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𝚁𝚒𝚌𝚘𝚜𝚝𝚛𝚞𝚣𝚒𝚘𝚗𝚎 O13: vagor

𝐕𝐚𝐠𝐨𝐫.
/va•gor/ [lat.]

1. Sost. f.
Ricerca.

2. Sost. m.
Vagabondo.

3. Verbo
Muoversi liberamente da una parte all'altra, vagabondare, vagare.

Cain si sentì stranamente soddisfatto quando quasi tutti si unirono al suo grido di giubilo nel secondo in cui Alexander imboccò l'autostrada.

Doveva ammettere che inizialmente era un poco scettico delle sue capacità come guidatore, e con poco si intende che promise segretamente ad un gran numero di santi cristiani di convertirsi alla fede se avessero fatto in modo di non farlo schiantare da nessuna parte, ma dovette ricredersi quando vide che il ragazzo procedeva straordinariamente bene per qualcuno che mai e poi mai in vita sua aveva guidato un autoveicolo, smettendo persino di frenare all'improvviso per errore ogni mezzo secondo dopo circa due chilometri di tragitto.
Non seguì naturalmente la sua promessa.

Stiracchiò le corte gambe di fronte a sè, coi piedi che gli ballavano nelle scarpe, così grandi per lui da farlo sembrare un pagliaccio, e che Harley aveva già minacciato di lanciargli in testa se non l'avesse smessa di allungarle verso di lei per sporcarle i vestiti.

La camicia di flanella di Bethany, che gli sedeva di fianco, gli accarezzava di tanto in tanto la punta delle orecchie. Aggiungeva un grazioso aroma di gelsomino all'odore della ragazza, che, nonostante la predominanza dell'olezzo acre del St. Marcel, conservava ancora, nascosto fra le dita, il profumo di albicocche fresche.
Ciocche dei suoi capelli intrecciati gli ricadevano dolci sulla fronte, sulla punta del naso, strofinandogli la pelle grigiastra con ruvida tenerezza, mossi dal vento dei finestrini aperti. Erano terribilmente rovinati, eppure non poteva fare a meno di sorridere in segreto ogniqualvolta che li sentiva muoversi su di lui, vittima di una piacevolezza che non si sapeva spiegare.
Il chiacchiericcio di sottofondo, gli odori del mondo esterno, vividi, intensi, la morbidezza ritrovata dei suoi abiti enormi, la piacevole sensazione di essere seduto su di un cuscino imbottito, la musica, la musica! incolpò persino la mielosa musica che stava passando in radio per quel segreto piacere che provava nel sapere che sedeva accanto a lei.
Tentò di distrarsi, ma non riusciva a far altro che tornare ancora ed ancora nello stesso punto ogni volta che qualcosa gli ricordava che esistevano simultaneamente vicini. Anche mentre parlava, provando a cacciarla via dai suoi pensieri, non era davvero lui che blaterava, non era conscio delle parole che gli uscivano dalla bocca, ma solo di quella lieve scia di albicocche che la brezza gli sbatteva sul viso con ripetuta crudeltà.

Avvelenato dai propri pensieri, non potè far altro che gioire nel momento in cui sentì lezzo di sigarette ed improvviso silenzio calare nel veicolo per chiedere fosse accaduto e concentrare la sua attenzione su quello.

- chi fuma?- domandò sottovoce a Diana, che sedeva alla sua destra, sotto il sedile di Icarus (con cui continuava a battibeccare da quelle che gli sembravano ere).

- Icarus- ribattè lei, con la bocca asciutta e quasi trattenendo il fiato. Il ragazzo continuava ad accendere e spegnere un accendino mentre tutti respiravano in silenzio.
Il fumo pregnava l'abitacolo denso come cemento e carico d'ansia. Qualsiasi fosse la motivazione che lo aveva portato a quel momento non era buona.
L'accensione e spegnimento si fecero più frequenti. Frizzantemente meccanico il suono delle scintille, ipnotico il rumore dell'aria che brucia.
Fumava solo nei momenti di enorme stress quel tizio, con un che di oscura sacralità nel gesto.

- che succede?- fu Alexander a rompere il silenzio. Riusciva quasi a sentire le goccioline si sudore scivolare giù dalle sue mani sul volante.

- non abbiamo nessun tipo di documento- rispose pacatamente l'altro, con una voce che nascondeva la pressione immersa nel fumo.

- e proprio laggiù c'è un posto di blocco- non ci fu bisogno di aggiungere altro.
Non era tanto il fatto dell'assenza di carte d'identità, era la sanzione che ne conseguiva a preoccuparlo così tanto.
Anche mentendo sul loro indirizzo e luogo di nascita, la multa avrebbe dato prova del loro passaggio se associata alla targa del veicolo ed al proprietario morto. E l'ultima cosa di cui avevano bisogno era un indizio del genere correlato a qualcuno che potesse ricordare i loro volti.
Mattia tossì come a cercare di respirare.
Le idee si susseguirono veloci.

- non possiamo cercare di evitarlo?- azzardò Mattia, spogendosi per guardare la strada.

- siamo su un veicolo troppo appariscente perchè non ci fermino- fece notare Eleonor, con una voce così calma da far chiedere se effettivamente fosse preoccupata per ciò che sarebbe accaduto.

- se dicessimo che abbiamo perso i documenti?- propose Pearl, subito zittito da Cain.

- dieci ragazzini in un van? Mi sembra molto più probabile che pensino che lo abbiamo rubato 'sto coso. Certo un paio di noi sembrano più grandi, ma vedendo gli altri si capisce subito quale sia l'età generale -

- perchè cazzo stai accellerando demente?!- sbottò Harley, quasi alzandosi in piedi alla realizzazione.

- ho un'idea- ribattè il guidatore.

- siamo morti allora- sospirò Diana.

- ti ho ripetuto un miliardo di volte di non agire di testa tua- aggiunse il capo.

- non mi sembra che qualcuno abbia idee migliori qui- la velocità rimase costante, e la radio (i cui motivetti sbarazzini stridevano con la situazione) venne spenta.

- chi lo dice che la migliore sia la tua? - osservò  Mattia con una certa foga mentre la macchina ormai era quasi arrivata.
Non lo vedeva per certo, ma lo capiva dalla tensione del braccio di Bethany che aumentava ad ogni attimo.

Mentre rallentavano, Cain si slanciò in avanti, aggrappandosi ai sedili con le unghie per non farsi vedere e allungando i propri occhiali all'inglese, che per fortuna capì subito le sue intenzioni, che passò a sua volta i suoi occhiali con le lenti scure ed inforcando quelli del cieco, che ricadde all'indietro con gli occhi serrati, trovando la spalla di Bethany su cui appoggiarsi.

Alexander parlò con la voce di qualcuno che sorrideva.

- salve agente- mai in vita sua aveva sentito pronunciare qualcosa in una maniera più spasmodicamente (o forse disperatamente) americana. Tutto di quel suono gridava Dio Benedica L'America al ritmo dell'inno statunitense.

- salve anche a lei- ribattè l'uomo, ben disposto dall'atteggiamento gioiosamente allegro del ragazzo. Ci cascavano sempre tutti in quel trucco.

- prima che me lo chieda, devo dirle che è successo un fattaccio giusto poco fa che mi impedisce di fornirle i miei documenti- l'altro non ribattè, ma fu molto certo che ora fosse un poco meno contento.
Si chiese che diamine stava facendo ripetute volte e altrettante imprecò con una scurrilità di rara poesia.

- vede, siamo in vacanza io ed i miei fratelli minori, e... attenda un secondo, è meglio che scenda- lo sportello si aprì con terrificante meccanicità, mentre il corpo del giovane uscì con innaturale scioltezza, camminando fin sotto il finestrino seguito dal poliziotto. Il passo era riluttante.
Il ragazzo parlava sottovoce, imbarazzato quasi.

- ...vede Martha non è esattamente... normale, se capisce cosa intendo-

- ritardata?-

- sì, ecco, precisamente. Io e William non ci siamo accorti che aveva sottratto i documenti dal cassetto e gli altri hanno notato che li aveva solo quando ormai era impossibile che li lanciasse fuori dal finestrino. So che avremmo dovuto fermarci, ma, la prego di lasciarci proseguire... Martha è instabile e...-

Sentì il corpo di Mattia sgusciare in mezzo agli altri, sinuoso come un serpente, naturale come se avesse già saputo la sua parte a memoria.
Da quello che gli dissero dopo, doveva aver fatto una qualche faccia strana prima di chiamare il nome del presunto fratello, che le parlò con la voce gentile e stupida che di solito si usa per i neonati.

- tranquilla Martha, torna a sederti, adesso ripartiamo- Pearl si tirò su anche lui, facendo finta di farla ritornare al suo posto e probabilmente sorridendo all'agente.

- bravissima-  sospirò.

- potrebbe iniziare a diventare isterica e... violenta... se dovessimo fermarci e non andare a casa dove voleva lei, e nella situazione attuale non me la sento di rischiare... lei comprenderà... la stavamo riportando a casa per le vacanze di natale dal suo manicomio sa... sono anni che non esce da lì... - il suono di una forte pacca sulla spalla e la risata che denunciava subito l'idiozia del suo interlocutore.
Era fatta.

- Dio ti benedica ragazzo. Non sono tanti i giovani che vogliono così bene alla famiglia... anche a quelli così. Andate andate, e salutatemi i vostri genitori!- rise ancora di più.

- le cose che capitano al giorno d'oggi... Bah!-

Il momento in cui furono abbastanza lontani fu di pura euforia.
Tutti non potevano far altro che ricalcare l'azione secondo per secondo, ricreando le esatte dinamiche e sganasciandosi dal ridere per l'assoluta stupidità del poliziotto. La prontezza della ragazza, l'assoluta, involontaria coordinazione, i segni di una chiara superiorità d'intelletto del loro piccolo gruppo di eletti sul volgo, che li rendeva, di fatto, così pericolosi.
Persino Icarus non potè far altro che un lieve ammonimento al giovane, intimandogli che quello appena accaduto sarebbe stato il primo e l'ultimo strappo alla regola di non fare di testa sua.

- Dio ti benedica ragazzo- gracchiò Cain con voce colma di divertimento, imitandone la voce mentre Eleonor esplodeva in risate fragorose.

- io non so se è Dio che ti ha benedetto, ma di sicuro la fortuna oggi ti ha proprio baciato con tanto di lingua vecchio mio! -

- l'ho sempre detto io di essere un seduttore-

- di agenti di mezza età- completò Pearl, con tono talmente serio da rendere la situazione ancora più comica, mentre Bethany porgeva gli occhiali a Cain, che li inforcò di nuovo con decisione, riaprendo le palpebre ora che nessuno avrebbe potuto scorgerle attraverso le spesse lenti nere.

Non voleva che nessuno vedesse i suoi occhi, mai, mai più.
Non riusciva a sopportare il fatto che lui non sarebbe mai stato capace di descriverli, di vedere la loro espressione mentre si specchiavano al loro interno, mentre chiunque altro avrebbe potuto scorgergli l'anima.

Nathaniel fissava prigamente il mondo esterno che gli sfrecciava davanti dietro i finestrini, con gli occhi pieni di Sole e la bocca asciutta. Si sentiva ancora più stanco del solito, stravaccato fra Mattia ed il corpo esangue di Pearl, che dormicchiava a tratti, con gli occhi azzurro opaco che si facevano vitrei e coscienti a seconda dell'attimo.
Molti erano assopiti, Cain, abbandonato sulla spalla di Bethany con la stessa leggerezza gracile di un bambino, Harley, con le ginocchia strette al petto ed i boccoli bianchi che ricadevano sulla gonna bruna, lei marmorea, simile ad un elegante gatto viziato, Eleonor, distesa sulle valigie, inconsciente e spensierata come una fatina, Diana si era addormentata dopo varie resistenze, tentando di finire di leggere il saggio che le giaceva abbandonato in grembo, i capelli fulvi che quasi bruciavano le pagine, ed infine Mattia, che minacciava di crollargli addosso nel suo sonno aggraziato, fatto di bisbigli e mormorii infantili. Le stava appoggiato al braccio per evitare che cadesse.

Pochi resistevano in piedi, oltre lui. Alexander, naturalmente, alla guida (non potè negare di aver immaginato un paio di volte cosa sarebbe accaduto se si fosse improvvisamente assopito. Le implicazioni lo affascinavano), Icarus, stoico ed imperscrutabile nei suoi mille ragionamenti, giocherellava senza accorgersene col mozzicone ormai morto della sua sigaretta, Bethany, che ancora provava da sola la sequenza del gioco di battimani che le aveva insegnato Cain un'ora prima (fissava ancora il ragazzo confusa, di tanto in tanto, come a chiedergli segretamente quale fosse il senso di quel passatempo). Pearl alle volte riemergeva, improvvisamente scosso da qualche cosa, per poi ricadere nel suo sonno per un altro po'.

Nessuno fiatava nel respiro plumbeo dei dormienti, navigando in quella landa onirica per un tempo indefinibile.
Il cielo sfrecciava, gravido di nuvole bianche, sottili come zucchero filato, macchiate di fronde di alberi spogli e mosci, o alle volte lussureggianti sempreverdi che sfidavano il freddo dicembrino. Cosa avrebbe dato per un solo fotogramma mosso di quelle ore che trascorse, vuoto di tutto se non di quelle immagini, un ricordo impresso sulla cellulosa di quel momento!
Vedersi in terza persona, estraneo da quel sè stesso lo ammaliava come concetto, stordendolo di bellezza.

Il sè fuori da sè, il soggettivo tramutato nell'oggettivo giusto per un breve istante catturato e custodito. Milioni di attimi tra cui scegliere, miliardi di battiti di ciglia da rivedere, istanti persi fra la chiusura delle palpebre e la riapertura di queste, strappati via al conscio e mai conosciuti.
Da piccolo, amava guardare le foto dei momenti che odiava bruciare. Le osservava sciogliersi e contorcersi nel mare rosso, consumate e cancellate dal mondo, vive solo nella memoria fallace degli uomini, che prima o poi dimenticano ogni cosa.
Era quasi catartico liberarsene, facendo spazio nella sua stessa mente. Non li ricordava nemmeno più infatti, solo la luce brillante delle fiamme che si contorceva nel camino prima di sparire.

Il momento del risveglio fu lento e sonnacchioso, stiracchiandosi per quasi venti minuti di borbottii stanchi, per poi lasciare spazio alle pressanti richieste di libagioni da parte della maggior parte del gruppo, che accettarono con rammarico il fatto che la cartina che avevano preso segnalava la presenza di un posto per rifocillarsi a sette miglia da dove si trovavano.
Le proteste e le lamentele erano ancora nel pieno dell'azione nel momento in cui Eleonor fissò Pearl dritto negli occhi con viva curiosità ed un sorriso malizioso sul volto, quello di un bambino cattivo che ha appena scoperto un segreto.

- Pearl, il tuo maglione si muove- disse, a voce abbastanza alta perchè tutti la sentissero, voltandosi contemporaneamente, simili ad un branco di lupi.
Il ragazzo non rispose, tenendo le braccia conserte sul ventre, in cui era perfettamente possibile osservare uno strano movimento del suo indumento, come se sotto ci fosse stato qualcosa di vivo.

- Pearl - lo richiamò, fastidiosamente, strisciando verso di lui, che si appiattiva contro il metallo del veicolo, scuotendo la testa e borbottando che non erano affari suoi.
Nathaniel approfittò della sua distrazione per afferrare un lembo del suo vestito e rivelare ciò che vi si nascondeva sotto, curioso lui stesso di cosa vi avrebbe trovato.
Uno scoiattolo infagottato in una vecchia sciarpa da bambino.
Uno scoiattolo grigio, se proprio vogliamo essere pignoli.

- gettate quell'affare all'esterno- ordinò Icarus, seccato. Gli occhi di Mattia iniziarono a brillare di una luce sinistra al sentire queste parole, che fu il motivo principale per cui il rapitore si strinse al petto la creaturina rintanandosi in un angolino.

- no.- puntualizzò, fermo, mentre tutti erano intenti a fissarlo.

- non era una richiesta la mia, Pearl. Mattia, levaglielo dalle mani, per l'amor del cielo- la ragazza strisciò con con estrema contentezza verso i due, allungando le mani con un sorrisetto estatico che le incrinava le gote, per ricevere un deciso morso da parte dell'aggredito su ben tre dita della mano destra.
Non strillò, tuttavia si avventò contro il biondino scatenando un mezzo parapiglia, anche perchè schiacciò i piedi di quasi tutti nel processo di rincorrerlo nello spazio ridotto e basso della vettura, che non riusciva certo a contenerla in piedi, e costringendo tutti a muoversi da una parte all'altra nella baraonda generale.
Harley si unì a Mattia dopo breve, ma fu messa fuori gioco da uno sgambetto di Diana (che secondo lui era tutt'altro che accidentale), Pearl si ancorò con decisione alla schiena di Bethany, ignorando le proteste di Cain, che aveva appena sfrattato, ed Eleonor faceva da Jolly cercando in tutti i modi di sottrarre al ragazzo quel batuffolo di pelo per accarezzarlo lei stessa.
Le imprecazioni volavano, e Bethany faceva del suo meglio per fare in modo che nessuno finisse ad azzuffarsi, bloccando il fuoco incrociato dei colpi rabbiosi della ragazza e gli sputi del giovane dall'altra, sino a che non fu abbastanza.

- basta. - l'ordine fu raggelante, ed il silenzio che ne seguì immediato. Nessuno aveva mai sentito Icarus alzare la voce, le labbra spezzate dal suo suono, come punte dal modo in cui era stato costretto a dirla.

- dammi una sola motivazione che dovrei ritenere valida per la quale desideri tenere quell'animale- proseguì, in collera al punto tale che nemmeno lo sembrava. Il silenzio dall'altra parte non aiutò.

- sto aspettando-

- non ce n'è una- bofonchiò Pearl, che stringeva ancora saldamente lo scoiattolo fra le dita.

- non ce n'è nemmeno una per cui dovremmo gettarlo fuori- azzardò Eleonor, non tanto smossa da empatia verso il biondino, ma dal suo personale desiderio di possedere uno scoiattolo come animale domestico. Il capo non rispose, massaggiandosi la base del naso, esausto.

- cosa stai cercando di proporre?-

- di tenerlo-

- fuori discussione-

- ma perchè no?-

- perchè non è necessario averlo-

- pensavo avessi detto che fuori avremmo potuto iniziare a vivere invece di sopravvivere e basta- non c'era giudizio nella voce della ragazza, nessun rammarico o delusione, solo la sicurezza maligna di chi sa di avere la vittoria in pungo.
Icarus sospirò.

- se Mattia lo uccidesse o dovesse tentare di ammazzarlo mentre voi siete distratti, io non cercherò certo di fermarla nè la punirò, cercate di tenere a mente questo avvertimento- Eleonor fece un risolino entusiasta mentre si gettava su Pearl per tentare di rubargli il roditore.

- dobbiamo trovargli un nome- esclamò dopo un po', quando tutti ormai si erano seduti. Si arrampicò sulla spalla del biondo con una mano di fronte alla bocca, chiedendogli qualcosa all'orecchio.

- è un maschio- lei sorrise.

- me ne chiamo fuori- disse subito il capo. Nessuno si mise a chiedergli come mai, si vedeva lontano un miglio che era troppo serio per considerare sensato l'atto di dare dei nomi agli animali. Gli altri, persino gli insospettabili, come quella che sino a due secondi prima stava cercando di uccidere il suddetto scoiattolo, Diana e Harley, accettarono, chi entusiata, chi riluttante. Solo Bethany non si unì, per ovvi motivi.

Harley (ora al suo fianco) gli diede una gomitata leggera in mezzo alle costole, guardandolo dall'alto in basso. Non sembrava molto contenta di stare lì, visto che continuava a contorcersi su se stessa pur di non toccarlo per sbaglio con ogni lembo del suo corpo, cosa che gli fece spuntare un poco d'orgoglio per come l'aveva ridotta rispetto alla propria esistenza. Esilarante.

- tu?- Nathaniel annuì, tirando fuori un taccuino sgraffignato dalla tasca ed un mozzicone di matita trovato per caso, aprendolo su una pagina vuota. Finse di non notare la faccia sopresa che fece la ragazza quando, invece della scrittura disordinata ed ammucchiata su se stessa che sicuramente si aspettava vide un'elegante calligrafia inclinata verso destra e dal tratto leggero.
Raccolse il documento con disgusto ben poco celato.

- Nostradamus- lesse l'albina ad alta voce per lui, storcendo il naso e gettandogli il blocco in grembo con poca convinzione. Le sue dita erano ossute e sottili come gambi di rosa, che si intersecavano tra di loro con la leggerezza della polvere sospesa nell'aria.

- Taddeus- il guidatore rise così forte che la ragazza non riuscì neppure a rispondergli, guardandolo in cagnesco come sperando che venisse improvvisamente colpito da uno schiaffo. Aveva la punta del naso rossa e fremente, come un coniglio.

- Elias- propose Diana, prima che Cain si intromettesse violentemente nella frase che stava per dire, esclamando:

- merdina- sorrideva gongolante, sependo che nessuno avrebbe mai detto si, ma consepevole che Bethany aveva increspato le labbra. Era disgustoso guardarlo.

- che cazzo di problemi hai?- domandò la rossa, più sospirando che facendo una domanda seria.

- Elias sa di scemo- ribattè lui, e Alexander ebbe il buon senso di dire qualcosa prima che la situazione degenerasse e facesse saltare seriamente le coronarie ad Icarus, insonne, affamato ed irritato.

- Philip?-

- hai seriamente riso a Taddeus per proporre questo?- non riuscivano a dire un nome senza insultarsi tra loro, la cosa era incantevole a suo parere. Sguazzava nella discordia come un pesce nell'acqua quel piccolo demone.

- Oliviero- nessuno ebbe nemmeno il coraggio di dire a Mattia quanto il nome fosse terribile, anneundo vagamente e procedendo a sentire il grazioso e delicato "Toby" di Eleonor, immediamente distrutto dalla lingua biforcuta di Cain, che commentò sul fatto che stavano scegliendo il nome di uno scoiattolo non del cane dei pompieri.

- Marlowe- disse infine Pearl, ed Alexander approvò immediatamente, procedendo ad un lunga spiegazione non necessaria (e soprattutto noiosa) sul fatto che il protagonista di "Il grande sonno" si chiamasse proprio Philip Marlowe.
Pur di sentirlo smettere di blaterare, tutti approvarono.

Fu così che Marlowe entrò a far parte della banda, mentre la fame consumava ciascun membro di essa.

Eleonor rimase un po' perplessa quando scesero dal veicolo per vedere il posto in cui mangiare. Non somigliava a nulla che avesse mai visto quell'edificio, sembrava... finto.
Un'insegna luminosa invitava ad entrare con il suo bagliore rosato. Oltre gli enormi vetri (vetri, non vetrate, lastre trasparenti continue non intervallate da nulla. Nemmeno i negozi erano così) si vedevano persone in abiti sgargianti ridere come matte mentre mangiavano cose che non sembravano servite su piatti, ma dentro scatole di cartone.
Che razza di posto era quello?

Fissò Alexander alla ricerca di risposte, ma l'unica cosa che le disse fu: "fingi che sia tutto normale" e le fece l'occhiolino, a cui rise. Quel ragazzo aveva un che di incredibilmente divertente nelle espressioni, contorceva ogni muscolo come a creare una nuova faccia al posto della propria. Salutò Marlowe promettendogli di sgraffignare qualcosa anche per lui, che sarebbe rimasto in macchina.
Aveva passato tutto il tragitto da che lo avevano scoperto ad ossessionare Pearl con domande di ogni tipo su quelle creaturine, specie sul perchè quel coso non fosse in letargo.
Il ragazzo aveva ipotizzato che si fosse svegliato per tutto il baccano di quella mattina, e lei era rimasta delusa. Avrebbe preferito una risposta più avvincente.

Icarus esitò qualche attimo in più degli altri ad uscire dal veicolo, levandosi il gilet e la cravatta, lasciandole piegate sul suo sedile, sporgendosi sulla spalla di Diana per sussurrarle qualcosa sottovoce, e lei scosse la testa con forza. Lui bisbigliò di nuovo qualcosa, ma lei continuò a rifiutarsi silenziosamente. Senza alcuna sorpresa da parte di Eleonor, il capo non insistette oltre e lasciò perdere qualsiasi cosa le avesse detto di fare, le labbra strette e lo sguardo stanco.
Non aveva dormito abbastanza da permettersi di litigare di nuovo con lei, gli serviva per non uscire matto con gli altri. Lo aveva imparato ormai. Aveva rubato ogni sguardo che le era stato possibile, nascondendo il segreto come una ladra, impedendo ai due di realizzarli, nel caso arrivasse mai il momento di usarli per altro che non fosse il suo divertimento.
Gliela dava sempre vinta quando era stanco, come un vecchio marito borbottone a cui fanno troppo male le ossa per preoccuparsi di dire alla moglie che lo sformato di spinaci è scotto.

- visto che è impossibile che alcuni di noi sembrino normali...- il suo sguardo si soffermò su vari membri, che protestarono - fate in modo di sembrare il più strani possibili- Harley si intromise, desiderosa di sfoggiare ciò che aveva intuito.

- fingeremo di starvi trasferendo da un manicomio all'altro- successivamente, spinse con forza Cain verso l'ingresso.

- e vedi di sembrare bello cieco tu, idiota- aggiunse, quasi colpendolo di nuovo prima che uno sguardo di Bethany la facesse ritornare al suo posto. Sembrava che fosse l'unica che non avesse davvero voglia di sfidare, ed a ragione. Per quanto Icarus le avesse detto solo di sedare i litigi, avrebbe comunque potuto spezzarle un braccio senza battere ciglio, specie se si trattava del suo piccolo protetto. Non era sicura che gli altri lo avessero notato, ma da che Bethany aveva iniziato ad andare in giro con Cain, al St. Marcel, nessuno aveva più osato torcergli un capello.
Quella ragazza era innocua sino ad un certo punto, e tutti lo sapevano.
Al quarto anno aveva ucciso un ragazzo per sbaglio mentre gli spezzava una gamba per ordine degli allenatori, strappandogli l'arteria nel processo. Non aveva mai fallito un singolo test fisico, sempre passata al primo colpo. Sapeva tenere a bada almeno sei avversari contemporaneamente e vincere. Era una maledetta macchina da guerra, ed Eleonor viveva per quel tipo di pettegolezzo. Ne aveva centinaia su ciascuno di loro, più simili a storie su due gambe che a persone. Bethany era interessante perchè nemmeno lei si rendeva di quanto fosse pericolosa. Era un personaggio misterioso ed affascinante, e lei era decisa a carpirne ogni lato.
Nessuno voleva mettersi contro una capace di imprese simili, nemmeno una sconsiderata come Harley.
Era impulsiva, non scema.

- io sono cieco Harley, nel caso ti fosse sfuggito- sbottò, camminando appoggiandosi alla sua enorme protettrice ed al suo bastone per non vedenti simultanemente.

- più cieco coglione, ci serve uno sconto!- a quel punto lui si arrabbiò proprio e si mise ripetutamente a sbattere contro la porta d'ingresso, sibilando tra i denti:

- ti sembro abbastanza cieco adesso?!- lei fece un sorriso serpentesco.

- eccellente- e gli sbattè di nuovo la porta in faccia (facendolo sembrare un errore) mentre tutti dentro quella specie di ristorante li fissavano basiti. Bethany aprì delicatamente la porta per il ragazzo con uno sguardo strano.

Sapevano certamente come farsi riconoscere, e non nascose un sorriso mentre entrava, un poco fiera di quella reputazione orribile che la proteggeva dagli sguardi come una corazza.

Si sedettero tutti ammassati in un lungo tavolo, ordinando una quantità di cibo infinitamente piccola rispetto a quella che avrebbero davvero gradito. Sapevano benissimo che i loro stomaci non erano più abituati a mangiare quelle simili quantità di vivande dopo anni di fame, ma il brivido di avere la pancia piena, per lei come per molti del gruppo, era un'attrattiva non indifferente considerando anche le conseguenze.

Mattia prese a sbattere la testa sul tavolo (non troppo forte, era una cosa intenzionale, non uno dei suo tic in cui quasi arrivava a spaccarsi il cranio in due) per riempire l'attesa che fu, con grande sorpresa generale, tremendamente breve.
Tutti furono stupiti nel vedere quelle fragranti pietanze depositarsi sul tavolo, sprigionando un forte odore caldo di fritto e grasso, ad appena un quarto d'ora dall'ordine, portandoli a sospettare che fosse il pasto di qualcun'altro. Poco importava ad essere onesti, specie dopo che lo stupore sciamò. Si avventarono sul pasto selvaggiamente, cacciandosene in bocca più di quanto riuscissero a masticare, trangugiando il cibo, cibo vero, vero dannazione!, come le bestie affamate che erano.
Persino Icarus mangiava le sue patatine fritte con una certa rapidità, infilandosene in bocca una dietro l'altro con voracità ben poco celata. Non toccò nient'altro, osservando gli altri costringersi a mandar giù panini di carne quasi interi con la sua solita aria apaticamente schifata, che portò Diana a chiedergli se quella roba fosse troppo da poveracci per i suoi gusti. Lui rispose semplicemente con:

- odio la carne di bovino, ed i bovini in generale- Eleonor per poco non si affogò con la carne che stava ingoiando per via delle risate che le solleticarono la gola.

Il viaggio proseguì per ore, ben oltre il calare della notte, pigro e stanco per la maggior parte, inframezzato qui e lì di conversazioni frivole e senza nessuno scopo vero se non quello di tenere sveglio Alexander. Icarus gli propose anche di fare a cambio ad un certo punto, ma il ragazzo doveva averci preso gusto e si rifiutò, seppure fosse palesemente esausto, i capelli biondi flosci sulla fronte imperlata di sudore per lo sforzo di restare sveglio.
Aveva consumato più caffè di chiunque altro eppure era quello ridotto peggio.

Eleonor lo fissava appollaiata sopra le valige, un alone di barba bionda gli decorava la mascella squadrata. Accarezzò Marlowe che le giaceva in grembo, addormentato, sporgendosi un poco in avanti per chiedere di preciso dove fossero diretti. Il capo non aveva detto una parola sulla loro meta, ma in quel momento era troppo impegnato a consultare le mappe e segnarci sopra strani segni in rosso per prestare attenzione ai suoi sussurri.

- Alexander- bisbigliò, ma lui continuò a fissare la strada, gli occhi neri vitrei.

- Alexander- ripetè, non sortendo alcun effetto.

- Alex!- tentò, ricordando come lui stesso tendeva a chiamarla continuamente con un nomignolo.

Il ragazzo si irrigidì completamente, diventando quasi di pietra per un istante, stringendo il volante fra le mani come se il suo unico desiderio fosse stato quello di spaccarlo in due. Si contorse nella sua stessa pelle, i musoli che implodevano tutti assieme mentre le sue labbra si piegavano malamente in un angolo storto e schifato, sputando fuori:

- non chiamarmi Alex - gli occhi della ragazza scintillarono per qualche istante, un sorriso mellifluo increspò le labbra della piccola diavola.
Non aveva mai sentito una voce così vera, così carica di vera emozione uscire da quel corpo così finto. Un ritmo diverso del parlare, il tentativo fallito di reprimere il movimento di disgusto che il suo intero corpo aveva mosso in automatico, un vago accento del nord misto ad uno strascico scozzese, suggerito anche dal suo cognome.
Una sola frase, un solo secondo del vero Alexander aveva appena alzato la testa richiamato da un fantasma. Chi mai doveva essere quell'Alexander? Chi fra tutti, si nascondeva dietro il miliardo di personaggi, la collezione infinita di maschere che sembravano essere impresse sulla sua pelle? Che mistero, che grande segreto che era quel grande attore.

Andava pazza per i segreti, avrebbe ucciso per scoprire la verità dietro anche ad uno solo di essi. Si accucciava in terra solo per sollevare i tappeti e guardare la polvere nascosta sotto, se ne aveva l'occasione.

Harley non avrebbe mai ammesso di essere rimasta stupita dal luccichio ormai dimenticato della città in cui entrarono. Anche una cosa banale come la luce di un lampione era amplificata dai suoi occhi asciutti di meraviglia, sfavillante come agli occhi di un bambino.

Scese dal van con le gambe molli e la testa pesante, sorreggendosi a Mattia per qualche attimo mentre riacquistava la capacità di stare in piedi dopo troppe ore di viaggio. Alexander se non altro era messo peggio di lei, arrancando sulla spalla di Bethany, sfinito. Ne fu soddisfatta.
Icarus invece fissava la facciata del loro hotel con aria indecifrabile, forse cercando di capire se rispecchiasse i suoi canoni di comfort. Storse il naso e sobbalzò notando che Nathaniel le era appena scivolato di fianco. Più che metterle i brividi, ne era principalmente schifata. Sembrava un vecchio drogato con gli occhi vuoti, così sottile da rammentare uno scheletro.
Non aveva mai avuto problemi coi cadaveri, ma gli scheletri le avevano sempre messo lo stomaco sottosopra per qualche motivazione.

- sogiorneremo qui per qualche giorno- rispose, entusiasta, Alexander alla domanda della ragazza alla reception. Aggiunse un largo sorriso un po' troppo aperto e cordiale per non sembrare un tantinello attraente, specie agli occhi di quella rimbambita, che divenne subito un pomodoro.
Era una piccola bambolina esile e senza nessuna particolare qualità estetica che la facesse saltare all'occhio, profumava di colonia scadente esattamente come l'ingresso dell'albergo in cui erano. Non era certo orribile, ma non era certo il livello di lusso che si sarebbero potuti permettere con tutti i soldi che avevano.
Sapeva bene che non era il caso di dare nell'occhio, tuttavia la parte più viziata di sè insisteva sul fatto che quello di cui aveva bisogno in quel momento erano lenzuola di seta e rose fresche in camera per riprendersi.
Si sentiva sporca, sudata e stanca; tutto il contrario di ciò che le piaceva essere. Sentiva la pelle grattarle i muscoli, sudicia di sporcizia, raschiandola con le unghie sino a graffiarsi da sola, tentando in ogni modo di levarsi quella sensazione di appiccicaticcio di dosso. Se qualcuno avesse osato entrare in bagno prima di lei avrebbe buttato giù la porta e lanciato fuori dalla finestra la malcapitata prima che potesse rendersi conto di cosa stava avvenendo. Voleva sentirsi avvizzire sino a diventare un vecchio fagiolo dentro l'acqua bollente.

Fissò i documenti falsi passare di mano in mano, una carta d'identità rubata e una foto di Alexander fatta da un fotografo perso in mezzo alla campagna.
Camminò sino alla stanza coi piedi di piombo, invasa da un'improvvisa nausea per tutto quanto. La luce, il rumore, gli odori la destabilizzavano, impreparata a quella nuova entrata di petto nel mondo reale, estranea ad ongi sua manifestazione e quindi quasi allergica ad esso. Fissò il vapore che saliva dall'acqua della vasca da bagno troppo piena e che strabordava ad ogni movimento per quelle che le sembrarono ore, prima di realizzare che era diventata gelida. Si sentiva un automa.
Fece un lungo, lunghissimo sonno senza nessuna immagine, solo una giornata intera di nero a farle dimenticare di esistere.

Tutti dormirono circa venti ore per recuperare la stanchezza estenuante del viaggio, svegliandosi di tanto in tanto per andare in bagno e mangiare qualcosa senza fiatare, per poi tornare a strisciare sotto le coperte e riappropriarsi del coma.

Quella prima nottata/giornata si stipulò il contratto segreto fra tutti loro riguardo gli incubi. Non si parla degli incubi. Non si parla delle urla. Non si consola chi soffoca lacrime e panico dietro la porta del bagno. Non si fanno domande. Lei era abbastanza fortunata da non svegliarsi durante gli incubi, se fortuna la si può definire. I suoi sogni agitati tendevano a durare tutta la notte, senza tuttavia mai concludersi con un brusco risveglio. Poteva alzarsi senza sentire il respiro leggero di qualcuno che si era svegliato per le sue urla e si chiedeva cosa avesse sognato. Sarebbe morta piuttosto che sopportare una cosa del genere.
Nessuno aveva voglia di fare psicanalisi nè di parlare con qualcun'altro dei motivi per cui si svegliava nel cuore della notte in preda al panico, non ci voleva un genio per capire che il St. Marcel da solo era qualcosa che potreva distruggere completamente la psiche di qualcuno, figurarsi come poteva essere ridotta quella di esseri che erano già arrivati lì coi propri cocci in mano.

Il terzo giorno fu quindi l'unico in cui successe qualcosa di davvero rilevante.
Icarus, rasato di fresco, impeccabile del suo nuovo completo e cappotto comprati la sera prima li fece tutti riunire nella stanza dei ragazzi, annunciando come si sarebbero mossi.
Lui e Alexander sarebbero andati a cercare una casa da comprare per potersi definitivamente stabilire, ma l'operazione avrebbe richiesto almeno una settimana per comprare tutti gli arredi necessari e preparare scartoffie e documenti.
Gli altri invece avrebbero dovuto mettersi a cercare una macchina, mobilio, acquistare due o tre abiti essenziali (avrebbero potuto prenderne di più una volta sistemati) e vagare per Omaha in modo tale da conoscerla e memorizzarla al più presto. Inoltre consigliò di mangiare in quantità sostenute per ritornare di un peso adeguato, cosa che Nathaniel accolse con un sonoro verso gutturale di disgusto. Non sapeva potesse affettivamente produrre dei suoni, e la cosa non le fu certo gradita.

La settimana che seguì fu la più lunga della sua esistenza. Si protrasse in eterno, arrancando e strisciando sui gomiti come un ubriaco che tenta di rialzarsi dopo una brutta caduta.
Comprò un paio di abitini neri e bianchi che vestiva regolarmente abbinati al suo cappello, fece incetta di libri, pezzi vari d'arredamento (specie lampade) che giacevano abbandonate nelle loro scatole in fondo all'armadio semivuoto della camera delle ragazze o sparse per il pavimento, sperimentò per la prima volta il trucco e scoprì che le piaceva da morire il colore focoso e vivo che aveva il rossetto sulla sua pelle di marmo,
Tuttavia era stanca. Sentiva il tempo aggrapparsi a lei costringendola a trascinarlo mentre arrancava fra un giorno e l'altro, a malapena capace di leggere quelle scritte minuscole che le facevano incrociare gli occhi, passando quasi tutto il suo tempo a giocare a scacchi con Mattia o a litigare con Diana per cose stupide tanto per passare il tempo. Sfortunatamente finivano troppo presto data la presenza di Bethany a pacificarle, lasciandole la possibilità di litigare solo con Alexander quando non era troppo morto.
Aiutava entrambi a coltivare un sano livello di odio per l'altro e sfogare la propria frustrazione.

Non si era mai annoiata così tanto nell'attesa che accadesse qualcosa, impossibilitata nel partecipare attivamente al farla accadere. Mossa dalla noia aveva provato a sgraffignare qualche alcolico dalle cucine, ma Icarus aveva ben bene fatto in modo di essere esattamente nel posto sbagliato al momento sbagliato e gliel'aveva fatta rimettere a posto prima che potesse stapparla. Si chiese ancora una volta se quel tizio fosse davvero umano e non una macchina ben congegnata sotto mentite spoglie. Non lo aveva mai nemmeno visto stravaccarsi su una sedia da stanco morto, ma sempre rigido, dritto, impeccabile. La faceva vomitare.

Ogni giorno che passava pigramente distesa sui divanetti dell'hotel nella sua nuova vestaglia di seta a fissare il vuoto si diceva che presto il cuore avrebbe smesso di batterle per mancanza di voglia. Si raggomitolava come una gatta altezzosa, sbattendo alle ciglia ai camerieri carini che le passavano di fronte giusto per divertirsi un poco quando arrossivano e tentavano di parlarle, prima di rendersi conto che era la persona più antipatica che si potesse incontrare sulla faccia del pianeta. Non si sarebbe abbassata certo al loro livello solo per uno stupido gioco, anche perchè se Icarus l'avesse scoperta a sedurre dipendenti le avrebbe strappato i capelli ad uno ad uno prima di darle fuoco. Le piaceva quella vestaglia se non altro, sembrava una diva del cinema ubriaca della sua stessa bellezza.

Se qualcuno l'avesse conosciuta avrebbe potuto dire che effettivamente lo  era.

La casa sapeva di nuovo secondo Bethany.
Era azzurra e rotonda, sviluppata su tre piani, col tetto rosso fragola e le finestre bianche. Il parquet era scuro, i mobili nuovi e tolti or ora dalle scatole e dalle vetrine dei negozi. Il suo letto era così morbido da mandarla in allarme, temendo di poterci rimanere intrappolata dentro, ma tuttavia non riusciva a fare a meno di crogiolarsi su di esso, beandosi della sua comodità.

Casa.

Concetto bizzarro. Sensazioni altrettanto bizzarre le solleticavano la nuca quando ci pensava.

> parole: 6243
> prossima pubblicazione: 5 febbraio


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