Lilla
Capitolo 40
A te che mi hai sempre detto di aver la forza di cambiare il corso del mondo, anche quando mi sembrava girare tutto al contraro
(Per LunaGrana.)
Kappa_07
Osservai il mio riflesso allo specchio, avevo gli occhi truccati, un leggero ombretto nero tempestato di brillantini argentati mi contornava le palpebre, sulle labbra avevo messo un rossetto bordeaux, abbassai lo sguardo sulle mie linee, indossavo un vestito nero fino alle cosce stile Barbie, stretto in vita e libero poi dai fianchi fino alle cosce, aggiustai le maniche lunghe e strette fino al polso, la schiena invece era completamente scoperta, i capelli li avevo lasciato sciolti, in onde morbide che mi sfioravano e solleticavano la vita stretta.
I collant neri e trasparenti che avevo comprato un po' di tempo fa avevano dei buchi su tutta la lunghezza, un mero accenno di Halloween, e ai piedi avevo calzato un paio di anfibi neri col tacco che avevo rubato a mia zia.
Dean doveva passare a prendermi fra poco. Sospirai lisciando il cotone dell'abito e mi avvicinai al mazzo di dalia che avevo messo sulla credenza in camera. Mi aveva fatto gli auguri in biblioteca, sapeva che era il mio compleanno, che stavo per uscire con il suo migliore amico e la cosa più importante di tutte. Mi aveva regalato un animale.
Il cuore mi doleva, per il ricordo di ciò che avevamo condiviso, il modo in cui mi aveva confessato certe cose per cui non ero ancora pronta a mettermi seduta e riordinare la mente. La confusione mi strinse lo stomaco in una morsa. Se Caleb aveva deciso di lasciare stare tutto, tanto meglio. Me lo meritavo dopotutto ciò che mi ha inferto. Feci un lungo respiro e scrollai le spalle.
Basta tergiversare, Caleb se ne stava andando via dalla mia vita, e io dovevo esserne felice. Stavo per uscire con il ragazzo dei miei sogni, quello che mi aveva baciato solo pochi giorni fa. "Ma che io non ho sentito nulla".
Non avrei permesso alla mia testa e ai pensieri malati di rovinare la sera del mio compleanno. Lasciai la lettera, dentro il cassetto della credenza ancora chiusa, non sapevo quando avrei avuto il coraggio di aprirla, forse mai, ma non avevo avuto le palle per buttarla via.
Caleb era andato, scomparso come il vento a fare le sue cose qualsiasi fossero e mi aveva lasciato in pace.
"Si ma ti ha detto quelle parole e ti ha regalato un gatto per ricordarti di lui".
Un gatto che amavo da impazzire per di più.
Misi il capotto nero che c'era appoggiato sulla poltrona, e uscii fuori dalla stanza diretta in cucina, mia zia mi aveva detto che sarebbe uscita anche lei stasera insieme a Rob, quindi non avevo orari, ma sapevo che sarei dovuta tornare presto a casa.
Dean era un faro sicuro, se avesse capito che cera qualcosa che non andava, mi avrebbe riportata a casa subito. Era diverso da Caleb. Dean mi proteggeva, era il principe bianco che ogni ragazza sognava.
Invece Caleb, sapevo che mi avrebbe lasciata soffrire, solo per farmi capire che dovevo superare gli ostacoli della mia mente da sola. Proprio come le settimane di convalescenza. Nonostante mi avesse chiesto scusa, non mi aveva mai detto come superare le paure e i traumi. E nemmeno prima mi aveva detto come fare... Sbuffai ancora, dovevo smetterla di pensare a quello.
Scesi le scale che scricchiolarono lungo il mio passaggio. Quando fui in cucina, mia zia stava carezzando Snow che era appollaiato sulla sedia con gli occhi chiusi sicuro che l'aveva messa lei lì.
Sorrisi. «E meno male che non ti piacevano gli animali». Mi avvicinai, e presi il mio gattino regalo in braccio, il pelo morbido mi solleticò i polpastrelli, Snow, si adagiò sulle mie braccia. Era adorabile, ed era mio. Mio soltanto, un regalo per il mio diciassettesimo e lo avrei tenuto per sempre.
«Non ho mai detto che non mi piacciono, solo che sei sempre stata allergica e li ho banditi, ma ormai posso farci poco, qualcuno è stato talmente divertente da regalartene uno», fece una smorfia osservandomi da capo a piedi ben consapevole da chi avessi ricevuto questo magnifico felino.
«C'è da dire però, che è troppo carino e coccoloso, e so, che non posso impedirti di tenerlo, conoscendoti, me lo faresti pagare, dando rifugio a un esercito di animali in casa. Quindi, a tal proposito...», sorrisi: aveva ragione. Lo avrei fatto. Si voltò verso la sua borsa, e frugo dentro estraendo un flacone blu.
«Ti ho preso l'antistaminico, così non starnutisci ogni due per tre. E bisogna fare una visita, per vedere se sei allergica a altro, quel gatto crescerà ancora di più dato la sua razza, e non vorrei incombere in qualche sgradevolezza». Mi parlò decisa, senza ammissione di repliche lasciando sul tavolo il flacone di medicine.
Carezzai le orecchie del gattino. «Va bene accetto», risposi sorridendo. Mia zia mi mise a fuoco, gli occhi verdi ben dilatati con una luce propria che riflettevano il colore soffuso del lampadario sopra le nostre teste.
«Cosa c'è?» le chiesi spegnendo il sorriso che avevo in volto. Lei scosse la testa, portandosi una ciocca rossa dietro le orecchie. «Sei bellissima quando sorridi. Quel gatto ti ha riportato un po' di vita»
Deglutii senza sapere cosa dire. «Sta attenta stasera okay. E chiamami per qualsiasi cosa. Sarò ovunque tu sia in men che non si dica». Annuii, lasciai Snow a terra, il gatto mi osservò per circa tre secondi prima di inseguire qualcosa di incomprensibile lungo le scale.
«Domani andremmo a fare le compere per il tuo regalo, stasera lo lascerò dormire sulla cesta dove è arrivato. Ho già comprato anche la sabbia, quindi stai tranquilla che è al sicuro».
Andai ad abbracciarla felice. «Sei la migliore zia».
«Lo so, ed è per questo che te ne approfitti», scherzò. «Sei molto bella stasera...», mi disse stringendo gli occhi per catturare una ciocca che avevo di fronte al viso e spostarla dietro l'orecchio. Non so come, ma mi sentii avvampare, era solita farmi tanti complimenti, eppure, c'era una nota leggera nella sua voce, tanto da farmi accaldare le guance.
Il campanello suonò e seppi chi fosse ancor prima di andare alla porta. Il mio amico. Mia zia mi lasciò per aprirla e la voce gentile ma altrettanto decisa di Dean riempì lo spazio.
«Buonasera Shannon. Sono qui per Lilla», sentii i suoi passi battere sulla moquette farsi avanti, e presi un respiro profondo per quietare il cuore che aveva preso a battere forte. Mi lisciai il vestito nero più per asciugare le mani sudate che per le pieghe che non aveva e gli andai incontro.
Quando supera la cucina diretta all'ingresso, notai Dean Allen con indosso una camicia nera, dei pantaloni neri, e le scarpe laccate che catturavano la luce del lampadario.
Quei capelli erano spettinati in grosse onde mosse del colore biondo naturale che alla luce soffusa sembravano colpi di sole date con estrema maestria. Gli occhi grigi si strinsero appena quando mi mise a fuoco dalla testa ai piedi, e le labbra bellissime si schiusero in modo deliziosamente sorpreso.
«Ciao Dean», lo salutai timidamente. Lui si avvicinò, quando mia zia si fece da parte per permetterglielo. Gli brillavano gli occhi, era magnifico. Talmente bello che era un peccato non sentire le farfalle allo stomaco.
«Wow, sei...diversa», si mise la mano al cuore, colpito dal mio look, e deglutì, adombrandosi un po', aggrottai la fronte, ma decisi di non rovinare la serata, ci sarebbero stati altri giorni per rimuginare o pensare su tutto ciò che era successo in un solo giorno. "Del catastrofico bacio con Caleb".
Stasera volevo solo divertirmi con il ragazzo che mi piaceva, e dimenticare colui per cui la mia ragione smetteva di funzionare.
«Bellissima Dean? Magnifica? Unica? Subliminale? È questo che stai cercando di dire?» disse mia zia catturando la sua attenzione. Dean sorrise flebilmente prima di voltarsi verso di me, che scommettevo ogni cosa che avevo, di essere diventata rossa in volto. Sentivo il volto andare a fuoco peggio di un vulcano in eruzione.
«Esatto, intendevo proprio questo», aggiunse. Rivolsi un'occhiataccia a mia zia che se la stava ridendo sotto i baffi prima di ringraziare il ragazzo biondo e grosso come un armadio che avevo di fronte. «Andiamo?» mi chiese porgendo il braccio. Annuii e lo presi.
«Non serve che io ti dica niente, ma...», iniziò a dire mia zia. Strinsi le labbra facendomi piccola in spalle. Non doveva sempre minacciare chiunque, dio santo.
«Sarà in mani sicure. Te lo prometto.» disse deciso Dean ricevendo un ringraziamento con lo sguardo da mia zia. Mi volsi verso l'appendiabiti e presi il cappotto nero che avevo appeso quel pomeriggio per indossarlo. Rassicurai mia zia che sarei rientrata ad un'ora decente e uscimmo dalla casa diretti alla sua BMW bianca. Sentivo le gambe farsi leggere, ogni volta che Dean mi osservava lungo il tragitto. Una volta in macchina partì dopo avermi rivolto un sorriso che prometteva, gentilezza e rassicurazione.
«Sei magnifica stasera Lilla», disse all'improvviso spezzando il silenzio dentro l'abitacolo. «Grazie. Anche tu», risposi stringendo le mani a pugno sulle ginocchia. Non ero mai uscita per un vero appuntamento e la cosa mi faceva sembrare come se fossi seduta su dei ferri ardenti.
«Ho convenuto di mangiare qualcosa prima di uscire per una passeggiata. Stasera la città è in visibilio per via di Halloween quindi ci sarà molto movimento per la città. Se non te la senti, per la passeggiata basta che me lo dici.»
I suoi occhi sembravano argento fuso per via delle luci dei lampioni lungo la strada.
«No, tranquillo sto cercando di superare sai... il... trauma», sentii un nodo in gola al ricordo dei miei terrori, non solo notturni. Dean mi osservò in silenzio senza aggiungere altro.
Dopo un po' disse: «Mi dispiace per non esserci stato quel giorno. Mi dispiace così tanto», aggiunse a bassa voce, e notai un muscolo comparire sulla sua guancia, le mani stringevano con forza il volante.
Mi leccai le labbra, non volevo pensare a ciò che mi era accaduto, perché ogni pensiero giungeva a lui, al ragazzo che mi aveva baciato solo quella mattina. «Non ci voglio pensare. Se per te va bene», risposi stringendomi in spalle, con repulsione a quei ricordi di due settimane fa. Se non ci fosse stato colui che dicevo di odiare, chissà dove sarei stata adesso...
Dean annuì. Giungemmo al ristorante che rimaneva sul ciglio della strada principale, le luci attorno al ristorante illuminavano le decorazioni di halloween tutt'attorno. C'erano degli scheletri appoggiati sull'erba sempreverde vestiti con lenzuoli neri sgualciti. Fantocci con le vesti bianche che appese ai rami dell'albero che svolazzavano grazie al vento. Tantissime zucche arancioni erano sparpagliate per il prato.
Le decorazioni, erano magnifiche, c'erano dei calderoni, depositati a destra e a sinistra con scope, streghe e pipistrelli, da quello a sinistra fuoriusciva la luce verde come una pozione magica e maligna delle streghe. Era tutto bellissimo.
Scendendo dall'auto, e la brezza di inizio novembre mi schiaffeggiò le guance, mi strinsi più forte nel mio cappotto raggiungendo il fianco di Dean. In silenzio, ci incamminammo verso l'ingresso. L'interno, del ristorante, non aveva nulla in confronto all'esterno, tranne per le piccole zucche decorate con delle candele interne che ornavano i tavoli, Dean, vedendo il mio disagio, mi pose la mano sulla base della schiena prima di comunicare al cameriere di aver prenotato il tavolo.
Il giovane ragazzo moro, ci condusse ad un tavolo alla destra, che restava sulla vetrata in terza fila, e dopo esserci accomodati, ci portò dell'acqua. Il silenzio, tra me e il mio amico era palpabile, mi sentivo a disagio, e un leggero calore come la nebbia in tarda serata si espanse sul mio volto.
«Anzitutto, buon compleanno ancora», disse Dean sporgendosi appena verso di me. Gli occhi che brillavano alla luce delle applique soffuse al muro. Alzai lo sguardo su di lui, e lo trovai sorridere.
«Ti ringrazio», risposi timida. Durante la cena, parlammo del più e del meno, nessuno dei due volle entrare nei dettagli dei discorsi, e benché la cena era squisita, sentivo un buco profondo nello stomaco.
Cera qualcosa di storto, in tutto ciò, Dean, sembrava con la testa altrove, e benché facesse finta di essere rilassato, vedevo, i suoi occhi oscurati, la mascella stringersi di tanto in tanto quando era sovrappensiero. Il pesce era sublime, il salmone accompagnato dalla purea di patate, e i bocconcini di polpo, come anche il dolce al cioccolato, però il mio cuore continuava a sussultare, e a stringersi. Era visibile che lo tormentava qualcosa.
«Che cosa c'è Dean?» Il biondo di fronte a me deglutì scrollando le spalle. «Nulla. Perché?»
«Perché sembri sovrappensiero. C'è qualcosa che ti turba, e la maggior parte del tempo durante la cena, sei stato con la testa altrove. Puoi dirmelo, se vuoi». Deglutii e brevetti un po' d'acqua tenendo gli occhi fissi nei suoi.
Dean si appoggiò alla sedia e mi fissò. «Si tratta di Caleb», disse poi, e sembrò che ogni mormorio nel ristorante avesse cessato di colpo. Il cuore rallentò i battiti, e dovetti aprire le labbra per fare un respiro profondo perché mi sentivo in apnea. Dean mi esaminò in silenzio. Per poi aggiungere. «Ma non voglio rovinare la serata parlando di lui. Quindi scusami.»
Deglutii in silenzio, senza riuscire a dire nulla anche se avevo sulla punta della lingua un sacco di parole. Dopo aver tentato di pagare la mia parte e Dean si rifiutò accigliandosi per un po' di tempo, uscimmo lasciando la macchina dove l'aveva parcheggiata per fare un giro lungo il sentiero che portava al secondo parco di Little Falls, mi strinsi nel cappotto, il freddo e il leggero vento mi smuovere i capelli sciolti sulle spalle portandomeli di fronte agli occhi.
Il cuore tamburellava nel petto per il discorso lasciato a metà. «Se n'è andato vero? Ho saputo che avrebbe lasciato la città.», "Ma lui non mi ha detto nulla". Chiesi senza avere il coraggio di osservarlo.
«Dovrebbe lasciare la città in questi giorni. Sta cercando di prendere tempo per qualcosa che non mi ha detto. Ma sì, vuole lasciare la città», aggiunse.
«Sai il perché?» chiesi ancora. Dean non mi rispose. Ma percepii le sue parole non dette. Lo sapeva, e voleva che ne restassi fuori. E l'idea di sembrare patetica ai suoi occhi per aver dimostrato anche il minimo interesse per lui, mi fece arrabbiare con me stessa. Dunque aggiunsi.
«Meglio, sono contenta, spero di non rivederlo mai più». Strinsi le mani a pugno dentro le tasche, il calore si espanse sul mio volto con maggiore intensità per il bluff, ma Dean continuò a non aggiungere altro. «Se non fosse stato per lui, avrei avuto un anno sereno. Quindi spero di non rivederlo mai più, sul serio. Io lo odio!»
Dean si fermò e i suoi occhi argento fuso, mi inchiodarono, smisi di camminare, ci fissammo. «Credo che Caleb stia facendo ammenda per ciò che ti ha fatto Lilla.» parlò finalmente. «Sei proprio tu, e ciò che ti è successo due settimane fa il motivo della sua fuga dalla città. A lui tu piaci, nel caso non l'avessi capito. Molto, ed è anche il motivo della sua furia e del suo accanimento nei tuoi confronti. Non sa comportarsi, questo te lo concedo. Ma so, che è uno di quelle persone, che oltre a perdere la testa, dà anche qualsiasi cosa abbia per la persona a cui tiene. E lui tiene a te» concluse con le spalle dritte e il mento in su.
Aprii la bocca per rispondergli, ma non avevo fiato, e non sapevo nemmeno che cosa dire. Dopo tutte le parole che mi aveva confessato Caleb soltanto quella mattina non sapevo davvero cosa inventarmi per sminuirlo. Se gli piacevo, perché non me l'aveva mai detto prima? Perché aveva deciso di fare i suoi giochetti perversi, piuttosto di chiedermi di uscire? Forse non ci sarei uscita, con lui lo stesso, e le cose avrebbero comunque preso quella piega, ma almeno comportarsi come una persona normale. "No che dicevo! Non c'è nulla di normale in Caleb War"
Restammo di nuovo in silenzio fin quando Dean non parlò «Ti devo chiedere scusa». Mi fermai e mi volsi perplessa. «Per quale motivo? Tu non hai fatto nulla di male».
I suoi occhi d'argento, mi perforarono e capii che si sentiva in colpa per qualcosa che non riuscivo a comprendere. «Ti ho usata Lilla...».
Sgranai gli occhi, indubbiamente scioccata per le sue parole, e sentii una stilettata nel cuore. «All'inizio ti ho usata per far rinsavire Caleb, ma lui fece degenerare le cose, e io non sono riuscito a capire i suoi movimenti in tempo.» Il cuore mi batteva forte nel petto impossibilitata a capire le sue parole, forse nemmeno volevo capirle.
Mi usavano tutti, per uno scopo o per un altro. Ero una pedina nelle mani dei lupi. E non c'era cosa peggiore.
Mi vergognavo di me stessa per aver creduto in lui. Alla fine dei conti era il lupi bianco di Little Falls. Un altro astuto giocatore della dalia nera. Loro avevano tutti un modo per giocare, e non esistevano regole.
La regola era una: Annientare la preda. E a me mi avevano più che annientata. Mi avevano seppellita viva.
Con un nodo in gola chiesi: «Perché? Io mi fidavo di te? Perché Dean...?». Dean provò a toccarmi la spalla, ma mi ritrassi inorridita.
«Devi credermi, che io ti stimo davvero Lilla. Tu per me sei un'amica unica, dolce, eccezionale. Volevo essere sincero con te. Perché ti voglio bene, ma so che tu vuoi qualcosa di più dell'amicizia con me e io non sono in gradi di dartelo. Io... lei...» abbassò il braccio e il capo, come se non riuscisse a guardarmi in faccia.
«Ero un esperimento anche per te.» bisbigliai, rifiutandomi di versare lacrime. Non se le meritavano. Uno ad uno mi avevano ferita a loro modo e lacerato l'anima. Non si meritavano nulla da me.
«No, certo che no. Eri solo la ragazza giusta al momento giusto, ma non ho mai voluto prendermi gioco di te Lilla. Lo sai. E il fatto che tu e Caleb, non vi decidete a dirvi che vi piacete o vi amate, mi ha fatto prendere la decisione di dirti come stanno realmente le cose. Io non ti posso dare ciò che cerchi, perché tu, non cerchi me. Non cerchi me Lilla». Chiuse gli occhi enfatizzando le sue parole profonde. Aveva il volto triste. Ma non riuscivo a vedere oltre la rabbia. Le sue parole mi solleticavano il sangue. Strinsi forte le mani a pugno contendono la rabbia che stava prendendo il sopravvento.
L'odio che sentivo dentro al cuore, mi costrinse a saltargli al collo, ma costrinsi i piedi a restare fermi. Che cosa ne sapeva lui di ciò che volevo io!? Un bel niente !
«Sei un bugiardo e un manipolatore proprio come lui Dean. Siete la faccia della stessa medaglia. Due egoisti allo stesso modo. Sempre col naso all'insù incuranti di cosa dovete fare, i prezzi da pagare che siete in grado di pagare per arrivare dove volete. Per ottenere ciò che volete per un mero capriccio! Non voglio vederti mai più. Lui ha fatto sì che mi facessero del male, ha giocato con la mia sanità mentale, mi ha costretta ad andare da uno strizzacervelli per ciò che mi ha fatto! Ma tu... tu sei subdolo, cattivo tanto quanto lui, avete tutti un secondo fine. Quindi non ti stupire se nessuno vi ama davvero. Perché siete feccia, e io non voglio più nulla a che fare con te, con lui, oppure con tutti voi lupi ricchi viziati senza il minimo rispetto per altrui.»
Presi a camminare velocemente pronta a sparire dalla sua vita, non ero ferita perché lui non sentiva nulla per me, anche perché la cosa era più che reciproca, ero distrutta perché una persona a cui avevo dato fiducia mi aveva delusa per l'ennesima volta.
Odiavo i lupi. Li odiavo con tutto il cuore, e se prima li odiavo perché gli invidiavo, ora li odiavo perché erano davvero senza scrupoli. Io non volevo essere come loro. Non lo sarei stata mai!
«Lilla aspetta. Ti prego!» mi chiamò prendendomi per il gomito. Mi scansai. «Non toccarmi! Bugiardo!» strillai dalla rabbia.
I suoi occhi si dilatarono, strinse le labbra in una linea dura. Era dispiaciuto, ma poco importava, mi aveva ferita, anche lui.
«Non volevo farti del male, è solo che io dovevo proteggere mio fratello capisci. Mettiti nei miei panni. L'ho costretto a starti lontano pur di avere una reazione da lui. L'ho preso a pugni in faccia per ciò che ti aveva fatto. Ho cercato un modo per salvarlo, anche se il mio modo era sbagliato. Io ci ho provato... per lui. Anche se non vuole essere salvato. Anche se tutto ciò che conosce sono botte e rifiuto, sarei capace di ripetere i miei errori altre mille volte perché farei di tutto per lui. Addirittura usarti.» si passò le mani sul volto disperato, i capelli biondi svolazzano impazziti per via del vento.
La rabbia mi stava consumando ogni briciolo di ossigeno nei polmoni, avevo il respiro corto, mi bruciava il petto, e volevo piangere e urlare, gridare finché non avessi più fiato in gola e poi piangere di nuovo. Ma lo capivo. Io avrei fatto lo stesso per mia zia, per Shon... Solo che... mi sentivo usata. Perché avevano scelto me? Che cosa avevo fatto di tanto orribile da soffrire in questo modo?
«Perché a me? Che cosa vi ho fatto di male?» chiesi in un sussurro aprendo le braccia. Sentivo il peso del mondo sulle spalle.
«Perché eri tu. Sei stata sempre tu fin dall'inizio.» fece un passo avanti. «Ho fatto tutto questo... Fare finta intendo.Perché conosco Caleb dopo ciò che ti hanno fatto quel giorno a scuola, sapevo che si sarebbe dato la colpa e probabilmente si sarebbe drogato e ubriacato fino a ridursi a merda, quindi ho cercato di fargli capire ciò che era importante per lui, ma non voleva, lui proprio non vuole abbracciare il bene. Era. È convinto di non essere degno di niente di buono, è convinto di averti con le cattiva perché solo così non deluderà le tue o chicchessia aspettative. Perché noi lo conosciamo per il male che fa. E lui non vuole cambiare, perché ha il terrore, che se decidesse di fare qualcosa di buono, e poi perderti. Si distruggerebbe. È convinto che la sua salvezza sarà la morte Lilla! La morte! Quindi perdonami, se ti senti usata, perdonami davvero. Ma sarei capace di fare qualsiasi cosa per le persone che amo come ti ho già detto. E per salvare lui, lo farei in perpetuo.» concluse con fiato corto. Deglutii trattenendo il nodo alla gola, mi pizzicavano gli occhi, sentivo le lacrime bruciare impetuose, come le onde nel mare.
«Lui ha bisogno di te Lilla. Noi, abbiamo bisogno di te. Tutti noi. E finché non deciderai di ammettere di sentire qualcosa per Caleb. Di fargli capire, che se vuole una cosa ci sono altre vie per raggiungere il proprio obbiettivo, saremmo tutti alla deriva. Il fatto che se n'è vuole andare a fare razzia con coloro che lo hanno ferito da bambino è la prova del mio fallimento».
Sbattei le palpebre incredula, una scossa mi si diffuse lungo tutto il corpo. «Caleb... cosa? Cosa intendo con razzia?» chiesi sconvolta. Avevo gli occhi sbarrati. L'avevo visto mi aveva baciata, e si era comportato in un modo insolito. Era una nuova persona, sembrava... più consapevole. Ecco perché si era comportato in quel modo. Lui... voleva affrontare suo padre.
Le mani mi sudavano, il cuore batteva e ad ogni battito, sentivo un buco nero e profondo rapirmi il respiro lasciandomi spoglia di ogni cosa. Non riuscivo a immaginare e nemmeno osare a creare l'immagine del lupo nero con le mani insanguinate del suo stesso genitore. Non volevo, non potevo. Era una pensiero inammissibile.
All'improvviso sentii l'attacco di panico affondare i suoi artigli nel mio petto, l'ansia e la disperazione mi afferravano il torace come una grossa mano ossuta pronta a strozzare fino all'ultimo briciolo le mie ossa, il cuore mi rimbombava nelle orecchie e la mano di Dean che mi carezzava la schiena, sembrava un mattone che pesava un macigno.
«Rilassati Lilla. Fai un grosso respiro con me. Rilassati, pensa a qualcosa di bello, un posto, un paesaggio, qualcosa che ti inspira e ti rende felice.» mi parlò piano, dolcemente.
E iniziai a pensare a mia zia, al nuovo gattino e ai suoi occhi azzurri. Pensai a un posto sicuro, alle braccia di qualcuno che mi tenevano stretta e mi proteggeva dai tuoni. A qualsiasi cosa, facendo appello ad ogni briciolo di me stessa per eliminare dalla mente le immagini macabre che mi avevano scaturito le ammissioni di Dean.
Il calore delle grosse braccia di Dean si diffuse nelle mie spalle e mi appoggiai al suo petto, decisa a non lasciare nessuna delle lacrime che bussavano agli occhi. "Uno... due... tre..." contai i respiri contrando tutto sui battiti del cuore.
«Pensi che tornerà?» chiesi col volto nascosto sul suo petto muscoloso. «Sì, tornerà. E la prima cosa che vorrà fare, sarà vederti. Ne sono convinto.» disse stringendomi ancora.
«Anch'io voglio vederlo, ancora» gli confessai.
«Lo so, Lilla. Lo so bene». Disse sospirando ma la suonerà del suo cellulare si diffuse nell'aria disturbando la quiete che c'era nel parco. Dean lo estrasse e aggrottò la fronte. Mi allontanai di due passi lasciandogli un po' di spazio per rispondere tranquillo. Anche se sentivo un impeto nel petto.
«Guarda chi si fa sentire. Che cosa vuoi? Adesso?» chiese con voce melodrammatico. Ascoltai in silenzio le sue risposte, il vento fece alzare un po' di foglie arancioni cadute sul suolo.
«No non sono vicino. Per quale motivo lo chiedi?» chiese stavolta. «Che cosa intendi Caleb? Cosa significa? Chi è stato a fare irruzione? Sei lì?» aggiunse Dean con voce greve. «Vattene da lì Caleb. Chiunque sia, se ha fatto quei danni non è un buon segno. Vattene ora!» esclamò Dean camminando verso la macchina.
Il mio cuore iniziò a battere fortissimo comprendendo con chi stesse parlando. Ma Dean strinse la mascella e le spalle divennero tese.
Stavo per chiedergli se andava tutto bene, quando un boato enorme fendette l'aria, il rumore fu talmente potente che spezzò il silenzio nella notte e gli alberi tremarono come ad annunciare una violenta esplosione.
«Merda!» Imprecò Dean rivolgendo il volto a destra, oltre i rami spogli dell'albero. Lo imitai, il cuore mi pulsava convulso, nello stomaco si aprii una voragine e le gambe mi tremarono.
Sulla collina un fuoco alto stava illuminando totalmente la vetta. Il fumo nero toccava il cielo espandendo l'odore bruciato nell'aria con una velocità assurda. Le orecchie mi fischiavano.
Qualcosa cambiò nella notte. Era come se si fosse svegliata di soprassalto tutta Little Falls. Gli animali iniziarono ad agitarsi, diversi uccellini volarono in alto, gli invertebrati strisciarono sul suolo e facevano muovere le foglie secche che erano cadute sull'erba. L'aria divenne densa e inspirabile. O forse ero io che avevo i polmoni serrati.
«Merda!» esclamò Dean portandosi le mani nei capelli. Gli occhi vitrei. Il telefono gli cadde dalla mano. La pelle d'oca si diffuse ad ogni parte del mio corpo.
«Cazzo! È la casa! Viene dalla casa!» urlò con voce graffiante. Sgranai gli occhi, mi sentii come se un buco si fosse aperto ai miei piedi e mi stesse inghiottendo quando alla fine realizzai.
Iniziai a camminare all'indietro negando la realtà dei fatti. «No! No! No!» bisbigliai incredula, con un macigno nel petto che mi schiacciava ad ogni secondo che passava, come lo scoccare di un orologio che apriva le porte dell'oblio eterno, vidi Dean crollare a terra in ginocchio con gli occhi lucidi.
«Caleb!» urlò a squarciagola.
Impazzì, diventai qualcosa di cui non avrei mai creduto di diventare. «Caleb cosa?» gli urlai contro con una voce totalmente nuova. Una nuova disperazione. Una nuova forma di dolore. Quando alzò la testa, I suoi occhi furono la cosa più spaventosa che avessi mai visto in vita mia.
Spazio Autrice
Non ho nulla da dire. Perché so: se dico qualcosa mi venite a cercare
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