𝟾 - 𝚂𝚘𝚗𝚘 𝚟𝚒𝚟𝚊
Quando Natasha entrò nel garage, la luce fioca delle lampadine illuminava leggermente la stanza, e l'odore di muffa proveniente dalle pareti umidicce si mischiava a quello di benzina e di olio per motore. La figura snella di Lara se ne stava accovacciata sopra un vecchio furgone malandato di colore azzurro smorto, intenta a ripararlo.
«Ciao.» esordì la Vedova, attirando la sua attenzione.
«Ciao...» mormorò lei in risposta, cercando di non far vedere il disappunto sul suo viso. Non ce l'aveva con Natasha, era solo arrabbiata con Sam per quanto successo poco prima. «Ti serve qualcosa?»
«Steve voleva venire a vedere come stessi.» la bionda sganciò la bomba, osservando il comportamento nervoso di Lara, con le guance leggermente tinte di rosso per l'imbarazzo. «Gli ho detto di parlare con Sam e che qui sarei venuta io. Penso si sia preso una piccola cotta per te, sai?»
«Sam!? Ti sbagli, siamo come fratelli.» si affrettò a dire la bruna, con un'espressione a dir poco terrorizzata.
«Non Sam.» scoppiò a ridere Natasha «Parlavo di Steve.» alzò un sopracciglio, ammiccando alla ragazza.
«Io e il Capitano ci conosciamo appena, e comunque, nessuno dei due ha tempo per una relazione.» Il tono di voce si era fatto improvvisamente più basso, nel vano tentativo di camuffare l'imbarazzo. A dirla tutta, Lara era convinta che tra Natasha e Steve ci fosse qualcosa di più di una semplice amicizia, li aveva visti molto vicini quella stessa mattina, fraintendendo ovviamente quella vicinanza e ingigantendola più del previsto. Si sentiva una stupida, perché era saltata troppo presto alle conclusioni e perché era gelosa di una persona che non le doveva nulla, che conosceva a malapena. Cambiò rapidamente discorso, chiedendo di nuovo a Natasha il motivo della sua visita.
«Sono venuta per sapere se è tutto okay, tu e Sam avete dato spettacolo prima...» si avvicinò, sedendosi su un piccolo sgabellino di fianco al furgone. «Ma anche se la curiosità mi sta mangiando viva, non voglio costringerti a parlarne, soprattutto con una sconosciuta come me.»
Natasha aveva un sorriso dannatamente rassicurante, sembrava una sorella maggiore, una figura che Lara nella sua vita non aveva mai avuto. Probabilmente fu questo a spingerla ad aprirsi e a rivelare alla bionda di fronte a lei i motivi del litigio con Wilson. «Forse te lo avrà detto Sam, ma qualche anno fa ero un soldato. Ho vissuto in prima persona la guerra, quella tra gli uomini, e ti assicuro che fa molta più paura combattere un tuo simile che un alieno. Mi piaceva, per quanto possa piacerti la guerra ovviamente, mi sentivo a casa in un certo senso. Poi è arrivata l'ISIS.» bastò quella frase a far raggelare il sangue di Natasha, sentiva che il discorso non sarebbe finito affatto bene. Lara alzò leggermente il pantalone, mostrando la protesi alla gamba destra. «Mi hanno lasciato un bel ricordino.» rise, amara.
«Mi dispiace...»
«Sono viva. Non tutti sono stati così fortunati da essere qui a raccontarlo.» cercò di nascondere la lacrima che le era sfuggita, raccogliendola velocemente, ma quel gesto non passò inosservato a Natasha. «Quell'attentato mi ha totalmente distrutta, non solo fisicamente, e Sam ha sempre raccolto i miei pezzi. Sono stata una vera cretina...» sospirò, lasciandosi andare con il corpo contro il furgone. «So che vuole proteggermi, ma io ho un disperato bisogno di questa missione. L'ISIS mi ha portato via tutto, non posso lasciar perdere sapendo che posso avere finalmente la mia vendetta. E so cosa stai pensando, ma non lo faccio solo per quello, voglio impedire che ad altri succeda la stessa cosa che è successa a me, voglio impedire che persone innocenti muoiano come sono morti i miei amici, i miei compagni.»
«Penso che tu abbia ragione, nella tua posizione anche io mi comporterei allo stesso modo, ma come hai detto tu, Sam lo fa per proteggerti... forse dovresti parlargliene con più calma, vedrai che capirà.» in risposta ottenne un piccolo sorriso da parte di Lara, che però sembrava avere lo sguardo perso nel vuoto. «A che pensi?»
«Sam è tutto per me, è la mia famiglia. I miei genitori sono morti quando ero piccola.» Tagliò corto. «Ho vissuto in collegio per gran parte della mia adolescenza, e poi mi sono arruolata. Non sono brava nelle relazioni sociali, penso di averlo trattato male spesso... involontariamente, sia chiaro, ma Sam non mi ha mai lasciata sola.»
«Mi dispiace per i tuoi genitori.» anche Natasha era cresciuta da sola, poi improvvisamente era stata data in affido ad una coppia, e credeva che quello sarebbe stato il suo nuovo inizio. Aveva anche una sorella, Yelena, con cui condividere finalmente l'infanzia, ma ben presto si era resa conto che niente di tutto quello era reale, che la felicità non avrebbe fatto parte della sua vita per molto tempo ancora. Si riscosse dai suoi pensieri solo quando notò tra le mani di Lara una vecchia fotografia, con gli angoli spiegazzati e una dedica, scritta con una grafia ordinata e il tratto di una penna stilografica. «Sono loro?» chiese, indicando l'oggetto che la bruna passava tra le dita.
Lara annuì, porgendo la fotografia alla Romanoff, che per prima cosa lesse quanto scritto sul retro. "Alla nostra piccola pietra di Luna, che possa trovare il Sole, e con esso vivere le onde del mare".
«Non ho mai capito quella frase, onestamente.» si limitò a dire, mentre Natasha girava la foto per osservare i volti dei coniugi Hunt. Pensò subito che Matthew fosse un uomo davvero affascinante, con quel suo abbigliamento particolare, come se fosse uscito da un film d'avventura per ragazzini. Spostò poi lo sguardo sulla donna al suo fianco, rimanendo di sasso nell'osservare i lineamenti di quel viso, così estremamente familiari. Deglutì nervosamente, riconsegnando la fotografia alla ragazza di fronte a sé, per poi alzarsi con uno scatto fulmineo dallo sgabello, facendolo vacillare.
«Forse dovresti parlare con Sam.» asserì, ricevendo in risposta un'affermazione positiva.
Seguita da Lara raggiunse quindi la cucina, dove Steve stava preparando il pranzo. L'odore del pomodoro si era sparso per tutta la stanza, ricordando a Natasha una delle cose che le erano mancate di più durante il suo periodo lontano dagli Stati Uniti, la cucina di Steve. Rogers aveva i suoi difetti, ma era un uomo con davvero tanti pregi e, tra questi, rientrava l'essere un bravissimo cuoco. Avrebbe potuto benissimo prendere una confezione di maccheroni al formaggio e schiaffarla dentro al microonde, preparando il pranzo in pochi minuti, invece si era cimentato nella preparazione di un sugo fatto in casa con cui condire la pasta. Certo, non sarebbe mai stato come mangiare la vera pasta italiana, ma Steve sapeva quanto gli spaghetti al pomodoro piacessero a Sam, e la consapevolezza del fatto che li avesse cucinati per lui fece sorridere di cuore Natasha.
Quando Lara si accomodò a tavola vicino a Wilson, cominciando a parlare con lui, la bionda colse l'occasione per trascinare fuori Rogers, prendendolo da parte. Aveva dei dubbi che doveva decisamente chiarire, e l'unico con cui poterne parlare era proprio il Capitano.
«Ahi! Mi hai infilato un'unghia nel braccio, Nat!» brontolò, massaggiandosi il punto incriminato. «Si può sapere che succede?»
«Lara mi ha fatto vedere una foto dei suoi genitori» sputò d'un fiato.
«Ehm... okay, non capisco dove sia il problema. Mi sembra una buona cosa, si è aperta con qualcuno finalmente, non è sempl-»
«Steve.» lo interruppe. «Credimi quando ti dico che la madre di Lara è praticamente identica a Melina. Se non fosse stato per qualche misero dettaglio, avrei giurato che fossero la stessa persona.»
«Melina? La tua madre adottiva?» Natasha annuì. «Ma com'è possibile, Nat?»
«Non lo so... è probabile che Melina avesse una sorella e che io non ne sapessi nulla. Era mia madre, ma non abbiamo mai parlato di queste cose, ovviamente... ero una ragazzina quando ci hanno separate, perciò è più che probabile che mi abbia nascosto delle cose. Ma quello che mi chiedo, è come mai se Melina aveva una sorella, non è diventata una Vedova come lei? Come noi? Dreykov non se la sarebbe mai fatta scappare.» si grattò la nuca, scompigliando leggermente i corti capelli biondi. «Non lo so, Steve... la cosa è strana, forse dovrei contattare Melina e chiederglielo.»
«Sì... forse è la cosa migliore da fare, ma penso anche che tu non debba dire nulla a Lara.» Natasha lo guardò torvo, aggrottando le sopracciglia. «Non guardarmi così... è già turbata perché ha scoperto che i suoi lavoravano per lo S.H.I.E.L.D. e non è convinta che la loro morte sia stata un incidente, non voglio darle un altro peso inutilmente.»
«Okay...» La Romanoff rimase sorpresa da quell'affermazione. Non aveva idea, ovviamente, che i coniugi Hunt lavorassero per lo S.H.I.E.L.D., ma decise di dare retta a Steve. Non voleva turbare ancora di più la ragazza, aveva già visto abbastanza dolore nei suoi occhi quando avevano parlato in garage.
Fortunatamente, sembrava almeno che lei e Sam avessero chiarito, o questa era l'impressione che davano guardandoli. Se ne stavano seduti l'uno di fronte all'altro, le grandi mani di Wilson reggevano quelle di Lara, mentre gli occhi erano puntati dritti gli uni in quelli dell'altro. Da quei gesti traspariva tutto l'amore tra i due, puro, fraterno, perché alla fine di questo si trattava, di amore. Avrebbero dato la vita per salvare l'altro, per proteggersi a vicenda, ma entrambi sapevano che per quanto ci provassero, erano fin troppo testardi per farsi da parte in una situazione simile.
Soprattutto Lara.
Non poteva lasciar perdere, non poteva rischiare che quello che aveva vissuto lei in prima persona accadesse di nuovo, non quando poteva provare ad evitarlo. Lo doveva ai suoi compagni, alle loro famiglie, e lo doveva a sé stessa.
Natasha e Steve si avvicinarono in maniera cauta, cercando di non interrompere quel tenero momento fin quando non fosse necessario. Il capitano si rimise ai fornelli, buttando una generosa quantità di spaghetti nell'acqua bollente, mentre la Vedova prendeva posto al tavolo da pranzo. Fu Sam a sciogliere l'intreccio con le dita della sua migliore amica e a rivolgersi alla bionda, che li guardava con gli occhi lucidi.
In un certo senso, Sam e Lara le ricordavano lei e Yelena.
«Allora...» esordì Wilson. «Cosa ci dici di questi terroristi?»
«Come vi stavo dicendo prima, l'ISIS al momento agisce in Siria e in Libano. Tu non lavoravi ancora con noi nel 2012, quando c'è stato l'attacco a New York, ma Steve confermerà che la tecnologia dei Chitauri è piuttosto avanzata, oltre che estremamente pericolosa.»
«Come li fermiamo?» domandò Lara.
«Se il mio contatto non si sbaglia, non sono ancora riusciti a fabbricare le armi di cui hanno bisogno, perciò prima li raggiungiamo, prima li catturiamo. Non abbiamo molto tempo, ma dobbiamo riuscire a fermarli prima che completino il lavoro, altrimenti non basteremo noi quattro...»
«Bene.» il Capitano si unì al discorso, poggiando sul tavolo l'enorme pentola piena di pasta, che fece venire l'acquolina in bocca a tutti. «Partiremo domani mattina. Ora mangiate, o si fredderà.» sorrise ai suoi compagni, distribuendo nei piatti la pietanza, per poi sedersi anche lui con loro per godersi il pranzo.
Ai problemi avrebbero pensato il giorno seguente, in quell'istante, avevano tutti bisogno di passare un momento tranquillo, come se per una volta il mondo non avesse bisogno di loro.
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