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Caleb

Capitolo 3

Le persone tristi si riconoscono. Sono quelle che per un attimo parlano, straparlano, dicono cazzate infinite; poi l'attimo dopo le vedi fissare il vuoto, in silenzio, lo sguardo perso, la mente chissà dove●

Cinque anni prima

«Che ti prende?» mi domandò Dean appena mi sedetti sulla poltrona.

Avevo ancora il fiato corto per quello che era successo poco fa. Quella ragazza dagli occhi viola, mi aveva devastato.
Era da tempo che l'avevo notata dietro al bancone durante l'estate, o perlomeno quelle poche volte che ci sono stato in questa città di merda.

Aveva un corpo da urlo. Le sue tette erano da leccare tutta la notte e il suo culo grosso, da mordere e da sculacciare ogni secondo.

Non avevo mai fatto caso ai suoi occhi viola. Ogni volta che mi presentavo in questo bar lei spariva come per magia e ogni volta che me ne andavo puntualmente tornava.

Questa sera quando era venuta al nostro tavolo a portarci da bere l'avevo vista per la prima volta come si doveva vedere una come lei.

Con bramosia.

Da vicino era ancora più bella se possibile. Indossava quella canotta che le copriva le tette e lasciava scoperto tutto il suo fisico da sballo, ed ebbi la voglia di alzarmi dalla poltrona e stringerle nel palmo della mia mano. Avrei voluto succhiare i capezzoli con l'intera aureola.

Ebbi uno spasmo al cazzo, che si gonfiò. Il suo profumo strano mi devastò i sensi, mi rapii all'istante e non volevo nient'altro che scoparla.

Non mi frega che non ha ancora compiuto diciott'anni, io le sfonderò quel bellissimo culo sodo mentre le lecco le tette.

Questo era una promessa.

Soprattutto dopo avermi detto che non sarebbe mai venuta a letto con me.

«Lenny. Riesci a scorpire chi è la cameriera?»

Il mio amico che aveva infilato la lingua in bocca a una delle cheerleader di turno, si staccò dalla ragazza e annuì riprendendo l'azione di prima. Agguantò le cosce di Agatha e se la mise sul cazzo.

Eliot, seduto accanto alla mia destra si accese una sigaretta passandomela subito dopo.

«Che c'è?» mi domandò.
Sia Dean che Lenny mi osservarono a lungo.

«Voglio giocare con lei», asserì.

Penny, la leader delle cheerleader si alzò con un sbalzo e mi guardò con gli occhi sgranati.

«Giochi con lei?» domandò tra l'incertezza e l'eccitazione.

A tutti piaceva il mio gioco. A tutti, tranne a lei a quanto parve.

Penny si soffermò con lo sguardo oltre le mie spalle. «Sta correndo. Ma dove l'ho già vista?» si domandò tra sé.

Non mi voltai, ma un sorriso di scherno mi si stampò in faccia.

Se quella ragazza non aveva intenzione di piegarsi tanto meglio, mi sono sempre piacciute le insubordinate.

La mia vena sadica la adorò.

Non mi piacque però il suo primo pianto. Quel tipo di paura viscerale, non la tolleravo in una donna.

Adoravo incutere timore, lo facevo ogni giorno, ma lei mi suscitò tenerezza e inadeguatezza.

«Non ti scervellare Pen. Domani Lenny scoprirà tutto» gli disse Dean bevendo subito dopo.

«Ma l'ho gia vista da qualche parte, fatemi pensare. Ha i capelli rossi con i riccioli... rossi e riccioli...» Si picchiettò il mento in sovrapensiero.

E profuma di canella, pensai ricordando il momento quando le ho liberato quella nube setosa arancione.

«Oddio!» esclamò lei battendo le mani. «Oddio! È la stramba dell'anno scorso sulle scale!» esclamò sconvolta.

Tutti la guardammo per saperne di più.

«L'anno scorso, c'è stato l'ultima grandinata e Mess le ha fatto lo sgambetto sulle scale. È una stramba che si mette sempre quei maglioni orribili con il collo alto. Si veste da pezzente e sta sempre alla larga da tutti noi. Ma non la conoscete? Sì certo, ovvio. Come si chiama, ha un nome strano...»

Sapere il suo nome, diventò impellente. Volevo sapere chi cazzo era più di quanto volessi fumarmi una canna tra dieci minuti.

Sentii ancora il profumo di canella otturarmi le narici al pensiero di lei.

«Lilla!» esclamò Pen. «Si chiama Lilla Baker, ed è del secondo anno»

Unì di nuovo le mani in segno di vittoria e aggrottò la fronte. «Però... per essere una stramba che si veste a quel modo a scuola, ha un bel corpo.» Bofonchiò a voce bassa.

«Lilla» Soffia dalle labbra prendendo un'altra boccata di nicotina. «Lilla»

«Domani Lilla sara la protagonista del gioco» Conclusi soghiggnando.

Presi una lunga boccata dalla sigaretta e sofiai il fumo in alto.

"Lilla" pensai. Sapevo parlare diverse lingue, quindi capii che voleva dire "viola" in Italiano, come i suoi occhi.

Deglutii a vuoto pensando che era bellissima e vulnerabile tra le mie braccia e il suo nome era fuori dal comune e i suoi capelli erano belli e lei ha un culo che avrei voluto rompere e labbra meravigliose che forse avranno proprio il sapore del viola che avrei voluto strette attorno al mio cazzo gonfio in questo preciso momento.

🐺

Mi ero alzato dalle poltrone e avevo detto a tutti di prepare il neccessario per il gioco di domani prima di andare via. C'era una seconda uscita per la discoteca, ma io ero sicuro che la porta che portava al piano superiore del bar sarebbe stato aperta.

La proprietaria, una giovane donna che fingeva di essere burbera, sicuramente si trovava ancora nel suo ufficio a dormire forse. Ma sapevo di dover fare un tentativo per vederla. L'avevo cercata prima di andare con descrizione di sotto, ma non l'avevo più trovata.

Spalancai la porta e restai sulla soglia zitto guizzando lo sguardo ovunque finché non vidi la luce flebile dell'ufficio di Shannon Baker accesa. Assotigliai lo sguardo e vidi due figure. La prima era seduta sulla sua scrivania e aveva in capelli corti, la seconda invece, era lei.

Restai nascosto in penombra e ascoltai il loro discorso troppo avido di sapere di più su di lei.

Come cazzo era possibile che non l'avevo mai notata a scuola?

Insomma, né il suo corpo né i suoi occhi potevano passare inosservati. Come cazzo faceva a nascondersi?

«Zia, vado a piedi non ti preoccupare. Domani ho solo due ore di lezione. Dista poco più di qualche miglia la casa e io arriverò in men che non si dica.»

La sua voce mi otturò i timpani e mi fece scivolare lava liquida nel petto.

Porca troia, quella ragazza, minorenne per giunta, mi aveva stregato. E quale fosse il motivo, io ne ero all'oscuro. Sapevo solo di volerla avere e giocare subito dopo.

Oh sì, avremmo giocato eccome.

«Lili, sei sicura? Fuori sta iniziando a piovere e tu hai paura dei tuoni. Che cosa ti prende piccola, perché hai questa impellente voglia di andare a casa? Potresti riposarti sul divano tesoro.»

«No zia, veramente avrei tanto il bisogno di un bagno. Mi sento sporca. Lo so che ha iniziato a piovere ma correrò.» Confessò.

Strinsi la mandibola, voleva togliere le mie mani di dosso. Questo mi generò una rabbia che avrei adorato in altre circostanze ma che adesso era fuori luogo.

Mi piaceva conoscere le mie prede, mi piaceva la sensazione di paura che riuscivo a incutere in loro, questo mi eccitava, ma il modo in cui quella violetta parlò mi fece arrabbiare.

«Va bene tesoro, fai come preferisci. Mettiti il cappotto e stai attenta. Chiamami quando raggiungi casa.»

Mi affrettai ad uscire fuori dalla porta e mi diressi verso la mia Bugati w16 Mistral parcheggiata di fronte. Aspettai che uscisse e si allontanasse quanto basta per permettermi di seguirla e accesi il motore.

Feci ruggire i cavalli un paio di volte che fecero scoppiettare le marmitte e partii in tutta velocità.

Arrivai a un bivio e mi fermai per vedere se la scorgevo da qualche parte. Infatti in lontananza notai la torcia di un telefono.

Si era allontanata parecchio, aveva corso sicuramente. Svoltai a destra e diedi gas alla macchina raggiungendola. La oltrepassai e sterzai il volante per sbarrare la stadra. Catturai i suoi occhi violetti spauriti e intensi e sorrisi divertito.

La rossa iniziò a correre nella direzione opposta in tutta velocità. Misi in moto la macchina e feci retromarcia per raggiungerla. Una volta raggiunta le sbarrati di nuovo la strada.

«Tu sei pazzo!» esclamò in collera.

Feci un lungo respiro e abbassai il finestrino.

«Sali ti accompagno» Le ordinai aspro.

Lei mi guardo con la bocca aperta, come se fossi un cazzo di alieno.

«Stai scherzando, spero.»

«No! Sali.» Mi ripetei.

Chiuse le palpebre per diverse volte prima di girarsi e andare verso la direzione di prima. Sganciai la cintura e scesi dalla macchina sibiliando un imprecazione.

La raggiunsi in due passi e la agguantai per il braccio. Lei cercò di ribellarsi scalciando ma la tenni ferma usando entrambe le braccia per immobilizzarla.

«Quando io dico che devi salire, tu ci sali. Perché è un ordine, e i miei ordini solo legge.» La minacciai freddo a un soffio dalle sue bellissime labbra tremanti.

«Ma che cosa vuoi da me?» Sbottò perplessa. «Io che cosa ti ho fatto? Non ti conosco nemmeno!» esclamò esasperata sull'orlo di un pianto. Il suo mento tremò appena.

«Te l'ho detto che cosa voglio. Voglio scoparti perché i tuoi occhi mi hanno stregato. Ma adesso voglio solo accompagnarti a casa e annusare il tuo profumo di canella.»

I suoi occhi violetti mi guardano come se fossi un extraterrestre. Forse non si era mai sentita dire così esplicitamente da un ragazzo di essere bramata fisicamente, ma io non ero mai stato uno che usava dei sotterfugi per quanto riguardava il sesso. A me piaceva dire le cose come stavano.

«Io non voglio fare sesso con te!» esclamò esasperata.

«Vuoi non vuoi lo farai. E io ti farò godere.»

Lei si allontanò appena aprendo la bocca e chiudendola diverse volte. Sembrava perplessa. «Ma che cazzo...»

«Vieni ti accompagno a casa. Mi piacerebbe davvero annusarti di nuovo»

La sua risata di nervosismo mi inviò scariche elettriche dritto al cazzo che ebbe uno spasmo.

«Che cosa sei, un cane da tartufi?» domandò incredula.

Risi appena prima di tornare serio.

«Si protrebbe trovare un'altro accordo? Se ti trovassi una ragazza? O un ragazzo? O tutti e due? Mi lasceresti in pace? E sì, per tua informazione non ho ancora diciott'anni!» continuò a urlare contro.

«Io non voglio nessun'altro. Voglio te. Voglio prenderti da dietro perché mi piace il tuo culo.»

Forse questo non dovevi dirlo Caleb.

La vidi colorarsi in volto segno che l'avevo messa in imbarazzo e questo mi generò un'altra scarica elettrica che però mi percosse la spina dorsale.

«Okay, io chiamo la polizia. Questo gioco perverso che stai facendo con me non mi piace affatto.»

«Chiama chi vuoi.» Le dissi avvicinandomi a lei.

Si allontanò subito di riflesso.

«Non voglio farlo con te okay? Nemmeno tra un milione di anni, nemmeno se fossi l'unico genere maschile rimasto sulla faccia della terra. Non mi piacciono i ragazzi come te. Che fanno del male agli altri senza un apparente motivo.» Mi accusò.

«Quindi mi stai dicendo che non verrai mai e poi mai a letto con me? Lo sai che questa è una cazzo di sfida vero? Te l'ho già detto. Più dirai di no, più io mi ostinerò. E fidati, ti farò crollare come un castello di carta prima o poi.»

La vidi deglutire. Era in soggezione e la sua figura tanto fragile quanto spaventata mi eccitò oltremodo.

Le goccie di pioggia iniziarono a cadere a fiotti bagnando i suoi bellissimi capelli rossi. Da lì a poco stavamo grondando entrambi e i suoi occhi si mossero per passarmi in rassegna. Era piccola almeno poco più della metà di me ed era bagnata. In più aveva quello sguardo sognate nelle pupille che mi fece impazzire.

Mi sfuggì un ringhio dalla gola con la bocca chiusa nel vedere il suo sguardo erotico. Gli piacevo nonostante li facessi una paura tremenda e si vedeva.

«Hai intenzione di rompermi un braccio?» mi domandò con la voce tremante.

Sbattei le palpebre un paio di volte e deglutii.

Allora mi aveva visto l'anno scorso quando avevo maltrattato quel ragazzo.

«No!» risposi fermo.

«Lasciami in pace ti prego» Soffiò esausta dalle labbra soffici.

«Andiamo ti porto a casa, si sta mettendo male.»

Osservai la pioggia fitta che si stava riversando tutto attorno al paesaggio.

Era buio e nonostante si vedessero in lontananza le luci della zona abitata, questa strada non aveva lampioni. L'unica luce erano i fari della mia macchina che illuminavano le nostre figure come ombre sulla tela di un pittore.

«Non voglio andare a casa con te. Tu sei...» Si passo le mani in volto e si ripulì l'acqua che le stava lambendo il viso.

«Sta per tuonare.» La informai vedendo un lampo di luce dietro di lei. Sgranò gli occhi e si strinse nel suo capotto viola restando immobile.

Infatti un lampo illuminò ancora il cielo notturno seguito subito dopo da un frastuono che sconquassò il cielo.

La violetta balzo liberando un urlo di terrore dalla gola e si coprì la testa come a proteggersi. Capii che stava piangendo perché i suoi occhi violetti si velarono di lacrime rendendoli estremamente unici. Aveva le pupille dilatate che scintillarono come a sottolineare l'unicità del loro colore.

In altre circostanze, mi sarei eccitato e mi sarei fatto una risata divertita alla vista di quella paura, sicuramente avrei torturato la persona per ore, sapendo il suo punto debole, ma in questo caso, sentii un languore di infinita tristezza aggrapparmi il petto.

Mi mossi velocemente e la intrapolai nel mio corpo. Lei seppellì il volto sul mio torace portando le mani alle orecchie e singhiozzò convulsamente in silenzio.

Sembrava terrorizzata.

La strinsi a me, come non avevo mai fatto con nessun'altro al mondo e carezzai i suoi capelli rassicurandola che era tutto passato.

Un'altro tuono mi spacco i timpani, ma non mi curai.

«Non è successo niente, è passato. Tranquilla, ci sono io... ci sono io.» Cercai di rassicurarla, ma lei continuava a battere i denti in preda ai tremori.

Rimanemmo lì, in piedi, io a stringerla tra le mie braccia e lei tremando di paura. Quando il tuono cessò la allontanai dal mio corpo e alzai il suo mento appoggiando l'intera mano sul suo volto impaurito.

«Ti accompagno a casa. Solo questo.»

La mia voce fu un sussurro appena udibile perché non sapevo di aver trattenuto così a lungo il respiro nella mia vita, come in quel momento.

«G-giuralo.» Sussurrò con voce rotta.

Deglutii con la sensazione più strana che avessi mai provato e dissi: «Giuro»

Una volta in macchina la vidi tremare di freddo, aveva le mani raccolte nel grembo, la bocca leggermente aperta e lo sguardo rigido rivolto alla strada. Capii che non si fidava, non si sarebbe mai fidata di me e per un certo verso la ammirai. Non aveva più nessuna traccia della ragazza indifesa di poco fa e mi meraviglia anche di questo fatto.

«Togliti il cappotto, altrimenti ti ammali.» Le dissi scrutandola.

Mi rivolse uno sguardo con le narici frementi. «Oppure vuoi semplicemente guardarmi le tette.»

Sorrisi con l'angolo della bocca un po' eccitato. «Anche.»

«Pervertito.» Sibilo a denti stretti.

Strinsi forte la mascella risentito e arrabbiato per ciò che mi aveva detto, ma in fin dei conti non aveva tutti i torti.

«Non è perverso prendere ciò che si vuole» Risposi guardandola negli occhi.

«Sì che lo è se ciò che vuoi non ti viene concesso.» Rispose tagliente.

Assotigliai lo sguardo ridendo appena.
«Tu pensi davvero che avrai la forza di volontà per respingermi? Se è così violetta, non vedo l'ora di scoprirlo»

«Non mi chiamo violetta» Disse a denti stretti.

«Finché non mi dirai come ti chiami io ti chiamerò come mi pare e piace» La provocai.

«Non tutte le donne sognano di venire a letto con te Caleb War, non io almeno, io ti odio!» esclamò perentoria.

Sorrisi pronto per l'azione, avrei tanto voluto assaggiare le sue soffici labbra setose. Adorai tutto di lei. Mi piaceva veramente tanto.

«Anzitutto tu non sei una donna ma una ragazzina con il corpo di una donna. Poi, scusa, ma che male c'è scopare il capitano della Little Falls? Sono bello, sono ricco, sono prestante, so scopare come si deve.» Le dissi quest'ultima frase abbassando appena il timbro della voce.

La vidi deglutire in soggezzione di nuovo e le sue gote diventarono rosse d'imbarazzo.

«Ci sarà pure un modo per sfuggirti» Sibilo a denti stretti.

«Solo una, ma sono più che certo che tu non voglia realmente prendere in considerazione quest'opzione»

Sospirai gonfiando il petto e respirai il suo profumo di canella.

Dio mi dava alla testa.

I suoi occhi violetti catturarono il mio profilo e aprì la bocca diverse volte prima di dire: «E quale sarebbe l'eccezione?»

Mi eccitai in una maniera che mi devastò le membra quando vidi l'espressione della speranza nel suo volto. Aveva i capelli umidi attaccati alle guance, le labbra frementi, le pupille dilatate il naso piccolo all'insù alla francese era appena appena rosso.

«Lascia che ti spieghi due cose.»

Accostai la macchina sul ciglio della strada, lo misi in folle e tolsi il piede dell'acceleratore.

«La prima è che io non faccio eccezioni, non m'importa quanto tu sia restia o a quanto tu ti sbatta per trovare un modo per sfuggirmi. La caccia per me è estremamente eccitante e non demordo facilmente, come già sai suppongo. La seconda invece è più semplice, te lo dico subito, se ti scopo, domani non ti guarderò più e puoi dire addio alla caccia. Confesso che mi piacerebbe da matti cacciarti, ma se preferisci toglierti questo peso da subito, sali sulle mie ginocchia a fatti carezzare le tette.»

La violetta mi guardò austera, aveva una espressione greve nel volto e le sue pupille si strinsero felini, arriciò le labbra e aveva il respiro pesante.

Un comportamento tipico di chi si sentiva preda.

«Q-qual era l'eccezione?» domandò torcendosi le mani.

Sogghignai curioso. «La tortura»

La rossa sospirò rasegnata prima di aggrappare quegli occhi che mi tormetarono ai miei.
«Bullizzarmi intendi... Beh, allora preferisco essere torturata che toccata da te.»

Fui percosso dallo stupore, le sue parole mi avevano rapito e mi avevano appagato perché voleva dire che accettava la caccia. Adorai le sensazioni di soggezzione che le incutevo e abbozzai un sorriso che mostrò tutto ciò che mi passava per la testa.

Eccitazione.

Rabbia.

Sfida.

Incredulità.

Impazienza.

«Molto bene.»

Aprì la portiera della macchina con uno scatto e balzò fuori velocemente. Essendo che sapevo dovevo abitava Shannon, sua zia, fu scontato chiederle dove abitava. Entrò nel portico e armeggiò con la chiave. Non mi guardò, ma se l'avesse fatto avrebbe visto ancora il mio sorriso di soddisfazione.

Perché di una cosa ero certo, sapevo a chi apparteneva la Dalia Nera quest'ultimo anno e ne fui inebriato pregustando la vittoria.

♤~♤~♤

Caleb War/Black Wolf/ Dalia Nera

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