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Capitolo secondo: Oxford, il passato, il prologo

Per quanto Henrik ed Areli pensassero che il vero inizio della loro storia fosse stato durante quella mitica settimana a Barcellona, io penso che le vere radici di ogni cosa siano nate nel pretenzioso campus universitario di Oxford, nel cuore degli anni sessanta.

Areli al tempo era una delle persone più popolari della scuola, con le sue labbra di fuoco e gli occhi che catturavano uomini come farfalle nella rete delicata delle sue dita affusolate. Alle volte, se li trovava abbastanza degni di nota, gli concedeva di avvicinarsi abbastanza da baciarla e farle compagnia per qualche notte, ma nessuno era ancora riuscito ad estrapolarle qualcosa di più del suo nome e del suo amore per le torte alla panna. Finivano tutti scaricati prima, per poi essere rimpiazzati da un altro bellimbusto identico, fatto prigioniero durante una festa esattamente come il precedente e con la stessa presunzione di poterla stringere tra le braccia per più di qualche ora. Non era una maestra seduttrice nel vero senso del termine, non le importava abbastanza di quegli idioti per cercare di piacergli sul serio. Approfittava delle circostanze di solito, sbattendo solo un po' più le ciglia e sopportando le loro parlate pompose più a lungo delle altre ragazze, sorridendo come una bambolina alle loro spiegazioni vuote. Generalmente erano abbastanza vanesi da credere di piacerle per questo.
Rampolla di due noti, e rinomati, commercianti d'arte, rendeva onore al suo lignaggio studiando nell'indirizzo di storia dell'arte, avendo pure l'audacia di essere brava, bazzicando spesso anche nel corso di belle arti; faceva la modella lì di tanto in tanto, bella come chi sa di essere bello. Era un vero peccato che nessuno avesse mai avuto l'occasione di tratteggiarla nei suoi momenti di massimo splendore, stravaccata senza grazia sulle poltroncine della biblioteca a tarda notte, un bicchiere di cocacola tra le dita ed un libro di Sartre nell'altra mano, piccola come una dea sul suo trono. Sgattaiolava lì spesso, quando voleva stare sola.

Henrik, d'altro canto, era anche lui un giovanotto di bell'aspetto, ma non era certo popolare come Areli, anzi, tutto il contrario: lo detestavano tutti. Non che lui avesse fatto molto per impedirlo, considerando che non aveva certo tenuto nascosto il suo carattere arrogante, competitivo ed ambizioso, tratti non certo piacevoli a qualsiasi persona un minimo interessata a non sentirsi un'inetta in una conversazione. Era il migliore del suo corso di laurea, economia e finanza, che detestava in modo viscerale, ma che sfortunatamente non poteva abbandonare, lasciandolo con nessuna altra opzione che sfogare la frustrazione nello studio e bearsi se non altro di sentire il suo nome pronunciato con leggero terrore agli esami dai suoi coetanei e con fiera soddisfazione dai suoi professori. Li odiava dal primo all'ultimo.
Straordinario giocatore di poker, partecipava alle feste solo dopo aver saputo se qualcuno che gli interessava spennare sarebbe stato presente, passando il resto della serata con un bicchiere di champagne nemmeno sfiorato in mano e la testa immersa nel libro che aveva abbandonato sul comodino, i soldi al sicuro nel suo portafogli sepolto nella tasca interna della sua giacca in tweed. Alle volte si portava il suo preferito dietro, così da poterlo seguire agevolmente senza essere distratto dal rumore delle risate e della musica elettrica della festa, eclissandosi sino al mattino successivo, leggendo alla luce della luna o di una pila. Il cielo inglese generalmente non era così caritatevole da essere terso, quindi di solito erano le nuvole a guardare a quello strano reietto arrampicato sul tetto dei dormitori o accucciato sopra una madia, assorto nella sua ennesima rilettura di Cirano de Bergerac con una luce poco più forte di quella di una lucciola, la schiena spezzata in due e le braccia pesanti. Era l'unico momento in cui non si sentiva solo.

L'unica cosa che accomunava i due come in un bizzarro diagramma di Vern era il fatto che entrambi facessero parte del circolo di scacchi del campus, seppure nessuno dei due fosse un assiduo frequentatore del luogo, andandoci per ciondolarsi per qualche ora quando non avevano nulla da fare, non incontrandosi per la maggior parte del tempo.
Nessuno dei due giocava, quando ci andavano. Areli era patita di problemi, situazioni assurde che generalmente nelle partite vere non si incontravano mai. Le piaceva quella frizzante sensazione che le invadeva le piante dei piedi quando li risolveva prima di tutti. Le piacevano meno gli sguardi increduli degli altri, come se fossero stupiti che fosse capace di essere brillante in un campo che non riguardava il mestiere dei suoi genitori.
Henrik invece guardava e basta. Non parlava, non accennava nemmeno espressioni. Si limitava a fissare i suoi coetanei pieni di illusioni, in piedi, che giocavano in una saletta che sapeva di benessere come se fossero stati i campioni del mondo. Alcuni competevano, ma solo osservandoli capiva che nessuno di loro ne aveva la stoffa. Consumava le partite con gli occhi tristi di nostalgia di qualcosa che non riusciva più ad afferrare.

La prima volta che i due parlarono fu in seguito ad un avvenimento proprio al circolo, che vide coinvolto, straordinariamente, Henrik. Fu la prima volta che Areli effettivamente lo notò, districandosi dal suo bozzolo di ammiratori ed amiche, concentrando per la prima volta la sua attenzione su quel bel ragazzo dai capelli neri e leggeri come fumo che prima di allora non aveva mai sentito parlare.

Uno dei suoi "amici" aveva fatto un poco lo sborone quel giorno. Era più un conoscente che un amico, ma se avesse davvero iniziato a decidere chi era suo amico e chi no sarebbe rimasta con una vecchia foto stinta e un bicchiere di lacrime in mano.
Hugo si chiamava, e personalmente lo considerava un deficente. Era il tipo di arrogante che non ha nessun motivo per esserlo, avendo come unico campo in cui primeggiava quello della boria.
Quasi tutti i suoi circoletti erano così, ma quello degli scacchi era decisamente il peggiore. Non sapeva cosa ci fosse negli scacchi che risvegliasse i loro peggiori istinti da ricchi figli di papà, forse la reputazione di intelligenza granitica che fumeggiava intorno quel gioco. Lì dentro, anche il più stupido degli idioti si atteggiava da gran genio, riempendosi la bocca di parole che non conosceva, ma che suonavano altisonanti ed erudite ai loro cervelli minuscoli, sorridendo in modi che le facevano venire voglia di strappargli le labbra.
Non c'era un solo giocatore talentuoso lì dentro, tranne lei forse. Non aveva mai giocato contro qualcuno che non fosse lei stessa per poterlo determinare.

- lo sapete che quello lì è russo?-

Aveva bisbigliato, piegandosi sul tavolino dove tutti stavano cercando di capire come il bianco potesse vincere in tre mosse in una scacchiera praticamente deserta. Il petto grosso e tronfio fece capitolare la regina nera in terra. Areli nemmeno lo guardò male, troppo concentrata, ascoltando i sussurri distrattamente, decisa a prendersi il vantaggio mentre gli altri si distraevano.

- quale?-

Disse una voce femminile, coprendosi subito la bocca con le mani, rendendosi conto di aver parlato un po' troppo forte. Colette. Era del primo anno, diciott'anni suonati e si comportava come una tredicenne. Non aveva ancora capito come fosse finita in quel gruppo di prossimi laureandi.

- quello lì che finge che non gli importi di niente, coi capelli neri e il cappotto in cammello sempre nero. Scommetto che pensa di essere meglio di tutti quanti qui dentro, per questo non gioca mai. Non parla nemmeno-

- se è russo lo è. Sono dei mostri quelli-

Areli inclinò il capo, sorridendo quando si rese conto di che poteva fare. Prese con eleganza i pezzi e li spostò, ignorata dalla discussione degli altri ed ignorandoli lei stessa.

- il bianco vince in tre mosse-

Borbottò, soddisfatta, appoggiando sulla scacchiera il re nero coricato su un fianco. Si sentiva la faccia compiaciuta. Sollevò lo sguardo, pronta a riassemblare i pezzi.

- ... russo poi?-

- si, ne sono sicuro. Kyle frequenta il suo corso e dice che ha un accento marcatissimo. Fa Kovach di cognome, andiamo, è talmente russo che ancora un po' e va in giro col colbacco-

Un paio risero, ma la maggioranza si limitò a squadrarlo nuovamente, cosa che diede ad Areli la scusa di capire di chi parlassero.
Non la colpì particolarmente nell'aspetto, aveva dei bei lineamenti ma nulla di più, era andata a letto con gente di gran lunga più affascinante, ma rimase incantata dai suoi capelli. Erano nero soffice. Leggeri come cenere.
Ebbe poco tempo per osservarli, visto che Hugo ebbe la bella di idea di innescare una delle sue peggiori bravate.

- secondo me dovrebbe sfidare Lenny-

Il più bravo del circolo, biondino, sedeva sul divanetto dirimpetto al suo e rise. Per un secondo pensò che credesse che l'amico stesse solo scherzando, ma non appena riaprì gli occhi si rese conto che era perfettamente cosciente della sua serietà. Voleva solo mettersi un po' in mostra e battere il russo dai capelli soffici. Doveva pensare che fosse molto onorevole batterlo nel suo gioco in cui, fra parentesi, non aveva il minimo talento che non fosse una capacità di prevedere le mosse dell'altro di una virgola sopra la media. Era sciatto, noioso, banale. L'uomo più insipido che avesse mai incontrato.
Gli altri erano troppo stupidi per fermarlo, e cominciarono ad incalzarlo prima con sussurri e pacche sulla spalla e poi a gran voce, richiamando l'attenzione del giovane. L'incoraggiamento era l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento, con gli occhi offuscati dal vino e dalla voglia di sentirsi grande.
Areli non proferì parola, ma si pentì del proprio silenzio non appena lo chiamò. Si faceva schifo ad abbassarsi al livello di quei bimbetti e non essere nemmeno capace di tenergli testa.

- Hey, tu sei Kovach giusto?-

Esclamò Hugo mentre si avvicinava a passo spedito, troppo cordiale perchè il suo interlocutore non capisse che stava cercando di tendergli un qualche tipo di trappola.
Annuì, scettico.

- bene, il mio amico Lenny Wedsmond voleva sfidarti. Lo vedi laggiù, a quel tavolino?-

Indicò verso di loro. Henrik non la guardò, concentrando la sua attenzione solo su quegli estranei troppo sorridenti per i suoi gusti. Scosse la testa in senso negativo, con le labbra serrate.

- oh andiamo, non mi merito nemmeno un "no" detto a voce dal grande scacchista russo? Ti credi davvero così tanto?-

Tronfio della sicurezza del suo gruppo Hugo aveva fatto quello che qualsiasi ragazzino immaturo fa quando si sente con le spalle coperte. Attacca, con un sorrisetto strafottente sul volto e la testa piena di nuvole ed idiozia. Le si gonfiò il viso di disgusto e la bocca di amarezza, realizzando solo in quell'istante quanto generalmente prendeva sottogamba i comportamenti viscidi del suo gruppo ed in particolare di quel tipo.
Si sentì viscida anche lei.

Henrik generalmente quando qualcuno lo offendeva pensava più che altro a come demolirlo con le parole, non aveva mai pensato nemmeno di prendere a schiaffi qualcuno.
Tuttavia, nel momento in cui quel disgustoso ragazzo inglese chiuse la bocca, lo vide.
Si vide, vivido come non era mai stato nemmeno nella realtà, scaricargli un montante proprio sotto la mascella con tutta la forza che aveva in corpo. Lo visualizzò cadere, stramazzando, in terra, mentre invano tentava a difendersi dalla sua collera. Uno, due, tre, quattro, dieci, venti, si figurò a colpirlo un'infintà di volte, sino ad avere le nocche piene di sangue e la sua faccia fusa col tappeto.

Si riprese, con la parola russo che ancora gli ballava nello stomaco, facendogli salire la nausea.
Russo. Persino il suono di quella parola suonava deviato nella sua testa, come il rumore che fanno le ossa quando si spezzano. Sinistro.
Odioso.

- sono ungherese, coglione-

Ci volle tutto l'autocontrollo del mondo per non urlare, ma effettivamente non serviva. L'intera sala ammutolì al suo tono crepitante d'ira. La musica di sottofondo proseguì in modo quasi stonato, raschiando sul giradischi.
Non capì perchè tutti stessero trattenendo il fiato. Gli faceva troppo schifo anche solo per toccarlo, se era quello che stavano aspettando.

- mi sembra un po'...-

Tentò di dire il giovane, guardando con nervosismo il gruppo alle sue spalle che lo aveva palesemente abbandonato, ma che dovette illudersi essere ancora dalla sua parte.

- mi è sembrato di essere stato anche troppo gentile con te-

Lo sovrastava solo di qualche centimetro, ma era sufficiente. Era abbastanza imponente da poterlo mettere in soggezione anche così, con le code del suo cappotto che quasi accarezzavano il pavimento, il tessuto nero che gli ricadeva addosso facendolo sembrare un'ombra troppo reale.

- ma d'altronde immagino che abbiano mandato avanti quello più stupido apposta-

Adocchiò il gruppetto di pidocchiosi ricconi in fondo alla sala, ben imbalsamati nella loro bambagia, che non avrebbero mosso un dito per difenderlo, coscienti che era meglio volare basso. Avevano ancora un buon istinto di conservazione, a quanto pareva. La cosa che lo stupì, tuttavia, fu che, sentendosi ferito nel suo ego, Hugo tirò fuori un coraggio che forse nemmeno lui pensava di possedere, probabilmente aiutato da quei bicchierini di vino che giacevano vuoti sul bracciolo della sua sedia.

- mi sembri un po' troppo spaventato da una partita per fare lo sborone, russo-
Stavolta Henrik non si arrabbiò. Gli occhi gli luccicarono d'odio freddo, immaginandosi di schiacciarlo come un insetto.

- giochiamo allora. Tu ed io. Punto duecento sterline-

Si vedeva che non era ricco come gli altri del suo gruppo. Era sciatto, con la barba fatta male perchè il rasoio che aveva faceva schifo, i pantaloni stirati da solo e non il lavanderia, la camicia con una minuscola macchia sul colletto, che normalmente gli sarebbe sfuggita se non avesse avuto i sensi amplificati dal sangue acido che gli mangiava le vene. Era vecchia di mesi.
Non poteva permettersi duecento sterline come se nulla fosse, ma era troppo su di giri per capire davvero che succedeva, le guance piacevolmente rosolate dall'alchool. Sicuramente, tuttavia, le aveva, forse anche di più, nel portafogli, per tentare di emulare quel benessere che aleggiava con leggerezza in quel maledetto posto.
Annuì infatti con lo stesso sorriso strafottente, prima di vederlo rovistare nella tasca e tirare fuori delle carte da poker ed entrare nel pallone. Non aveva specificato a cosa avrebbero giocato.
Il suo sorriso collassò in un ghigno, mostrando inutilmente i denti in una lotta già persa.

Com'era prevedibile lo distrusse, portandogli via cinquecento sterline in un colpo solo, sorridendo mentre si infilava i soldi nel portafogli.
Gli porse la mano a fine partita, esaltato da tutti quei respiri che lo fissavano, adulandolo della sua bravura e temendo la sua crudeltà, troppo insignificanti per entrare nel suo campo visivo, ma rilevanti per il suo corpo, che li percepiva uno per uno, nutrendosi famelicamente di quel miscuglio come se fosse stato un drink. L'attenzione, O Signore, la sua dipendenza da quella roba sarebbe stata la sua rovina, lo sapeva, ma non gli importava. Si sentiva Dio ogni volta che si ricordava quanto era maledettamente intelligente rispetto a tutti quegli altri pomposi ricconi, tronfi dei soldi e di nessun talento. Lui era il talento. Era così talentuoso che avrebbe potuto venderlo in bottiglia e gliene sarebbe rimasto comunque abbastanza, così gli dicevano da piccolo, la prima volta che lo avevano esposto a quella droga così pericolosa da cui nessuno aveva mai pensato di disintossicarlo, o almeno di avvisarlo. Ne era stato consumato in fretta.
Non era qualcosa che scavava le guancie o lo deteriorava fisicamente nel tempo, ma riusciva ad accorgersi dei momenti di astinenza con inquietante precisione ormai.
Nessuno sfortunatamente aveva mai pensato di scrivere le controindicazioni di essere un bambino prodigio.

Il ragazzo la allontanò con un gesto brusco della mano, quasi un grugnito senza suono, sporgendosi dall'altro lato del tavolino con la sconfitta che gli bruciava sul viso. Fu la cosa più bella di tutte.

- ora puoi chiedere al prossimo ungherese di stracciare il tuo amico a poker, sono certo che non vedrà l'ora-

Rovesciò la sua sedia mentre se ne tornava dal suo gruppo silenzioso con la coda tra le gambe, consapevole che lo stava ancora fissando.
Sussurrò qualcosa ad una ragazza dai capelli marroncini che prima non aveva notato. Li portava corti, la bocca rossa e turgida, il portamento sgraziato ma in qualche maniera voluttuoso, come una star del cinema degli anni trenta, stravaccata sulla poltrona come se l'intero mondo fosse stato ai suoi piedi. Considerando la folla che aveva intorno, probabilmente era vero. Non la fissò in faccia più su delle labbra, leggendovi sopra che non ci pensava nemmeno a fargli un prestito.
Sorrise mentre usciva senza salutare nessuno, trascinandosi via gli sguardi come il sacco di un profugo.

Il giorno dopo, mentre Henrik era impegnato a crogiolarsi nel raro Sole di Oxford leggendo un libro su una panchina, un lampo verde mela gli si fermò davanti di colpo.
Abbassò appena il libro, abbastanza per vedere le labra cremisi della ragazza dai capelli marroncini del circolo.
Ad osservarli bene erano particolari. Alcune ciocche erano di una tonalità più scura, quasi castana, nascoste in basso, altre al limite del biondiccio, ma la maggior parte aveva un colore simile al nocciola, ma più vivace in un certo senso. Non avrebbe saputo descrivere quel colore se glielo avessero chiesto, e si domandò se effettivamente fosse naturale, sulle prime.
Si concesse di guardare in faccia la ragazza mentre si metteva seduto. Il suo volto combaciava con quello di Areli Denzel, vista di sfuggita a qualche festa, sulla bocca di tutti, specie degli uomini abbastanza pieni di sè da pensare di poterla conquistare.
Senza la sua solita ala di accompagnatori sembrava più piccola in qualche modo, sguarnita.

- era amico tuo il coglione di ieri?-

Il tatto ed iniziare le conversazioni non erano mai stati i suoi punti forti. Essere antipatico e stare da solo si.
La dea rise. Doveva ammettere che era bella, ma la bellezza non aveva molta presa su di lui, considerando che era il primo ad essere attraente ma intrattabile. Rimase concentrato sui suoi capelli, tuttavia. Lo ipnotizzavano.

- amico è un parolone. Diciamo che ci vado in giro assieme-

Parlava in modo scattante, frizzante, un inglese curato ma visibilmente non madrelingua, esattamente come lui. C'era una punta di tedesco, e spagnolo anche. Più spagnolo che tedesco.

- vai in giro con tutti in questa scuola, significa che sei amica di tutti?-

Si sedette di fianco a lui senza chiedere, cosa che le fece notare. Smise di ridere e di sorridere. Non era certamente abituata ad essere trattata in quella maniera.
Si alzò lentamente, cauta, col cipiglio di chi sta per girare sui tacchi ed andarsene. Cosa che tuttavia non fece.

- posso sedermi?-

Annuì interdetto.

- bene-

Spazzolò la spalla del suo cappotto verde mela con la mano, anche se non c'era niente sopra.

-ora so decisamente di chi non sono amica-

- non ti ho mai visto in vita mia se non in compagnia di un deficente e la sua banda, mi sembra anche il minimo-

- sfortunamente sono come una lampada per le falene -

- l'ho visto-

In realtà non gli dispiaceva conversare con lei, ma si rese conto di star cercando di concludere alla svelta. Aveva perso l'abitudine a parlare, ed inolte la sua copia di La Linea D'Ombra lo fissava sulla panca, a metà, dopo che aveva deciso di battere il suo record di lettura e finirlo in una sola ora.
Areli lo notò.

- sai, non mi capita spesso che qualcuno sia più interessato al suo libro che a me mentre gli parlo-

- generalmente per me è il contrario-

Avrebbe voluto frenare la lingua, inghiottire di nuovo le parole appena pronunciate, ma si rese conto che il suo bisogno fisiologico di interagire con un altro essere umano per più di dieci minuti stava avendo la meglio su di lui dopo quasi due anni di digiuno

- ma penso sia automatico quando hai la piacevolezza della carta vetrata-

- credo sia cemento armato, carta vetrata è più Hugo-

Alzò un sopracciglio.

- il tuo amico di ieri-

- sei qui a porgermi le sue scuse o una rivincita? Ti confesso che spero nella seconda-

- nessuna delle due. Ero qui per congratularmi con te a dire il vero-

- addirittura-

- aspettavo da anni che qualcuno lo umiliasse-

- cose non molto carine da dire ad uno con cui "vai in giro"-

Non era certo intenzionato a risparmiarle il suo carattere perchè si era rivelata gradevole nella conversazione.
Straordinariamente, anche lei stessa si scoprì a non frenarsi.

- ci vado in giro perchè organizza belle feste, non per altro. Altrimenti mi risparmierei sia lui che il fratello dalle mille mani-

- immagino che illudersi che qualcuno diventi maturo solo perchè è all'università sia la peggior sciocchezza che ci siamo inventati nel ventesimo secolo-

Areli aveva gli occhi neri, impenetrabili dalla luce. Erano ancora troppo nebulosi perchè potesse attribuirgli altre caratteristiche, al tempo.

- specie uomini-

- generalmente sono donne quelle che bevono sino a sfondarsi per provare di reggere come delle sedicenni alle prime armi-

- vedo che maneggi informazioni sensibili -

- solo perchè non mi hai mai notato alle feste non significa che io non ci sia mai. Solo la maggior parte delle volte-

Inaspettatamente passò al contrattacco, ma non lo fece direttamente, alla sua maniera. Prese la strada lunga, cogliendolo alla sprovvista.

- se vogliamo andare su questa linea, generalmente sono uomini quelli che si fanno abbindolare da un paio di ciglia che sbattono e due complimenti che potrebbe fargli la madre come dodicenni alle prime armi-

- non è più come, è più il fatto che lo sono-

Lei si sistemò sulla panca con un movimento ondeggiante, gongolante quasi.

- disse il grande esperto che mi sembra non parlare con nessuno, tantomeno con una donna, da anni. O sei più un vecchio stanco che ha avuto il suo grande momento al liceo?-

Le labbra di Henrik si incresparono. Sentiva in bocca il vago sapore del divertimento e la cosa lo intrigava.

- nessuna delle due temo. Un vecchio stanco senza grandi momenti, presumo-

Lei rise di nuovo, le labbra piene di sole ed un canino leggermente più lungo dell'altro scoperto.

- come ti chiami?-

- il tuo amico non te l'ha detto?-

Scosse la testa.

- sfortunatamente no. Ha avuto l'accortezza di gridare ai quattro venti solo il tuo cognome-

- Henrik-

La vide quasi sorpresa alla pronuncia morbida di quel nome slavo. La durezza stava solo nella kappa, quasi uno sparo nell'aria dolce di Henri. Inaspettato, così gli piaceva definirlo. Risvegliava sempre quelli che non lo ascoltavano quando si presentava.

- immagino tu sappia il mio-

- dimmelo lo stesso, visto che ci teniamo all'equilibrio-

Era curioso di sentire come una voce così colorita potesse pronunciare quel nome così corto, all'apparenza senza sapore.

- Areli -

Era decisamente speziato con quella sua pronuncia scoppiettante, tintinnava sulla lingua. Non era morbido, era frizzante come una caramella troppo piena di zucchero.

Si strinsero la mano e parlarono per quattro ore filate, alla fine delle quali si scambiarono il numero di telefono del loro dormitorio.
Quella sera chiacchierarono sino all'una.

Areli era abituata agli uomini facili. Aveva sempre incontrato l'espressione "essere una donna facile", e probabilmente molti la consideravano così, ma non avrebbe potuto importarle di meno, specie per il fatto che sapeva di non esserlo. Erano loro a cadere ai suoi piedi con le gambe fatte di burro, non il contrario.
Dalla sua esperienza aveva infatti raccolto che la maggior parte degli uomini erano facili. Molti non si aspettavano nulla se non una notte, ma altri effettivamente si trovavano a sviluppare qualcosa per lei. Non capiva perchè, non la conoscevano minimamente, eppure vedeva lampi innamorati annegare in una tristezza indicibile nei loro occhi.
Le dispiaceva per loro. Gli chiedeva di andare in caffetteria e gli pagava tutto quello che volevano per sdebitarsi del loro cuore spezzato. Si spezzava un po' anche a lei quando si ricordava di non essere l'unica a sentirsi sola al mondo.

Henrik, però, non era un uomo facile. Non rispondeva ai suoi flirt ben congegnati, non voleva la sua frivolezza da confetto dall'altro capo della cornetta, non voleva che lo adulasse e non voleva portare tutta la conversazione sulle sue spalle. Henrik voleva lei. Voleva l'Areli che aveva visto su quella panca bollente di Sole, e per il primo periodo questo la terrorizzò.

Si sentivano solo al telefono, tutti i giorni. Erano entrambi troppo impegnati per vedersi di persona, e soprattutto non volevano che altri potessero vederli ed interromperli. In pubblico si comportavano da perfetti estranei, senza far notare a nessuno quell'appuntamento notturno, insospettabile. Il telefono gli dava l'occasione di parlare senza inconvenienti, nel cuore della notte, cullati dalle nubi nel cielo gonfio di stelle, ma la rendeva anche impotente e vulnerabile allo stesso tempo.
Non poteva sedurlo coi suoi sorrisi se non era lì con lei a vederla, e nel frattempo lei rimaneva ad ascoltare la sua voce così solidamente morbida sussurrata direttamente nel suo orecchio senza che potesse farci niente.
Scoprì di avere da dire più di quanto pensasse, e più i mesi passavano più aveva paura. Aspettava le sue chiamate, attendeva il modo in cui pronunciava il suo nome, Areli, dopo aver detto pronto con la sicurezza di chi sa che lei era lì dall'altra parte, come una formalità da sbrigare prima di cominciare.

Era abituata ad essere lei quella che teneva in scacco la situazione, ed invece si ritrovò a dover condividere l'impugnatura del coltello per la prima volta dalla seconda superiore, rendendosi conto troppo tardi che era rivolto verso di lei.
Era pazza di Henrik. La cotta che pensava di poter gestire bruciò in fretta, rapida come un fuoco d'artificio, lasciando spazio al lento consumarsi di un amore incerto e che non sapeva se fosse corrisposto.

Non aveva mai puntato molto su altro che non fosse il suo aspetto per sedurre qualcuno, generalmente bastava quello. Non pensava che parlare di sè stessa a mezzanotte avesse il potere di far innamorare qualcuno di lei per qualcosa di più di quanche ora.

- Henrik?-

Dio, avrebbe ucciso per il modo in cui pronunciava il suo nome, quasi francese, senza quell'esplosione di rumore alla fine, ma un piacevole arrocco di suoni che gli accarezzava le orecchie.
Non poteva certo sapere che Areli lo considerava un uomo difficile, ma se glielo avesse detto sarebbe scoppiato a ridere. Si era innamorato perdutamente di lei dopo nemmeno un mese, giusto il tempo di sentirla parlare della sua passione segreta per la scacchistica e del suo amore per i pasticcini. Era un uomo facilissimo, il più facile che avrebbe mai potuto incontrare, era solo terribilmente bravo a nasconderlo.

- dimmi-

- ti va di andare a cena con me, la settimana prossima?-

Fingeva di essere sicura di sè, ma lo percepiva che temeva le dicesse di no. Si chiese come si potesse anche solo immaginare una cosa simile.

- si, certo-

Deglutì

- avevo voglia di vederti-

Aggiunse, frettoloso, impacciato come un dodicenne. Non sapeva se fosse davvero un flirt o solo una confessione molto veritiera ed infelice, ma si imbarazzò comunque ad averla detta.
Si sentì le orecchie in fiamme mentre boccheggiava per respirare in quella stanza già abbastanza umida ed afosa di suo.

Era quasi estate ed erano entrambi follemente innamorati.

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