Lilla
capitolo 39
A te che mi hai sempre detto di essere la persona migliore. Anche quando ho sempre creduto il contrario.
(Per Caliry Snow)
Kappa_07
Ebbi la pelle d'oca. Lui deglutì alzando il collo, vidi la sua gola fare su e giù poi si leccò le labbra con troppa lentezza, le spalle dritte, il corpo snello si muoveva sinuoso seguendo il ritmo del suo passo lento. «Stai bene», convenne con voce bassa, stringendo appena lo sguardo senza mai smettere di osservarmi.
Avevo ancora qualche livido sulla tempia sinistra stava scomparendo, eppure c'era ancora un po' di ematoma schiarendosi in giallognolo che avevo coperto con la cipria. A quella affermazione, mi leccai l'angolo della bocca dove c'era ancora la cicatrice che si stava rimarginando con un gesto involontario, il sapore di metallo si sprigionò sul palato.
Il lupo strinse gli occhi in due biglie azzurre, osservando il mio gesto restando a un passo da me. «Cosa ci fai qui?» Gli chiesi stringendo il libro fra le mani in grembo.
Lui sorrise, un sorriso flebile con l'angolo della bocca, ma stranamente sincero. «Ti sono piaciuti i miei fiori?» chiese sospirando.
Deglutii, aprendo la bocca un paio di volte a vuoto prima di dire: «No! E non entrare mai più in casa mia. Me lo avevi promesso», sussurrai nascondendo l'ansia dai suoi occhi indagatore. Il lupo Nero sospirò col naso, e il suo sospiro mi generò piccoli aghi nella pelle che magicamente si trasformarono in farfalle impazzite nel mio ventre. Avevo la pelle d'oca dappertutto.
Era così vicino che mi sentivo stordita. Spostò la mano dal legno della mensola alla mia destra e con un gesto talmente lento, me lo pose sulla guancia. Ebbi un altro fremito al basso ventre quando mi accarezzò con estrema lentezza la guancia che prese a scaldarsi da generare un esercito di battiti d'ali dentro di me, più violento del primo.
Era così diverso dal suo solito che mi surriscaldarono le guance e il battito del cuore schizzò in gola. Le sue dite scivolarono lentamente sulle mie gote e mi sentii bruciare la pelle dove lasciava tracce del suo passaggio.
Chiusi gli occhi per una frazione di secondo e quando li riaprii vidi il suo sguardo oscurato dalla più strana delle sensazioni. Non riuscivo a decifrarlo. Aveva le ciglia lunghe abbassate, le labbra morbide dischiuse e il suo petto si alzava a scatti. «T-ti prego, non mi toccare», sussurrai, non avevo più saliva, deglutii in vano per alleviare l'aridità della gola. Mi sfiorò il labbro inferiore per un misero secondo prima di smettere di stimolarlo col pollice, i suoi occhi grigio-azzurri si allargarono e mi osservò imperturbabile.
«Non lascerò mai più che qualcuno ti faccia del male piccola occhi viola. Non lascerò mai più nessuno toccarti anche solo per sbaglio. Non permetterò a chicchessia di gettarti gli occhi addosso e non farò vivere mai più un essere vivente che abbia brutte intenzioni nei tuoi confronti. Quindi devi ascoltarmi molto attentamente adesso», bisbigliò quasi in trance abbassando lo sguardo sull'angolo della mia bocca.
Deglutii, le tempie mi pulsavano avevo caldo dappertutto, la mente in subbuglio.
"Che cosa stava dicendo?"
Poi Caleb sospirò il suo petto si allargò quando fece mezzo passo in avanti per far coincidere il suo petto col mio corpo, sgranai gli occhi, le ginocchia mi tremarono, lui mise le mani agli angoli del mio volto e mi attirò a sé.
Il libro mi cadde dalle mani producendo un tonfo sonoro nell'immenso silenzio che c'era in biblioteca. Gli occhi del lupo scatteranno nei miei e sentii il respiro risucchiato nei polmoni, il mio corpo che aveva una volontà tutta sua. Aveva degli occhi di un azzurro pazzesco da ravvicinato, di un cangiante infinito contaminato da pagliuzze grigie come se fossero delle stelle cadenti, e mi tremò il petto, le mani iniziarono a sudare, così le aprii e le richiusi involontariamente.
«Lilla va tutto bene?», chiese il mio amico, non riuscivamo a staccare gli sguardi. Sentivo caldo, immersa nelle sue braccia ero una preda troppo facile, appena braccata e tutta sua, ma la cosa più pazzesca di tutte: non avevo la forza per rispondere a Shon.
«Puoi andare, non ti tratterrò se tu non vuoi...», la sua voce bassa era qualcosa di potente e sentii il bisogno di stringere le cosce perché il ventre mi prese fuoco, e le mutandine diventarono umide. «Ma se resti. Ti bacio, tanto, indubbiamente tanto», concluse enfatizzando le sue parole stringendomi con più decisione il volto.
Bruciavo, sentivo di non avere più i piedi per terra, lo stomaco si contorse impazzito. Il mio corpo era sottosopra, la ragione mi diceva che dovevo scappare, non c'era alcun motivo per restare proprio lì all'angolo fra due scaffali ad osservare un ragazzo che mi aveva ferito oltre ogni limite. Eppure non feci nulla, restai immobile senza la facoltà di prendere una decisione.
«Lilla?», sentimmo di nuovo la voce di Shon, sembrava più preoccupato, la sedia dove si era seduto produsse un rumore forte contro la moquette: si era appena alzato.
«Sì...», guardai gli occhi del lupo allargarsi, una luce indecifrabile come un flash le balenò nelle pupille, pieno di aspettative. Mi stava studiando curioso.
«Sì, sto bene, mi è solo caduto il libro. Arrivo, faccio una ricerca sulla sezione della letteratura inglese!» esclamai col cuore in gola.
"Avevo deciso di stare con Caleb? Sul serio?"
Deglutii la pallina che avevo in gola, e vidi un ghigno nascere sulle labbra del lupo. «Che cosa vuoi dirmi?» gli chiesi più per far sparire quello sguardo di soddisfazione che aveva in volto che voler realmente ascoltare ciò che voleva dire.
«Ti chiedo scusa per quello che ti è successo. Ti chiedo scusa per essermi comportato come uno stronzo, un pezzo di merda egoista malato, e capirei se tu preferisci il mio migliore amico a me. Ma non potrò sopportarlo e mi conosco so che non riuscirò a tenere a bada la mia rabbia per lungo tempo, so che non lo accetterò mai e farò di sicuro una cazzata pazzesca prima o poi, quindi ho intenzione di lasciarti in pace per sempre occhi viola. Ma prima..., farò una cosa che non vorrai, ma lo farò lo stesso perché sono un pezzo di merda egoista e bastardo e stronzo. Non ti chiederò mai scusa per questo. Perché brucio, mi scuoio vivo, mi danno l'anima, e accetto di andare all'inferno e soffrire per l'eternità per quelle.» sospirò abbassando lo sguardo sulle labbra che avevo dischiuso per lo stupore.
Mi aveva chiesto di perdonarlo? Avevo un vago ricordo che l'avesse fatto parecchie volte, ma non mi permisi di frugare fra i miei ricordi. Perché le sue parole, quelle parole, erano troppo da assimilare tutte insieme. Sentivo il volto andare a fuoco, la gola secca.
«Ti mangerò adesso, e tu lo accetterai, me lo lascerai fare perché anche tu lo vuoi in fondo altrimenti potrei perdere l'ultimo briciolo di me stesso e commettere altri errori di cui so per certo che non me ne pentirò perché tu mi hai fottuto il cervello. Sempre, ogni giorno, ogni momento, in ogni fottuto istante. Tu mi fotti per bene, e io sono incapace di fare finta di niente ora che ti ho qui. Adesso che posso farti tutto ciò che mi passa per la testa in questo esatto momento e nessuna...».
Sospirò sgonfiando il petto ampio ben fasciato. «Nessuna delle cose che voglio farti ora, vestita in questo modo, è innocente. Ma so anche, se mi permetto di muovere un dito e dare azione ad ogni mia immaginazione in questo momento non mi perdonerai mai più. Perché io sono il cattivo in questa fottuta storia occhi Viola, e resterò cattivo per sempre, ma se dovessi allontanarmi da te senza averti toccato... baciato... me ne pentirei.»
Senza attendere il tempo di lasciarmi riempire i polmoni di ossigeno dal tumulto dello sconvolgimento che sentivo dentro di me per tutto ciò che mi disse, schiantò le sue labbra sulle mie con una tale urgenza da respingere il mio corpo con tutte le forze che aveva contro lo scaffale. Mi mangiò come aveva detto, mi rubò l'ultimo ansito, fermò il tempo e ricominciò da capo.
Gemetti dalla sua irruenza e pensai soltanto per un secondo che mi aveva ferito, aveva fatto di me le peggiori cose che qualcuno potesse mai fare ad altrui, eppure... malgrado ciò, spensi tutto. Spensi la ragione, la delusione, la sofferenza, il dolore, e lasciai le sensazioni struggenti che mi facevano l'anima a pezzi ogni volta che incontravo i suoi occhi ed ero fra le sue braccia; impossessarsi di ogni parte di me.
Strinsi forte il suo dannato maglione agli angoli sollevandolo senza nemmeno accorgermene e infilai i polpastrelli tremanti sui suoi addominali angolari, il calore al tatto mi fece tamburellare il petto e lo stomaco si rovesciò sottosopra sprigionando qualsiasi farfalla ci fosse generata dentro.
Aprii la bocca per lasciarlo entrare. Le sue labbra, il suo sapore, era sublime, e mi ricordai quando ci baciammo sotto la pioggia, era lo stesso ragazzo, la stessa bocca, la stessa rabbia. Ogni dannatissima azione di impossessarsi di me sapeva di Caleb, mi ricordava una tempesta rabbiosa che mi porto al cielo e poi mi lasciò in caduta libera con un impatto devastante, ed io annaspai, la testa mi girava come se non potessi reggermi più in piedi.
Mi piaceva sentirlo, assaporare la sua lingua che sapeva di tabacco, e di lui, e ne volevo di più. Non capivo cosa mi succedesse, mi aveva lasciato dei fiori per due settimane in casa mia solo per ricordarmi che ero sempre stata la sua preda, mi aveva stalkerata con un account falso sul blog degli animali, mi aveva resa un bersaglio, mi aveva umiliata.
Eppure non riuscivo ad accendere la ragione e dire basta alla lotta con le lingue e coi denti che stavamo conducendo. Io lo volevo, forse nel mio subconscio, sapevo che non l'avrei mai perdonato ed era la conferma che disperatamente cercavo per auto convincermi, ma tutto quello che volevo in quel momento era lui. La sua bocca calda, le sue mani che si muovevano febbrili sulla mia vita.
Una parte di me voleva ricordargli, che ero una persona che ne aveva passate tante per mano sua, ma me lo aveva appena ricordato. Ero stata qualcuno che aveva cercato di comprenderlo odiandolo. Incredibilmente in quel momento tutto ciò che volevo era lasciare la mia impronta su di lui, senza capire il vero motivo di ciò che mi stava realmente succedendo mi gettai fra le sue braccia staccando la schiena dal legno e mossi le mani sempre più su, seguendo le linee infinite dei sui muscoli.
Respinsi con la lingua la sua, per supplicare un briciolo di ossigeno, avevo il cuore a mille, il respiro affannoso, il mio petto si alzava e si abbassava concitato, sentivo caldo. I suoi occhi sembravano due ampolle magiche fuse col mare in tempesta, aveva le labbra dischiuse e mi osservava con la fronte aggrottata.
Mi leccai le labbra perché mi dolevano da quanto me le aveva succhiate e a quel gesto un verso simile a un ringhio disperato lasciò la sua gola, gli occhi oscurati dalla libido si schiantarono nei miei come la collisione del Titanic contro l'iceberg e capii che non avrebbe smesso di baciarmi, perché gliele avevo appena offerte di nuovo, e uno come lui, si prendeva sempre quello che voleva con le cattive, figurarsi offrirgliele.
Ma nemmeno io lo volevo, odiavo il mio nemico, ma bruciavo per le sue labbra. Il ringhio era appena udibile, eppure mi sembrò quello di un lupo affamato di me e il ventre si mosse come una fisarmonica, ricordandomi di avere le mutandine bagnatissime, avevo caldissimo, sentivo le gotte andare a fuoco, ma lui prese di nuovo possesso della mia anima catturando il labbro inferiore fra i denti e aprendosi un varco per infilare la lingua sapiente dentro la mia bocca mi condusse ai cancelli dell'inferno.
Caleb mi ficcò la lingua in gola baciandomi come se fosse un perduto nell'isola deserta, ed io ero l'acqua e il cibo che tanto agonizzava, restituii il bacio seguendone i movimenti, ma i miei polmoni stavano cedendo di nuovo, mi formicolava ogni parte del corpo, avevo bisogno di ossigeno e di rinsavire dal tepore dove mi aveva condotta.
Il lupo non pensò nemmeno per un secondo di lasciarmi andare, mi spostò le braccia sulle sue spalle velocemente: incastrai le dita in mezzo ai suoi capelli che erano talmente morbidi e setosi, da farmi liberare un piccolo ansito, dalla voglia di strapparglielo.
Le sue spalle erano d'acciaio, e il verso roco con cui mi comunicò che stava conducendo sé stesso in un delirante momento che mi avrebbe fatto agonizzare dolci sensazioni, mi turbinò in testa e succhiai il suo labbro perfetto catturandone il nettare unico come se volessi imprimermelo come qualcosa di indelebile.
Respinse il bacino con la protuberanza ben tesa sui pantaloni neri, rovesciai gli occhi all'indietro senza nemmeno rendermene conto e si sospinse di nuovo contro la parte più calda e vogliosa di me. Volevo piangere perché mi sentivo pulsare con clangore, volevo che facesse di più nonostante lo odiassi, ma lui lo capì, e rallentò il bacio.
Senza mai staccarci, mi carezzò dietro le ginocchia salendo coi polpastrelli fino alle cosce, mi bruciava e formicolava tutto allo stesso tempo, non sembrava la morsa di un demone che mi aveva fatto del male, quelle erano carezze delicate date con una passione tale da annientarmi l'anima per sempre. Illudermi come una stolta a cui io ero incapace di fare dietrofront.
Le sue dita trovarono la strada sotto la gonna, e mi strinse la pelle con tutte le forze che aveva, facendo allo stesso tempo coincidere le mie pulsioni alla sua parte più dura, gemetti per il bruciore della carne e mi sentii scaldare peggio di una fiamma che si elevava alta, pericolosamente vicino a bruciare un'intera nazione. Era duro, il suo cazzo era una roccia dura sotto i pantaloni che mi toccava la parte più sensibile che stava bruciando viva. Volevo di più.
Con un movimento di braccia, mi issò su, prendendomi in braccio, legai le gambe dietro la sua schiena e mi staccai pregando l'aria di trovare la via per raggiungere i miei polmoni. Caleb mi guardò con una luce diversa, i suoi occhi erano argento e cielo fuso racchiuso dentro due biglie.
«Adoro questa gonna. Adoro come si posa sul tuo culo e ti mostra le gambe. Mi viene voglia di strappartela di dosso per guardare che meraviglie si nascondo sotto a essa.», mi parlò a bassa voce a fior di labbra catturandomele subito dopo coi denti.
Mi sentivo un lago che stava per traboccare, un fiume in procinto di lasciare l'argine, lui mi stava annientando, il mio corpo aveva preso il controllo della mia mente ed io non riuscivo a ragionare.
«Se hai intenzione di vestirti così per i prossimi sette mesi mi toccherà uccidere qualunque maschio in questa scuola che avrà il coraggio di porgerti gli occhi addosso anche solo per sbaglio», continuò a baciarmi subito dopo, ed io continuai a restituirglielo senza permettermi ad analizzare le parole minacciose che erano appena uscite dalla sua bocca.
Mi strinse forte le cosce facendo leva sul culo per tenermi su ed io annodai maggiormente i piedi dietro la sua schiena incastrandomi fra i suoi muscoli e la sua stazza due volte più grosso di me.
Mi lasciò la pelle solo dopo essersi assicurato di avermi incastrata bene tra lui e il mobile dietro e prese ad accarezzata languidamente le cosce, rabbrividì, ma era un brivido piacevole che mi fece nascere una scarica potente in mezzo alle cosce dove tutto pulsava e formicolava, il cuore batteva ad un ritmo spropositato, ma volevo sentirlo.
Sentirlo ovunque anche se sapevo che era sbagliato, io dovevo odiarlo. Solo perché mi aveva regalato un gatto non significava che avesse realmente cambiato atteggiamento nei miei confronti.
Caleb appoggiò una mano contro il duro legno della biblioteca e l'altra la spostò sulla mi vita stringendomi a sé come se fossi un cucciolo di panda, mi diede un colpo di bacino, facendomi sentire la sua erezione, ansimai senza pudore e si appoggiò col corpo contro il mio continuando a baciarmi sempre con maggiore vigore.
Sentivo le labbra bruciare, mi dolevano eppure, non volevo che smettesse, sarei stata in grado di sopportare che si spaccassero se questo voleva dire, lasciare un'impronta mia in lui. Perché l'effetto devastante che stava subendo era troppo bello da vedere, non volevo essere la sola ad aver perso la ragione.
Banchettò con le mie labbra in modo troppo impudico, feroce e animalesco per riuscire a stargli dietro realmente, mi mordeva e mi succhiava infilando la lingua fino in gola. Mi sembrò di sentirlo dappertutto. Ero in balia a delle sensazioni sconcertanti.
L'istinto mi diceva che dovevamo smetterla, ma l'urgenza in cui mi baciava, non mi lasciava prendere nessuna decisione.
«Caleb», sussurrai il suo nome come se dovessi realmente accertarmi che era lui e non una mia allucinazione. Mi staccai appena, mentre il ventre si contraeva e la fica mi pulsava peggio di una batteria in un concerto.
«Che cosa ci fai tu qui? Io pensavo che...» gli dissi sussurrando, le nostre labbra si toccavano, si sfioravano, cercavano l'un l'altra ancora e ancora, come se fossero la meta dell'una. Non mi permise di finire la frase perché mi baciò di nuovo. Mi sentivo accaldata e umida. Troppo umida.
Lui mi osservò in silenzio, i suoi occhi mi stavano studiando, sembra quasi volesse imprimere ogni mia lentiggine nella memoria. Il cuore smise di battere, fece un lentissimo battito prima di prendere la sua corsa impazzito.
«Sei così bella», sussurrò, ma l'impatto che le sue parole ebbero in me, mi fecero venire la pelle d'oca lungo la schiena e lo stomaco mi si svuotò lasciando una voragine aperta dentro di me.
«Troppo perfetta per un coglione come me». Lo disse come se fosse un lamento, ed io smisi di respirare per l'ennesima volta. Aprii e rinchiusi la bocca senza riuscire ad emettere fiato e sbattei le palpebre diverse volte deglutendo.
Avevo il suo sapore in bocca, ed era meraviglioso. Le sue mani si muovevano lentamente sul mio corpo, le sue dita scivolavano sulle mie costole, come se dovesse tracciare delle linee immaginarie per crearsi una mappa in testa e mi faceva male, un male sublime di cui non avrei saputo dare fine, perché le volevo addosso. Bruciavo e ansimavo. Volevo di più.
«Se continui a gemere in questo modo, mi farai diventare ancora più pazzo di quello che già lo sono.», mi sussurrò all'orecchio, leccandolo subito dopo. Mi si rizzarono i peli sulla nuca e mi protesi col busto verso di lui, per cercare di più.
«Non va bene, dovremmo smetterla. I-io devo andare. Tu...», mi lasciò un morso sulla mandibola mentre mi ascoltava in silenzio, conficcai le unghie sulle sue spalle per comunicargli che mi stava rendendo succube a quelle sensazioni interminabili.
«Dovremmo smetterla, mhh...», ripeté leccandomi la gola. Ebbi una scarica elettrica in mezzo alle cosce e dovetti mordermi le labbra per non urlare. La sua mano destra si spostò sul mio seno coperto, lo strinse appena. Gemetti: mi stava annientando.
«Peccato che a me piace soffrire bimba dagli occhi viola, e in questo momento tu sei il mio dolore preferito». Mi leccò il collo scoperto subito dopo dal basso in alto in una lunga e stringente passata di lingua, mi si riverberò fino alle dita dei piedi.
«Caleb, non puoi dire così, io...», ma lui continuò a mordermi il labbro, in gesto possessivo facendomi smettere di parlare.
«Voglio mangiarti, voglio affondare i denti in ogni parte di te e voglio sentire sul palato ogni tuo sapore, ogni tuo gemito che mi echeggia nella testa e orecchie, voglio tenerti davanti agli occhi ogni volta che sbatto le palpebre e le riapro, voglio che tu sia lì, a combattere contro di me, perché so che la battaglia sarà sanguinaria e faticosa, ma tu vincerai. Tu vinci sempre. Ma soprattutto; so che non potrò sopportare di vederti con un altro nonostante io sappia che tu mi odi, e ciò che siamo... non potrò mai permettere a nessuno di stare con te Lilla, perché sono un fottuto egoista, e tu sarai solo mia, per sempre. Perché se dovrò fare bruciare questo fottuto mondo, sarà solo ed esclusivamente per te». disse strizzando il capezzolo che si tendeva dolorosamente contro il cotone del reggiseno e della maglietta, mentre mi catturava di nuovo le labbra baciandomi con foga come se non potesse farne a meno.
La testa mi vorticava fortissimo, stava dicendo parole che non riuscivo a immagazzinare, e forse nemmeno volevo farlo, dato che il cuore, scoppiettò nel petto, accettando ogni cosa. Non potevo, non volevo dare eco alla mente che si fondeva col ritmo incessante nel mio petto. Non volevo, altrimenti avrei accettato una verità che non ero ancora capace a voler comprendere.
«Tu mi ha fatto del male.» mi staccai appena, buttando fuori qualsiasi parole stupida per non dover sentire i miei pensieri, ma lui mi catturò di nuovo fra i denti il labbro inferiore mordendolo con forza prima di soffiare dalle labbra: «Lo so. So che è tutta colpa mia, e te ne farò ancora. Perché io sono questo», disse sussurrandolo. La sua mano sinistra si infilò prepotente fra i miei capelli stringendo le ciocche per reclinare maggiormente il mio volto verso il suo in alto. Avevo caldissimo, la pelle mi pizzicava, dovevo assolutamente riprendermi, ma come si faceva?
«Tu mi hai stalkerata. Perché lo hai fatto? Perché hai voluto continuare a farmi del male?» gli chiesi staccandomi di un paio di centimetri con le sopracciglia aggrottate. Non riuscii a guardare il suo volto, perché lui si abbassò e seppellì il naso nel mio collo annusando la pelle, che si increspò per poi leccarlo subito dopo, mi tremarono le labbra e me li morsi fortissimo. Mi lasciò piccoli baci umidi che mi fecero arricciare le dita dei piedi, chiusi gli occhi per contenere le sensazioni.
«Perché non sono mai stato capace di lasciarti stare. E tu non volevi mai nulla ad avere a che fare con me. Quindi comunicare secondo il mio modo, mi sembrava la cosa giusta. Ti ho sempre voluta tutta per me occhi viola. Sempre, e per tua sfortuna sono assai geloso», lo disse smettendo di baciarmi. Alzò la testa fiero, i suoi occhi trovarono i miei, aveva la fronte leggermente aggrottata, gli occhi grigio-azzurri tanto penetranti, le labbra tumefate per via del bacio, i suoi capelli erano un bellissimo disastro. chiesi confusa.
«Tu... Perché allora ti comporti da stronzo con me se mi dici di...», deglutii, non riuscivo a farmene una ragione. "Mi voleva tutto per sé".
«Perché è ciò che sono piccola occhi viola. Io distruggo tutto, e tu dovevi conoscermi così, se impererai ad accettare il mio peggio, se accetterai le mie cattiverie, non ci sarà più nessuna barriera fra noi, e finalmente saresti stata mia». Deglutii, impossibilitata a dargli una risposta e lui ne approfittò per infilarmi la lingua in bocca, gli restituii il baco con una tale passione, che mi meravigliai.
Con Dean non era stato la stessa cosa. Il bacio con Dean, non si avvicinava minimamente a delle emozioni del genere. E mi sentii sopraffare, dalla sensazione più acre di sempre. La sconfitta. Caleb mi aveva deviata. Dean, non sarebbe mai stato colui che avrei desiderato nel mio intimo. Mi piaceva il diavolo, il ragazzo malato. Mi staccai come se non sopportassi questa brutta rivelazione, e gli occhi del lupo mi catturarono socchiusi appena. Lo guardai.
«Oggi uscirò con Dean.», non so perché glielo dissi, forse si trattava della delusione che sentivo dentro di me e volevo ferirlo perché lui aveva preso ogni mia ragione e l'aveva rimodellato a suo piacimento, oppure ero curiosa e volevo vederlo arrabbiarsi per appagare la me ferita nel profondo, dai suoi giochetti. E per convincermi ancora una volta, che io lo odiavo. Ma, lo odiavo davvero? No, non volevo sapere la risposta, scossi la testa.
«Va bene», disse sbattendo una volta sola le lunghe ciglia. Le sue parole mi trafissero il petto, che mi fece male, le sue parole bruciarono la mia pelle. «Ti lascerò andare. Non sarò mai più, il tuo carnefice. Ho capito che non voglio ferirti, e se stare con lui ti fa sorridere, io non te lo impedirò. Non ci sarà mai più una dalia nera per te piccola occhi viola. Te lo prometto». Concluse carezzandomi la guancia, con una tale delicatezza, che mi distrusse l'anima.
Dov'era finito il Lupo nero che conoscevo? Quello che non perdeva occasione di farmi passare le pene dell'inferno? Che cosa stava succedendo, sembrava così sicuro di sé che mi tremarono le ginocchia e il mio corpo scese di temperature. Ero fredda, e le lacrime mi pizzicarono gli occhi, ma deglutii per non fargli capire che c'era qualcosa di triste e sbagliato in me. Che problemi avevo? Volevo che mi ferisse? Volevo che tornasse colui che era sempre stato? Per cosa? Quello che dovevo fare, era stappare una bottiglia di champagne per festeggiare perché finalmente mi stava lasciando in pace, finalmente tutti i suoi sotterfugi non ci sarebbero stato più. Finalmente avrei dormito sonni sereni.
Eppure, dentro di me, qualcosa simile ad un urgano mi scosse le membra e il respiro si spezzò, come se non avessi più la capacità per respirare, o semplicemente parlare. Improvvisamente capii che non si riduceva tutto a me, oppure al suo gioco. No, Caleb portava un mondo dentro di sé, qualcosa che non aveva fatto vedere a nessuno, qualcosa che lo aveva plasmato a suo piacimento per renderlo quello che era e quello che sempre doveva essere. Un lupo, un War, un nemico. Tutto questo non gli apparteneva, lui era qualcosa, che forse doveva capire per primo lui stesso.
«Perché all'improvviso mi parli così? Che cosa ti ha fatto cambiare idea? Perché vuoi...», deglutii, poiché ero io per prima a non riuscire a credere alle mie parole. «Lasciarmi stare? E quelle dalie? Ne ho diciassette a casa Caleb. Diciassette dalie nere, trovate sulla finestra, vicino al mio cuscino, sui piedi del letto. Perché portarmeli di notte quando non vuoi più averci a che fare con me? E il gatto. Tu mi hai regalato un gatto Caleb. Un gatto!», stavo perdendo il poco autocontrollo che mi era rimasto, e mi stavo arrabbiando per il motivo più assurdo di sempre.
Non volevo che lui mi lasciasse stare. Volevo che ammettesse che era stato lui a regalarmi Snow, era così che c'era scritto sul collarino. Perché aveva fatto tutto questo se si era stufato di me? Aveva preso ciò che voleva e ora stava passando oltre? Che cosa c'era che non andava in lui? "Tutto ecco cosa."
Caleb fece un respiro profondo, il suo petto sfiorò il mio quando lo gonfiò, e a me sembrò di bruciare. Continuava a tenermi stretta fra le sue braccia, e per assurdo, più mi convincevo di odiarlo, più cercavo di non lasciarlo andare. Mi guardò, in silenzio per un po', i suoi occhi erano adombrati e mi sembrò talmente lontano con la mente, che non riuscì a raggiungerlo.
«Perché non posso sperare che tu ti innamori di me conoscendo solo i giochi, e le mie azioni a scuola. Ti ho promesso di farti vedere il peggio occhi viola. Ma la mia spregevolezza, va aldilà dei giochi, ci sono cose... vere cose, che non vorresti sapere, su di me, ed io non sono pronto a raccontartele davvero ora.» fece una lunga pausa sospirando e ridimensionando le sue parole. «Quando capirai chi davvero vuoi, verrò da te e ti racconterò di quanto sono spregevole. E il gatto è un regalo, voglio che tu abbia qualcosa di mio, soprattutto quando mi odierai. Perché tu Violetta. MI odierai».
Il mio cuore cessò di battere per una frazione di secondo, e pensai alle sue parole al rallentatore. Cera una nota macabra nella sua voce, i suoi occhi si erano trasformati in tempesta, erano oscurati da un sentimento malsano che nascondeva dentro di sé da troppo tempo.
«Che cosa hai intenzione di fare Caleb?» fu una supplica la mia, sentii un brivido freddo serpeggiarmi lungo la schiena. Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Caleb mi sorrise, e mi lasciò un'altra carezza sulla guancia. Chiusi gli occhi, memorizzando nella memoria, le sensazioni che mi generava. Forse, non l'avrei mai più perdonato davvero, dopotutto.
«Spero che Dean ti renda felice», disse ridendo, era una risata triste che mi fece bloccare il respiro in gola, sentivo gli occhi pizzicare. «I tuoi occhi mi hanno sempre tormentato, sono come il riflesso di un arcobaleno, desidero guardarli per sempre, ma so che purtroppo devo prima aspettarmi la tempesta. I tuoi occhi mi tormentano giorno e notte, perché racchiudono una pozione segreta di cui ne sono vittima, e so per certo che non troverò mai più l'antidoto, perché tu sei brava a fare le magie». Il mio cuore galoppava come un cavallo impazzito, le mani mi sudavano. Chiusi gli occhi. Non avevo più paura del lupo.
«Perché mi dici queste cose? Tu mi odi? Oppure stai solo giocando con me ora?», sussurrai a fior di labbra dalle sue. Deglutii, osservandole, erano così morbide e bellissime che avrei tanto voluto un altro bacio.
«Ti lascio immaginare Lilla. Scommetto che prima o poi troverai da te la risposta che cerchi, e vuoi che ti autoconvinca», rispose, prima di baciarmi di nuovo, le sue labbra si posarono delicate sulle mie, ma mi sentii ugualmente riscaldare, il sapore era sublime, il modo in cui conduceva la mia lingua a legarsi con la sua mi generò un esercito di farfalle impazzite allo stomaco, strinsi le cosce di riflesso per trattenere l'istinto di strusciarmi contro la sua erezione. No, non mi odiava. Non più, e forse, non l'aveva mai fatto prima.
«Cosa diavolo!», ci staccammo all'istante, più io, poiché lui se ne fregò altamente dell'esclamazione di Shon, mossi il capo verso il mio amico che era in piedi e ci stava osservando con gli occhi sbarrati incredulo. La bocca era spalancata per lo stupore. Tentai di scendere giù, finche Caleb non mi liberò la vita e non mi permise di mettere i piedi a terra.
Lo sentì sospirare arrabbiato, ma ormai stavo cercando di dire con lo sguardo al mio amico, che mi dispiaceva. "Mi dispiaceva per cosa poi? Ah, giusto, avevo baciato Caleb. E lui mi aveva detto parole, che non mi permisi di analizzare"
Il sottoscritto si voltò verso Shon e lo osservo impassibile. «Lilla?», mi domandò il mio amico saettando lo sguardo tra me e il lupo nero. Deglutii, sentivo il volto andare a fuoco, mi vergognavo da morire che mi avesse colto in una situazione del genere con colui che era il mio nemico e che io avevo giurato che non l'avrei mai e poi mai baciato, nemmeno sotto le torture.
«Hai sempre delle ottime tempistiche Shon», disse in tono duro Caleb al mio amico. Lo stava guardando con rabbia sotto le ciglia scure. Deglutii.
«Caleb,» lo chiamai. «Non devi parlare così al mio amico, era solo preoccupato». Dissi calma trattenendo a stento la voglia di sotterrarmi, quando i suoi occhi mi fissarono in silenzio. Non stavamo litigando. "Io e Caleb, non stavamo litigando!"
Shon, ci fissò assottigliando lo sguardo. «Già, non devi parlarmi mai più così», disse tentando di essere serio.
Caleb lo fissò, con il petto che si gonfiava sempre più veloce, si leccò il labbro inferiore sogghignando nella sua direzione ed io presi fuoco, sentii un'ondata di calore investirmi il volto. Fece una risata simile a un ghigno si avvicinò a Shon ed io trattenni il fiato. Non volevo che gli facesse del male, Shon era fatto così, era protettivo e un po' esuberante, ma mi voleva bene, ed io non sapevo come avrei reagito se alzava un dito su di lui.
Vidi il mio amico farsi piccolo, le sue spalle si affossarono appena e gli occhi si allargarono quando il lupo gli fu a due passi da viso. Lo guardò per un paio di secondi, poi dandomi la schiena gli disse: «La rabbia Shon. La risposta dell'enigma che ti feci, era "La rabbia".» il mio amico lo guardò con gli occhi sgranati, poi Caleb voltò il volto sopra la spalla osservandomi con gli occhi indecifrabili e scomparendo verso l'uscita aggiunse: «Buon compleanno bimba».
Osservai il mio amico, che si guardò il corridoio vuoto ormai con il volto in piena confusione, poi si voltò verso di me attendendo una rigorosa spiegazione da parte mie. «Che cosa è appena successo?» mi chiese incredulo indicando col mento verso l'uscita.
Mossi il capo, e mi nascosi il volto fra le mani per la tensione che sentivo addosso. Caleb aveva cambiato strategia, ed io non sapevo se preferissi di più il vecchio lupo, quello che mi faceva degli scherzi odiosi e che odiavo dal profondo del mio cuore, oppure il nuovo lupo. Quello che a quanto pare, aveva deciso di non perdere più tempo con me.
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