Caleb
Capitolo 6
●Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.●
Mi avviai verso l'area dei lupi, una volta raggiunto i ragazzi che mi guardarono tutti impazienti di sapere cosa avevo combinato, mi sedetti sulla poltrona con un tonfo e con le labbra serrate, digrignai i denti talmente forte da sentire male alla mandibola.
Quella era una strega, non c'erano dubbi.
Cazzo l'avevo vista solo due volte, eppure mi aveva stregato. Lei e i suoi occhi e il suo profumo mi avevano ammaliato. Quale era la pozione magica che stava usando su di me, non l'avevo ancora scoperto.
«Caleb, che cazzo è successo?» domandò Dean perplesso.
«Niente» risposi burbero.
Non volevo parlare, ero fortemente risentito. La consapevolezza della pace, mi aveva sconvolto parecchio, per non parlare del sapore della sua pelle e delle sue guance tremendamente erotiche.
«Non gliel'avrà dato.» rispose Eliot.
«No infatti.» risposi.
Di certo non gli avrei detto ciò che mi passava per la testa, ossia che quella ragazza mi stava fottendo il cervello come io ho sempre fatto con gli altri.
«Non ti preoccupare, Lenny ha già qualcosa in mente per domani», disse Lenny rivolgendosi a sé stesso in terza persona.
Mi alzai di scatto dalla poltrona, avevo bisogno di schiarire le idee, non potevo e non volevo accettare quell'idea che si era insinuata nella mia mente.
Cazzo io sono il fottuto Caleb War, l'artefice della Dalia Nera. Io faccio del male agli altri senza pensarci due volte.
Quella ragazzina non poteva avermi fottuto il cervello, o se nel caso l'avesse fatto dovevo fermarla. In un modo o nell'altro dovevo togliermela dalla testa e c'era solo un modo per riuscirci.
«Adesso voglio restate da solo. Dite al professore che sto male.» Me ne andai verso l'uscita e mi diressi alla mia Bugati.
La scorsi fuori dalla scuola mentre correva a perdifiato dall'altra parte, per andare a casa sicuramente. Di certo non poteva restare a scuola conciata in quel modo.
In effetti sarebbe stato meglio farsi subito una doccia, prima che la vernice si seccasse.
Ruggii incazzato e entrai nella macchina. La accesi e me ne andai sgommando sonoramente.
Mi fermai ai pressi del ponte di Little Falls, spensi la macchina e scesi subito dopo per proseguire verso la capanna arrugginita oltre le mie spalle a piedi.
Strinsi forte il manico di ferro e lo tirai per aprire la porta, appena entrai dentro l'odore stantia di inchiostro e metallo mi otturarono le narici. Salutai la solita ragazza che stava alla reception chiedendole subito dopo di Rob.
Mi indicò la sala principale a destra e mi diressi verso di lui.
Le luci colorate e soffuse mi apparirono di fronte e scostai le tende blu di velluto per raggiungerlo.
Come sempre, lo trovai seduto sulla poltrona con in mano l'elettrodermografo, si stava tatuando il braccio sinistro.
«Ehi» lo salutai.
«Un altro round Lupo?» mi domandò rivolgendo l'attenzione al lavoro che stava svolgendo.
«Appena finisci.»
Mi sedetti sulla poltrona di fronte a lui e lo fissai assorto.
Non volevo pensare a Viola, non volevo ricordare i suoi occhi grandi e arrossati o al suo corpo morbido in collisione con il mio. Non volevo soffermami a ciò che stavo pensando quando l'ho stretta con prepotenza quasi a sfiorare le sue labbra piene. Non dovevo in assoluto pensare alla sua pelle, o ai miei denti disegnati sulla sua clavicola.
Stavo andando a cento miglia all'ora e dovevo rallentare, fermarmi e schiarire ciò che avevo dentro il cervello.
Sarebbe stato strano per me invaghirmi dietro a una ragazza che primo, non era il mio tipo, sembrava rigida e restia alle sue. E due, io non mi legavo a nessuno, mai. Non nutrivo nessun sentimento di dolcezza e non mi facevo tante domande quando giocavo con qualcuno.
Ero arrabbiato con me stesso perché mi comportavo come un pazzo ossessivo. Essere deviato mi era sempre piaciuto perché compensava il male che portavo dentro, ma esagerare non era mai stato nei miei piani.
Sembravo un cane liberato dal guinzaglio del padrone e la sensazione mi piaceva da matti solo a piccole dosi, ma poi avevo vista quella rossa e mi stavo trasformando in un cliché di uomo.
Mi sentii annegare, eppure conoscevo bene la sensazione della sofferenza che ti mangia da dentro proprio come un tarlo fa con il legno.
Non c'era mai stato niente che mi soddisfacesse appieno, oppure un appiglio che mi facesse dimenticare anche solo per un attimo lo schifo che portavo dentro da molto, troppo tempo, e di sicuro non poteva essere quella ragazza lentigginosa dagli occhi strani a fare la differenza.
Lei non era speciale. Solo perché avevo per un attimo dimenticato le mie ombre, non voleva dire che aveva a che fare con lei e la sua presenza.
Che cazzo me ne fregava dei suoi sentimenti?
Niente!
Allora perché i miei pensieri erano così conturbanti?
Perché mi vergognavo per le mie decisioni?
Fanculo Lilla Baker. Tu sarai un'altra tacca nella mia cintura delle conquiste a costo di commettere qualche stupidaggine.
«Pronto Caleb?» mi domandò Rob che ora si trovava di fronte a me in piedi e mi stava fissando con i suoi occhi azzurro ghiaccio.
«Tutto apposto?» chiese.
Sospirai e scrollai le spalle alzandomi. «Tutto alla perfezione.»
Mi tolsi la giacca di pelle e subito dopo la maglietta, mi misi seduto sulla poltrona e diedi la schiena a Rob il quale si avvicinò con il disegno in mano per mostrarmelo.
Gli diedi un occhiata, prima di tirare fuori una sigaretta e portarmela all'altezza delle labbra.
Sentii il foglio acetato sulla pelle e il pungente odore dell'alcol. Rob mi fece rialzare, il tempo di visionare lo stencil impresso sulla pelle, un'anteprima del quadro che avrebbe ricoperto per sempre la mia schiena. Mi piacevano, le linee viola si intrecciavano tra loro seguendo perfettamente i miei muscoli, linee temporanee che avrebbero lasciato posto al nero inchiostro. Per continuare il lavoro che stava facendo.
Sentii il ronzio della macchinetta e poi l'ago si conficcò dentro la mia pelle ed uscì con la stessa velocità. Il dolore sulla vertebra mi fece digrignare i denti ma strinsi forte la sigaretta che avevo tra le dita e mi misi a fumare.
«Più forte», borbottai.
«Caleb...» mi ammonì Rob fermandosi.
«Più forte cazzo!» rimarcai.
Il dolore era l'unica cosa che volevo sentire. La mia schiena conosceva molto bene quella sensazione e a me sembrò di stare per annegare se non ne ricevevo di più intenso.
«Caleb, amico, così non va. Ti avevo detto che non avrei esercitato forza nel lavoro che svolgo con tanta passione.»
«Ti prego Rob. Voglio sentire...»
Il mio amico fece un lunghissimo respiro borbottando un insulto a fior di labbra e si mise di fronte a me scrutandomi a lungo prima di mettersi a ridere.
Il mio cuore prese a battere forte nel petto.
Ci siamo.
«Ti ricordi Caleb?» mi domandò facendosi beffe di me. «Sei sempre stato un povero illuso. Un bambino incorreggibile sempre in cerca di attenzioni dal papino o dalla mammina. Eppure non hai nessuno dei due, ti hanno lasciato solo. E sai perché?»
I miei polmoni non ricevettero aria, iniziai ad avere una pallina in gola, la sensazione del vomito mi risalì prepotente alla bocca dello stomaco, il cuore prese a battere convulso, sentii il sangue correre caotico nelle mie vene. Strinsi le mani a pugno con forza digrignando i denti fino a farmi male la mandibola.
«Oh povero, ti mancano le notti trascorse quando eri piccolo? Ti ricordi Caleb?» continuò a portarmi sull'orlo di una crisi di panico.
«Nessuno ti vuole Caleb. A nessuno frega un cazzo di te perché sei spazzatura, ecco cosa sei. Ora sdraiati sulla poltrona e lasciami lavorare perché ho intenzione di farti male Caleb. Tanto male.» Rincarò la dose sorridendo e mostrando i suoi denti perlacei.
«Alla gente piace farti del male Caleb, e sai per quale motivo? Perché sei un cazzo di fannullone, sei niente. Quelle cica...»
«Basta!» Tuonai fuori di me con lo sguardo vacuo.
Ci riuscì, mi fece male, mi devastò, mi distrusse.
Annuì tornando serio e sospirò come se avesse trattenuto l'aria nei polmoni a lungo. Si avvicinò per catturare i miei occhi e mi fece un cenno con la testa per capire se stavo bene.
Deglutii e annuii per rassicurarlo.
Rob mi conosceva bene, era stato la mia spalla nel momento del bisogno, era stato l'unico a prendersi cura di me, eppure non avevamo niente in comune.
«Se chi ti ha messo al mondo non è stato capace di saper fare il...» iniziò a dire per lenire la mia sofferenza, ma io non avevo bisogno di parole adesso.
Volevo solo coprire lo schifo che ero.
«Rimettiti al lavoro Rob» Lo fermai.
Annuì di nuovo tornando nella sua postazione.
🐺
Uscii dallo studio quando ormai erano le sei del pomeriggio, avevo ricevuto molti messaggi e parecchie telefonate dai ragazzi, ma non gli avevo risposto. Mi avviai verso la scuola, volevo allenarmi, avevo bisogno di sfinire gli arti nella speranza di chiudere gli occhi di notte.
Inviai un messaggio nel gruppo dei lupi informandogli che sarei andato a fare un paio di canestri in palestra e di raggiungermi.
Osservai le nuvole nel cielo che preannunciavano un'imminente rovescio e presi un lungo respiro stringendo il volante.
Lei e la sua paura per i tuoni fece breccia nella mia corteccia. Il modo in cui l'avevo stretta tra le mie braccia ieri sera mi fece deglutire, il suo sapore si insinuò nella mia testa con prepotenza.
Era così...
«Oh piantala Caleb!» urlai a me stesso. «Basta Caleb! Devi smetterla di dare importanza a quella rossa. Porca puttana!»
Fermai la macchina stridendo i pneumatici sull'asfalto e scesi sbattendo con rabbia la portiera. Gli ululati di Eliot e Lenny mi giunsero all'orecchio, mi appoggiai alla portiera e presi una sigaretta dal pacchetto portandola subito alla bocca.
«Wolf, dove cazzo eri finito?» Mi si rivolse Dean. Aveva la camicia sbottonata, sicuramente aveva appena fatto sesso.
Alzai le spalle e scrollai il capo. «Sono stato da Rob a continuare con il tatuaggio»
«Facci vedere» disse Lenny.
«Dopo» gli dissi buttando la cicca a terra.
Ci avviamo tutti e quattro verso la palestra. Sapevo che era aperta ancora, perché le ragazze stavano provando le nuove coreografie. Infatti quando superammo le porte dello spogliatoio dopo esserci cambiati trovammo tutte intente a ballare sulle note di I feel like I'm drowing.
Magdalein Smith, una mora dal fisico asciutto e gli occhi marroni stava facendo una spaccata davanti al gruppo che era in posa dietro di lei, invece Penelope si trovava per aria retta dalle altre due ragazze, Rebecca Hale una bionda dagli occhi azzurri e un'altra ragazza che si chiamava Stefany Gords, era una tipetta molto punk, ma altrettanto bella con i suoi capelli neri e gli occhi verdi.
Eliot fischiò appena le vide mentre Lenny fece un gesto di apprezzamento toccandosi i coglioni.
Che stupido che era, sua sorella era lì e lui si comportava come un coglione.
Osservai Dean fissare Stefany Gords con le narici frementi e gli occhi ridotti a due fessure. La ragazza abbassò lo sguardo come se si fosse risentita dalla durezza dei tratti di Dean e dopo la fine della canzone se ne andò di soppiatto.
«Stasera festa a casa tua Caleb?» domandò Meg avvicinandosi con una borraccia in mano, allungai la mano e glielo afferrai per portarmelo alla bocca. Avevo sete.
«Non c'è di che eh» mi rimproverò
«Stasera non sono in vena.» risposi.
Alzò le spalle e dopo averle restituito la borraccia si allontanò facendo il medio a Eliot il quale la guardo sotto le ciglia con un sorriso da squalo che non coinvolgeva gli occhi.
Dopo che le ragazze se ne andarono iniziammo a palleggiare facendo canestro uno dietro l'altro per poi ripassarcela. Sapevamo che il campionato sarebbe iniziato a breve e dovevamo metterci in riga, domani avevamo il primo allenamento come si deve e il coach avrebbe preteso il massimo da tutti noi.
Cercai di liberare la mente da tutto ciò che mi corrodeva dentro. Ci riuscivo solo giocando e maltrattando gli altri. Era un meccanismo di difesa subdolo il mio, ma chi si aspettava che facessi diversamente? Avevo messo in chiaro le cose da anni ormai, io prendevo, io restituivo.
La mia infanzia non fu delle migliori, non fu nemmeno una vera infanzia in realtà, sono cresciuto troppo in fretta e molto male, ma anche di questo a chi importava?
A nessuno ecco a chi.
Grondai di sudore, nonostante non dovessi bagnare la schiena per via del tatuaggio, non potei fare a meno di saltare e di correre con la palla in mano, era l'unica cosa in quel momento a darmi una parvenza di tranquillità.
Il cuore non mi batteva più convulso, le tempie non mi scoppiavano, la rabbia era svanita.
Ci allenammo per due ore e una volta sfiniti ci sedemmo tutti e quattro a terra con il fiato corto. Lenny si sdraiò e osservò il soffitto prima che disse: «Mi sono informato. Domani la preda ha ginnastica durante il nostro allenamento.»
Tutti rivolgemmo lo sguardo nella sua direzione.
Strinsi forte la mascella ricordando il sapore della sua pelle del cazzo.
«Che cosa hai in mente?» domandò Eliot.
Io e Dean restammo in silenzio per udire il suo piano.
«Ne ho in mente parecchi, ma per domani potrebbero andare bene, pomodoro, corda e nastro adesivo.» ridacchio.
Deglutii dopo aver capito che cosa intendesse fare e rimasi in silenzio.
Forse quello sarebbe stato un'esagerazione.
«Sinceramente non mi sembra una buona idea. Potrebbe denunciarci, è meglio non tirare troppo la corda» disse Dean rivolto a Lenny.
«È la preda o no?» si rivolse a me Eliot.
I suoi occhi neri mi trafissero e strinsi forte la mandibola conficcando le unghie nel pallone che avevo in mezzo alle gambe.
Mi autoconvinsi che quella strega ninfa dagli occhi viola se lo meritava e annuii. «Lo è.» sentenziai.
«Non è che ti vuoi tirare indietro vero?» domandò di nuovo Eliot.
Ebbi un rimbombo nel petto, lava liquida mi scese nelle vene, la sua domanda mi spiazzò.
Volevo fermarmi?
No, certo che no.
«Per quale motivo dovrei aver cambiato idea, sentiamo?» gli chiesi con gli occhi a due fessure.
Eliot sorrise, ma non fu un sorriso gentile, fu derisorio e diceva tanto. Intendeva che quella ragazza mi aveva fottuto e mi fece incazzare come una iena.
«Cosa cazzo stai insinuando Eliot?» domandai a denti stretti. Avevo un fremito nella mandibola.
Lui scrollo le spalle ridendo con un verso di petto riversando la testa all'indietro. «Niente amico. Stai calmo.»
Conoscevo il mio amico, quando li frullava qualcosa in testa guardava con insistenza e a me quello sguardo non sfuggii affatto.
«Allora non dovevi guardarmi in quel modo, amico.» enfatizzai sulla parola amico.
Sospirò e si alzò con un balzo guardandosi le mani. «Penso che ti piaccia» concluse.
Aprii la bocca per un attimo sconvolto, poi mi destai e mi sbellicai dalle risate.
«Oh, ma hai ragione. Certo che mi piace, voglio scoparla» deviai la conversazione.
Anche gli altri si alzarono nello stesso momento che lo feci io andando in contro a muso lungo a Eliot. Ci misurammo con lo sguardo, eravamo della stessa altezza noi due, nonostante io avessi qualche massa in più di lui.
Il mio amico respirò dal naso dicendo: «Non intendo solo scoparla. Intendo proprio che ti piace, forse ti faresti accarezzare da lei. Carezze languide nei punti dove ti fa più male»
Non risposi più delle mie azioni. Il sangue mi prese fuoco, una vena sul collo e una sulla fronte mi si gonfiarono e le sentii pulsare, il respiro diventò denso ed io diedi un pugno con tutte le forze che avevo sulla mascella di Eliot.
Cadde a terra sorpreso, in realtà un po' se lo doveva aspettare, poiché aveva toccato un nervo scoperto con le sue parole.
Sputò sangue e rise sospirando subito dopo. Dean e Lenny si misero tra di noi.
«Caleb ma che cazzo!» esclamo Dean incredulo.
«Non osare mai più Eliot» lo minacciai con il respiro ansante, il mio torace si alzava e si abbassava velocemente.
Eliot mi guardò senza dire niente, strinse i denti e si allontanò nella direzione degli spogliatoi.
Cercai di calmarmi calciando la palla con un piede che finì per rimbalzare sul muro producendo un rumore di fondo. Presi la maglietta che era a terra e mi diressi spedito verso la macchina.
«Prepara tutto Lenny, facciamogliela pagare a quella troia dai capelli rossi» gli dissi e me ne andai con un pensiero fisso in testa.
Non avrei mai avuto pace neanche per dieci dannatissimi secondi.
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