poco. È spazioso, pieno di luci che puntano sulla parete bianca in fondo. Essenziale e semplice come lui.

«Lo studio di fortuna che ho creato per lavorare qui a Cork» ci tiene a precisare. «Quello che ho a Dublino è decisamente...»

«Meno spoglio?» completo.

Condividiamo un sorriso.

«Sì» conferma, trafficando con la sua macchina fotografica. «È a tutti gli effetti il posto in cui vivo, ti posso assicurare che è tutto meno che spoglio.»

«Oh, mi fido del tuo giudizio.»

Rimaniamo immersi nella quiete che ci circonda, occhi negli occhi. L'elettricità tra noi è costante, fin dal primo giorno che è arrivato in città.
Brian Doherty è il prodotto della vita nella capitale, ha tutto ciò che una donna potrebbe mai volere: gentilezza, indipendenza, umiltà... fascino.
Tuttavia è così con i piedi per terra.
La sua semplicità è magnetica.

«Iniziamo?» propone. «Mettiti sotto le luci.»

Non mi entusiasta l'idea di posare per lui, ma mi è mancato il coraggio di confessare che non sono una da fotografie. L'ultimo selfie che mi sono fatta risale all'ultima estate con Samelia; il telefono era nelle sue mani, io mi sono limitata a volgere lo sguardo altrove.

Faccio come dice e accenno una posa preparata: una gamba di fronte all'altra e il braccio sollevato sulla testa, una mano stretta alla radice dei capelli. Non sarei in grado di reggere la posizione se non fissassi un punto alla mia destra.
Mi sudano le mani, sento i tamburi del mio cuore perfino nella testa, e temo che la mia pelle diafana si sia tinta di rosso.
Sto avendo uno scontro diretto con la mia vergogna, ma se non altro gli scatti ripetuti mi fanno credere di essere nel giusto.
Lancio un'occhiata verso di lui quando mi accorgo che si è fermato per fissare lo schermo.
Il pensiero che mi veda così da vicino mi fa sentire nuda.

«Questa non sei tu, Althea» asserisce, scontento.

Alza gli occhi su di me e il mio corpo rilascia la posizione come se costretto. Le sue iridi mi studiano da distante, trapassano ogni lembo di pelle che possiedo. Mi manca il fiato.
Vorrei poter tornare al momento in cui ho accettato la sua richiesta, come posso competere con le modelle professioniste che gli girano attorno.

«Forse dovremmo lasciar perdere» suggerisco. Ho raggiunto dei livelli di imbarazzo troppo alti.

«Perdonami, è colpa mia», accenna un sorriso. «Non riesco a concentrarmi...»

Respiro a fatica quando mi guarda come fossi un'opera d'arte.

«Dammi un'altra possibilità», la sua è una richiesta.

Il mio consenso lo spinge a raggiungermi.
«Lasciami fare» mi sussurra guardandomi negli occhi.

E così faccio. Lo lascio fare.
Divento un manichino, pur percependo ogni minimo contatto. Mi appoggia le mani sui fianchi e mi gira leggermente verso destra; la pelle delle mie braccia sfiora la superficie delle sue dita.
Il tessuto che mi ricopre non può nulla contro il suo calore.

«Ora legati i capelli come fai quando sei in cucina.»

No, non è solo il suo corpo a sconvolgermi.
I suoi respiri si disperdono dentro di me, bisbigliano alla mia mente i retroscena dei suoi gesti. Non è la prima volta che mi osserva attraverso un obbiettivo.

Alzo le braccia per seguire il suo suggerimento e lui ritorna al suo posto, nascondendosi dietro la sua amata macchina fotografica.
Sembrerò sfacciata, ma in questo istante vorrei solo essere come lei. Tra le sue mani.
Distolgo nuovamente lo sguardo, scottata dai miei desideri.

«Althea, guardami» mi ordina.

Non riesco a non obbedire.
Qualsiasi sia il polo che ci appartiene, il campo magnetico che si forma non mi dà alternative.

Scatta una sola fotografia.
Il sorriso soddisfatto che accenna mi suggerisce che è all'altezza delle sue aspettative. Questa volta sono io a raggiungerlo, sopraffatta dalla curiosità.
Rimango a fissare l'immagine per qualche secondo in più di lui, non mi sembra verosimile. Non mi riconosco. I capelli rossi, gli occhi azzurri, i lineamenti sono i miei, ma c'è qualcosa nel mio sguardo che mi rende così sensuale.
Brian ha attirato a sé una parte di me che non sapevo esistesse. Lui non guarda, ti scava dentro fino a trovare una scintilla.

«Ti ho trovata», sorride mentre fissa orgoglioso la sua opera. La sua scelta di parole mi provoca la pelle d'oca.

Mi ha trovata davvero.

«È bellissima» ammetto.

«Lo è fin troppo.»

Il mio cuore salta un battito, le sue iridi marroni puntano le mie come se volessero assorbirle. Mi fissa pensieroso, come se stesse provando a risolvere il più difficile algoritmo nel più breve tempo possibile.
Non sbatto le palpebre per paura di perdere la sua risoluzione e rimango in attesa di capire se stia penando ciò che sto pensando io. Se stia provando anche solo una briciola della mia frenesia.

Non si esprime con le parole, me le toglie letteralmente dalla bocca con la sua.
Si impadronisce delle mie labbra, della mia lingua e dei miei respiri con una foga che mi stravolge. Fa scivolare il cordino della macchina sulla spalla e rinchiude il mio viso tra le sue mani. Mi bacia ancora e ancora, fino a togliermi ogni filo d'aria.

«Mi sto innamorando di te, Althea» confessa sulle mie labbra.

Sorrido come una bambina che ha appena ricevuto una caramella in regalo. Sovrappongo le mani nelle sue.

«Vieni con me a Dublino.»

Mi toglie di nuovo il fiato.
Mi fa mancare la terra sotto i piedi.
E allora mi aggrappo alla prima fune che trovo, pur sapendo che non potrà mai salvarmi.

«E se fossi io a chiederti di rimanere a Cork?», invoco silenziosamente la sua empatia.

Appoggia la fronte alla mia e sospira.
«Chiedimelo, ti prego.»

Intreccio le mani dietro la sua nuca e spingo le sue labbra sulle mie. Passano pochi secondi prima che le sue braccia, strette intorno alla mia vita, mi sollevino da terra.
Sono così immersa nei suoi baci che mi accorgo di essere distesa su un divano solo quando il corpo di Brian mi sovrasta. La macchina fotografica non è più su di lui, non è più un ostacolo.
Il suo ginocchio sistemato tra le mie gambe per sostenerlo sfiora il mio punto più sensibile facendomi sussultare.
Si ferma all'istante, guardandomi con apprensione.

«Vuoi che ci fermiamo?», la sua voce e il suo respiro sono un supplizio.

«No» mi affretto a chiarire, riportandolo su di me.

Ho desiderato che succedesse dal primo momento in cui l'ho visto. Lui è sul punto di innamorarsi, io lo sono già irrimediabilmente.

La sua esitazione svanisce come neve al sole.
Mi solleva la maglia e mi passa le labbra sulla pancia, su fino al centro del seno. La mia pelle brucia.
Si libera di tutto ciò che indosso in pochi secondi, lasciandomi in intimo di fronte al suo sguardo ardente. Fa lo stesso con i suoi vestiti, è una corsa contro il tempo. Non mi sono mai sentita così desiderata in vita mia, il suo modo di fissarmi ha qualcosa di così intenso. Continua a farmi mancare il fiato. Slaccia il reggiseno e stringe il mio seno tra le mani.

«Althea...», sussurra il mio nome dopo averlo baciato con avidità. Mi fuoriesce un piccolo gemito soffocato. La mente ha ancora il controllo sulle mie emozioni.

Inarco la schiena quando scende con la bocca sul mio ventre. Il suo tocco è delicato, come se temesse di spezzarmi. Provo ad aspettare, vorrei assecondare le sue intenzioni, ma so già che non succederà. Prendo il suo viso tra le mani e lo riporto verso il mio, lontano dalla mia intimità.
Soffoco la sua sorpresa con un bacio e faccio nuovamente combaciare i nostri corpi. La sua eccitazione tocca la mia attraverso la stoffa dei suoi boxer.

Inserisce la mano nelle mie mutandine e inizia a tormentarmi. Mi sfiora, mi accarezza, preme le dita più a fondo e il mio desiderio aumenta fino a esplodere. Allontano le labbra dalla sue per riprendere fiato e i miei gemiti finiscono inevitabilmente nella sua bocca.
Pochi istanti dopo aver infilato il preservativo entra dentro di me, con una calma così discordante con il suo respiro. Temo che si stia trattenendo.

«Brian, voglio sentirti dentro di me» mormoro, anche se non è da me. Non sono una ragazza da dirty talk, fatico a parlare di ciò che voglio e mi piace in queste situazioni. Anche ora che i nostri suoni riempiono la stanza, mi sento come un pesce fuor d'acqua. Mi spingo oltre solo per lui.

Appoggia bocca sulla mia e affonda con più violenza. Ripetutamente, fino a farmi perdere il senno; attorciglio le gambe intorno al suo bacino e accolgo le sue spinte, rossa di vergogna.
Chiudo gli occhi per evitare i suoi occhi e la sua fronte si posa sulla mia. I nostri respiri aleggiano nella stanza, sovrastando i ticchettii della pioggia che provengono dalla fessura della finestra rimasta socchiusa.
Nella mia mente ci siamo solo noi.
Stringo le palpebre, non ho mai sentito ciò che sto sentendo ora. So che sarà intenso prima ancora di provarlo. Assecondo la sua foga, il suo ritmo così veloce, lo seguo come se fossi io a suggerirlo.

Premo le mani sulla sua schiena quando il flusso di piacere arriva al suo apice. Il suo segue il mio, come nei migliori romanzi erotici.
Il mio corpo trema, in balia degli effetti del mio primo vero orgasmo. Sono disorientata, incredula dal momento che avevo perso le speranze. Credevo che non mi sarebbe mai capitato con nessuno. Credevo di essere io il problema.

Mi accarezza una guancia, rivolgendomi il sorriso più dolce che mi abbiano mai rivolto, ma sono ugualmente presa d'assalto dalle mie insicurezze.

«Rimani a Cork con me», lo assecondo.
È una prova, un modo per scacciare il pensiero che sia stato tutto frutto di un momento, e il desiderio di una notte.

«È una decisione difficile...» abbassa gli occhi e mi aspetto il peggio. Il peggio del meglio.

«Perché me lo hai chiesto, allora?» chiedo con un filo di voce. Vorrei prendere le parti delle mie speranze disilluse, ma non ne ho le forze.

«Non lo so» replica formale.

Non posso ammettere di esserci cascata ancora, di aver frainteso le sue intenzioni e di essermi lasciata condizionare da un paio di sorrisi e due parole dolci.
Troppe volte si sono approfittati della mia buona fede e delle mie emozioni, credevo che questa volta sarebbe andata diversamente. Ero certa che Brian fosse l'uno tra i tanti.

Sono sul punto di andarmene, quando il suo viso si illumina nuovamente.

«Non ha un senso» ribadisce, rinchiudendomi il viso tra le mani. «Sarei rimasto comunque.»

Sorridiamo all'unisono, prima di riprendere da dove abbiamo lasciato.
Questa volta, forse ci ho visto giusto: Brian Doherty è diverso.


🍒🍒🍒



Dublino, Irlanda.
Oggi.

Piove, tra poche ore devo consegnare un ordine e ho finito il burro. Una pasticceria senza il burro, dove ho la testa. Vorrei non saperlo.
Guardo da entrambe le parti e attraverso la strada di corsa, maledicendomi di non aver portato con me un ombrello.
Uno degli ultimi meriti di Brian è avermi portato a odiare la pioggia in ricordo di una disastrosa vacanza che ha portato alla nostra fine.
Da romantica e malinconica sognatrice che amava leggere cullata dai suoi rumori, sono diventata una che ascolta rock e guarda film d'azione. Qualsiasi cosa pur di svuotare la mente.

Sollevo la testa troppo tardi dal telefono e finisco per scontrarmi con un passante.
Il mio sacchetto finisce a terra, così come una delle mie cuffie. La giornata migliora ogni minuto che passa.

«Scusi, colpa mia, non guardavo dove stavo andando» borbotto recuperando le due cose che sono uscite dal sacchetto.

Mi volto per accertarmi che fine abbia fatto una delle cuffie e la ritrovo nella mano dello stesso passante. Sono pronta a ringraziarlo quando riconosco i suoi lineamenti.
Sono così abituata che sia un prodotto del mio subconscio, che per un istante mi è parso si trattasse del solito sogno.
In effetti ne ha tutte le sembianze: Brian Doherty passeggia sotto la pioggia con Marie Roux. Illuminano l'atmosfera lugubre del quartiere con il loro perfetto quadretto.

«Da quando ascolti la musica rock? Non ti è mai andata a genio» commenta.
Il solo fatto che ostenti di conoscermi così bene mi fa tremare le gambe. Mi fa ancora più rabbia il riconoscere che non ostenta nulla, è come dice.

«Le cose cambiano», mi riapproprio della cuffia, anche se al momento desidererei disfarmene. Odio anche lei in questo istante.
Avrebbe dovuto avere il filo così da non volare nelle sue vicinanze, e soprattutto prendendo le distanze dal mio condotto uditivo, avrebbe dovuto spegnersi.
Se non altro la caduta avrebbe potuto farmi il piacere di portarsi via qualche meccanismo di funzionamento, o farle prendere fuoco.

«Sei a Dublino per...?» chiede.

«Lavoro. Ho aperto una pasticceria in questo quartiere», mi costringo a rimanere impassibile, nonostante nella mia mente abbia sfiorato il suo viso almeno dieci volte.

La sua espressione mi fa presagire il peggio.

«Non ti ho seguito, se è quello che pensi» chiarisco. Anche per lei.

Avremmo dovuto trasferirci a Dublino insieme, stando al nostro progetto.
Ho solo affrettato i tempi.
Non me la sono sentita di rimanere a Cork, compressa da tutti quei ricordi; ogni strada, vicolo e parco racchiude una parte di noi.

Mi guarda in modo strano, come se volessi dirmi e chiedermi qualcosa. Vorrei volgere lo sguardo altrove, ma mi rendo conto di essere ancora sotto il suo incantesimo. Se mi baciasse ora, lo lascerei fare.

«Brian, dobbiamo andare», gli sfiora il braccio con la mano.

Reprimo qualsiasi emozione ed espressione, anche se mi sto contorcendo dal dolore.
Vedere la persona che ami, con cui fino a qualche mese fa hai condiviso tutta te stessa, con un'altra lascia un amaro in bocca difficile da eliminare.

Faccio un cenno con il capo a Marie, è il massimo della cortesia che posso offrire durante la distruzione totale della mia autostima. Sono bagnata per via della pioggia, non oso immaginare i nodi nei miei capelli, ma ricordo piuttosto bene le occhiaie che mi hanno accompagnato in questi mesi.
Lei è lei. L'impeccabile modella francese con la pelle perfetta e il sorrisetto strafottente, con l'aggiunta di quel bonus per cui si è data tanto da fare: il mio ragazzo.

Brian ntercetta il mio sguardo alle sue spalle e si fissa su di me.

«Non è come pensi che sia» asserisce.

Non mi aspettavo niente di meno da lui,
è sempre stato bravo a guardarmi dentro.
Ciò non toglie che il 90% delle volte questa frase sia una menzogna creata appositamente per uscirne puliti.

«Non ha nulla a che fare» ricalco la frase sentita centinaia di volte. Seconda sola a "non c'è nulla tra me e lei."  Mi scappa un sorriso nervoso.

Si volge verso Marie e le sistema l'ombrello nella mano. «Vai avanti. Ti raggiungo fra poco» le dice.

«Ma Brian, sta piovendo e siamo in ritardo. Dobbiamo essere sul set fra venti minuti», mi lancia un'occhiata che non ha nulla di buono. «Ti aspetto», riporta l'ombrello su di lui per ripararlo.

«Come preferisci. Dammi cinque minuti al massimo.»

È già tutto di per sé piuttosto surreale, ma Brian che mi afferra per un polso e mi trascina sotto la pensilina di un negozio è fuori da ogni logica e senso.

«Al di là del lavoro... Stai bene?» mi chiede.

Continua a guardarmi come se volesse qualcosa da me. Se qualcuno ci vedesse, potrebbe pensare che sia stata io a troncare.

«Cosa ti aspetti che ti dica, Brian? Che sto cercando di rimettere insieme i pezzi, ma che è più difficile di quello che credessi?»

Rimane in silenzio, lasciando la parola alla pioggia. Distoglie lo sguardo e poi ritorna a guardarmi con più sicurezza.

«Ti ho chiamato un mese fa, e ha risposto un uomo», assottiglia gli occhi. Il suo disappunto mi colpisce come uno schiaffo, così come il ricordo di quel momento. «La sua voce mi ha fatto venire i brividi.»

Ho provato lo stesso, quando ha narrato come una storiella le violenze a cui mi avrebbe sottoposto. Non sono giunta a una conclusione definitiva: se stesse interpretando una parte, o se Kin Nowak fosse davvero quello.

«Aly, hai tutto il diritto di vedere chi vuoi, voglio solo essere certo che tu sia al sicuro.»

La voce di Brian si sovrappone al ricordo di quella di Kin, rimpicciolendone gli effetti.
Passa tutto in secondo piano, diventa evanescente di fronte alla sua reazione.
Il mio cuore esulta per i bagliori di gelosia che intercetta, la mia mente si attiva per elaborare una strategia di comprensione più approfondita.

«È un amico di Samelia. Sotto stata da lei un paio di giorni dopo...», fa male tornare indietro. «Dopo il viaggio a Cuba.»

«Hai raccontato cose piuttosto personali a un amico di Samelia che hai appena conosciuto», la tensione sul suo viso mi sconvolge e mi esalta allo stesso tempo. «Ha già accesso al tuo telefono. Che fine ha fatto la tua privacy?»

Lo seguo passo passo. Le sue espressioni, i suoi occhi, la sua voce mi mandano in estasi, perché sottendono una possibilità.
Quella delle emozioni, quella della gelosia.
Ritrova la strada un pensiero folle, pericoloso quanto la persona a cui è rivolto.
Kin Nowak è l'origine di ciò che sto vivendo. E potrebbe essere la soluzione.

«Come ho detto: le cose cambiano» lo punzecchio.

Il cambiamento terrorizza solo coloro che hanno paura di perdere qualcosa. Prima di spingermi al limite e decidere di scommettere, devo essere sicura che Brian possa anche solo desiderare di riafferrare la mia mano.

«Se vuoi la verità, non sono completamente sicura che rimarrò a Dublino. Samelia mi ha chiesto di stare con lei in Italia. Potrei farlo, non c'è più nulla che mi tiene qui.»

Lancio l'amo, è già una conquista che galleggi.

«Te l'ha chiesto lui?», mi guarda dritto negli occhi. Ricambio.

Può nascondersi sotto la superficie, ma la lenza tira.

«Ti ringrazio per aver preso la decisione di lasciarmi. Doveva andare così», gli sorrido.

La contrazione della sua mascella è il migliore spettacolo a cui potrei assistere.
La sua mano che mi accarezza la guancia il migliore regalo della mia vita.

«Non doveva andare così. Non ho mai voluto che le cose finissero così», mi solletica appena la pelle e perdo la testa.

«Così come? Tu che mi lascia all'Avana da sola, o tu che sparisci dall'appartamento dall'oggi al domani?»

Si allontana portando con sé la propria mano. La lenza sta per spezzarsi.

«Era evidente che non avrebbe funzionato, sono venuto solo perché hai insistito» ribatte, sospirando. «Me ne sono andato perché non avremmo retto un'altra discussione sulla nostra relazione.»

«Vuoi dire un'altra discussione sulla tua insoddisfazione», non riesco a reprimere la rabbia.

«Brian, i cinque minuti sono passati.»
Il diavolo ritorna tra noi, allungando gli artigli su ciò che un tempo era esclusivamente mio.

Brian mi fa cenno di aspettare un minuto e si allontana per rispondere al telefono.
Le mie gambe non si muovono nonostante io gli dia il comando e lei approfitta dell'occasione.

«Non ti preoccupare, mi prenderò cura di lui», il suo sorrisetto beffardo è una coltellata alla mia dignità. «In tutti i modi possibili.»

Le sue insinuazioni aprono scenari che mai avrei voluto vedere. Le sue mani su di lui, la sua bocca su di lei, i loro corpi che si intrecciano. I loro gemiti...

È la goccia che bagna la mia ritirata.
La mia spalle colpisce la sua nel mio tentativo di andarmene. Vorrei avere indossato un'armatura d'acciaio su un corpo di un rugbista.

Ho raggiunto il più alto livello di follia.
Lei non avrebbe dovuto provocarmi, lui non avrebbe dovuto concedermi della speranza.
Non ho più nulla da perdere, quindi mi lancerò nel vuoto, a rischio di perdere me stessa nella caduta. Mi riprenderò ciò che mi appartiene.
A qualunque costo.




— 𝖢𝖤𝖨𝖫𝖤𝖭𝖠 𝖡𝖮𝖷 —

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Eccovi uno stralcio di passato e uno di presente di Brian e Althea.
Sono stati una coppia felice? Assolutamente sì.
Certe felicità sono difficili da lasciare andare.
Lui è stato ed è importante per lei per ovvi motivi.
Per lei è quello giusto e niente al mondo sembra poter farle cambiare idea.
E lui? Ha i suoi motivi e i suoi pensieri.
Ne riparleremo più avanti.

Spero che 66(9)6 abbia già iniziato a incuriosirvi e appassionarvi. Fatemi sapere nei commenti le vostre impressioni, rispondo sempre con piacere.
Ricordare di accendere la stella prima di andare!
Love,

Ceil.

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