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♛ 11. Pistola puntata ²

𝗡 𝗘 𝗥 𝗜 𝗠 𝗢 𝗡 𝗜 𝗖 𝗘 𝗟 𝗟 𝗜

Parte 2


Si mette a ridere, cogliendomi di sorpresa.
«Rigo aveva ragione.»

«Qualsiasi cosa ti abbia detto non dargli retta, ultimamente non ci sta con la testa» taglio corto.

Cerca di sopprimere la seconda risata, con scarsi risultati. «Mi aveva anticipato questa tua risposta» confessa. «Non è che tu e lui...» unisce le dita a formare un cuore.

Le scompiglio i capelli, ora trattenendo le mie risate. Se sapesse di chi sta parlando.

«Il tuo amico Rigo è troppo occupato a collezionare due di picche» chiarisco procedendo a passo lento.

Fiore mi viene dietro galoppando fino a raggiungermi. «Ah, Samelia! Mi ha raccontato di lei. Sembra davvero innamorato perso» afferma estasiata.

Ritrovare in lei questa vena romantica mi alleggerisce il cuore, vorrei che fosse solo questo: una tipica ragazzina di diciotto anni alle prese con fantasie rosa.

«Da quando siete così in confidenza?»

«Da quando ho iniziato a chiamarlo per ricevere notizie del fratello che mi esclude dalla sua vita» risponde senza alcuna pausa, in quella che sembra una poco velata accusa. Non posso dissentire, ho scelto di non coinvolgerla.

«Quali notizie ti avrebbe dato quel traditore?», la mia mente comincia a farmi temere dei pessimi retroscena.

«Ti ho svelato il peccatore, non posso spifferarti anche i suoi peccati» borbotta facendomi una smorfia.

Rimaniamo qualche secondo a osservare il tramonto in silenzio. Un silenzio che non preannuncia nulla di buono quando si parla di Fiorenza Monicelli.

«Così...» esordisce timidamente. Si volge a guardarmi facendomi un sorriso a trentadue denti. «Chi sarebbe questa ragazza che, testuali parole, ti fa "essere strano"?»

Rigo è un uomo morto.

«Te lo ripeto, non dare retta alle sciocchezze che escono dalla bocca di Rigo», accelero il passo, scocciato, ma mi è subito dietro.

«Dai, Neti, dimmi qualcosa di lei» cantilena come una bambina a cui non vogliono dare un lecca lecca.

«Non c'è nessuna lei.»

In questo momento sarei addirittura disposto a raccontarle delle mie clienti, passarle in rassegna una per una, pur di cancellare il pensiero che esista un'eccezione.
Mi pento di non aver inserito la vibrazione ogni secondo che sento la suoneria del cellulare; mi pento di averlo estratto dalla tasca ogni secondo che rimane nelle sue mani.

«Gretel?», mi guarda elettrizzata.

Recupero il telefono e chiudo la chiamata prima che provi a rispondere.
Il punto non è la curiosità di Fiore, il punto è che quella persona non avrebbe nemmeno dovuto cercare il mio nome in rubrica.
Mi fa incazzare anche solo il fatto che il suo nome si sia intromesso in un nostro momento.

«Fiore, sono un DJ, le ragazze mi girano attorno come api sul miele. Per me una vale l'altra.»

Si sporge verso di me e mi sorride sorniona.
«L'hai già portata a conoscere Veritas? Sai che lei ha un sesto senso per le persone—»

«Non succederà mai.»

Sarebbe come far entrare qualcuno in un negozio di cui è disponibile solo la vetrina.
Portare qualcuno da lei significherebbe ammettere che ho perso la testa, che mi sono fatto fregare da una donna a tal punto da impormi di includerla nelle mie giornate. Un'assurdità inverosimile.

«O forse prima o poi anche tu ti innamorerai così tanto di qualcuno da non capire più nulla», incrocia le dita con fare teatrale.

«Tu e Rigo vi siete messi d'accordo per maledirmi», alzo un angolo della bocca per fingere divertimento, ma in realtà dico sul serio. Per me, non sarebbe altro che una maledizione.

Nel tragitto di ritorno si addormenta sulla mia spalla, come faceva quando era piccola. Con me riesce ad essere la bambina che non è mai stata, e io riesco a lasciare a casa lo schifo che mi divora in silenzio. Approfittando del suo spostamento, accosto vicino a casa per fumarmi una sigaretta. Passare del tempo con Fiore è la mia migliore valvola di sfogo, ma in una giornata come questa fatico ad assorbirne gli effetti.

Guardo lo schermo del telefono con delusione, avrei quasi voluto che fosse lei, che avesse tentato di chiamarmi una seconda volta. Avrei guadagnato una più violenta e soddisfacente valvola di sfogo. Anche se l'alternativa di Rigo non è male.

«Cosa diavolo hai raccontato a Fiore? Si è messa in testa che mi stia vedendo con qualcuno.»

«Sai com'è tua sorella, ti fa un paio di domande e poi costruisce da sola mille castelli» blatera.

«D'ora in poi limita le notizie al minimo. Anzi, evita del tutto di risponderle», aspiro una prima dose di nicotina.

«Si sente sola, Ne'. Tu sei ogni giorno in una città diversa e fai pure lo stronzo... Perché cazzo non le rispondi al telefono?»

Lancio un'occhiata in direzione del sedile passeggero, continua a dormire beatamente nascondendomi chissà quali sofferenze. Sono consapevole che si tenga tutto dentro, come non saperlo quando sono stato io il primo a insegnarle come fare.

«Continua a chiedermi di vivere insieme. Sai anche tu che non posso farlo... Oggi l'ho vista con un ragazzino che si era appena fatto», respiro profondamente per assimilare sia fumo che aria. «Giuro che l'avrei portata a Milano senza pensarci due volte.»

«Frequenta un tossico? Che hai fatto? Lo hai sistemato, vero?», la sua voce è disperata quanto la mia. Per questo so di poter contare su di lui. «Avresti dovuto portarmi con te. Te ne sei andato senza dire niente, e oggi è un giorno del cazzo. Mi sono preoccupato da morire, sono perfino andato al penitenziario. Pensavo che avresti—»

«Fatto una cazzata?», faccio un altro tiro, più ampio. «Ci ho pensato. Sono rimasto quasi un'ora ad aspettare che quel figlio di puttana mettesse anche solo un piede fuori... Non hai idea di quante volte mi sono immaginato di finire quello che avevo iniziato quella notte. Volevo ucciderlo come lui ha ucciso i miei genitori: a sangue freddo, senza alcun rimorso.»

«E poi cosa avresti fatto? Cosa ne sarebbe stato di Fiore? Avresti avuto la tua vendetta, distruggendo anche lei», non risparmia alcuna parola.

«Avrei messo fine a tutto. Ora invece dovrò vivere sapendo che quel bastardo è a piede libero nella mia stessa città... Cazzo, Rigo, non so se ho la forza di non andarlo a cercare.»

«Cosa ti ha fermato tutte le volte, Ne'? Cosa ti ha fermato anche questa volta?»

Guardo il viso rilassato di Fiore e mi immagino cosa sarebbe successo se questa mattina, mentre ero in macchina in attesa dell'assassino della nostra famiglia, non avessi letto il suo messaggio. La mia oscurità avrebbe assorbito tutta la sua luce fino a spegnerla del tutto. Avrebbe smesso di sorridere a causa mia.

«Sei con la persona più importante della tua vita, quando ti senti così devi cercare questo. Eravamo d'accordo, per questo sei andato da lei» continua il suo monologo come se fosse un cazzo di psicologo alle prese con un suo schizzato mentale.
Vorrei ricordargli che anche lui non è il ritratto modello della salute solo per il gusto di sdrammatizzare, per narcotizzare queste fottute emozioni.

«Devo andare, Fiore si è svegliata», mi vede appena attraverso il finestrino per via del buio che mi circonda.

«Pensi di tornare domani?» mi chiede in apprensione continua.

«Sì, devo aspettare che passi questa giornata. Non voglio sapere dove si trova.»

«Ehi, posso dormire sonni tranquilli?» insiste.

«Dormi anche tutta la settimana se ti fa sentire meglio», ho un sorriso meno bugiardo in volto. «Facciamo poi i conti quando torno.»

Riaggancio quando Fiore esce dall'auto con quello sguardo assonnato che la rende più malleabile del solito.

«Ti fermi a dormire da noi, vero?» mi chiede, prendendomi a braccetto. È così dolce, mi guarda come se stesse parlando al suo orsetto di peluche preferito. Per quanto voglia accontentarla, non metterò mai piede in quella casa.

«Ho già prenotato una stanza d'hotel. Ci vediamo domattina, passerò a salutarti prima di ripartire» la rassicuro, anche se non mi aspetto che molli la presa tanto presto.

«Vengo con te» propone, cercando di spingermi verso la macchina. «Andiamo prima che ci veda—»

Non ho nemmeno il tempo di pensare che sia una cattiva idea, la porta d'ingresso si apre e lei esce con tutta la sua altisonante maestosità. Avrei preferito non vederla nemmeno di sfuggita.

«Fiorenza vieni dentro. Adesso.»

Fiore mi guarda sconsolata e accenna un sorriso non alla sua altezza. «Hai promesso che domani passi a salutarmi prima di ripartire. Non te ne dimenticare» mi sussurra. Ne approfitta per sciogliere il nodo della bandana che ho al polso per appropriarsene. Lo fa ad ogni mia visita. È il souvenir della giornata, il suo modo di ricordare un nostro momento.

«Non potrei mai dimenticarmene» le sorrido.

Mentre si allontana la mia Fiore, quella piccola e capricciosa si fa sempre più sbiadita, fino a scomparire nella Fiorenza composta e matura che è stata costretta a diventare in mia assenza. Chiude la porta dietro di sé come le viene ordinato e ci lascia da soli. Mi piace pensare che stia origliando da qualche parte in quella casa gelida, che abbia mantenuto un po' della sua vitale ribellione.

«Ti sarei grata se avvisassi prima di tenerla fuori fino a tardi» esordisce incrociando le braccia al petto per darsi un tono.

«Con me non corre alcun pericolo» replico. Inserisco le mani nelle tasche per nascondere le mani strette a pugno.«Non posso dire lo stesso di te. Sapevi che i suoi amici fanno uso di droghe? Ovviamente no», analizzo il suo volto privo di emozioni.

Comprensibile, lei ha solo perso una sorella, un legame che nemmeno si impegnava a mantenere. Siamo io e Fiore quelli ad aver davvero perso tutto.

«Sono queste le attenzioni che hai sempre sostenuto di poterle dare più di me? Complimenti, stai facendo un ottimo lavoro.»

«Dimmi quando hai finito le tue lamentele, non vorrei interrompere il tuo risveglio come pater familia.»

Mi esce un sorriso nervoso che racchiude più fastidio di quando avrei voluto esprimere. «Sei sempre la solita egocentrica manipolatrice. Hai sentito che ho detto? Sei capace di dettare legge su ogni cosa che fa e non ti viene da controllare chi le gira intorno?»

«Non sei nella posizione di criticare la mia tutela. Prima di puntare il dito nella mia direzione, dovresti prenderti cura della vita che conduci.»

Solo un'immischiata con i piani alti potrebbe ostentare di conoscere la vita che conduco.

«Quello che faccio non è affar tuo.»

«Ma è affare di Fiorenza», lo dice sapendo dove fa più mal colpire. «Non riuscirò a tenerla a bada per sempre. Quanto tempo pensi che passerà prima che il tuo penoso stile di vita le crei dei problemi?»

Combatto con questo tutti i giorni, eppure niente e nessuno è in grado di farmi sentire colpevole come questa donna.
Francisca Allori non è solo la sorella di mia madre e la tutrice della mia sorellina; lei è l'ombra che mi ricorda ogni fottuta cazzata passata e presente. In fondo credo che si diverta a tenere il conto.
Mi odia, mi ha sempre odiato, da quando ha puntato gli occhi su di me quel giorno in questura. Il giorno che ho assistito alla morte dei miei genitori.
Mi sono immaginato tante volte cosa debba aver pensato alla vista del sangue sulle mie mani. Sono certo che almeno per un secondo mi abbia riconosciuto come un possibile assassino.

«Non lascerò che succeda», riesco a dire solo questo.

«Questa l'ho già sentita», accenna un sorriso di sdegno. «Sono stata paziente quando hai violato il nostro accordo, non ho fatto resistenza quando ti sei presentato a lei come il caro fratello che aveva perso... ma ora basta. Non permetterò che venga a vivere con te.»

«Siamo d'accordo almeno su questo» confermo incrociando il suo sguardo glaciale.

L'unica mia salvezza, l'unica sua ingenua incompetenza in questo nostro accordo è stato non farmi firmare nulla.
Non dimenticherò mai quel fottuto giorno.
Seduto tra due poliziotti che continuavano a chiedermi che cosa fosse successo, non staccavo gli occhi dalla tinta rossa nelle mie mani. Non ero sconvolto di averlo pugnalato, ciò di cui non riuscivo a liberarmi era il sangue dei miei genitori riverso a terra. Non me ne sono mai liberato. È una costante che si ripresenta ogni sera nei miei incubi.

Ho alzato lo sguardo solo quando me la sono ritrovata davanti, una donna che avevo visto una sola volta a una banale cena di famiglia. Ci siamo guardati e i miei pensieri confusi sono diventati uno solo: la mia innocente sorellina di appena due anni.
Ho capito subito che Francisca sarebbe stata la nostra ultima speranza.
La sola speranza per Fiore.

Così l'ho fatto. Le ho promesso che se si fosse presa cura di lei, non avrebbe più sentito pronunciare il mio nome.
A quel tempo ero un ragazzino di sedici anni abissato in una realtà che non conosceva, non avevo idea delle conseguenze e del peso che avrei fatto nascere dentro di me.
Dopo due anni di riformatorio impegnato a farmi rispettare e a sopravvivere, sono uscito ritrovandomi completamente solo. Senza uno scopo e un motivo per cui vivere.

Gli anni passati a sfuggire qualsiasi tentazione facile non sono serviti a resistere al desiderio di riavere la mia famiglia.
Passavo il tempo a osservarla da distante come un criminale, vederla correre e giocare con il sorriso mi faceva sentire una persona migliore. Più cresceva, più i suoi ricci biondi e gli occhi scuri come la notte mi riportavano a nostra madre.
La prima volta che mi ha abbracciato ho capito che non avrei più potuto fare a meno di lei.
Lei è il mio angelo custode, l'ultimo dono dei miei genitori.

«Io non la coinvolgerò nella mia vita, ma tu vedi almeno di fare lo sforzo di tenerla al sicuro», apro lo sportello dell'auto e alzo gli occhi per incrociare il suo sguardo. «Non so cosa potrei fare se le succedesse qualcosa.» Punto sulla paura, quella che tiene gelosamente nascosta dal giorno in cui mi ha riconosciuto capace di stroncare una vita umana. L'odio e la paura sono la sola cosa che ci lega.

E, in fondo, va bene anche così.





— 𝖢𝖤𝖨𝖫𝖤𝖭𝖠 𝖡𝖮𝖷 —

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