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capitolo uno

-non ne voglio parlare, okay?- disse una voce davanti al ragazzo. Era acuta, giovanile, tuttavia il suo timbro risultava come increspato dall'arrabbiatura. Quest'ultimo continuava a rigirare le verdure nel piatto, con sguardo assente. Fece vagare la mano sotto il tavolo, trovandone una più piccola a qualche centimetro dalla sua, che strinse con forza.
Osservando la linea del suo braccio e arrampicandoci con lo sguardo fino al collo, e poi spostandolo sul volto, avremmo potuto identificare una piccola bambina, i capelli arancioni legati ai lati della testa, le labbra socchiuse e gli occhi vispi che vagavano per la stanza, in cerca di un appiglio.
Punto di appoggio che trovò intrecciando le piccole dita con quelle più grandi e callose del ragazzo, suo fratello Shoyo.
I due si ritrovarono a dover parlare con gli occhi, che brillavano entrambi di un nocciola intenso.
"Non dire nulla". Questo dicevano le iridi del primo, accompagnate da un impercettibile segno della testa.

-Quando fai così... mi viene proprio voglia di prendere il piatto e spaccarlo in testa a qualcuno!- replicò una voce bassa, rispondendo alla sentenza espressa con il medesimo disprezzo.

Natsu, così si chiamava la bambina, strinse la mano del fratello, tanto da far venire ad entrambi le nocche bianche, poi mimò un febbrile "sì" con la testa, rompendo quel caldo contatto visivo per portare anche lo sguardo sul piatto, che però era vuoto da un pezzo.

-E perchè, sentiamo?! spiegami dai voglio capire...- riprese la prima voce, riferendosi alla frase detta dall'uomo, il quale ci mise poco ad rispondere con disprezzo, sputando quasi le parole: -E questa è una cosa di cui non voglio parlare io- Shoyo non voleva più saperne nulla, quindi socchiuse gli occhi, concentrandosi solo sulla presa di Natsu.

Le grida intorno a lui andavano scemando, mentre un groppo prendeva possesso della sua gola.

Scappare. Ecco, cosa faceva, ogni volta.
Non diceva una parola. Incassava il colpo, guadandosi bene dal non far trapelare le sue emozioni, per paura di vivere l'amplificazione del loro rimbombo.

Ma nel fuggire nel suo mondo utopico raramente riusciva a portare con sè la sorella, che molte volte restava intrappolata nella morsa della vita reale.

Non voleva... non la voleva questa vita.

I cattivi genitori non sono solo coloro che picchiano i figli, i bravi non solo quelli che avverano ogni capriccio.
Un fratello che prova di tutto, ma non riesce a sottrarre la sorella dalla cattiva aura sprigionata dai genitori non è un cattivo fratello. Ma Shoyo a questo non aveva mai creduto. Doveva sforzarsi di più... donarle una bella vita.

-Shoyo? Mi stai a sentire? Non fare più una cosa del genere a tua madre o ti faccio piangere sangue!- tuonò il padre, mentre il ragazzo passava da quel mondo dalle pareti di cotone alle fredde luci della cucina. 

Non sapeva neanche di che stesse parlando, suo padre, ma di sicuro non aveva fatto nulla di rivelante, era una delle capacità di sua madre rigirare le questioni in modo da fare la vittima e far ricadere la colpa su qualcun'altro, in questo caso Shoyo, che subiva insulti e lamentele, ogni volta, non aprendo bocca.
Indurì lo sguardo, annuendo e cercando in qualche modo di chiudere il passaggio delle lacrime, non volendo far inumidire gli occhi.

La sua mano, ormai sudata, era ancora stretta a quella di Natsu, alla quale riservò un lieve sorriso, che servì a calmarla. "Va tutto bene" mimò con le labbra, e la piccola sorrise, pensando che fosse sul serio tutto a posto. Le parole di suo fratello per lei erano come la Bibbia, una verità sacra e innegabile.

E quando, passati alcuni minuti di tensione, i genitori ripresero a fare battutine tra di loro come se non fosse accaduto nulla, come se il motivo della litigata fossero i figli e non problemi di coppia accumulati nel tempo, le guance di Shoyo si rigarono di lacrime involontarie, gli occhi luccicanti come marroni ciottoli in un fiume.

Si alzò in piedi, buttando i residui di pasto nel secchio, e annunciò alla famiglia la sua uscita di scena, facendo cenno a Natsu di venire con sè.

In cucina andava ancora la piccola recita di benessere precario, ma i due erano già fuori l'abitazione.
La bambina scorrazzava qua e là, alla ricerca del pallone da pallavolo che doveva essere da qualche parte, mentre Shoyo sedette, sospirando.

"Non ce la faccio più" ripeteva in mente, strizzando ripetutamente gli occhi in risposta al fastidio che creava l'aria fredda di dicembre sulla superficie umida, seccandola e dandogli un senso di profondo disagio.
Si strinse di più nel plaid, volgendo lo sguardo al cielo, punteggiato di stelle.

Come un bambino, iniziò a contarle, anche se sapeva che fosse impossibile. Ma infondo che c'era di male? Era cresciuto così in fretta da non rendersene conto.
Si ritrovò a pensare a quanto fossero belle e luminose, le stelle, per poi iniziare un flusso di pensiero che si concluse in un "chissà se anche loro, da lassù, guardando le luci della terra pensano alla bellezza e a quanto possa essere bello viverci... oh, stelline, non ve lo consiglio proprio. Restate in cielo, ascoltatemi".
Aveva lo sguardo rivolto verso la volta celeste, il naso all'insù.
Era in appoggio sulle mani, creando piccole nuvolette dalla bocca, caldo fiato a contatto con l'aria invernale.

I suoi pensieri astrali vennero bruscamente interrotti da una pallonata dritta sul naso, non molto potente ma, essendo quello un punto sensibile, il ragazzo corrugò il volto, infastidito, mentre l'oggetto rotondo rotolava lontano e lui tornava al mittente della spiacevole sorpresa, ovvero sua sorella, che lo osservava con le braccia incrociate al petto, con un'espressione che era un mix di soddisfazione e offesa.

-ooooooi ma ci sei? sono due ore che ti chiamo!- borbottò la piccola, emettendo un sospiro che condensò a contatto con l'aria gelida. Il diretto indirizzato andò a recuperare la palla, mormorando delle scuse e ridacchiando per il comportamento della sorella.

Iniziarono a palleggiare, come se li aiutasse a distrarsi. Il solo contatto con il pallone faceva rinascere Shoyo. Lo portava distante da quella piccola casetta isolata, dall'altra parte della montagna, a scuola. Anzi, più precisamente, in palestra.

Quasi lo sentiva... l'odore del sudore, del parquet, del ghiaccio spray, il suono che produce l'attrito della suola delle scarpe contro pavimento, il fischio dell'arbitro, il rumore sordo della palla che tocca terra. Il senso di fastidio che lo pervadeva quando, buttandosi, le ginocchiere non facevano il loro lavoro, e si abbassavano, provocando un'arrossatura sulla pelle, bruciata.
E ancora le pacche sulle spalle, le risate, le urla di incoraggiamento... gli insulti.

Sì, proprio quelli. Non sto dicendo che al rosso piacesse essere insultato, al contrario, rispondeva sempre a tono. Gioiva solo quando attirava l'attenzione di un suo compagno di squadra, un moro alzatore scorbutico, che, per l'appunto, lo interpellava quasi solo per criticarlo.

Ma Shoyo avrebbe preferito di gran lunga fare a gara con Kageyama, così si chiamava, che essere in quella casa. "Hinata boke"... borbottava piuttosto frequentemente l'alzatore, anche se Hinata poteva giurare di riscontrare spesso un sorriso nella faccia del moro, nel pronunciare quelle parole.

Il sorriso di Hinata invece era molto più frequente, lo si poteva osservare quasi sempre. Molti lo paragonavano ad un piccolo sole, dato anche il colorito dei suoi capelli.

E se Shoyo era il giorno, solare, spensierato e, in qualche modo, trasparente come un libro aperto, Kageyama era la notte, misterioso, freddo e introverso.

Nella giornata quaste due fasi si susseguono in continuazione, tuttavia non si incontrano mai.

Ma, di tanto in tanto, avvengono le eclissi, e Hinata voleva disperatamente che accadesse, anche se non lo avrebbe mai ammesso, in un evento che però non oscurasse nessuna delle due parti.

Eh sì, erano proprio opposti, quei ragazzi.

Natsu andò a dormire, dopo un po', mentre il ragazzo continuò a palleggiare da solo, a parete.

pom pom

"devo fare qualcosa"

pom pom

"perchè succede tutto questo?"

pom pom

"ho fatto qualcosa di sbagliato? Dio mi sta punendo?"

pom pom pom

Il ritmo dei palleggi aumentò, la palla usciva e entrava lesta dalle sue mani. Piccole gocce di sudore si formavano sulla sua fronte, tuttavia si dissipavano alla svelta per via dell'aria asciutta.

pom pom pom pom pom

Il rumore sordo della palla gli riecheggiava nel cervello, e per poco aveva udito solo quello, per sua felicità. Si fermò solo quando sentì polsi e gambe stanchi, segnati dalla giornata che aveva passato a saltellare da una parte all'altra.

Tentò il canestro nel vecchio cerchio di ferro che lui e sua sorella usavano per giocare a basket, ma mancò il tiro di molto.
Sbuffò, mettendo il broncio. "Kageyama l'avrebbe centrato" si ritrovò a pensare, con la mente che vagava verso il compagno, mentre i muscoli del suo viso si rilassavano un poco solo al pensiero.

Rabbrividì un'ultima volta prima di rientrare a casa e andare a letto, stringendosi nel piumone. Quanto avrebbe voluto essere stretto da qualcuno. Gli mancava il contatto fisico... un po' di calore per scacciare via l'inverno.

-buonanotte- mormorò triste, anche non avendo un destinatario, mentre stringeva tra le dita la coperta e ne stropicciava l'orlo, raggomitolandosi su sè stesso. Voleva dormire alla svelta. Non vedeva l'ora fosse il giorno dopo, per andare a scuola, in palestra, fare le gare con Kageyama, anche se perdeva puntualmente.

Pensando a questo, nonostante tutto, si addormentò con il sorriso.

Oh ehm ciao ragazzi!
È la prima ff che scrivo, in senso una vera e propria, non una os.
E nulla... cioè ditemi se avete trovato errori, anche di battitura, sono da pc e non ho il correttore automatico.
Grazie in anticipo del supporto!♡

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