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Lilla

Capitolo 1

Ci fu un tempo che adesso non esiste più,
dove esistevo io
ed esistevi anche tu●

Cinque anni prima

Il mormorare degli studenti della Little Falls High school mi riempì i timpani appena entrai nel grande corridoio insieme al mio amico Shon, il quale stava continuando a parlottare riempendomi la testa, di quanto si sia divertito in Europa. Cercai di essere una vera amica nelle due settimane scorse, quando rimasi ad ascoltarlo, rapita e meravigliata dal suo viaggio, ma ora, dopo due settimane iniziai ad'innervosirmi. In realtà, non ero del tutto sicura se il motivo del mio fastidio fosse la sua voce o semplicemente il ritorno a scuola.

Si sa che il primo giorno è il più difficile, oppure il più felice, per chi ha da raccontare ai propri compagni storie e avventure successe durante l'estate. Ma lui continuava a raccontarmi sempre stesse cose ed io inziai ad essere satura.

Mi diressi verso il mio armadietto posizionando meglio lo zaino viola in spalla e annuii nella direzione del mio amico. Osservai gli studenti riuniti in gruppi, chi rideva per una battuta, chi sfogliava delle riviste, c'era chi si trovava seduto per terra e mostrava dal proprio smartphone qualcosa e in fine, le cheerleader della Little Falls vestita di tutto punto con la loro divisa dalle tonalità viola scuro con i bordi nero e bianco della squadra di Basket. Si trovavano tutte riunite nel centro del corridoio e si parlavano tra di loro mostrando delle foto.

Deglutì passandole accanto, ma come sempre nessuno fece caso a me. Ero felice, adoravo essere invisibile, soprattutto dopo la figuraccia dell'anno scorso, quando caddi per le scale fuori dalla porta per colpa di una grandinata. Le mie scarpe scivolarono e io oltre a tagliarmi la lingua fui presa in giro per i successivi due mesi fino alla fine del primo anno, da dei stupidi ragazzi che mi avevano vista e avevano sparso la voce all'intera scuola.

Il chiacchierare si fece più intenso man mano che mi avvicinavo al mio armadietto, alzai lo sguardo verso lo striscione giallo con la scritta "Benvenuti a scuola" che era posizionato al centro del corridoio. Inviai un insulto allo striscione, come se fosse poi così bello tornare in questa gabbia di matti.

Aprii il mio armadietto e ci deposi i libri che avevo nello zaino, quelli che non mi servivano per la lezione di storia che sarebbe incominciata a breve e presi il mio succo d'arancia che avevo spremuto a casa la sera prima.

«Lilla, ma mi stai ascoltando?»

Mi voltai verso Shon e lo guardai negli occhi dal colore scuro. Il mio amico era veramente magro, ora che lo osservai per bene. I suoi tratti asiatici facevano sì che la sua magrezza si notasse molto.

«Sì Shon ti ho ascoltato, ora mi lasci bere il succo in pace prima della lezione?»

Shon alzò gli occhi al cielo e fece una smorfia di disappunto.

«Bell'amica che sei».

Sapevo che lo disse senza astio, eravamo veramente tanto amici, abitavamo vicini noi due. Fin da quando mi trasferii undici anni fa a casa di mia zia Shannon quando scomparvero i miei genitori.

«Sono l'unica che hai Shon». Appuntai, questo fece si che lui alzasse di nuovo gli occhi al cielo.

«Sì, ma quest'anno non sarà così. Ho intenzione di farmi un sacco di amici». Rispose determinato.

Presi un sorso di succo dal mio bicchiere di carta e gli sorrisi divertita. «Speriamo, così potrai annoiare altri con le tue storie riguardo alla Costa Azzurra». Lo presi bonariamente in giro.

«Oh! Questo si che è stato un colpo basso mia cara». Mi puntò un dito contro chiudendo poi subito dopo l'armadietto.

Risi di gusto, ma il campanello che preannunciò l'inizio della lezione mi fece scemare all'istante la risata. Sbuffai e depositai sullo scaffale il contenitore prima di chiuderlo.

Sapevo che in realtà, non avremmo fatto nulla in classe, poiché non c'era stato una riunione di benvenuto e sicuramente il preside sarebbe passato a salutarci.

Andammo alla lezione di storia e come avevo già pensato, il preside si presentò alla classe augurandoci buon anno scolastico, ma smisi di ascoltarlo dopo due secondi che iniziò a parlare. Mi concentrai sui miei schizzi. Avevo abbozzato una disegno a matita ieri sera. Avevo catturato la luna e le stelle attraverso la finestra con i rami degli alberi che facevano da sfondo a quel paesaggio.

Quando il preside si dileguò il professore di storia, uno nuovo, di nome Kaiden inizio a presentarsi e a mostrare il programma per tutto l'anno. Presi appunti e ascoltai la lezione, ma il mormorio di un paio di studenti dietro di me catturò la mia attenzione.

«Li avete visti?» disse una ragazza.
«No, non sono ancora arrivati». Rispose un'altra.
«Vedrai faranno la loro comparsa come ogni anno. Sarà divertente».
«Oh sì, non vedo l'ora». Rispose l'altra ragazza. «Tu lo sai perché non hanno tenuto l'assemblea di benevenuto quest'anno?»
«Avevo sentito perché non c'erano loro. È così?»
«Sì, esatto. Lui gli ha detto niente lupi, niente benvenuto».
«Oddio!» esclamò l'altra come se fosse eccitata. «Spero che quest'anno mi noti».

Presi un lungo respiro e sbuffai alzando gli occhi al cielo. Capì subito di cosa stessero parlando e smisi di ascoltare nel momento esatto quando si sono messe a fare le gatte morte.

«Le hai sentite?» domandò Shon dandomi una gomitata.

Annui con la testa alzando gli occhi al cielo.
«Quelle si che puntano in alto». Risposi sarcastica al mio amico.

«È bello sognare Lilla. Dovresti farlo a volte».

Feci una risata nasale che obbligo un paio di persone a girarsi verso di me. Tornai seria all'istante abbassando lo sguardo sul libro davanti a me. «Certo». Risposi borbottando.

Quando il campanello annunciò la fine della lezione tutti si alzarono grattando le sedie contro il pavimento. C'era chi uscì in fretta e furia, c'era chi stava ancora mettendo il libro nello zaino e c'era chi squiti eccitato per chissà quale diavolo di motivo.

«Andiamo!» disse la ragazza che stava parlando dietro di me affrettandosi alla porta.

«Ma che hanno?» domandai.

«Non ne ho idea». Rispose il mio amico mettendo lo zaino in spalla. Ci dirigiemmo verso l'uscita e guardammo le persone correre nei corridoi. C'era chi andava alla lezione successiva e chi verso gli armadietti.

«Lascio lo zaino e prendo la cartella okay?» salutai.

«Io ho geometria, quindi ci vediamo dopo». Mi salutò Shon andando nella direzione opposta.

Mi avviai verso il mio armadietto e dopo averlo aperto ci depositai il libro di storia per prendere la cartella con i miei schizzi e le matite da disegno. Mi avviai verso l'aula di arte quando delle urla e delle grida di eccitazione mi bucarono i timpani.

«Oddio! Sono loro! Solo loro!» esclamarono le voci femminili. Mi fermai e voltai lo sguardo verso la massa accalcata intorno all'ingresso. Indugiai giusto un attimo prima di alzare di nuovo gli occhi al cielo per il poco rispetto che queste ragazze mostrano a sé stesse e me ne andai verso l'aula.

Sapevo chi stava entrando. Erano i lupi della Little Falls.

Dopo tre ore di lezione, tra la storia dell'arte e la letteratura inglese, uscii di nuovo per andare a depositare nel armadietto tutti i libri che avevo con me. Incontrai un paio di persone lungo il corridoi che stavano parlando tra di loro, e cercai di intercettare Shon. Lo trovai appoggiato al suo armadietto.

«Ehi? Com'è andata?»

«Abbastanza, per essere il primo giorno. Tu?»

«Abbastanza per essere il primo giorno». Risposi ridendo.

«Andiamo alla mensa a mangiare qualcosa?» domandò prendendomi a braccetto.

Storsi le labbra guardandolo negli occhi. «Lo sai che non posso permettermelo».

«Andiamo Lilla, offro io». Mi rispose il mio amico.

Feci un sorriso amaro al mio amico. Lo andoravo, per la sua indole infinitamente buona, ma non potevo accettare.

«No, Shon. Io ho finito per oggi, penso che andrò a casa ad aiutare mia zia».

«Andiamo Lilla...», mi incalzò

«No, Shon, davvero, ho promesso a mia zia che sarei andata con lei oggi. Male non fa guadagnare due soldini».

«Non puoi continuare a farti in quattro perché tua zia può farcela anche da sola...»

Il mio amico smise di parlare, ma io ebbi una stilettata nel cuore, che si propagò velocemente nelle mie ossa e mi fece male. Molto male.

«Perdonami». Disse subito dopo.

Abbozzai un sorriso che mi riuscì male ma cercai di rassicurarlo.

«Tranquillo, mi fa piacere, non mi dispiace affatto aiutarla. Nel bene e nel male, io ho solo lei, e lei ha solo me. Aiutarla a servire due drink non è cosi brutto».

«Non è il fatto che servi due drink, e lo sai. Si tratta di servire a loro, e se ti riconoscessero, e se ti notassero. Lo sai che non voglio che ti capiti nulla di male».

La sua premura era tenera, proprio come lui.

«Non mi conosceranno, non l'hanno fatto per un'intera estate, e non mi capiterà nulla, promesso».

«Va bene Lilla, ma scrivimi prima di dormire okay?»

«Sì ti scrivo. Ciao».

Salutai il mio amico e uscì fuori. Una volta all'aria aperta, osservai il tempaccio e le nuvole nere che erano troppo basse. Si preannunciava un inverno molto freddo, e infatti l'aria gelida mi pizzicò il viso. Mi strinsi nella mia maglietta ancora leggera, poiché mi ostinavo a non lasciar andare l'estate e mi diressi verso casa.

🟣

Mia zia, Shannon era una donna di trentaquattro anni, single e dai tratti burberi. Non era una cattiva persona, anzi, in realtà, mi ha sempre trattato molto bene, un po austera, a volte mi sgridava, ma non mi ha mai fatto sentire inadeguata o un peso per lei. Dopo la morte dei miei genitori, lei mi ha preso in custodia, avevo cinque anni quando il treno che prendevano ogni giorno per andare al lavoro uscì dai binari e causò la morte di centinaia di persona, compresa quella dei miei.

I primi anni di convivenza con mia zia, sono stati duri, lei faceva tre lavori diversi e io restavo a casa da sola, ma nonstante ciò, c'è l'ho fatta. Continuo a farcela e c'è la farò.

La morte dei miei genitori è stato un lutto che non supererò mai, e mi va bene così, perché quel dolore mi tiene aggrappata a terra, mi ricorda che non c'è via di scapo dalla vita e se cerchi di chiudere gli occhi per sognare una parvenza di qualsiasi normalità astratta, il dolore bussa e ti fa ritornare alla realtà. Ti concedi il tempo di circa due dannatissimi secondi, per essere felice e spensierata, poi il tuo cervello inizia a vagare e a vagare in continuazione, e questo è un bene, è il meccanismo del cosmo. Tutto scorre. Tutto muta. Nulla sarà mai uguale. Nulla oltre il dolore in realtà.

«Lili sei pronta?»
La voce di mia zia mi fece tornare con i piedi per terra e sospirai osservando il mio abbigliamento. Un paio di jeans neri e una canotta succinta bianca con il logo di un lupo davanti.

In realtà di succinto, non aveva nulla quella canotta, ma più che altro era corta ed avendo io un seno molto abbonandante, mi lascia scoperta quasi tutta la pancia per coprire quest'ultima parte.

Sospirai togliendo l'asciugamano che avevo in testa. Raccolsi i miei capelli dal colore rosso e li annodai in una coda. Non avevo ne voglia ne tempo per asciugarli.
Indossai un paio di sneakes e scesi di sotto.

«Sono pronta». Le dissi.

Mia zia mi osservò con un mezzo sorriso sulle labbra, i suoi occhi verde scuro mi scrutarono a fondo indugiando sul mio seno. «Se qualcuno prova ad allungare le mani, lo uccido».

Lo diceva ogni volta, e ogni volta io le sorrido di rimando.

«Sei troppo bella per essere mia nipote, sicura che tua madre non ti abbia trovata in ospedale?»

Risi divertita con un verso nasale e le baciai la guancia. «Sicurissima zia, ho le tue tette». Scherzai.

In realtà, era vero, nonostante mia zia fosse in carne, era di una bellezza mozzafiato. Aveva gli occhi scuri, i capelli corti dallo stesso colore del tramonto, le labbra carnose anche se erano sempre distese in una linea dura, soprattutto quando era al lavoro.

Aveva un bar nel centro della città e una discoteca sotterranea con tutti i permessi del comune, e di solito, per racimolare qualche soldo, mi faceva lavorare come cameriera d'estate. Avevo insistito per lavorare anche durante l'inverno e dopo una battaglia sanguinaria, mi aveva concesso di farlo il weekand.

Questa volta era un'eccezione, perché aveva consentito a una festa dei Wolf per festeggiare l'inizio dell'anno scolastico e non aveva altri camerieri oltre a un'altra ragazza di nome Sara, una madre single che lavorava per lei da diversi anni ormai.

«Andiamo piccola». Mi disse dirigendosi verso la sua Ford ridendo divertita dalle mie parole.

Mi misi il cappotto e mi avviai chiudendo la porta di casa con un sorriso stampato in faccia.

Una volta raggiunto il locale, mi misi al lavoro con le pulizie, una prassi che facevo ogni giorno, ripulii il bagno, misi in frigo dell'acqua e delle casse di birra per la serata e preparai la postazione per il cocktail. Erano già passate le sette e mezza di sera quando iniziarono ad arrivare gente che chiese subito da bere e dei panini. Sara come sempre arrivò per le sette e si mise subito al lavoro dopo avermi salutata, il locale si riempì velocemente e dopo due ore decisi di andare a bere un po d'acqua in cucina.

«Ehi Lilla, tutto bene di là?» mi domandò Robin il cuoco. Era un uomo sui quaranta che lavorava per mia zia da diversi anni. Aveva un animo gentile ed era un gran lavoratore.

«Sì, il locale è pieno». Gli dissi posando il bicchiere sul lavandino.

«Bene, fammi sapere se devo prepare altro».

«Lo farò tranquillo». Risposi con un sorriso.

Andai dietro il bancone dove c'era Sara che stava guardando la sala.
«Niente male sta sera». Mi disse.

«Sì, i giovani della Little Falls si stanno godendo gli ultimi attimi di libertà». Risposi sarcastica.

«E i lupi non sono ancora arrivati». Aggiunse, ma nel momento esatto si sentirono dei ululati fuori quando molte macchine sfrecciarono facendo stridere i pneumatici.

«Parli dei diavoli...» risposi sospirando.

Quanto odiavo i lupi. Li odiavo talmente tanto, che ogni volta mi sussultava il cuore. Odiavo la loro altezzosità, detestavo i loro soldi, detestavo le loro ville, detestavo le loro facce. Li odiavo e continuavo ad odiarli. Lo avrei fatto per sempre perché mi facevano sentire così piccola, così insignificante, così inesistente. E soprattutto lui mi faceva paura. Una paura viscerale che mi correva nelle vene. Odiavo avere paura. La paura aumenta la paura e fa fare follie alla gente.



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Lilla Baker


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