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Lilla

Capitolo 4

Sorridi tu che guardi la folla dall'alto, perché sai di essere il suo padrone


Ero rimasta sveglia tutta la notte a pensare a ciò che mi aveva detto. Non sapevo dare una spiegazione logica alle sue parole, perché in realtà di logico non c'era in lui.

Ho sempre cercato di nascondere il mio corpo. So di avere delle curve abbondanti, e i miei occhi non aiutano la situazione affatto, ma di certo non avrei mai e poi mai pensato di attirare l'attenzione del lupo nero.

Dio, Caleb War era l'incarnazione del male, ma allo stesso tempo l'emblema della vera bellezza.

Era talmente bello, che ammetto di essermi toccata diverse volte sotto le lenzuola pensando ai suoi muscoli sudati dopo una partita di basket.

Ambiguo no?
Si desidera inconsciamente la persona che si odia di più.

Ovviamente non sapevo come comportarmi, sapere senza mezzi termini che voleva entrarmi nelle mutandine, con le buone o con le cattive, mi generò la vera ansia.

Non ero sicura che aveva degli scrupoli, in due anni che lo conoscevo non l'avevo mai visto lasciar perdere una delle sue sfide, e ciò che volevo evitare più di tutte era diventare la sua sfida.

Era molto persuasivo. L'avevo visto l'altra sera, ma andare a scuola con le viscere molli non mi aiutò.

Avevo salutato mia zia quando mi ero svegliata e non avevo toccato la colazione, la bocca dello stomaco era serrata.

I suoi occhi avevano indugiato a lungo su di me e sui miei vestiti.
Indossavo un paio di jeans logori e un maglione di lana a collo alto larghissimo per nascondere il sedere e il seno più che potevo.

Misi su, un paio di occhiali per nascondermi al meglio e mi legai i capelli in una coda.

«Come ti sei vestita?», mia zia mi guardò perplessa da capo a piedi. «Fa freddo ma non da mettersi addosso un maglione di lana degli anni quaranta.»

Sospirai e le posai un bacio sulla guancia.

«A me piace zia.»

Agguantai una mela dalla cesta della frutta sopra il bancone della cucina, e mi diressi alla porta.

Non sapevo che cosa mi aspettava. A volte durante la notte pensai che era tutto un incubo, non era vero, non era successo nulla.
Questa mattina sarei andata a scuola e nulla sarebbe cambiato. Sarei stata sempre quella ragazza invisibile.

Durante il tragitto incontrai Shon, la prima domanda che mi fece fu quella di chiedermi se era successo qualcosa.

«Tu hai qualcosa di strano», mi puntò il dito contro.

«Non vuoi veramente saperlo Shon.»

Il mio amico dai tratti asiatici fermò il passo di colpo agitato.
«Cosa? Voglio saperlo Lilla?», si mosse strabuzzando gli occhi. «Dici che non lo voglio sapere?»

Alzai gli occhi al cielo dalla sua espressione esagerata.

«Shon...»

«Cosa hanno fatto? Oh! Non dirmi che hanno fatto sesso in pubblico, Lilla. Non posso essere tanto sfigato da essermelo perso», gridò.

Mossi il capo per dire di no.
«Shon...» lo chiamai ancora, ma lui continuò a parlare imperterrito.

«Non dirmi che li hai beccati in bagno? Oh no! Si sono messi a fare un'orgia in mezzo alla discoteca?»

Mosse l'indice verso di me e me lo puntò contro. «No!» esclamò.

Sospirai rumorosamente.
Oh quanto mi sarebbe piaciuto vedere le loro bravate, ma lui era così lontano dalla realtà.

«Lilla...»

Iniziò a dire, ma lo fermai alzando la voce di diversi toni per sovrastare il suo strillo.

«Il lupo nero vuole fare sesso con me!»

Urlai talmente tanto che dall'altra parte della strada diverse persone si girarono ad osservarci.

Sentii il calore diramarsi a fiotti nel mio volto, le orecchie mi bruciarono e il cuore mi risali in gola.

Shon aveva gli occhi e la bocca spalancata, sembrò sconvolto, le mani sembrarono congelarsi sul posto. Era incredulo.

«Coooosa!» urlò a sua volta.

Raccolsi le mani nel grembo e iniziai a grattare l'unghia del pollice mentre la bocca dello stomaco fece una capriola che mi generò un brivido.

«Ieri sera...»

Mi si fiondò addosso e mi prese per le spalle, era anche lui sotto shock.

«Devi raccontarmi tutto!»

Deglutii e lo guardai esprimendo tutta l'inquietudine che sentivo dentro.

«Ieri sera, andai a prendere un po' d'aria sul retro del locale e lui mi raggiunse. Mi minacciò, mi dise che mi voleva... scopare», abbassai la voce nell'ultimo parola.

Shon sbatté le palpebre diverse volte.
«E...?» mi spronò.

Mi liberai dalla sua presa e inizia a camminare. «E cosa Shon? Gli ho detto che non andrò mai a letto con lui.»

«No, no, Lilla», si passò le mani sul volto. «Tu non hai capito la gravità della situazione»

Corse e si mise di fronte a me camminando all'indietro. «Sei nel mirino, Lilla. Sai che cosa fa alle persone...» mi mise in guardia.

«Lo so.» gli dissi in un borbottio.

«Ti avevo detto di non andarci. Io ti avevo messo in guardia! Cocciuta! Non mi ascolti mai!» mi redarguì.

Avevo le lacrime agli occhi, mi fermai di colpo e lo fissai.

«Shon, che cosa dovevo fare? Avevo promesso a mia zia di esserci!»

«Accidenti Lilla!» esclamò. «Cazzo» disse calmandosi.

«Che cosa hai intenzione di fare?»

Sospirai ingoiando le lacrime e mossi il capo. «Non lo so. Che cosa devo fare?»

Ero avvolta dall'ansia. Le viscere mi tremavano.

«Non è ovvio Lilla?» mi rispose con una domanda a sua volta.

Aggrottai la fronte confusa. «Cioè?»

«Devi andare a letto con Caleb War» sentenziò

Strabuzzai gli occhi. Mi uscirono quasi dalle orbite per quella affermazione assurda.

«Non dire stronzate!»

«No, no, no, ti ripeto, tu non hai capito la gravità della situazione mia cara Lilla. Lui non demorde, non l'ha mai fatto.»

Puntai i piedi per terra con i pugni stretti lungo i fianchi. «Beh, io non ho intenzione di fare sesso con lui! Lo sai bene che lo odio.»

«Voglio proprio vedere se sarai in grado di reggere la pressione amica mia.» mi disse serio.

«Oh Shon ti prego. Ho bisogno del tuo incoraggiamento, non di avere altro stress addosso!»

Sbuffò chiudendo gli occhi e mi abbracciò. «Hai ragione Lilla, perdonami, ma qualcuno ti deve pur aprire gli occhi. Caleb il fottuto War. Non. Molla. La. Presa. Mai.» sentenziò.

Mi sentii annichilita, mi presi la testa fra le mani e abbassai lo sguardo sulle mie stan smith logore.

«Merda! Merda! Merda!» mi disperai. «E adesso che cosa faccio?»

Il panico si propagò violento nelle mie membra fino a toccare il mio cervello.

«Stai tranquilla, troveremo una soluzione» cercò il mio amico di confortarmi.

«E come?» chiesi disperata.

«Ancora non lo so.» sussurrò.

🟣

Varcai la soglia della porta d'ingresso con la testa frastornata, sentii il sangue battere nelle tempie con prepotenza.

Non sapevo che cosa mi aspettasse.

Guardai le persone dritto negli occhi come a volere captare qualsiasi cosa. Mi sentii esposta, mi sembrò come se chiunque sapesse i miei più intimi segreti. Il cuore mi si era fermato, sentii le gambe molli.

Tornai in me quando qualcuno sbatté il proprio sportello dell'armadietto.

Rilasciai l'ossigeno che avevo trattenuto da troppo tempo e mi sentii meno pesante. Le mani mi tremavano.

«Aprilo Lilla», mi sussurrò il mio amico.

Avevo talmente tanta paura, che mi paralizzai sul posto, quando catturai le cheerleader che mi guardarono e si misero a ridere fra loro.

Il respiro mi diventò corto, il sudore mi scivolò lungo la colona vertebrale e mi voltai verso l'armadietto. Lo aprii con le mani tremanti.

Pensai che non era giusto.

Lo spalancai e quando non vidi nulla sospirai rumorosamente rilasciando tutta l'ansia, lo stress, lo shock.

Non c'era niente fuori posto, i libri erano interi, le penne e i miei disegni c'erano tutti.

Mi sentii liberare, chiusi gli occhi.

Niente Dalia Nera.

Shon sospiro rumorosamente dietro di me, mi si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio.
«Niente dalia nera. Forse ti ha lasciato stare»

Ma non feci in tempo a rispondergli che la cheerleader Mess, mi chiamò alzando la voce.

«Ehi Lilla. Ma che cosa ti sei messa addosso?» si fece beffa di me.

Mi voltai lentamente e le guardai. Erano bellissime. La capo cheerleader Penelope, che si trovò ad agrottare la fronte quando quella serpe mi parlò, aveva gli occhi verdi, i capelli biondi raccolti in una coda alta adornata dal fiocco viola, colore della squadra di basket. Le labbra brillavano dal gloss rosa e indossava una gonna cortissima di jeans e un top verde scuro.
Era stupenda. Spiccava tra tutte le altre. Una vera bellezza della natura

«Non ti devi nascondere cara.» mi fece l'occhiolino Penelope prima di richiamare l'attenzione di tutti e proseguire nell'altra direzione insieme alla sua corte. Mess si voltò e mi rivolse un sorriso di scherno.

Alzai gli occhi al cielo.

Addio invisibilità, benvenuto al caos.

Guardai Shon che rimase con la bocca spalancata.

«Io la amo...» disse con la voce tremante.

«Andiamo in classe,» gli misi la mano sul braccio e lo trascinai nell'aula di letteratura inglese.


«Ti prego Lilla, io la amo. Ti ha parlato, significa che conosce anche me?»

Stava blaterando convulsamente.

«Sì, sì, va bene. Ora andiamo che siamo già in ritardo al secondo giorno» lo trascinai quasi di peso.

Quel ragazzo era innamorato pazzo della capo cheerleader da anni, ma lei nemmeno sapeva della sua esistenza. Nonostante io abbia detto a Shon di fare qualcosa o lasciare stare  il mio amico è un fifone. Decide di stare in un limbo. Non prende nessuna decisione, ma allo stesso tempo vuole stare con lei.

Bonfonchiò qualcosa che non riuscii a sentire, poiché stavo ancora pensando al fatto che mi ero fasciata la testa inutilmente per tutta la notte.

Caleb War mi aveva semplicemente presa in giro. Come era possibile che non ci arrivai subito?

Che stupida!

Il professore entrò in classe due secondi dopo di noi. Ci sedemmo a destra in un banco vuoto nel mezzo e ascoltammo la lezione.

Iniziò a parlare di Shakespeare e delle sue opere drammatiche.

Cercai di restare concentrata e di ascoltare la lezione ma la mia testa vorticava riempendosi di pensieri.

Perché mi disse quelle cose ieri sera?
Perché non ha fatto nulla oggi?
Quale sarebbe stato la sua mossa, se nel caso ci fosse stato una mossa?

Dei sussurri fuori mi fecero tornare alla realtà in classe. Qualcuno iniziò a urlare e a ululare la fuori. Il mio respiro diventò affannoso a sentire quei schiamazzi.

I lupi erano arrivati a scuola.

Iniziai ad agitarmi sul posto, non avevo il coraggio di guardare nessuno, nemmeno Shon, il quale mi stava fissando con lo sguardo sbarrato.

Il cuore prese a battermi convulso nel petto a mano, a mano che gli ululati si avvicinavano alla porta.

Il professore smise di spiegare la lezione e si tolse gli occhiali sfregando subito dopo gli occhi sospirando.
Qualcuno spalancò la porta e rimase fermo allo stipite. Mi era impossibile vederlo, ma ebbi un tonfo al cuore. Iniziai a dondolare un piede in apprensione.

«Che cosa ci fate qui?» domandò il professore.

Nessuno udì la risposta poiché i due lupi della Little Falls fecero capolino. Era Eliot Reed chiamato anche il lupo pazzo, per la sua mania della corsa veloce e Lenny Lewis, chiamato il lupo grigio anche se i suoi occhi erano di un verde chiaro nonché i migliori amici di Caleb War.

Se ne fregarono delle lamentele del professore, iniziarono a scrutare l'aula in cerca di qualcosa e quando posarono gli occhi su di me mi mancò la terra sotto i piedi.

Inizia a respira velocemente, stavo andando in iperventilazione. Tenevano in mano un sacchetto nero ciascuno.

Mi scrutarono a lungo con un ghigno perverso sulle labbra, poi iniziarono a venire nella mia direzione.

Mi aggrappai al braccio di Shon, era impossibile riuscire a calmare i battiti del mio cuore che andavano alla velocità della luce. Sentii le lacrime salire prepotenti agli angoli dei miei occhi.

Tutta la classe mi stava guardando stupita. Nessuno osò fiatare o guardarli negli occhi.

Si fermarono di fronte a me e senza lasciare i miei occhi dissero a Shon di sloggiare.

«Via» disse Eliot, aveva il corpo pieno di tattuaggi che arrivavano fino alla testa coprivano tutto tranne il collo. Era tremendamente bello e altrettanto minaccioso che mi mancò il fiato.

Shon si alzò barcollando dopo avermi inviato uno sguardo pieno di scuse. Cercai di trattenerlo, ma lui scivolò via.

Rivolsi lo sguardo verso i due ragazzi. Lenny si sedette alla mia sinistra mentre Eliot si sedette di fronte sul banco.

«Allora...» disse Lenny scrutando il mio volto con insistenza.

«Hai veramente gli occhi viola uhhh» fece un verso roco con la gola.

Mi riverberò fino alle ossa. Cercai di non deglutire per non fargli vedere la paura che mi correva serpentina lungo la spina dorsale.

«Sì L. È lei. Ha i capelli come la piccola Anna» rimarcò Eliot ridendo in quel mondo viscido.

«Cosa volete?» domandai ferma.

Entrambi si misero a ridere. Mi fremettero le narici. Talmente ero arrabbiata.

«Sai chi siamo vero?» mi si rivolse Elliot. «Sì che lo sai.»

«Eliot smettila, la stai spaventando» disse l'altro ridendo con la risata roca.

Mi mossi sotto il banco in apprensione.

Dio, ma cosa credevo? Ovvio che non mi avrebbe lasciato in pace.

«Guardami negli occhi, voglio vedere ancora un po' questi bulbi strani.» disse Eliot agguantando il mio mento.

Mi ritrassi di colpo e lo guardai con rabbia.

Il professore disse qualcosa che non riuscii a capire, ma Eliot si rivolse a lui con una freddezza che mi ghiacciò le membra.

«Sta zitto o ti sbattiamo fuori»

Strabuzzai gli occhi. Se riuscivano a minacciare un professore, figurarsi di che cosa potevano fare a me.

«Hai un debito con il lupo nero, rossa» disse Eliot mostrando i suoi denti perlacei.

«Io non ho...»

Un dito mi fu premuto sulle labbra e mi zittii all'istante.

«Shhh» fece il verso Lenny, «Non spercare fiato stregetta.»

«Devi ancora dirgli come ti chiami sai. In realtà lo sa già, ma vuole sentirselo dire dalla tua voce.» continuò Eliot.

Mi stavano salendo le lacrime agli occhi, tanto ero in ansia. Temevo che mi stesse venendo un attacco di panico.

Rimasi zitta, come se non avessi avuto forza di volontà, né per parlare, né per muovermi.

«In tanto ti lasciamo il secondo indizio piccola strega. Sta a te capire di che si tratta.» disse Eliot ridendo.

Il mio cuore si scatenò. Iniziò a battere forsenata nel petto.

Si alzarono entrambi, avevano ancora i due sacchetti in mano.
Lenny lo apri con uno strappo e ci infilò la mano.

Estrasse il pugno chiuso e me lo mise in testa. Aprì il palmo e petali neri mi piombarono addosso mentre il battito correva e correva come un cavallo impazzito.

Il respiro mi si mozzò i miei polmoni non ricevettero più ossigeno e le lacrime mi salirono violente agli occhi. Fece per tre volte lo stesso gesto facendo piombare petali neri sopra la mia testa. Erano sporchi, qualcuno li aveva messi nella pittura nera, mi si appiccicarono ai capelli e alla maglia, qualcuno mi finì nel grembo sporcando i pantaloni che avevo addosso.

Prese il sacchetto e me lo svuotò tutto sopra la testa.

Ero paralizzata, guardai i petali e mi resi conto che erano piccoli e a costine. Capii subito di che fiore si trattava.

Fu la volta di Eliot che rise da sadico e mi gettò il suo sacchetto in testa. Piume nere intinte nella vernice nera mi piombarono addosso.

Aprii la bocca sconvolta, mi pulii la faccia ormai sporca e una singola lacrima lasciò la mia iride destra.

Strinsi forte la sedia fino a sbiancare le nocche.

Mi si avvicinò all'orecchio, spostò una ciocca sporca e mi sussurrò: «Quando Caleb War ti fa una domanda tu rispondi stregetta. Altrimenti sai che cosa ti aspetta la prissima volta.»

Si alzarono soddisfatti dandomi entrambi un'ultima occhiata. Stavano guardando il loro lavoro e ne sembravano soddisfatti.

Il mio era l'istinto di sopravvivenza. Potevo alzarmi e prenderli a sberle, ma non feci nulla, la sensazione di vertigine che mi attanagliò fu inquietante.

Andai fuori di testa, tutti mi stavano guardando, mi alzai con uno scatto battendo i denti nello stesso momento che suonò la campanella. Eppure nessuno si mosse. Nessuno, nemmeno il professore il quale sembrò inorridire davanti al loro gesto ma non fece nulla per fermarli come al solito.

Iniziai a correre spedita verso il bagno, ma mi fermai quando vidi tutti gli studenti accalcati davanti al mio armadietto.

Deglutii pulendo le lacrime che mi erano scese lungo la guancia e mi avviai con le gambe tremanti nella loro direzione.

Mi feci largo a spallate in mezzo agli altri che si girarono e mi guardarono mentre mormoravano tra loro.

I miei piedi si arrestarono di getto quando vidi Shon che aveva l'aria più triste di sempre. Le sue spalle erano affosate, sembrava triste e abbattuto.

«Non guardare Lilla,» mi disse prendendomi per le spalle. Mi spostai con forza e avanzai di un altro passo.

«Che cosa ha fatto.» sussurrai vedendo l'enorme graffito sul mio armadietto.

Qualcuno aveva macchiato il mio armadietto disegnando una enorme dalia nera su tutta la lunghezza.

Un altro brivido mi spaccò la schiena in due.

La dalia nera!

Caleb War mi aveva assegnato la dalia nera.

E chiunque sapeva, compresa me, che cosa voleva dire.

Scappa, mi riverberò una voce nella testa.

Invece rimasi lì, ferma immobile ad osservarla attonita, annichilita, distrutta, e di sicuro terrorizzata.

♤~♤~♤

Eliot Reed/ Crazy Wolf


Liopold/Lenny Lewis/ Green Wolf


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