Lilla
Capitolo 10
●È così necessaria la follia degli uomini che non essere folli vorrebbe dire esserlo in un altro modo●
Corsi fino a casa a perdifiato, avevo gli arti che mi bruciavano, le gambe mi tremavano, il fiato era corto, i battiti del mio cuore correvano alla velocità della luce. Le lacrime mi rigarono le guance e mi si appigliarono in bocca.
Ero sconvolta, sporca e piena di paure che non avrei dovuto avere.
Maledissi Caleb War.
Maledetto lui i suoi amici e quel gioco di merda che chiamavano Dalia Nera.
Una volta raggiunto la porta di casa mi resi conto di non avere le chiavi con me. Lo zaino era rimasto nel bagno delle femmine a scuola.
Frustrata diedi dei calci alla porta con la rabbia che cresceva a ondate dentro il mio petto. Dopo il quinto calcio infilai le mani nei capelli e urlai insultando l'artefice della mia rabbia.
Cercai di spingerla con la spalla ma non si aprì. Andare al bar era inutile, mia zia non ci sarebbe stata. Era troppo presto. Erano appena passate le nove e mezza di mattina, ma non era nemmeno a casa, la macchina non si trovava nel vialetto.
Feci il giro sul retro per capire come fare ad aprirla ma non c'era nessuna chiave nascosta fuori casa.
Scalciai una pietra frustrata e portai i capelli dietro stringendo la base del collo.
Il telefono mi era caduto nella colluttazione con Caleb perciò sarebbe stato impossibile poterla chiamare così mi arresi e mi sedetti sul portico.
Vagai con lo sguardo verso la strada a destra e a sinistra per scorgere la Ford di mia zia, ma non vidi nulla tranne un paio di persone che stavano passando dall'altra parte del marciapiede.
Sospirai calmandomi e mi diedi un'occhiata, indossavo ancora la maglietta di quello stronzo disturbato, i miei jeans e le scarpe erano sporche di salsa di pomodoro e puzzavo da fare schifo.
Attesi per una buona mezz'ora che mia zia tornasse, di sicuro era andata a fare la spesa perciò rimasi seduta con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani nei capelli.
Dopo un'ora buona, sentii il ciglio dei freni della macchina, era un suono inconfondibile. Alzai la testa di scatto e mi misi in piedi.
Cazzo, non avevo tenuto conto di lei che mi avrebbe vista conciata in questo modo ed ero cosciente che mi avrebbe fatto mille domande.
Si fermò davanti al vialetto e spense la macchina, quando scese restò con la bocca aperta in una "o" sbattendo le palpebre un paio di volte passandomi in rassegna.
«Che cosa ti è successo?»
Indagò con lo sguardo aggrottando la fronte confusa.
Chissà come ero conciata.
«Niente», tagliai corto.
Alzò le sopracciglia come a sottolineare il mio stato e storse il naso.
«Niente? A me non pare niente.»
Si voltò a prendere le buste di carta marrone scuro dietro e li mise in braccio voltandosi di nuovo nella mia direzione.
«Entriamo in casa. Tu signorina mi devi dare delle spiegazioni!» sentenziò.
Restai ferma immobile, mi morsi con forza il labbro per non aprire bocca e raccontare tutta la mia frustrazione.
Una volta dentro mi voltai per prendere la scale ma la sua voce, attraverso i muri mi fece arrestare di colpo.
«Non così in fretta. Vieni qui.» mi ordinò.
Chiusi gli occhi e feci un lungo sospiro. Non mi avrebbe lasciata andare così facilmente.
Mi voltai a destra e oltrepassai la zona giorno dove c'era la TV e i due divani verde petrolio, attraversai il piccolo corridoio e svoltai a sinistra dove c'era la cucina in legno.
Mia zia aveva poggiato la spesa sul banco della cucina e si era appoggiato con i palmi sul marmo grezzo.
Mi piantò i suoi occhi verde bosco nei miei e picchiettò con l'indice sul banco.
«Allora. Chi ti ha ridotta così?» domandò calma all'apparenza.
Deglutii con forza prima di stringere i pugni lungo i fianchi.
«Un branco di stupidi» risposi con la rabbia che si faceva sempre più violenta man mano.
Mia zia annuì con la testa prima di dire: «Per quale motivo?»
Feci un altro lungo respiro e chiusi gli occhi. «Perché sono dei stupidi infantili ecco perché»
Shannon si mise dritta, l'espressione austera che aveva nel volto mi fece capire che non era contenta della mia spiegazione. Fece il giro del bancone e mi venne di fronte appoggiandosi subito dopo a una sedia in noce di fronte al tavolo da pranzo.
«Tesoro. Raccontami, che cosa è successo? Perché ti hanno fatto questo?»
Mi passai le mani sul volto con la disperazione. Volevo piangere.
«Cosa vuoi che ti dica zia? Se la sono presi con me ecco tutto!» alzai la voce fin troppo. Infatti ricevetti un'occhiataccia da parte sua.
«Voglio sapere il motivo» si ostinò.
Deglutii di nuovo. Di certo non potevo dire a mia zia che quello scemo di Caleb War mi stava torturando perché io non avevo accettato di andare a letto con lui.
«Non c'è un vero motivo. Volevano solo rompermi le palle e ci sono riusciti»
«Signorina!» mi redarguì.
«Cazzo, non volevo dire palle, merda. Oh merda, scusa cazzo. Scusa»
Le parolacce mi uscirono dalla bocca senza pensare. Sospirai rumorosamente passandomi le mani sul volto.
«Ludmilla Baker!» mi ammonì chiamandomi con il mio nome per intero.
«Scusa zia non volevo dire le parolacce. Non ho moneta con me, altrimenti lo avrei messo dentro il contenitore delle parolacce. Comunque il fatto sta, che ci sono questi ragazzi a scuola, si fanno chiamare i quattro lupi, e fanno degli scherzi di poco gusto alla gente. Quest'oggi è toccato a me ed eccomi qui...» le spiegai indicando lo stato in cui ero ridotta.
Per tutta risposta avvolse le braccia al petto e mi scrutò con un cipiglio assottigliando lo sguardo.
«Conosco i lupi. Parli dei figli ricchi vero?»
Annuii con il capo.
Voltò lo sguardo verso la portafinestra alla destra e annuì in sovrappensiero.
«I professori dov'erano? E il preside?»
Scoppiai a ridere. Una risata isterica che nascondeva tantissimi insulti, ma che non potevo riversarli perché avevo esaurito le parolacce per oggi.
«Non fanno niente, non gli dicono niente!» esclamai esasperata. «Loro sono i padroni di quella scuola. L'istituto è degli War, e il figlio fa da padrone!»
Fui investita dalla rabbia pensando a quello che voleva farmi nello spogliatoio. Mi voleva rinchiudere nel ripostiglio. Chissà per quanto tempo mi voleva lasciare lì. Forse tutta la notte, fino all'indomani cosicché quando la squadra di basket sarebbe arrivata, mi avrebbero trovata legata lì dentro. Se, mi avrebbero trovata.
A quel pensiero avvertii uno scossone serpeggiarmi dalla base del collo fino alla base della colonna vertebrale.
Quel ragazzo era pazzo.
Fottutamente pazzo.
«Andrò a parlare con il preside oggi stesso!» esclamò in collera mia zia. «Non è possibile!» aggiunse.
«No zia, lascia stare», provai a farle cambiare idea. Non volevo far impazzire di più quel coglione. Ci mancava solo che lo scoprisse e che escogitasse qualcosa di ancora più losco.
Dio!
Quanto lo odiavo.
«Lasciar stare? No Lilla, io non lascio stare. Questo è un comportamento da immaturi e irresponsabili. Andrò a parlare con loro punto!» sentenziò inviperita. «E quando incontrerò Caleb e la sua combriccola gli farò pentire amaramente di ciò che ti hanno fatto!»
Il mio cuore iniziò a battere con violenza quando sentii la sua ultima frase. Spalancai gli occhi e lo stomaco mi si contorse.
«Cosa? No!» eruppi di getto. «No zia, assolutamente no! Non puoi immischiarti in questa faccenda. Lo risolverò da sola. Per favore.» la pregai con gli occhi lucidi.
Mi riservò un'occhiata truce prima di passarsi le sue dita affusolate sul volto, come se fosse esaurita.
«Va bene. Per questa volta non faccio niente, ma se torni ancora una volta a casa conciata in questo modo nulla mi potrà impedire di andare da lui e dirgliene quattro!»
Sospirai un po' meno in agitazione. «Non succederà più. Ma tu ti prego non fare niente okay?»
Annuì con le mani sui fianchi. Si sciolse un po', il suo volto si rilassò, le labbra carnose non erano più in una linea dura e lei mi guardò con tutto l'amore che nutriva nei miei confronti.
Mi indicò il piano di sopra e mi disse infine: «Vai a farti una doccia perché puzzi da morire.»
Sorrisi appena prima di dire:. «Grazie»
Sospirò come se fosse rassegnata al fatto di come mi ero ridotta, «Ti voglio bene piccola.»
Mi voltai e scappai a gambe levate, una volta sulle scale urlai: «Anch'io e lo sai»
La doccia fu una benedizione, l'acqua calda mi tolse tutta la tensione di dosso, ma soprattutto lo sporco che imbrattava i miei capelli.
Rimasi seppellita sotto il sifone per un'ora buona e quando uscii avevo i polpastrelli delle dita raggrinzite, ma in compenso profumavo come se fossi una cannella vivente.
Mi misi addosso una tuta nera e la felpa con il cappuccio e scesi di sotto dove mia zia si stava ancora dando da fare con le buste della spesa.
Era anche al telefono quando la trovai sui fornelli intenta a togliere dal fuoco una pentola con i broccoli bolliti. Increspai la fronte curiosa, del suo interlocutore dall'altra parte della cornetta e attesi in silenzio.
«Va bene. Passerò da te appena posso, ciao» disse prima di chiudere la chiamata.
Chissà chi era...
Si rivolse alla mia persona e mi passò in risegna prima di dire: «Ora molto meglio.»
Eh beh...
Volevo chiederle chi era, ma evitai l'argomento essendo che comunque mi avrebbe risposto che non erano affari miei.
Tolse il contenuto dalla pentola e lo depositò su un piatto di ceramica che aveva già preso dalla mensola.
«Quella maglietta che avevi addosso di chi era?»
Restai ferma immobile a fissarla come se avessi appena perso la lingua.
Sospirai alludendo a una tranquillità che in realtà non avevo poiché solo al pensiero di lui mi si ghiacciavano le membra.
Mi mossi spostando il peso da una parte all'altra toccandomi il collo, ma il ricordo del profumo di agrumi che era impregnato nella sua maglietta mi fece arrivare un nodo dritto in gola al solo pensiero di averlo avuto addosso.
«Allora?» mi incitò a parlare.
Aprii la bocca un paio di volte senza avere il coraggio di dirle la verità perché di una cosa ero certa.
Mi avrebbe fatto altre mille domande del perché, del come, del quando. Avrebbe chiesto le dinamiche e io di certo non volevo raccontarle nulla.
Ma era anche vero, che a lei non nascondevo quasi mai nulla. Dicevo quasi, perché le stavo nascondendo di Caleb e il suo fottuto fiore, sempre la verità.
«È di...»
«È di?» usò le mie stesse parole, mentre si ripuliva le mani nello straccio appeso alla sinistra.
«È di Caleb War», sussurrai, ma lei lo sentì benissimo.
Le sue sopracciglia scure si incurvarono all'insù. Sembrò molto sorpresa.
«Ho sentito bene? E perché te lo ha dato essendo che era proprio lui ad averti ridoto in quello stato?»
Ottima domanda zia.
Non demordeva mai, era sempre stato così lei, andava fino in fondo alle cose fino ad averti estratto l'ultima parola.
Feci un respiro rumoroso prima ti contorcermi le mani in apprensione.
«Perché... perché gli è dispiaciuto» mentii spudoratamente.
Mia zia assottigliò lo sguardo per niente convinta. «Senti Lilla. Preferisco che tu rimanga muta piuttosto che mentirmi. Non mi piacciono questi espedienti. Non me lo vuoi dire? Bene, nessun problema. Tanto sarò qui quando ti sbatterai la testa al suolo. Perché quel ragazzo Lilla», mi puntò gli occhi addosso con una tale intensità che mi tremò il cuore.
Che cosa stava insinuando?
Spero non quello che credo che lei stia per dire!
«Quel ragazzo ti farà soffrire.»
Ecco lo sapevo, pensava che avessi intenzione di intraprendere una relazione con quella specie di mostro? Davvero?
«Frena zia...» Cercai di dirle, ma mi interruppe sovrastando la mia voce.
«No Lilla. Tu mi stai a sentire. Io conosco i ragazzi come lui, sono belli e dannati, ti prometto mille volte di darti il mondo, ma si finisce sempre con lo stesso identico epilogo. Ti lasciano a pezzi.» le si incrinò la voce all'ultimo, ma io avevo lo sguardo sbarrato.
Ero confusa e incredula.
Veramente pensava che voglia uscire con quel mostro?
«No zia, stai sbagliando...» cercai di farla ragionare, ma sembrava estremamente arrabbiata e non voleva sentir ragione.
«Quelli come quel tale, Caleb, sono i peggiori. Sono marci, hanno mille problemi e ti trascinano nei loro casini senza che te ne rendi conto finché non ti rendi conto di essere troppo tardi per tirarti indietro!» continuò a urlare.
Restai attonita.
Ma che cazzo!
«Zia, io odio Caleb War!» urlai sovrastando a mia volta. «Ma cosa dici? Non starei con lui nemmeno se mi pagassero per farlo!»
Si fermò di colpo, proprio come una radio che era andata in onda a lungo prima di essere spenta di botto.
Sbatté le palpebre per diverse volto mettendomi a fuoco. La vidi deglutire con difficoltà, sospirò e si sfrego le mani sul volto. Forse si era resa conto che aveva dato di matto senza un motivo.
Se l'era presa con me per cosa poi?
Mi avvicinai confusa. Non sapevo che lei aveva sofferto per un uomo...
Dio, la nostra somiglianza era così palese. Mi ricordava ogni volta mia madre, erano due gocce d'acqua. Se non fossi per i miei occhi e per la forma del naso alla francese come mio papà, avrei giurato di essere identica a loro due.
Mi avvicinai e mi sedetti sullo sgabello di fronte a lei. Cercai di nuovo il contatto visivo prima di decidermi a parlare.
«Ti stai sbagliando, io non voglio uscire con Caleb okay? Mi ha dato quella cazz... cavolo, volevo dire cavolo, di maglietta, perché l'altra si era totalmente sporcata di salsa di pomodoro. Per colpa sua», puntualizzai. «Quindi, come puoi minimamente pensare che io abbia voglia di uscire con una persona disdicevole? Io lo odio.» Conclusi.
Lei sospiro appena e mi afferro per le spalle avvolgendomi in un caloroso abbraccio materno, nonostante fosse solo mia zia, per me era come una madre.
Ci stringemmo a vicenda in silenzio, poi mi allontanò e mi puntò di nuovo i suoi occhi ambra con le increspature verdi e disse: «Promettilo Lili. Promettimi che non uscirai mai e poi mai con Caleb War. Mai, nemmeno se si comportasse bene, nemmeno se ti dicesse che si è innamorato di te.»
Risi di gusto; un po' ero preoccupata del perché insisteva così tanto lo ammetto, essendo che non esisteva in alcun universo parallelo che io e Caleb War ci innamorassimo a vicenda, ma lei mi strinse forte le spalle come a sottolineare la serietà del discorso.
«Non potrà mai accadere.»
«Promettimelo!»
Chiusi gli occhi esausta da questo discorso inutile e dissi: «Ti prometto che non uscirò mai e poi mai con Caleb War. Nemmeno se fosse la fine del mondo e per salvare l'intero universo dobbiamo metterci insieme. Nemmeno se arrivassero gli alieni sulla terra e rapiscono tutti obbligando me a...»
«Oh Lilla, sì seria per una volta!» mi redarguì.
«Okay, okay, prometto», conclusi.
Peccato che in realtà, non c'era bisogno di promettere niente, poiché intraprendere una relazione con lui sarebbe stato l'ultima cosa al mondo.
🟣
Verso il pomeriggio mia zia, era andata a recuperare il mio zaino a scuola, ma del mio cellulare nessuna traccia. Ero sicura di averlo perso nella colluttazione con Caleb, quando gli diedi la testata, ma non sarei tornata a prenderlo fino a lunedì.
Al ricordo di ciò che era successo solo pochi attimi prima, mi tornò l'ansia, ma decisi di spingerlo giù e presi il tablet per scrivere a Shon.
Prugnola: Hai saputo?
Asiaticbeautyboyfance:... Sì, che cosa è successo oggi?
Prugnola: Il lupo mi ha teso due scherzi nello stesso giorno!
Asiaticbeautyboyfance: Dobbiamo parlare...
Rivolsi uno sguardo confuso allo schermo. Cosa avrà mai da raccontarmi Shon.
Prugnola: Ti va di passare da me? Oggi non vado a lavorare, mia zia me lo ha vietato perché è venuta a sapere dello scherzo.
Asiaticbeautyboyfance:... ... ... Sì, ceno e dormo da te, ci vediamo dopo.
Prugnola: Ma prima andiamo al parco a portare da mangiare ai gattini. Lucciola ha partorito!
Facciamo Pizza?
Asiaticbeautyboyfance: Lucciola ha partorito??? Perché non me lo hai detto? ... Ho voglia di tacos.
Ordina messicano.
Spensi il tablet e lo misi sul comodino, diedi uno sguardo alla mia stanza, era dai colori caldi, per lo più bianco e azzurro, i mobili che comprendevano i due comodini ai lati del letto a due piazze che mia zia mi aveva regalato per il mio compleanno dell'anno scorso erano in mogano, prima di diventare miei erano stati di mia madre e ogni volta che le guardavo, mi pungeva il cuore.
Dio quanto mi mancavano i miei.
Chiusi gli occhi e sospirai prima di alzarmi dal letto e andare a prendere un libro nella libraria alla sinistra vicino all'armadio.
Presi ragione e sentimenti di Jane Austen e mi misi a gambe incrociate in mezzo al letto quando mi arrivò un altro messaggio da Shon.
Agguantai il tablet e lo aprii nella sezione messaggi.
Un nome strano apparse nella chat. Aveva commentato una mia foto della settimana scorsa, quando ero al parco e stavo carezzando i gattini di Lucciola.
Cannellachebontà: È sempre bello curarsi degli animali indifesi.
Prugnola: Sì, anche se sarebbe meglio che non ci fossero degli animali abbandonati nei parchi.
Cannellachebontà: Carino il gattino, ha il pelo rosso, proprio come te.
Okay, come faceva questo tizio o questa tizia a sapere il colore dei miei capelli? Chi era?
Perché mi aveva contattato?
In genere non ero una persona diffidente ma alla luce degli ultimi avvenimenti l'ansia era più a galla del solito. Anche se, sarebbe stato impossibile che quel coglione si fosse creato un account finto per torturarmi.
Ma allo stesso tempo, perché avrebbe dovuto, tanto a scuola, mi poteva torturare benissimo ogni giorni della settimana.
Prugnola: Come fai a sapere che ho i capelli rossi?
Cannellachebontà: Ho sbirciato nelle foto del tuo profilo, ma metto le mani in avanti nel dire che non sono una persona che stalkera gli altri. Semplicemente mi è apparso nei suggeriti.
Prugnola: Tutti i/le stalker dicono così...
Cannellachebontà: Io non sono uno/una stalker. Mi è semplicemente piaciuto vedere le tue foto che ti prendi cura degli animali. Anche a me piacciono, ho un cane e tanti gatti.
Okay, direi che con questo messaggio mi ha incuriosita.
Decisi di rispondere ma mi promisi che doveva essere l'ultimo messaggio. Non sapevo chi era, perciò meglio tenere le distanze.
Prugnola: È bello sapere che hai degli animali, a me mi sarebbe piaciuto tanto averli, ma sono iper allergica e in famiglia li hanno vietati da quando ero piccola, perché hanno dovuto ricoverarmi in ospedale d'urgenza per l'asma contratta dai peli. Ma ora in realtà, sto bene, fase superata, solo che il generale che ho a casa è irremovibile.
Lessi e rilessi il messaggio un paio di volte dopo averglielo inviato. Scossi la testa maledicendo me stessa.
Ma che cosa mi era passato per la mente? Nemmeno lo conoscevo.
Già che ci sei Lilla, perché non gli dai anche il tuo codice fiscale e l'indirizzo di casa?
La sua risposta non tardò ad arrivare, facendo sì che mi scordassi del mio autocomiserarmi.
Cannellachebontà: In realtà, non è il pelo che fa venire l'allergia ma bensì si trova nella saliva e nella pipì degli animali. Peccato, avrei voluto farti vedere i miei animaletti.
Prugnola: Oh, grazie professore/ssa, andrò ad informarmi sull'argomento. Ero sempre convinta che fosse il loro pelo il problema. Grazie, ma no grazie. Non accetto inviti dagli sconosciuti.
Mi misi a ridere dalla sua battuta e andai a digitare su Google "allergia dagli animali pelosi" lessi infatti che lo/la sconosciuto/a aveva ragione e storsi il naso.
Cavolo che figuraccia che avevo appena fatto.
Sentii di nuovo vibrare e selezionai messaggi.
Cannellachebontà: Non era un invito, ma se vuoi volentieri. Lieto/a di averti aiutata.
Assottigliai lo sguardo. Perché diavolo non mi diceva se era una lei o un lui?
Picchiettai l'indice sul mento per pensare ad una risposta ma il campanello di casa mi comunicò che Shon era arrivato.
Prugnola: Adesso devo andare. Per appunto, vado a dare da mangiare ai nuovi gattini venuti al mondo perché io mi prendo cura degli animali. Hashtag animali pelosi #animalipelosi
Cannellachebontà: Ci sentiamo crocerossina degli #animalipelosi
Risi di gusto chiudendo la chat. Mi alzai in piedi e per un attimo mi trovai spensierata.
Non avevo pensato neanche per un istante alla faccia da schiaffi di quel lupo nero e cattivo e l'ansia mi era scemata del tutto, sparita, come una nuvola di fumo.
Deglutii appena lisciando i pantaloni della tuta con il sorriso che non accennava a spegnersi.
Sospirai dandomi un contegno e scesi di sotto pronta per essere aiutata da Shon.
Avevamo un compito da fare. Andare nel parco e portare da mangiare ai gattini appena nati.
Blog di Lilla
Blog di Shon
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