Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

♛ 12. Segni sulla pelle

𝗞 𝗜 𝗡   𝗡 𝗢 𝗪 𝗔 𝗞



L'orologio segna le tre spaccate, è arrivata puntuale. Deve avere fretta di parlarmi, considerato che è una settimana che non le rispondo al telefono. Sono tentato di non aprirle, di stracciare l'inutile contratto e risarcirla di ogni centesimo che mi ha versato sul conto.
Ho cacciato una cliente per molto meno. L'ennesimo colpo che dà alla porta mi fa sperare che andremo più d'accordo: siamo entrambi incazzati. La sua esasperazione è musica per le mie orecchie.

Vorrei continuare ad ascoltarla dalla parte giusta della stanza, ma un facchino eccessivamente curioso si sta preoccupando troppo del suo benessere. Apro la porta concentrando su di me la loro indesiderata attenzione e faccio segno al ragazzo che è tutto sotto controllo.
Perlomeno nelle apparenze.
Mi rivolge un sorriso imbarazzato e toglie il disturbo lasciandomi con una Gretel più silenziosa del previsto.

«Ti consiglio di rileggere il contratto che hai firmato», cerca di entrare ma le sbarro la strada. «C'è un punto che specifica espressamente che non puoi contattarmi quando ti pare e piace. Soprattutto senza un motivo.» Do enfasi all'ultima frase e la sua espressione si fa ancora più seriosa. È così arrogante da pensare di poterselo permettere.

«Senza un motivo?» ripete a pappagallo. Aggrotta la fronte fissandomi con quei suoi occhi da angelo sceso in terra. «Voglio sapere che cosa è successo quella sera.»

Oh, quella sera. Quasi dimenticavo.

«Perché, ricordi qualcosa?»
Non c'è nulla di divertente in quella serata, accenno un sorriso per il solo scopo di infastidirla. Dal suo viso direi che mi sta riuscendo alla grande.

Le do le spalle per rientrare nella stanza e sento la porta chiudersi. Non ho bisogno di vederla per capire che mi sta seguendo come un cane che ha bisogno di un osso. Tutto sta a vedere come scodinzolerà per ottenerlo.

Prendo il calice che ho lasciato sul tavolino e ne bevo un sorso, in attesa che si decida a dire qualcosa.

«Ricordo che mi hai portato qui, ho firmato il tuo contratto e...», esita.

«E...?»

I suoi occhi si abbassano per quello che giurerei essere imbarazzo e poi ritornano su di me con più insistenza. Mi viene da chiedermi se davvero abbia dimenticato, o se stia semplicemente interpretando un parte.

«Poi mi sono svegliata nel letto semi vestita.» Porta le mani sul foulard che tiene legato al collo e scioglie il nodo facendolo scivolare via. «Con questo.»

Appoggio il bicchiere sul tavolo e faccio quei pochi passi che la fanno sentire al sicuro. Osservo con soddisfazione i resti del succhiotto che le ho lasciato quella sera. Il payback di cui parlava Rigo ha effettivamente i suoi aspetti positivi.

«Credevo che mi avessi assunto per questo» le dico raggiante. Ci passo le dita, come se potesse farle male come una ferita aperta. «Si vede ancora dopo una settimana, devo esserci andato giù pesante.»

Scaccia la mia mano prima che riesca a tracciarne il contorno completo; non è difficile prevedere la sua prossima mossa, la sua rabbia è in ogni parte del suo corpo. Stringo le dita intorno al polso che tengo in aria, a pochi centimetri dalla mia faccia.
Le ho già concesso di colpirmi una volta, la seconda sarebbe un bonus con un alto prezzo.

«Detesto le donne sprovvedute che si gettano nel pericolo e poi colpevolizzano gli altri per le proprie decisioni» preciso, stringendo più forte.

«Non toccarmi.»

Quanto ancora dovrò sentire i vaneggiamenti di una ragazzina che non sa stare al mondo. Ho già bisogno di una sigaretta.

«Se non volevi essere toccata, cercare uno gigolo è stata la cosa più stupida a cui potevi pensare», lascio la presa e vado alla ricerca di una sigaretta nella tasca della giacca.

«Quindi è questo il famoso Kin Nowak. Il contratto è solo una farsa per permetterti di approfittarti delle donne, non è così?»

La ignoro apertamente e mi sistemo la sigaretta tra le labbra; mi concentro sulla nicotina che sto per assimilare.

«Mi hai drogata e poi hai fatto i tuoi comodi.»

Non ha piu la forma di una domanda.

Mi fermo sulla soglia della vetrata della terrazza. Ho ufficialmente finito la pazienza.

«Finiamola qui», getto sigaretta e accendino nel divano e le vado incontro.

Fa qualche passo indietro, ma è troppo tardi.
La sollevo da terra e me la sistemo sulle spalle.
Borbotta qualcosa di incomprensibile, il suo solito repertorio di sconcerto a cui do ancora meno attenzione del solito. La sistemo nella doccia con fin troppa delicatezza e apro l'acqua. Non prima di aver spostato la leva sul freddo.

Chiude gli occhi per ripararsi dal getto mentre i suoi vestiti assorbono il resto.
Avrei dovuto farlo molte parole fa.

«Sei uno—»

«Risparmiarmelo. Hai già detto abbastanza.» Fermo il getto d'acqua e mi fulmina con occhi ancora annebbiati. «Ora sei più sveglia?»

Si alza in piedi e cerca di uscire, ma entro nella doccia ed è costretta a retrocedere per farmi spazio.

«Pensi di poter ascoltare, senza sputare sentenze?»

Alza un sopracciglio con fare arrogante.
Se non venissi coinvolto, aprirei l'acqua una seconda volta.

«Quella sera al Sense, ti hanno messo qualcosa nel bicchiere. Sprovveduta.»

«Qualcosa tipo droga?»

«No, zucchero filato.» Se non stessimo parlando di questo schifo mi verrebbe da ridere. «Ti è andata bene, probabilmente era GHB.»

Mi guarda spaesata. Che novità.

«Mai sentito parlare della droga dello stupro, piccola Gretel?», le sposto una ciocca bagnata dal volto, solleticandole la pelle fino al mento. «Avrebbero potuto fare di te ciò che volevano. Dovresti ringraziarmi, ti ho risparmiato anni di terapia.»

«Se non fosse stato per te non sarei mai entrata in quel locale» dichiara, guardandomi negli occhi.

Avevo pensato di evitare l'argomento, di lasciarla nell'ignoto per sottrarla al suo insulso senso del pudore, ma quando è così...

«Quasi dimenticavo una parte importante di quella sera. Che dici, ne parliamo?»

Mi sporgo in avanti e lei si appoggia alla parete umida alle sue spalle per distanziarsi. I suoi palmi spingono sul mio petto quando ormai è troppo tardi, il mio respiro è dentro la sua bocca.

«Che stai facendo?» farfuglia.

«Ti faccio vedere com'è andato il resto della serata. Non è per questo che mi hai chiamato tutta la settimana?»

Trascino la sua mano più in basso, facendola strisciare lungo i miei addominali, giù fino alla patta dei pantaloni. Tenta di fermarmi, ma è così gracile in confronto a me. Non puo vincere nemmeno col pensiero.

«Smettila» mi ordina alzando la voce.

«Non hai ancora visto nulla. Sei stata più brava di così.»

Inserisco la sua mano all'interno e il tessuto dei boxer assorbe l'acqua sulle sue dita.

«Sto solo riproducendo quello che tu hai fatto.»

«Stai mentendo» ribatte con disgusto.

«Non mi guardare così. Sono io quello che è stato violato quella notte.»

È la prima volta che uso il termine violato per definirmi. Non mi è nemmeno mai balenato nel cervello di considerarmi un sottomesso. Alla mercé di qualche donna. Come non mi è mai capitato che una pronunciasse il nome di un altro mentre mi infilava la lingua in bocca.

Ogni azione ha una conseguenza.

«Non ho fatto nulla di tutto questo», scandisce le parole con orgoglio.

«Illusa» le soffio sulle labbra.

Spingo il corpo sul suo e la sua mano nei miei boxer preme sulla mia lunghezza. Non può più indietreggiare, il muro alle sue spalle le impedisce qualsiasi cosa.

«La parte migliore arriva adesso.»

Appoggio le labbra sulle sue e chiude gli occhi cominciando a dimenarsi. Volge il viso di lato per sfuggirmi.

«Ero drogata, non ero in me» si giustifica.

«Ora cominci a credere che sia possibile?» le soffio sulla guancia. «Ammettilo, una parte di te vuole solo essere libera. Spassartela con me senza pensieri.»

Nulla di ciò che sto facendo mi procura divertimento, ma ormai è chiaro che ciò che mette in riga questa ragazzina sono solo le maniere forti. Se ci penso, è la prima volta che sono così selvaggio con una cliente. Forse perché, in fondo, sono sempre più convinto che non meriti di esserlo.

«Se non fosse per Brian, non mi sarei mai avvicinata a uno come te.»

Fa lo voce grossa, senza avere il coraggio di guardarmi negli occhi.

«Uno come me?» Sono il cattivo della storia e non ho nemmeno dovuto impegnarmi più di tanto. Bene.

Lascio la presa e si affretta a togliere la mano da dentro i miei pantaloni. Ha asciugato ogni goccia d'acqua rimasta.

Incastro il suo viso tra le mie dita e riporto i suoi occhi cristallini su di me. «Non mi interessa ciò che mi fai, ma non provare ad abbassarmi al livello di quei bastardi che diffondono morte per soddisfare i loro istinti.»

«Allora invece di lasciare segni che ti rendono colpevole, impara ad essere sincero fin dall'inizio.»

«La sincerità è troppo costosa, non posso permettermela.» Non siamo più vicini come prima, le ho concesso un po' di spazio per riprendere fiato, e il calore che il mio corpo ha assorbito dal suo. «Non sono responsabile dei tuoi pensieri e non mi interessa esserlo. Puoi pensare ciò che vuoi, basta che non ostacoli il mio lavoro.»

«Prima dici che non vuoi essere visto come uno di loro, e poi mi permetti di considerarti come voglio? Quella confusa non sono io.»

Mi domando quando sia diventata così loquace e spavalda. Sto creando un mostro.

«Ti conosci così poco, Gretel.» Passo le dita sulla sua pelle, lì dove c'è il segno sbiadito del succhiotto.

Come da manuale, lei scaccia la mia mano.

«Fai fatica a farti toccare da uno gigolo che hai pagato profumatamente, pensi che il fatto di considerarmi un bastardo della peggior specie potrebbe migliorare la situazione? Non ho così tanto tempo da perdere.»

«Scusa se non sono promiscua come le tue clienti preferite.»

«Chiedi scusa a te stessa. Le mie clienti si mettono sempre al primo posto. Sanno cosa vogliono e non hanno problemi a godersi la vita. Non fanno giochetti da bambini.»

«Non mi interessa diventare come loro» ribatte piccata.

Una goccia d'acqua cade dal soffione della doccia e le finisce sulla bocca. Tira indietro il labbro inferiore per ripulirsi prima che ci passi le mie dita. Quando vuole sa essere così sensuale.

«Non ti avvicinare» precisa.

«Non mi toccare, non ti avvicinare. Quanto tempo pensi di continuare?» Lo faccio comunque. «Questa tua reticenza è un grosso ostacolo, forse non hai ancora capito a chi fa davvero del male. Ogni tuo passo indietro aumenta il conto che mi metterò in tasca alla fine. Sicura di voler spendere tutti i risparmi di una vita su di me?»

«Mi serve un po' di tempo», abbassa lo sguardo, poco convinta.

Sospiro, altrettanto poco convinto.
Esco dalla doccia per recuperare un asciugamano e la tiro fuori sistemandoglielo in testa.

«C'è solo una soluzione: un pacchetto aggiuntivo.» Ho di nuovo i suoi occhi e le sue orecchie. «Passeremo delle giornate fuori, per metterti a tuo agio. Ma ti avviso, ti costerà.»

Fa scendere l'asciugamano sulle spalle. «Quanto?»

Sorrido. «Non sono mai stato a buon mercato.»

Rimane in silenzio, persa nei suoi pensieri.
Starà pensando un'idiozia del tipo "per lui questo ed altro." L'ho sentito molte volte uscire dalla bocca di una donna, ma dubito che sia al centro dei pensieri di questa donna.

«Perché non me lo hai detto? Avremmo fatto molto prima» brontola.

Se dicessi che volevo che sparisse dalla mia vista il prima possibile, sarei poco delicato?

«Non è quello che mi è stato richiesto» concludo, uscendo dal bagno. Al mio ritorno le sistemo tra le mani un cambio di vestiti. «Cambiati, usciamo tra mezz'ora.»

Punta gli occhi sul vestito e poi su di me, evidentemente contrariata.

«Da dove arriva?»

«Da una donna capricciosa a cui piace marcare il territorio» chiarisco distrattamente.

«Non mi metterò qualcosa di una tua cliente.» Mi restituisce il vestito quasi con disgusto. Come se le avessi detto di indossare un sacco di iuta.

«Non ti conviene fare la difficile, le alternative potrebbero piacerti ancora meno.»

«Quali sarebbero?»

Faccio quei pochi passi che ci separano; è costretta ad alzare il viso per guardarmi, ho tutto il tempo di aprirle il primo bottone della camicia.

«Quanto sei a tuo agio a girare mezza nuda?»

Scosta la mia mano e stringe il colletto nella sua per richiuderla. «Non esiste.»

«Sei così poco divertente, Gretel.»

Recupero il borsone in un angolo del bagno e l'appoggio sul bordo del lavandino per prendere ciò che mi serve.

«Queste sono le alternative. Vedi di accontentarti.»

Non perde tempo a considerare il vestito che le ho proposto all'inizio, punta dritta alla t-shirt bianca e ai pantaloni di tuta che stringo nella mano destra.

«Sono tuoi?» chiede.

«Puoi stare tranquilla. Non offro i miei servizi al sesso maschile.»

«Bastava dire sì» piagnucola. «Sarebbe dovuta essere la prima scelta.»

No, invece. Non avrebbe nemmeno dovuto prenderli n considerazione.

Allunga la mano per afferrarli, ma non lascio la presa. Alza gli occhi per capire quale sia il problema.

«Ne sei sicura? Il vestito è nuovo, questi invece... Li ho usati più volte.»

Me li strappa dalle mani. «Non mi sconvolgo con così poco.»

Non mi piace.

«Se mi avessi detto che ci tenevi così tanto a sentirti il mio odore addosso, avrei trovato qualcosa di più immediato.»

Mi ignora, ma dalla sua espressione è chiaro che ha recepito il mio doppio senso. Sarebbe tutto più semplice se fosse aperta a nuove esperienze come tutte le altre.

«Darmi i tuoi vestiti è il minimo che tu possa fare, sei stato tu a ridurmi così» blatera impegnata a rassettare i miei vestiti per chissà quale motivo.

Prendo accendino e sigarette abbandonate sul divano e mi dirigo verso l'uscita per necessità. Gretel è il primo esemplare di sesso femminile che riesce a stressarmi con ogni minuscola cosa.
È il primo esemplare che mi fa rimpiangere ogni minuto passato con lei.

«Ti aspetto all'entrata», mi chiudo la porta alle spalle.

Nell'ascensore ritrovo il facchino curioso di prima. Mi fa un sorriso tirato, prego Dio che non decida di fare conversazione. È stata una settimana difficile, e la giornata non si prospetta meglio.

«A che piano?» mi chiede prima che possa fare da me.

«Devo uscire» rispondo conciso per troncare sul nascere qualsiasi suo slancio.

Preme il primo piano e si posiziona accanto a me. «Tutto apposto con la signorina?» mi domanda.

Gli lancio un'occhiata. Ora sono io ad essere curioso. È giovane, avrà all'incirca l'età di Gretel. Mi guarda dritto negli occhi, il che mi fa propendere di prenderlo per il verso giusto.

«Se non fosse tutto apposto, cambierebbe qualcosa per te...», sbircio la targhetta che ha sulla giacca, «Simone?»

Rimane in silenzio, la mia risposta deve averlo preso di sorpresa.

«Non volevo essere invadente» esordisce. «Prima l'ho vista in difficoltà, così mi chiedevo se fosse andato tutto bene.»

«Colpo di fulmine?» lo incalzo.

Non conferma, ma nemmeno smentisce.

La piccola Gretel ha fatto colpo di fronte a me, nell'hotel in cui porto ogni mia cliente, nel giorno in cui avevamo appuntamento.
L'aria da ragazzina pura e incontaminata funziona ancora. Robe da non credere.

«Sei nuovo, Simone?»

Annuisce con il capo.
«Sono qui da poco più di una settimana.»

«In altre circostanze ti avrei dato la chiave della mia stanza e ti avrei detto di provarci, ma in questo caso... Lasciala perdere, è ossessionata dal suo ex. È solo tempo perso.»

Probabilmente avrebbe detto qualcosa se le porte non si fossero aperte e non mi fossi concedano di gran fretta. Sono stanco di stare dietro alle lune dei ragazzini.

Inserisco la sigaretta in bocca e aspiro avidamente, ancora più incazzato di prima.
La ragazzina non ha superato il test: non avrebbe dovuto scegliere di indossare la mia roba. Una che è disposta ad assumere uno gigolo per riavere un uomo, una sostenitrice dell'amore eterno e monogamo, non indossa la maglia di uno che conosce da due minuti, così dal nulla.
Non senza che ci sia dell'altro.

Cristo. Sarà un cazzo di problema.


👑👑👑



I vestiti le stanno tremendamente grandi.
Le maniche che su di me arrivano a metà braccio, su di lei raggiungono i gomiti. Per non parlare del laccio dei pantaloni tirato fino allo sfinimento.
È concentrata ad ammirare le case colorate di via Lincoln ed evitare che il gelato le si sciolga sulle mani. È stata una botta di genio offrirle qualcosa che le tenesse occupata la bocca.

«Perché mi hai portata qui?» chiede.

Ha funzionato per appena dieci minuti.
L'idea di distrarla, per poi riprendere da dove avevamo lasciato in hotel non può nulla contro la capacità multitasking delle donne.

«Girovagare tra le strade del centro mangiando un gelato... Non è questo ciò che fa una brava ragazza come te?»

«Le brave ragazze non girovagano tra le strade del centro con uno gigolo.»

«Potrebbero farlo, ma il più delle volte sceglie lo gigolo. Ci sono modi più divertenti per passare il tempo» chiarisco.

Attraversa la strada per buttare la carta del gelato, al ritorno sono costretto a spingerla via prima che abbia un frontale con un motorino. Fa per spostarmi indietro, ma le mie mani strette sui suoi fianchi glielo impediscono.

«Hai troppi pregiudizi nei miei confronti.Vedi, perfino l'universo vuole vederci uniti», non mi viene da sorridere. Sto cercando di capire cosa ci sia dietro a questo volto di indifferenza.

«Il tuo è un amore solo fisico» sentenzia.

«Nessuna si è mai lamentata del mio... amore fisico. Dovresti provarlo.» Mi abbasso e passo la lingua sulla scia di gelato sull'angolo della sua bocca.

Mi sorprende che non si tiri indietro, né dia di matto. Si limita ad abbassare lo sguardo.
Non so se esserne felice, o disperarmi per ciò che sto leggendo tra le righe. Che sia fiducia o altro, non si tratta solo della paura per il suo conto in banca.

«Hai finalmente deciso di aprirmi i cancelli, piccola Gretel?»

«Prima cominciamo, prima ognuno andrà per la propria strada.»

Mi allontano. Cerca di rimanere impassibile, ma tiene le mani strette lungo i fianchi. Non me la dà a bere, non è ancora pronta. Ha la capacità di farmi incazzare come poche e poi di fregarmi con la sua vulnerabilità.

Mi disorienta.

«Rimaniamo con il piano della giornata... Ci sono cose che ti piacerebbe fare?»

Solleva il viso e mi sorride.
È ovvio che siamo entrambi bipolari, passiamo da un estremo all'altro.

«Tu cosa faresti? Se fossi da solo, dove andresti?»

Per qualche strano motivo questa cosa mi esalta. Sarà che è una novità, che nessuna mia cliente mi ha mai chiesto di condividere le mie preferenze.
Sarà che ho in mente qualcosa che non le piacerà per niente.

«In effetti ci sarebbe una cosa che mi andrebbe particolarmente di fare» confermo.
Forse questa giornata non finirà poi così male.

Impieghiamo due ora ad arrivare a destinazione. Quando scendiamo dalla macchina Gretel è visibilmente preoccupata, si guarda attorno come se l'avessi portata in una foresta desertica nel pieno della notte. Lo strapiombo che sta fissando è solo di quattromila metri, nulla di così eclatante.

Approfitto della sua distrazione per organizzarmi con i responsabili del posto e farmi dare l'equipaggiamento.
La raggiungo, ma non si accorge subito della mia presenza, presa a scattare una foto con il telefono.

«Pronta a lanciarti nel vuoto?» le sussurro all'orecchio.

Si volge indietro, gli occhi sgranati e la bocca dischiusa raccontano tutto dell'ansia che le sta risalendo il corpo. La mia eccitazione è inversamente proporzionale alla sua paura.

«Non dirai sul serio? Io non l'ho mai fatto» piagnucola.

«Un motivo in più per farlo adesso.» Le metto letteralmente la tuta addosso, è un automa che si muove per inerzia.

«Non sono pronta psicologicamente» insiste.

«Non lo si è mai finché non ci si lancia» le dico monocorde.

Per essere una che sta protestando rimane piuttosto composta. Le tolgo il laccio dal polso e le raccolgo i capelli, i suoi occhi si fissano sulle mie labbra, l'unico punto che hanno a disposizione.

«Sei un sadico.»

«Sono talmente sadico che ti sto aiutando a indossare gli strumenti di tortura.» Le chiudo il casco e appoggio la maschera per proteggerle gli occhi.

Mi prende per mano impedendomi di lasciarla. «Kin, non posso farlo.»

«Da sola, non puoi farlo. Con me non c'è nessun problema. Saremo imbragati insieme fino alla fine», le alzo il mento per incrociare il suo sguardo. «Fidati, sono un paracadutista esperto.»

«Non posso fidarmi, sei stato tu a dirmelo.»
Ha il respiro accelerato, a un passo dal panico.

Mi lascio impietosire.
In qualche modo devo pur calmarla.
La mie mente mi riporta a prima, nella doccia e alla goccia d'acqua cadutale sulle labbra. Se fosse stata una cliente come tutte le altre, quelle labbra gliele avrei consumate.

I suoi occhi lucidi mi spazientiscono.

Non posso accettare di far piangere una donna. Faccio la prima cosa che mi viene in mente, per certi versi quella più sconveniente.
Quella che spero svierà le sensazioni della paura sostituendole con qualcos'altro.
Qualsiasi altra cosa.

Appoggio la mano libera sulla sua guancia e  inserisco la mia bocca tra la sua. Le accarezzo le labbra con le mie, vuole solo essere un conforto.
È un bacio casto, anni luce dal sesso che professo.
Socchiudo gli occhi per guardarla e la ritrovo con gli occhi chiusi, alla mia mercé.
Qualcosa è cambiato, ora ne ho la conferma.

Lei sta cambiando.

«Puoi fidarti» le soffio sulle labbra. «Non lascerò che ti succeda nulla.»

Tiene la mano stretta alla mia durante tutto il tragitto in aereo. Non me la sento di allontanarla, sto prendendo perfino in considerazione di aver esagerato con lei. Una come lei: fragile.
Il genere che più detesto.

Uno dello staff ci imbraca insieme e controlla che sia tutto come deve essere, poi mi fa un ok con la mano.

«Pronta?» le chiedo.

Di fronte a me stringe le mani sull'imbracatura e chiude gli occhi, irrigidendo il corpo.

«Ti ho vista prima. Quando ti ho baciata, hai chiuso gli occhi. Te l'ho detto che non vedevi l'ora di spassartela con me», glielo sussurro all'orecchio con l'intenzione di distrarla. Le bacio il collo succhiandole la pelle per farle perdere del tutto il senso della realtà.

«Cosa...»

Mi lancio fuori e le parole le muoiono in gola.
Lancio un urlo di eccitazione, mentre lei si stringe di nuovo all'imbracatura. Volteggiamo nel vuoto, completamente liberi, ma lei non riesce che a pensare che alla terra ferma.
Un peccato mortale.

«Senti l'aria che ti attraversa» le dico.
La faccio aprire le braccia come se fossero ali, intreccio le nostre dita per fare in modo che rimanga così. «Respira.»

Non ha mai fatto un suono, nemmeno quando ho aperto il paracadute o in vista dell'atterraggio.
Il problema di fondo è che non sa cosa significa lasciarsi andare, reprime tutto dentro se stessa.
Arrivati a terra non ricorda di aver avuto paura, riesce solo a sorridere, preda dell'adrenalina e dell'elettricità che le solletica il corpo.

È un fiume di emozioni che non sa esprimere ed azioni che non sa controllare.
E allora va alla disperata ricerca di qualcosa verso cui incanalarle.

La libero dell'imbracatura che ci tiene legati e mi getta le braccia al collo. Seguo il primo bacio, assaporo il secondo e mi perdo nel terzo.
C'è qualcosa di magnetico nel suo modo di toccarmi; ti fa sentire prezioso, qualcosa che ha un valore a dispetto delle apparenze. Ti strascina verso di lei. Dentro di lei.

Ci guardiamo entrambi nervosi, disorientati, iniettati di quella fottuta adrenalina che ci ha fatto perdere la testa. Il nostro non è imbarazzo, è piuttosto una sirena che ci suona nella testa.
Io detesto lei. Lei detesta me.
La follia non ci appartiene che per un solo secondo.

Nel tragitto di ritorno alzo la musica al massimo e lascio che ognuno faccia i conti con i propri pensieri. Accelero per arrivare il prima possibile e smettere di sentire il suo respiro nell'auto. Tengo gli occhi sulla strada per non vedere il segno che le ho lasciato sul collo per la seconda volta.
Quando sono con questa ragazzina non so se sono Kin Nowak o Neri Monicelli.

Non ho più un'identità.

Apre la portiera per scendere, ma quando è sul punto di chiuderla e di darmi della pace, esita.

«Scusa se ti ho accusato di avermi aggredita, non avrei mai dovuto—»

«Hai fatto quello che dovevi» la anticipo.
Dallo specchietto intravedo il sacchetto con i suoi vestiti bagnati; che sia pianificato o meno non ho intenzione di farglielo dimenticare. Allungo il braccio e li porto in avanti sul sedile del passeggero.

«Grazie.»

Da quando l'ho conosciuta non una volta si è scusata, o mi ha ringraziato.
Non mi piace che abbia iniziato proprio ora.
Non mi piace che possa pensare che io sia una persona gentile, affidabile e comprensiva.
È finzione.

«Non provare nulla per me, Gretel.»
Incrocio il suo sguardo smarrito e mi viene solo voglia di premere l'acceleratore e sparire. «Siamo solo delle persone che si stanno usando a vicenda.»

«Non ho mai pensato di farlo», mi sorride.

«Allora non ci sarà nessun problema.»

Chiude la portiera e io rialzo il volume.
Tutto pur di non sentire l'eco nella mia testa.

Solo delle persone che si stanno usando a vicenda.



— 𝖢𝖤𝖨𝖫𝖤𝖭𝖠 𝖡𝖮𝖷 —

Mi raccomando prima di andare
non dimenticate di lasciare
una stella e un commento.
Per aggiornamenti e spoiler
vi aspetto sui social:

IG : darkdaeva
Tik Tok: ceilenaoizys

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro