♛ 16. Delirio da fumo ¹
𝗡 𝗘 𝗥 𝗜 𝗠 𝗢 𝗡 𝗜 𝗖 𝗘 𝗟 𝗟 𝗜
Parte 1
Siamo arrivati da poco più di due ore.
Neri Monicelli ha animato la festa in spiaggia come promesso, attirando una discreta folla di gente. Chiunque ha fatto carte false per essere qui. Eppure lei non c'è.
Ha ricevuto un invito diretto, e ha il fegato di farsi attendere come fosse me.
Vedo Rigo che agita le mani da lontano per attirare la mia attenzione. Mi indica l'entrata. Le reginette del ballo ci hanno finalmente onorato della loro presenza. Faccio cenno al mio sostituto di prendere il mio posto. Eravamo d'accordo, io ero solo la facciata della serata.
Quando lo raggiungo mi indica precisamente la loro posizione. I miei occhi l'avevano già trovata. Cazzo. Non sono nemmeno più padrone del mio corpo.
Sorride e si sorprende della quantità di gente che ha intorno. Non c'è nulla di diverso. Non c'è carattere, né sex appeal. I capelli rossi sciolti sulla schiena e i pantaloni che indossa sono ormai parte integrante dell'immagine che ho di lei. Il top senza spalline, la striscia di pelle scoperta sulla pancia e gli orecchini a cerchio sono le uniche cose che potrebbero farla sembrare un'altra. Potrebbero, ma non lo fanno. Me lo impongo.
«Io te la levo di torno, tu cerca di combinare qualcosa.» È un avvertimento, non spingerò il tasto replay. «E ricordati che mi devi un favore» preciso.
«Conto sulle tue capacità di distrazione.»
Mi dà una pacca sulla spalla e ci separiamo.
Indosso il cappello e a testa bassa mi mescolo tra le gente. Sono tutti troppo occupati a bere a tempo di musica per notarmi. È da sola, Rigo deve essere stato più veloce di me. D'altronde a me piace prendermi i miei tempi. Le volteggio intorno mentre si guarda attorno compulsivamente alla ricerca di un segnale dell'amica. Dal palco non avevo notato che i pantaloni fossero di tessuto. Le fasciano le gambe molto di più del semplice denim. Deve essere differente anche al tocco, la pressione che la mia mano potrebbe esercitare sulle sue cosce...
Sono stato così concentrato a non farmela andare bene, da tralasciare i suoi punti di forza. Errore imperdonabile per Kin Nowak. Le sue gambe sono così armoniose, slanciate e sottili. Quando parlavo con lei non ho mai fatto molto caso a quanto la sua altezza fosse bilanciata alla mia, con il suo metro e settanta.
Interrompo il mio esame per colpa di un fottuto damerino che ha la pessima idea di sussurrargli qualcosa all'orecchio. Lei fa l'errore di apprezzare ciò che dice, e sorride. Sorridono insieme. È alle sue spalle, il che significa che le sta premendo il cazzo addosso.
Mi prudono le nocche delle mani. Se lasciassi fare a Neri, sarebbe già per terra. Sono fottuto. L'immagine di quell'idiota riverso sulla sabbia non dovrebbe farmi sentire così appagato. Scaccio l'idea di assecondare la sua sete di sangue, di gettarmi su di lui come fossi un primate e seguo le buone maniere di Kin. L'ho già fatto. Ho già smesso di capire chi sono quando sono con lei.
Neri e Kin sono entrambi qui.
Tengo le dita sul frontino del berretto per tenerlo bene abbassato. Le sfioro il polso mentre le passo accanto e lei si volge dalla mia parte sgranando gli occhi. Mi guarda spaesata. La poco luce sulla spiaggia non gli rende giustizia, nella mia realtà le sue iridi sono molto più fredde di così. Fino a qualche secondo fa avevo intenzione di afferrarla per un polso, ma l'idiota mi lancia un'occhiata e le dice qualcosa per riportare l'attenzione su di sé.
Ci è quasi riuscito... nei suoi sogni.
Stringo la sua mano nella mia e la trascino via. Mi abbasso al suo livello come un poppante alle prime armi. Non voglio nemmeno pensare a cosa significhi e cosa sia il surriscaldamento che mi fa sudare la pelle. Le lascio la mano quando siamo ormai dispersi sulla spiaggia, a chilometri di distanza dalla festa.
«Credevo che non volessi mischiare lavoro e vita privata» mi dice.
Punto gli occhi sulle onde del mare. Se potessi amplificherei il loro rumore pur di non sentire la sua voce. Sono incazzato per tutto lo spazio che le sto concedendo dentro di me.
«Lo sto facendo per Rigo. Ha un debole per la tua amica», chiudo le palpebre e respiro l'aria per tentare di calmarmi. «Voglio evitare che prenda altre assurde iniziative.»
Rimane sulle sue, qualche passo più indietro.
Il suo silenzio deve avere a che fare con la nostra ultima uscita. Siamo nella stessa barca, anche io vorrei dimenticare. Ho passato giorni a pensare di aver esagerato. Chiederle di toccarsi in mia presenza in un luogo pubblico mi si è ritorto contro. Mi ha inquinato la mente a tal punto da permetterle di insinuarsi nei miei sogni.
Per uno assuefatto alle perversioni sessuali, sognare di toccare una donna è al limite della schizofrenia.
Non era un sogno, ma un delirio.
«Ti avevo detto di non contattarmi senza motivo. Non sono il tuo centro di assistenza di fiducia.» Fermo il silenzio. C'è troppo rumore nella mia testa.
«Volevo sapere quando ci saremmo visti per una nuova lezione» replica.
Rido apertamente alla parola lezione, mentre estraggo la confezione di sigarette. Sono quelle di Rigo. Devo averle scambiate per le mie. Ne inserisco una tra le labbra, una a caso.
«A proposito, di recente hai ricevuto qualche chiamata dal tuo ex?» Lo chiedo così come viene, con la sigaretta in bocca e la fiamma dell'accendino occupata a bruciare la punta. Impiego due soli secondi a capire cosa sto bruciando, e altrettanti per decidere di continuare la cazzata.
«Quando ti sei preso la libertà di frugare nella mia borsa?»
Faccio scattare il coperchio che risucchia la fiamma. Stento a credere che abbia eclissato la mia domanda per una cosa del genere. Vedo il suo gioco e rilancio.
«Dovresti ritenerti fortunata», faccio un tiro per prepararmi a ciò che sta per avvenire. Che sia una tragedia o una benedizione, mi affido al caso. Faccio un passo verso sinistra e le sono di fronte. «Se quella notte non l'avessi fatto, la tua amichetta sarebbe venuta a conoscenza della tua brillante idea di assumere uno gigolo per le tue pene d'amore.»
Mi guarda dritto negli occhi, con una sicurezza che mi fa ribollire il sangue. «Non avresti potuto per via del contratto» ci tiene a ricordarmi.
Mi lascio scappare un ghigno di divertimento. «Contratto che in quel momento aveva solo la tua firma. Sei finita KO prima di accertarti che rispettassi la mia parte dell'accordo.» Sollevo l'accendino che tengo tra due dita. «Ringrazia che l'abbia trovato e abbia cambiato idea.»
«Ti sbagli, non posso fidarmi di te.» Lo dichiara per l'ennesima volta, questa volta ne è troppo certa.
«No. Non puoi fidarti» confermo con soddisfazione. Si sente così forte solo quando è nell'ombra. Mi avvicino, tanto da lasciare lo spazio di una mano. «Ma, dimmi, quando sono cambiate le tue priorità?» Non voglio saperlo, ma sono un fottuto masochista.
«Di cosa parli?»
«Hai ignorato la mia domanda sul tuo ex per questo?» Le accarezzo la pelle sul mento con l'acciaio freddo dell'accendino. «Un oggetto che per te non ha alcun valore?»
Sposta il viso di lato per interrompere il contatto e fa mezzo passo indietro nascondendolo nella sabbia. «Il punto erano le tue mani nella mia borsa» ribatte.
Sta diventando più brava a eludere le domande. O forse sono io a essere più reticente a conoscere le risposte.
Faccio sparire il suo mezzo passo indietro per il puro piacere di fare una cosa che non gradisce. «Considerato dove stavano le tue mani quella notte, potresti anche passarci sopra.» Sistemo la sua mano sulla patta dei pantaloni. «Nel caso avessi bisogno di un fermo immagine che ti aiuti a ricordare.»
Posso vedere il suo viso riempirsi di rabbia.
È uno spettacolo da vedere, quasi quanto è stimolante da percepire il calore della sua mano. Tenta di allontanare la mano, ma la mia la spinge sul tessuto. La sua resistenza non fa che creare delle vibrazioni a beneficio della mia libido.
«Attenta agli effetti collaterali delle tue pressioni» la canzono.
Si libera dalla mia presa ed estrae il telefono. Fissa lo schermo così da impedirmi di vedere la sua espressione imbarazzata.
«Dove stai andando?» le chiedo quando si volge indietro in direzione della festa.
Mi sistema davanti agli occhi lo schermo del telefono. Le notifiche sono tutte della sua amica.
«Il piano era di sequestrarla?»
Mi fa sorridere. Pensa a lei quando dovrebbe preoccuparsi di se stessa. È da sola. In mezzo al nulla. Con un me fumato.
«Sta bene, è con Rigo. Lasciagli del tempo» le dico.
«Posso aspettare anche in mezzo alla folla» precisa.
Ritorno a guardare l'oscurità del mare e faccio un altro tiro per far scomparire l'immagine di un altro idiota che le alita sul collo.
«La settimana scorsa ho incontrato il tuo ex a una serata. Potrei aver agitato le acque, accidentalmente.» Non ho bisogno di guardarla per capire che ho riottenuto la sua attenzione. «Per farla breve: se ti chiede se ci conosciamo, nega.»
«Hai incontrato Brian? Aspetta... Cosa gli hai detto? Non era così che doveva andare» farfuglia di seguito.
Qualcosa mi dice che ora non penserà più di aspettare la sua amichetta in mezzo alla folla.
«Calmati. Non è nulla di serio. Si è solo ricordato di avermi visto a Cuba» spiego.
Me la ritrovo affianco, la sua mano premuta sul mio avambraccio.
«Pensavo non ti andasse di toccarmi?»
Il mio sarcasmo si perde nell'aria quando incrocio il suo sguardo. Non avrei dovuto voltare la testa dalla sua parte, avrei dovuto aspettare che l'ansia e la disperazione sul suo viso si fossero dissolte. Questo è il potere che quell'inetto ha ancora su di lei. Le lezioni non sono servite a un cazzo.
«Si è fatto un paio di paranoie, ma non sa nulla» chiarisco. Riprendo a guardare di fronte a me, ma la pace del nulla non ha più lo stesso effetto. «Uno come lui nemmeno sogna cosa stai combinando.»
«Tu non lo conosci. Brian non è uno che dimentica...» Mi lascia il braccio, la sua voce è flebile. Come può una donna ridursi in questo stato per un fottuto bastardo. «Adesso che faccio? Se viene a sapere cosa sto facendo, mi manderà al diavolo.»
«Ti ha già mandato al diavolo. Per questo sei qui con me.» Serro la mascella per trattenermi dal buttarla in acqua. L'ultima volta sembra essere servito a farla tornare in sé. Per qualche minuto, almeno. «Ora piantala con questa sceneggiata. Non c'è nessun motivo per cui dovrebbe scoprire i nostri accordi.»
«Se ci vedesse—»
«Vorrà dire che sarà giunto il momento di mettere un punto tra di noi» la anticipo.
I suoi occhi dispersi sulla sabbia ai suoi piedi si sollevano a cercare i miei. Potrei giurare di vedere un pizzico di calore nella sua espressione.
«Lo so che ti dispiace pensare che non passeremo il resto della vita insieme, ma prima o poi succederà», accenno un sorriso.
Lei nasconde il suo.
«Sono sopravvissuta dopo aver perso l'amore della mia vita, sopravvivrò anche a questo.»
Scuoto la testa. «Non sei sopravvissuta per niente. Vivi ancora nel passato, per questo hai bisogno di me.»
«Ho bisogno di te perché voglio ritornare a quel passato» insiste con decisione.
«Parole diverse, stesso significato.» Le tolgo una cioccia di capelli che il vento le ha trascinato sul viso. Mi impegno a lasciarla andare, a non attorcigliarmela intorno alle dita. Sto cercando di smettere. Seguiamo il movimento delle mie dita, ma poi finiamo per riesaminarci gli occhi.
Ho delle riserve sul suo cervello irrazionale e sul suo cuore ostinato, ma non posso nulla contro questi occhi. Mi trapassano la pelle, i muscoli, le ossa. Non posso permettere che vadano oltre.
«Dopo averlo visto, ti confermo quello che ti ho sempre detto: quel tipo non vale un tuo solo capello.»
«Come fai ad esserne sicuro? Potrei essere io quella che non vale abbastanza.»
Lo difende ancora. È disposta a mettere in discussione solamente se stessa.
«Se è questo che pensi, ho ragione anche sul fatto che stiamo perdendo tempo.» Tengo le mani strette ai lati del corpo. Potrei buttarla in acqua in qualsiasi momento. «Anche se dovessi riuscire a farti diventare la femme fatale che desideri, saresti solo un fantoccio che riproduce delle mosse. Se non ti piaci per come sei, come pensi di poter piacere agli altri? A lui, che ti sta così tanto a cuore.» Faccio un respiro profondo. Per me è inconcepibile. «Hai mai pensato che magari il tuo problema potrebbe essere solo questo?»
«Se è questo ciò che vuole, sono disposta a farlo.» Distoglie lo sguardo da codarda. Nel profondo sa che annullarsi per lui è la peggiore scelta che possa fare.
«Se è questo ciò che vuole, ti sta regalando un motivo per metterci una pietra sopra.» Rivolgo lo sguardo in direzione delle luci della festa alle sue spalle. Non voglio vederla diventare insignificante per lui.
«Non ti capisco. Perché vuoi così tanto che mi tolga di mezzo?» Il suo tono di voce è cambiato. Più acuto, coinvolto. «Pago quello che devo. Sono una cliente come tutte le altre.»
Le mie clienti non hanno mai invaso i miei sogni. Mai.
Inspiro un'altra dose di fumo.
«Sei anni luce da essere una come tutte le altre, Gretel» mormoro.
Per una frazione di secondo prendo in considerazione di lasciarle la libertà di prenderla come vuole. Ma neppure io so veramente cosa voglia dire. E non voglio scoprirlo.
Incrocio di nuovo il suo sguardo. «Sei solo una di quelle con contratto a scadenza breve. Non pensare di contare per me quanto una Mrs Smith.»
Qualsiasi emozione abbia procurato la mia rettifica non mi riguarda.
«Mrs Smith?» ricalca.
Sollevo un angolo della bocca. «Le mie pentole d'oro alla fine dell'arcobaleno, per usare termini che una ragazzina come te può capire.»
«Non leggo piu favole da molto tempo.»
Il suo tentativo di rubarmi la sigaretta mi sorprende, non abbastanza da impedirmi di sollevare il braccio.
«Lascia crescere un altro po' il tuo corpo prima di bloccarlo con questa roba» le suggerisco.
«Non ho quindici anni» ribatte piccata.
«Droghe, alcol, fumo... Se ti vedessero, potrebbero pensare che abbia innescato il tuo periodo di ribellione.»
«Ho venticinque anni. È tardi.»
«Tardi», rido apertamente. Non ha nemmeno cominciato. «Lascia perdere, la parte della cattiva ragazza non fa per te.»
«Ci sono tante cattive ragazze tra le tue clienti? Come le chiami?»
È la prima volta che si interessa ai miei affari. Che sia noia o curiosità, mi interessa sapere dove voglia arrivare.
«Tiare» rispondo asciutto. «E prima che tu mi chieda perché: sono le giovani figlie di famiglie ricche. Il più delle volte vogliono sperimentare o superare i limiti. Se non fosse per il tuo conto in banca, rientreresti nella categoria.»
«Se loro sono Tiare, le Mrs Smith sono... diamanti?» ipotizza.
«Corone» la correggo.
«Le ricche regine» commenta. «Ci sono altre categorie?»
Faccio un passo verso di lei. «Mi stai interrogando?»
«Cerco solo di capire.» Dice tutto e niente.
Sto al gioco, di qualsiasi gioco si tratti.
Per noia.
«Diademi. Quelle che chiedono una compagnia serale.»
«Nel senso che vogliono fare...»
È un muro di inibizioni e taboo.
Perfino le parole base sono per lei un problema. Ridicolo dal momento che ha assunto uno gigolo.
«Sesso?» lo scandisco, tirando le labbra in un sorriso. «Il sesso è sempre in programma. In questo caso, dopo qualche gala o cerimonia borghese.» Mi fissa inerme, con la mente chissà dove. «Soddisfatto la tua curiosità?»
«Voglio rientrare nelle Tiare, anche con il mio conto in banca» dichiara. «Fammi fare un tiro.»
Era tutto finalizzato a questo. E io che pensavo che fosse diventata più sveglia.
«Non ti pentirai di averlo chiesto?»
«Certo che no» risponde senza esitazione.
Allunga una mano per prendersi ciò che vuole. Dà per scontato che si faccia a modo suo.
No, non è diventata più sveglia.
L'afferro e la spingo su di me. Le circondo la vita con il braccio per eludere qualsiasi suo tentativo di fuga. «Allora, schiudi le labbra, piccola Gretel.»
Esita, facendo esattamente il contrario di quello che le ho chiesto. È frustrante.
Aspiro una boccata di fumo senza interrompere lo scambio dei nostri sguardi. Non posso permetterle di tirarsi indietro. Non adesso che ho promesso al mio corpo che avrei messo fine alle sue agonie. La stretta tra le sue labbra si allenta, intravedo uno misero spiraglio che la rende consenziente. Non posso aspettare che faccia da sola.
Voglio il suo sapore nella mia bocca. Ora.
La nube informe della sigaretta che tengo tra le dita le scivola sulla pelle della guancia, mentre premo il pollice sul suo labbro inferiore spingendo verso il basso. Lo spiraglio si trasforma nel mio lasciapassare. Premo la bocca sulla sua con rabbia e dischiudo le labbra. L'aria nociva le penetra all'interno, così come desiderava.
Per me, è meno appagante di quanto mi aspettassi. Sono al punto di non ritorno, in un'escalation che mi rende incontentabile. Quando ottengo ciò che voglio, la mia mente ha già prefissato qualcos'altro. Qualcosa di più profondo. Intimo. Un po' di marijuana non può compensare il bisogno che ho di contaminarla.
I suoi occhi di ghiaccio rimangono sui miei per tutto il tempo. Anestetizzano l'euforia e mi incatenano alla realtà.
Si fa indietro, sperduta come mi aspettavo che fosse. «Che cos'è?» chiede.
L'odore è inconfondibile, eccetto per lei.
«Mai fumato uno spinello, piccola Gretel? Ne hai di strada da fare per diventare una cattiva ragazza.»
Volge il viso verso la festa senza una ragione apparente. Mi prende per il braccio per trascinarmi con lei; si volge spazientita quando non mi sposta di un millimetro.
«Ho sentito qualcosa» mi dice. «Se ci vedessero insieme nascondersi qui sarebbe stato inutile.» Prova ad essere convincente, ma fallisce miseramente dopo che mi accerto che intorno a noi non c'è altro che sabbia e oscurità.
«Non puoi avere le visioni con un tiro di uno spinello.» Lo affermo, anche se da una come lei potrei aspettarmi anche questo. «Siamo soli» la tranquillizzo.
«Meglio non rischiare» insiste. Mi spinge con forza per farmi muovere, di tutta risposta pianto i piedi nella sabbia per renderglielo più chiaro. Quando mi convinco ad assecondarle e lascio, sta ancora spingendo con tutta la sua forza.
Finiamo a terra. Lei sopra di me.
È già assurdo che si sia messa a cavalcioni, il suo rimanere ferma senza scomporsi è il segno che la dose le è entrata in circolo. Per questo detesto le droghe: denaturano le persone fino a renderle irriconoscibili. Siamo entrambi irriconoscibili.
«Un altro tiro?» Non è lo spinello a confondermi. Sono le sue maledette gambe aperte sul mio bacino, e questi pantaloni di tessuto elastico che le fanno da seconda pelle sul centro.
Aspiro più che posso dallo spinello e rimango con la bocca chiusa a fissarla. È arrivata perfino a farmi odiare me stesso. Pur di farle superare i limiti, pur di spingerla sul baratro, sono disposto a perdere le mie convinzioni.
Do per certo che sia più saggia del sottoscritto e si tiri indietro, ma il suo viso si avvicina fino a raggiungermi la bocca. Si prende un'altra dose di aria nociva con calma, come se fosse la millesima volta. Nessuno dei due chiude gli occhi.
Spinge sulle mani premute sulla sabbia ai lati della mia faccia per rialzarsi, e io compio l'ennesima cazzata della serata. Le appoggio le mani sui fianchi e la riporto giù, nella stessa posizione. Il top le sale sui lati, proprio dove sono le mie dita. Sento il calore della sua pelle senza alcuna intromissione. Sgrana gli occhi, ha le labbra ancora socchiuse. Il suo respiro è accelerato.
«Lezione numero due: spingimi a ricambiare» le sussurro sulle labbra.
Potrei far scivolare la mia mano tra i suoi capelli e spingere la sua bocca sulla mia. Potrei evitarle ansie da prestazione, dubbi e paure... Ma non lo farò. Voglio che sia una sua iniziativa, che scelga cosa fare. E come farlo. Voglio sapere quanto è differente il bacio dato a Kin Nowak da quello che gli ha dato quella notte nella 666, quando era convinta che fosse il suo ex.
Appoggio la testa sulla sabbia e assottiglio gli occhi per cercare di delineare nuovi particolari del suo viso. Vedo solo ombre. Ancora una volta il buio è dalla sua parte. Il suo corpo scherma la luce lunare e quelle della festa.
Si sporge ancora per allineare le mie labbra alle sue, le mie dita affondano sulla pelle dei fianchi lasciata scoperta. Chiude le palpebre, mentre le mie rimangono aperte. Non ho intenzione di perdere nulla del poco che vedo di lei.
Appoggia la bocca sulla mia con delicatezza, quasi avesse paura di ferirmi. Lo fa un'altra volta, mi sfiora appena. È nervosa, incerta.
«Dovrai fare molto più di così» la avverto.
Rimane con le palpebre sigillate. Il suo respiro mi invade le orecchie. Se la musica e le onde non fossero così opprimenti, i suoi battiti farebbero lo stesso. Sento le sue dita risalirmi il collo, la sua carezza mi distrae a tal punto che non mi accorgo di cosa sta per fare finché non mi passa la lingua sul labbro inferiore. Mi esce un sospiro quando se lo porta in bocca e lo tira verso di sé. E poi segue il mio esempio, lo spinge in basso con il pollice e vi inserisce la lingua a cercare la mia.
Rimango immobile, alla sua mercé.
È dannatamente piacevole averla sopra di me. Dentro di me.
Preme la mano sulla mia mascella e accelera il ritmo. Mi divora dall'interno, senza darmi un istante di respiro. Il suo sapore, è questa la mia croce. Un'aspra dolcezza che mi irretisce i sensi, facendomi desiderare di oltrepassare i confini. Quelli di entrambi. Per mia fortuna non è puro, il gusto legnoso della marijuana lo sporca.
Dissocio la mia mente dal mio corpo, vago lontano per non sentire la sua lingua in bocca, le sue labbra che si strusciano sulle mie... Perché ciò che sto immaginando va oltre il ricambiare un bacio. È indifesa sotto di me, completamente nuda. La mia faccia tra le sue gambe, la mia lingua sul suo clitoride, le mie dita dentro di lei.
Un bacio? Non vincerà mai.
Si allontana, ha il fiato corto.
Il mio è condizionato dai miei pensieri. Nella mia testa ho perso più di quanto voglia ammettere, ma lei vede solo ciò che voglio che veda.
Mi lecco le labbra per inghiottire quel che resta di lei. «Ritenta, Gretel. Forse sarai più fortunata.» Lascio cadere le braccia ai lati del corpo. Sfiorarle appena la pelle è umiliante.
«Gretel,» mormora, spostando dietro l'orecchio una ciocca di capelli, «a quale categoria appartiene?» Mi fissa con le sue iridi ingenue senza sapere cosa mi sta facendo.
Mi assale un nuovo desiderio. Una cosa nuova. Fottutamente scomoda.
«Non esiste categoria per te.»
Dire la verità.
— 𝖢𝖤𝖨𝖫𝖤𝖭𝖠 𝖡𝖮𝖷 —
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