Lilla
Capitolo 26
Ho voluto la perfezione e ho rovinato quello che andava bene.
CLAUDE MONET
Quella mattina dopo la colazione, Dean mi portò a casa, ad attendermi c’era una Shannon con il broncio seduta sulla poltrona in vimini che avevamo dipinto insieme tanti anni fa in soggiorno ad osservare il vuoto.
Le finestre erano ancora chiuse salvo quelle della cucina, l’aria che soffiava leggera faceva smuovere le tende bianche in avanti ogni volta sempre più forte, facendo entrare l'aria gelida nella stanza.
La burrasca all’orizzonte segnalava un’imminente pioggia, ma questa volta ero a casa, quindi nulla mi preoccupava, tranne mia zia, che sembrava perdersi ad ogni battuta che facevo.
«Zia, stai bene? È successo qualcosa?» le chiesi avvicinandomi alla sua figura ferma, con lo sguardo perso.
Aggrottai la fronte confusa quando non mi rispose, il suo sguardo era perso oltre il salone le pupille erano ben dilatate mentre con le dita della mano destra picchiettava in sincronizzazione sul legno dei braccioli. Per un attimo sentii l’ansia assalirmi così avvicinandomi con cautela le toccai una spalla.
Mia zia si volse di scatto, aveva delle ottime abilità combattive, insieme a dei riflessi pazzeschi, con una mossa del braccio, mi spinse lontana e caddi a terra imprecando. «Zia! Ma che cazzo ti prende?»
Mi guardò per un secondo sgranando gli occhi, poi alzandosi di scatto dalla poltrona si mise le mani sulla bocca realizzando che cosa aveva appena fatto.
«Oddio piccola, scusami!» esclamò aiutandomi ad alzarmi dal pavimento. «Ti sei fatta male?» si preoccupò controllando il mio corpo.
Sospirai: «No, non mi sono fatta niente, però tu attenta. Prima o poi me ne farai davvero!» le dissi mettendo su il broncio e ricevendo subito dopo un abbraccio consolatorio da parte sua.
«Mi dispiace Ludmilla», bisbigliò baciandomi la testa. Le restituii l’abbraccio perplessa mentre mi stringeva a sé sempre più forte.
Iniziai a tossire per allontanarmi. «Mi stai soffooocaaand-o…», scherzai per sfuggire all’abbraccio e guardarla negli occhi.
«Tutto a posto con il figlio degli War?» mi domandò subito dopo esaminando il mio aspetto. Annuii in silenzio stringendo forte le labbra.
"Ecco, ci siamo!"
Non avevo di certo intenzione di dire a mia zia che cosa mi aveva fatto l'altra sera, sapendo quanto era protettiva nei miei confronti sicuramente avrebbe anche potuto andare da lui a prenderlo a calci nel didietro. Non che mi sarebbe dispiaciuto in effetti.
Nascosi il calore che mi pervase le guancie al ricordo di lui e della sue mani su di me volgendo lo sguardo verso la TV spenta. Sapevo quanto era intuitiva, e non volevo dare altro pane per i suoi denti così partii all'attacco.
«Zia, c’è qualcosa che non va? Sembri strana.» catturai gli occhi verdi di Shannon nei miei per riuscire a captare anche il minimo dubbio, ma lei decise di tornare la solita.
Il viso imperturbabile, e le labbra leggermente schiuse.
Annuì in silenzio e si volse verso l’ingresso a destra, dove c’era la cucina e mi diede le spalle. «Nulla che debba preoccuparti.»
La seguì e mi appoggiai allo stipite della porta con le braccia conserte. Restai ferma a soppesare il suo atteggiamento prima di seguirla ancora entrando in cucina. «C’è qualcosa che ti preoccupa, a me non la dai a bere.» insistetti.
Mia zia avvolse i suoi capelli rossi in una piccola coda bassa e aprì il frigo rovistandoci dentro. «Va tutto benissimo. Ero solo persa nei miei pensieri.» disse estraendo le uova e la pancetta.
«Colazione?» domandò sorridendo. Esaminai il suo aspetto con cautela.
Aveva addosso ancora il pigiama scuro, nonostante avesse legato i capelli erano spettinati e nel suo sorriso “radioso” c'era qualcosa che non mi convinceva affatto. Gli occhi per quanto tentasse di apparire calma e felice, lo tradivano, erano oscurati da qualcosa a cui non avrei mai potuto sapere, se non fosse stata lei a dirmelo.
Sospirai arrendendomi: «Ho già fatto colazione.»
Shannon rise ironica. «Caleb si è comportato bene con te ieri sera?», domandò di punto in bianco tornando seria. Deglutii sbattendo le ciglia, pronta a inventarmi qualcosa.
«Risparmiami le tue bugie per un’altra volta. Lo so che eri a casa sua.»
Annuii in silenzio.
«Sì… si è comportato bene», dissi a mezza voce. Il cuore mi batté violentemente, segnalando l’enorme bugia che le avevo detto. Distolsi lo sguardo, per non farle capire il turbinio di emozioni che mi si era scatenato nel petto.
Aprì le uova depositandole su una ciotola e prese la padella dalla mensola in alto dandomi di nuovo la schiena.
«E ti ha portato lui a casa?» mi domandò.
Sorrisi involontariamente ricordando la colazione con Dean.
«No, mi ha portato Dean Allen. È venuto a casa di Caleb e così ho preso la palla al balzo quando mi ha chiesto di accompagnarmi.»
Mia zia si volse verso di me con le sopracciglia alzate sorpresa. «Allen? Quegli Allen?», domandò sorpresa estraendo la pancetta dall’involucro. Annuii sorridendo.
Lei mi esaminò con gli occhi assottigliati. «Lui ti piace?»
Sgranai gli occhi sentendo l’ondata dell’imbarazzo raggiungere le mie guance e mi morsi l'interno guancia.
«Zia!» esclamai stringendomi nelle spalle.
Lei sorrise appena con l’angolo della bocca carnosa a forma di cuore. «Devo dedurre che è un sì?», assottiglio quello sguardo da leonessa ridendo subito dopo. Il timbro della sua risata dolce e giuliva mi fece svolazzare le farfalle allo stomaco.
Avevo sempre amato la sua risata, mi ricordava quella di mamma.
Mamma...
Mi morsi le labbra con forza per non sorridere a mia volta. «Va bene, non dirmelo. Però sappi che preferirei il figlio di Allen che di War insieme a te.» sentenziò seria.
Ebbi un colpo al cuore, fu talmente potente che mi lasciò senza fiato e l’ansia mi acchiappò il petto come se fosse una vecchia signora che non vedeva l’ora di comparire.
«Io odio Caleb War», le dissi ricordando ciò che mi aveva fatto e di come si era approfittato di me.
“Sì, ma a te è piaciuto”.
Zittii la mia voce interiore dandogli un pugno in pieno volto nella mia mente prima di guardare mia zia negli occhi.
Lei era ferma su di me, il mento in alto e nella mano destra aveva un coltello puntato in alto. Deglutii restando zitta. Sapeva pure essere estremamente minacciosa.
«Bene. Continua così» disse prima di rimettersi ai fornelli, come se non mi avesse osservata per un secondo di troppo mentre teneva il coltello affilato ben piantato sul bancone della cucina.
Assottigliai lo sguardo curiosa del perché mia zia avesse una brutta opinione del padre di Caleb e dell’interessato, così avvicinandomi al bancone le puntai gli occhi addosso.
Quello sarebbe stato un buon momento per chiederglielo. Forse mi avrebbe raccontato qualcosa. Qualcosa che mi avrebbe fatto capire come avrei potuto reagire se Caleb avesse cercato di fare uno dei suoi stupidi giochetti.
«Zia?»
«Sì Lilla?», si volse verso di me con il busto continuando a mescolare le uova nella padella.
«Perché odi gli War? C’è qualche motivo in particolare?», lasciai la frase a metà. Lei mi guardo imperturbabile, i suoi occhi erano fissi su di me e quel verde boschivo, si adombrò appena, smise di mescolare le uova e fece per dire qualcosa, ma richiuse la bocca ancora.
«Non li odio, è semplicemente che non li sopporto. La loro vita è inagibile per persone come noi, e stai certa che se ti fanno entrare, è sempre per un loro scopo personale. Non sono brava gente Lilla, non lo sono mai stati.», bisbigliò quest’ultima parola con lo sguardo perso e le sopracciglia incurvate.
Aggrottai la fronte perplessa: in effetti non aveva torto. Caleb era cattivo con tutti, solo che aveva deciso di prendersela con me.
«Okay», risposi convenendo con lei che più lontano sarei stata a Caleb, meglio sarebbe stato per tutti.
«Posso contarci su di te per stasera al Wolves?» mi domandò cogliendomi di sorpresa. Non avrei avuto voglia di andarci, ma sapevo che preferiva non chiamare altra gente quando non c’erano feste.
«Va bene, però prima vado a trovare Shon», le comunicai voltandomi e imboccando le scale.
Avevo bisogno di farmi una doccia e togliere di dosso le mani e il profumo di Caleb. C’era qualcosa di lui che non mi convinceva, qualcosa che me lo faceva odiare, ma era anche come un testo antico su cui avrei di certo voluto metterci le mani sopra per scoprire quali erano i segreti che nascondesse.
Tutti mi dicevano che dovevo avere paura di lui, ma la paura era un meccanismo di negazione espresso dalle sinapsi del cervello per proteggersi dalle emozioni spiacevoli principalmente. E io ne ero imbrattata delle emozioni spiacevoli, quindi Caleb non mi avrebbe mai più fatto paura perché io l’avrei smascherato. Avrei trovato il suo punto debole, ammesso che ne avesse uno.
La doccia fu più lunga del previsto. Mi seppellii sotto il sifone per più di mezz’ora e mentre percossi con la mente tutte le vicende dall’inizio della scuola fino all’altra sera, sentii l’ondata di rabbia montare nel mio petto sempre con più insistenza.
Era passato solo un dannato mese, ma sembrava che io ne avessi passate di cotte e di crude.
Non avevo immaginato di passare in quel modo il mio secondo anno e di certo, non avrei mai e poi mai pensato di attirare l’attenzione dei lupi. Speravo con tutto il mio cuore che quell’anno fosse passato il prima possibile così da non rivederli mai più.
Dopo la doccia, mi asciugai i capelli masticando una barretta al mirtillo, indossava la divisa da lavoro, una maglietta con le maniche corte nera e un paio di leggings skinny, calzai ai piedi le scarpe da ginnastica e salutando la zia uscii per andare da Shon.
Avevo bisogno di confrontarmi con lui. Dovevo sfogarmi con qualcuno e sapendo quanto era diretto il mio amico, avevo bisogno della sua opinione personale.
Feci la strada a piedi poiché abitavamo abbastanza vicini, circa cento metri da casa mia.
La casa di Shon era una classica casa Americana di due piani, con un ampio giardino fuori e un garage interno ed esterno. Fermandomi al cancello di ferro battuto, suonai il campanello, attesi un paio di minuti prima che sua madre mi aprisse.
Una volta arrivata alla soglia Madoka mi aprii la porta esclamando: «Lilla! Bentornata tesoro.» la madre di Shon era di origine giapponese, aveva quei grandi occhi marroni a mandorla e un sorriso che mi faceva sempre sentire la benvenuta a casa sua.
Mi accolse in un abbraccio caloroso stringendomi appena. «Buongiorno signora Adams» la salutai.
«Oh, ti prego Lilla. Quante volte te lo devo dire di chiamarmi Madda?», disse infastidita appena facendomi largo per entrare in casa.
Sorrisi imbarazzata, e la seguì dentro il salone arieggiato. Era un openspace accogliente, dalle tonalità beige chiaro, ad ogni angolo e mensola c’erano candele profumate spente che lei aveva creato.
La madre di Shon aveva una bella passione, creava profumi e lavorava per una grossa ditta di profumi, ecco perché aveva creato uno apposta per me. Oltre a quello nel tempo libero le piaceva creare candele profumate.
Ecco perché la sua casa profumava sempre di note diverse. Sembrava una sinfonia sul pianoforte, ma invece di produrre musica, produceva profumi meravigliosi.
«Shon dov’è?» chiesi avvicinandomi al soprammobile a destra, dove c’erano tante fotografia di famiglia.
Diedi un’occhiata al piccolo Shon mentre giocava in piscina prima di prendere una candela tra le mani e annusarla. Sapeva di bergamotto e miele.
«Quello l’ho fatto un paio di giorni fa. Il profumo non mi convince, ma diciamo che le gradazioni tra le due miscele sono venute bene.» Disse sorridendo.
«Shon è chiuso in camera sua da stamattina e non vuole parlare con nessuno. Però sono contenta che tu sia qui, così lo tiri fuori dalla sua tana.» disse imboccando le scale verso il secondo piano.
Strinsi le labbra assottigliando lo sguardo perplessa .
«Che cosa gli è successo? Dovrebbe essere felice per il suo nuovo regalo.» risposi sincera.
«Oh sì, l’auto…», sospirò. «Sembra essere passato in secondo piano. Spero che tu riesca a capire che gli prende ultimamente». Aggiunse triste.
Annuii in silenzio aggrottando la fronte confusa. Quando l’avevo sentito al telefono prima di prendere la macchina mi era sembrato felice.
Madoka mi lasciò davanti alla porta della camera di Shon dicendo: «Tira fuori il cavernicolo da quella camera Lilla».
Annuii ancora una volta e bussai alla porta attendendo che mi rispondesse.
«Mamma, ho detto che volevo restare solo!» esclamò.
«Shon sono io, sono Lilla» gli comunicai attraverso la porta prima di attendere una sua risposta.
La porta si aprii dopo pochi istanti rivelando un Shon a dir poco sconnesso. Aveva addosso una felpa nera con i Simpson in giallo davanti e guardandosi a destra e a sinistra mi prese per il braccio e mi trascinò dentro la stanza.
C’era il caos intorno. Sulla scrivania campeggiava un disordine pazzesco, quaderni, fogli e cuffiette erano depositati sopra. A terra c’era una pila di roba tutta spiegazzata, l’armadio era aperto e il letto era disfatto.
«Oddio, che è successo qui dentro? Sembra tu abbia deciso di vivere in un letamaio» gli dissi strabuzzando gli occhi incredula.
Shon ignorò le mie parole e venendomi di fronte con un cipiglio serio disse: «Lilla che cazzo hai combinato ieri?»
Aggrottai la fronte confusa. «Che cosa vuoi dire Shon?»
«Voglio dire: Che cazzo hai combinato ieri che non c’ero?» La sua voce fu dura mentre mi teneva a tiro con lo sguardo.
Deglutii senza battere le ciglia incredula dal trattamento che avevo ricevuto da parte sua. «Non ho fatto niente Shon, che cosa ti prende?» domandai incredula.
Shon fece un passo indietro guardandomi dall’alto in basso. «C’è che stamattina ho ricevuto una visita Lilla…» deglutì mentre il mento le tremò appena.
Sgranai gli occhi. «Una visita? E da chi?» domandai confusa.
Shon sospirò, come se si fosse tenuto addosso una grossa pietra, e disse: «Dal lupo pazzo Lilla.» la voce gli si incrinò appena, i suoi occhi si sbarrarono come se stesse ricordando qualcosa di spiacevole.
Aprii la bocca sconcertata: «Cosa!», mi passai le mani al volto mentre lui si sedette sul letto disfatto con lo sguardo perso. «Perché? Che cosa ti ha fatto?» domandai sconvolta.
Se Eliot era apparso a casa sua, c’era solo un mandante. Caleb!
La rabbia iniziò ad appannarmi la vista mentre il sangue coagulò denso nelle mie vene. Il moto d’ira nel mio petto mi schiantò i polmoni con forza e l’aria si fece più densa. Shon abbassò lo sguardo senza dire nulla. Mi avvicinai di più e mi piegai per essere alla sua altezza. Li misi le mani sulle ginocchia mentre una grossa palla mi bloccava la gola.
«M-», balbettò sconvolto. «Mi ha minacciato di farmi del male Lilla. Ci ha minacciati…» bisbigliò con la voce appena udibile.
Deglutii sbattendo le ciglia in collera. Caleb poteva fare con me tutti i suoi giochi perversi, ma toccare i miei amici? No! Quello non l’avrei mai permesso! Ero arrabbiata oltre ogni limite, sentii le guance andare a fuoco e strinsi con forza le ginocchia di Shon impossibilitata a trattenere la rabbia dentro di me.
«Figlio di puttana!» esclamai alzandomi in piedi diretta all’uscita. Glielo avrei fatto pagare. Giurai che lo avrei preso a calci, ma Shon mi si parò di fronte trattenendomi per le spalle.
«No, Lilla! Dove vai?» disse fermandomi.
«Vado da lui Shon. Glielo farò pagare!» esclamai a denti stretti mentre il mio amico mi guardava ottuso.
Fece un respiro profondo chiudendo gli occhi rinsavendo.
«No! Tu non vai da nessuna parte! Loro hanno in mente qualcosa. Qualcosa di terribile». Disse stringendo forte le mie spalle.
Aggrottai la fronte leggermente spaventata dall’aspetto irrequieto del mio migliore amico.
«Non importa. Nessuno si deve permettere di trattarti male Shon. A maggior ragione a casa tu!» dissi stringendo forte le mani a pugno.
Volevo riversare su Caleb e i suoi amici tutta la rabbia che covavo. Questa volta avevano esagerato. E me lo avrebbero pagato caro.
«Sì!», esclamò chiudendo e aprendo gli occhi scuri. «Sì che importa. Eliot dopo avermi…», lasciò la frase in sospeso deglutendo. Sentii le sue mani tremare appena e l’angoscia mi risalii su per la schiena.
«Che cosa ti ha fatto Shon?» domandai ancora incredula.
Il mio amico sospirò dicendo: «Non importa. Ciò che è importante ora, è il fatto che loro stanno preparando qualcosa. Qualcosa di molto brutto Lilla. E tu, sei al centro di tutto questo. Eliot sorrideva da pazzo mentre mi torturava con la sua mente contorta. Ma si fece scappare che non vedevano l’ora che arrivi il lunedì.»
Sgranai gli occhi sospirando, mentre un principio di tremore mi si manifestò nelle ginocchia. Misi le mani fra i capelli spostandoli all’indietro e mi sedetti sul letto facendo dietro front.
Cercai di dire qualcosa, ma aprivo e chiudevo la bocca in continuazione incredula e senza alcuna forza. Il letto di fianco a me si mosse appena quando Shon si sedette, voltai lo sguardo verso di lui dicendo: «E adesso cosa facciamo?»
Il mio amico si strinse nelle spalle «Non ne ho idea Lilla. Ma quello che so per certo, è che hanno in mente qualcosa di grosso.»
«Non voglio che mi intimidiscano Shon. È un cavolo di gioco. Perché a me?» bisbigliai sentendo le lacrime salire in superficie, ma le soffocai rapidamente deglutendo parecchie volte.
«Tu sei il suo obbiettivo», disse Shon anelando a Caleb. «E finché non avrà ciò che vuole, temo l’unica soluzione rimasta è quella di cambiare scuola.»
Negai con veemenza stringendo con forza la mandibola. Sentii la tempia sinistra pulsare convulsamente mentre pensavo a tutto ciò che ci avevano fatto. Non si accontentava solo di me. Ora avevano preso di mira l’unico amico vero che avevo nella vita. E che io sia dannata se gli avrei permesso di prendersela con lui.
«Questo, non succederà mai!» esclamai in collera. «E se Eliot prova ancora a infastidirti, chiama la polizia. Capito?», gli strinsi forte le spalle enfatizzando le mie parola.
Shon mi guardò, ma i suoi occhi scuri, erano persi nei propri pensieri, e non potei fare altro se non soffrire in silenzio, proprio come stava facendo lui.
Il mio migliore amico, non doveva centrare nulla in tutto questo, eppure, come sempre Caleb War, aveva deciso di giocare sporco.
«Sono confuso Lilla...», bisbigliò abbassando lo sguardo sulle sue mani. Chiusi gli occhi deglutendo.
«Confuso per cosa?»
Il mio amico strinse le mani a pugno e una lacrima scavò la sua guancia bianca latte. «Non riesco a riconoscermi più.» sussurrò rivolgendomi uno sguardo che sapeva di terrore.
Il mio cuore finii dritto nello stomaco, che cosa gli aveva fatto Eliot per ridurlo in questo stato?
Lo abbracciai mostrandogli tutto il mio affetto. «Qualsiasi cosa ti stia succedendo, io sono qui Shon. Non ti lascerò affrontare da solo qualsiasi cosa tu abbia.»
Shon si sdraio sul letto poggiando la testa sulle mie ginocchia, e piangendo silenziosamente si addormentò. Sembrava non dormire da giorni, il suo aspetto, come sempre ben tenuto, era spento, e gli occhi stanchi.
Gli accarezzai i capelli e la fronte, e dandogli un bacio, gli promisi che i lupi me lo avrebbero fatta pagare.
Avrei cercato Caleb se necessario, lo avrei soffocato con le mie mani. Se voleva farmi incazzare, ci era riuscito alla grande. Ed ero più che certa, che quel cazzo di gioco della Dalia Nera, in un modo o nell’altro sarebbe stata la rovina di uno di noi.
🌺 Spazio Autrice 🌺
Ci tengo a dire, che D.N. ha un sottotrama parecchio fitta di mistero.
🌺
Baci, baci,
KAPPA_07
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