Jehan; l'indécis
Jehan ne aveva, a detta sua, "le palle piene" dell'idiota.
Aveva sopportato e sopportato nel nome di un amore che, ormai gli era chiaro, non si sarebbe mai trovato a condividere con lui.
Quando Joly era sceso dalle scale mordendosi la mano come faceva sempre quando vedeva qualcosa di scandaloso e non vedeva l'ora di dirlo a tutti, si sarebbe aspettato la qualunque. Ma mai, mai nella sua vita, si sarebbe ritrovato preparato a ciò che fu costretto ad ascoltare.
«Enjolras e Courfeyrac ci stanno dando dentro di brutto!»
Ci fu un momento di silenzio e di incredulità, a Jehan venne istintivo cercare lo sguardo di Grantaire, che a sua volta l'aveva guardato.
«Cioè?» domandò il moro ridendo isterico, dando voce ai pensieri che a Jehan si erano bloccati di traverso.
«Tipo così», gli aveva risposto il biondino prima di intercettare Bossuet, il suo ragazzo, e salirgli sopra a cavalcioni, sovrastandolo e costringendolo a tirare indietro la testa. Quando seppe che tutti lo stavano guardando Joly si avventò sulle labbra di Boss, mimando la scena che aveva visto un minuto prima al piano di sopra.
Bahorel si prodigò in una grassa risata, 'Ferre non riuscì a trattenere un sorriso, anche se con la testa continuava a fare di no. Lui invece rimase paralizzato con lo sguardo fermo sul pavimento.
Vide soltanto 'Ponine che si alzava di corsa in piedi per passargli di fianco e superarlo.
La sentì dire alle proprie spalle "lo so, lo so", e immaginò che stesse cercando di tenere a bada Grantaire.
Non poteva vederlo, ma riusciva a sentirlo ripetere in continuazione le stesse due frasi: "È uno scherzo" e "non ci credo".
Poi un attimo di silenzio, e dall'estremità del suo campo visivo sfrecciò per terra la giacca che Grantaire doveva aver lanciato in preda alla rabbia.
Ora tutti si erano zittiti. Di nuovo.
Ebbe la forza di voltarsi, e vedere Grantaire muoversi come un animale in gabbia avanti e indietro, trattenuto da 'Ponine che gli impediva di prendere le scale, lo convinse a prendere il controllo di se stesso e della situazione.
Si alzò di scatto dal cuscino sul quale era seduto per terra e andò a recuperare la giacca di Grantaire, la spolverò e gliela allungò.
«Usciamo.»
Senza volerlo, la voce gli uscì dalla gola profonda e mascolina com'era soltanto quando davvero andava su tutte le furie.
Ormai era diventata un'abitudine a cui non faceva più caso quell'impostazione inclinata più femminea che dava al suo tono normalmente, un'abitudine che smetteva di controllare quando usciva dai gangheri.
Eppure, come si fosse trattato di un balsamo riparatore, notò l'effetto distensivo che ebbe su Grantaire, perché questo rilassò di colpo le spalle e afferrò la giacca.
Nel silenzio, dal piano di sopra, giunse la risata ovattata di Courfeyrac e un secondo suono simile a un mugolio di piacere.
Joly non aveva mentito.
Adesso gli occhi di tutti erano puntati su loro due, e ancora nessuno osava dire niente.
Cosa ci sarebbe dovuto essere da dire?
Con un agilissimo balzo Jehan scavalcò il divano, si infilò in fretta e furia le scarpe e raccattò tutta la sua roba.
Gli capitò tra le mani il pacchetto di sigarette di Grantaire, che l'altro stava cercando per il salone mentre si rivestiva anche lui, glielo lanciò e quello lo prese al volo, come se stessero comunicando telepaticamente per tagliare la corda il più in fretta possibile.
'Ponine, che si era ritrovata nel mezzo di quei due turbini cordinatissimi, non si mosse per non essere travolta.
Aveva provato ad aprire la bocca per dire qualcosa, a un certo punto, ma 'Ferre alzò una mano e gli fece cenno di non dire nulla. E lei faceva sempre quello che le consigliava di fare Combeferre.
«Adesso mi sbatto tutta Montmartre, ti faccio vedere io», ringhiò Grantaire infilandosi una sigaretta in bocca, poi aprì la porta d'ingresso e permise a Jehan di uscire per primo.
Mentre attraversava l'uscio, vide il moro voltarsi un'ultima volta verso l'amica e abbaiare: «Guai a te se dici dove cazzo sono.».
Quindi si chiuse la porta alle spalle e si fermò un secondo per accendersi la sigaretta, Jehan era a braccia conserte a pochi passi da lui.
Sospirarono in sincro.
Grantaire gli si avvicinò quanto bastava per prendergli la testa e lasciargli un lungo bacio sulla fronte.
«Ti direi di scopare io e te, ma tu hai bisogno di Montparnasse e io di uno sconosciuto a caso.»
Ovvio che lo aveva pensato, e sentirlo dire da Grantaire lo convinse ancora di più che era la cosa che avrebbe voluto fare, andare da Montparnasse.
Si sentì un verme.
'Parnasse avrebbe dovuto sbattergli la porta in faccia, riempirlo di botte come faceva con chiunque gli mancasse si rispetto.
Sentiva di meritarlo.
Non ebbe nemmeno il coraggio di scrivergli; sarebbe rimasto fuori dalla sua porta come un randagio, piuttosto che scrivergli e farlo sentire come la sua puttana.
Grantaire gli offrì un passaggio fino a casa di 'Parnasse con una di quelle oscene macchine a pagamento.
Quando furono nel cubicolo, Jehan si tirò le ginocchia al petto e scoppiò a piangere lì, su quel sedile che puzzava di estranei.
La mano di Grantaire arrivò subito a dargli conforto, infilandosi tra i suoi capelli e accarezzandogli le orecchie bollenti.
«Altro che Apollo, è una vipera!» lo sentì sibilare più e più volte, mentre sfrecciava sulla strada deserta mettendo più metri possibile tra loro e la casa gialla in pochissimo tempo.
Nonostante il serpente fosse effettivamente una delle tante facce che usava Apollo per materializzarsi sulla Terra, in cuor suo Jehan non se la sentì di condannare 'Ras.
Enjolras gli voleva bene, Enjolras era retto e pio, e soprattutto Enjolras conosceva la matrice dei suoi sentimenti per Courfeyrac; non lo avrebbe mai tradito.
Era tutta colpa dell'idiota. Se lo sentiva.
La risatina che avevano udito era indubbiamente quella di Courf; gliel'aveva sentita sfoderare più e più volte per far capitolare le sue vittime nei locali che frequentavano.
Per qualche motivo doveva essersi messo in testa di concupire Enjolras, e ci era riuscito.
Ma Grantaire non era dello stesso avviso, per lui il vero burattinaio di quello schifo era Enjolras, e Jehan capì presto che a parlarne con lui non ne avrebbe cavato un ragno dal buco.
Sbuffò facendo vibrare le labbra e controllò il suo stato dallo specchietto del passeggero. Mentre si asciugava le lacrime passandosi i pollici sotto agli occhi, Grantaire catturò la sua mano e vi lasciò un bacio sul dorso premendola poi sulla propria guancia.
Il biondo non riuscì a trattenersi dallo sciogliersi per la tenerezza di quel gesto, e gli sorrise amaro, con la punta del naso rossa e le ultime lacrime che crollarono sulle guance dagli angoli esterni degli occhi.
«Cazzo, perché non vede quanto sarebbe fortunato ad averti?»
Parlava di Enjolras, chiaramente. Perché Jehan conosceva Grantaire, sapeva che se la sarebbe legata al dito, che si sarebbe vendicato dieci volte tanto, ma ci avrebbe messo la mano sul fuoco senza il minimo timore che se Enjolras avesse fischiato, Grantaire sarebbe apparso correndo, da bravo Lessie.
Da quando lo aveva conosciuto, non lo aveva mai visto tanto perso per qualcuno come lo era per 'Ras, nonostante fosse un sentire nato da pochissimo tempo.
«Non mi avrà.»
"Se non ti avrà è perché non lo vuole lui, non tu", pensò. Ma lo tenne per sé.
Soprattutto perché la sua era una posizione scomoda, e ogni frase piccata che avrebbe potuto dire al moro, poteva tranquillamente essere una cartina tornasole per lui.
Perché erano entrambi innamorati, e maledì quel giorno.
Lo ricordava chiaramente come fosse avvenuto tutto quello stesso pomeriggio; Jehan aveva supplicato Enjolras di farlo vivere con lui, perché non ne poteva più di rimanere nella gabbia d'oro dei suoi genitori.
Aveva dovuto insistere parecchio, ma Enjolras non era abituato a dirgli di no. Da quando erano piccoli, 'Ras lo aveva sempre compiaciuto, protetto, ed era sempre stato accondiscendente in quel modo galante e tutto suo di fare ogni cosa. Jehan era rimasto affascinato da quella sua capacità ultraterrena di rendere sempre felici tutti, di mettere sempre d'accordo tutti.
E quindi si era ritrovato a casa con il gruppo, alcuni li conosceva già, altri no.
Ma Courfeyrac non c'era.
Il maledetto si era preparato la sua entrata scenica. Si era assicurato un bell'occhio di bue puntato addosso.
Al tempo, aveva una moto, e la storia potrebbe anche chiudersi qui. Perché a conoscere Courfeyrac chiunque potrebbe immaginarsi il tipo di entrata.
Il motore rombava da diversi metri prima che arrivasse davanti alla porta di casa, loro erano fuori a svuotare il catorcio di Bossuet dalle valigie di Jehan quando la moto impennò montando sopra il marciapiede con un sobbalzo per poi sgommare di lato, sullo sterrato accanto a loro.
Ovviamente non era solo, aggrappata a lui c'era un'altra amazzone dai lunghi capelli rossicci che sbucavano da sotto il casco.
Nessuno dei due disse una parola, come fossero troppo al di sopra rispetto a tutti loro anche solo per presentarsi.
Courfeyrac smontò dalla sella con l'agilità di un cowboy e si slacciò il colletto della giacca da motociclistica nera e rossa, sciogliendosi le spalle mentre gli andava incontro. Non gli aveva nemmeno fatto il favore di togliersi il casco integrale per farsi guardare.
La dea che era rimasta ad aspettarlo seduta si allungò verso di lui riacchiappandolo dalla spalla per passargli una piccola bustina blu che, evidentemente, si era già scordato.
A ripensarci adesso non si sorprendeva, Courf si era presentato come il perfetto idiota che è fin da subito.
Dondolando appena la bustina blu, Courf si era parato proprio davanti a lui, ma Jehan non aveva distolto neanche per un istante lo sguardo dall'ondeggiare di quella vita stretta, fasciata perfettamente dai pantaloni scuri e la cintura in pelle.
«Per te», gli disse, ancora senza disfarsi del casco, «starai in camera mia, ma puoi metterla dove vuoi, davvero!»
Poi indietreggiò alzandogli entrambi i pollici e sparì come era comparso, con i cavalli della sua moto che ruggivano sotto la sua guida ipnotica.
Guardò nella busta: era un cactus.
Lui conosceva il significato delle piante, e il cactus simboleggia l'amore eterno.
Senza saperlo, Courfeyrac aveva predetto il futuro e l'aveva crocifisso a un destino che Jehan non aveva mai effettivamente scelto.
Per questo continuava a comprare piccoli cactus e altre piantine simili: erano il suo modo di ricordargli silenziosamente che l'avrebbe sempre amato.
Il cretino non ci era mai arrivato.
Grantaire lo lasciò davanti casa di Montparnasse, ma all'interno tutte le luci erano spente.
«Gli hai detto che stavi venendo qui?» gli domandò il moro, volendosi accertare di lasciarlo in un posto sicuro.
«Certo», mentì.
Voleva soltanto stare in un posto che sapesse di Montparnasse, o che fosse nei suoi paraggi. Non gli importava di rimanere da solo su un portico.
Prima di scendere e richiudere lo sportello, Jehan afferrò il cellulare che gli vibrava nella tasca.
Lo schermo era quasi del tutto occupato dalla scritta "Courfeyrac" con l'emoji di una margherita.
«Non rispondergli», gli disse 'Taire ingranando la prima senza nemmeno guardarlo.
Jehan fece scorrere il pollice sullo schermo verso il basso e lasciò cadere quella chiamata nel vuoto.
Dieci minuti dopo ebbe la conferma che Montparnasse non era a casa; tirò un sospiro di sollievo.
Gli dispiaceva, sia chiaro, ma per avere un corpo tanto minuto conteneva un'eccessiva quantità di dignità e orgoglio, e farsi vedere bisognoso come un cane randagio per un attimo gli sembrò troppo da sopportare.
Essere costretto ad aspettare, però, lo costrinse anche a pensare, lungi da lui il volerlo.
Perché quel bacio era stato un detonatore tanto forte da farli scattare in quel modo spropositato? Si domandò se anche Grantaire si sarebbe posto la stessa domanda, ma era ovvio che no. Grantaire non conosceva 'Ras e Courf come li conosceva lui.
Non c'era niente tra loro, ora che l'aria fresca gli raffreddava i pensieri surriscaldati, poteva vederlo.
Ma continuava a chiedersi con quale titolo avevano fatto una scenata simile, cosa avesse mai dato loro la speranza che quei due gli appartenessero. Niente gli dava quell'esclusiva.
Si sentì patetico.
Si disse anche che era piccolo, che poteva permetterselo, e si rimise subito l'anima in pace.
A lui non andava bene e basta che le labbra di Courfeyrac toccassero quelle di qualcun altro. Capitolo chiuso.
Un motore urlò come un mostro marino in lontananza, e Jehan si premette le tempie.
Non era il rumore a dargli fastidio, ma la consapevolezza che si trattasse di Montparnasse sulla sua cazzo di moto.
Proprio un momento dopo che aveva smesso di pensare a Courfeyrac che impennava con la sua davanti a casa loro, ecco che avrebbe dovuto digerire la visione di Montparnasse sulla propria.
C'era da stupirsi? Jehan, come Persefone, era due persone in una: la fanciulla e il demone.
Allo stesso modo, le due anime che ghermivano il suo cuore erano due facce della stessa medaglia. Uno baciato dal sole, l'altro una visione fumosa nella notte. Uno aperto, pulito, trasparente fino all'eccesso, l'altro introspettivo, schivo e torbido da averne paura. Schierarsi per uno o per l'altro a Jehan sembrava un delitto.
Significava rinunciare a metà di se stesso.
Montparnasse spense la moto e smontò dalla sella facendo aprire sul petto la camicia bianca che teneva sbottonata quasi fino all'ombelico. Jehan dovette premersi le dita sugli occhi, esasperato.
Tutto quello non era valido.
Montparnasse si sfilò il casco tirandosi indietro i capelli neri e gli andò incontro a braccia aperte: «Che ci fai qui?».
Non lo chiese con quel tono accusatorio che usava sempre con lui, la sua era un'inclinazione preoccupata, e fu come se quell'intonazione andasse a toccare proprio la corda che Jehan stava tentando di evitare.
Prima che il cervello potesse formulare il pensiero e fargli sapere che era una pessima idea, gli stava già correndo incontro.
Quando raggiunse l'incavo rincuorante del suo collo profumato, si sentì inaspettatamente sollevare, ed ecco che Montparnasse lo stava prendendo in braccio per portarlo dentro.
Non disse una parola.
Sentiva soltanto il suo respiro leggermente affaticato contro l'orecchio.
Anche a occhi chiusi poteva riconoscere dai movimenti di 'Parnasse la planimetria della sua casa, dunque quando quello lo lasciò seduto sul letto non ne fu sorpreso.
Il maggiore si accucciò proprio tra le sue gambe, sistemandogli i capelli scompigliati.
Quegli occhi di ghiaccio non facevano nessuna domanda, figurarsi la sua bocca.
Era serrata.
«Non sono qui per il sesso», si giustificò Jehan come ce ne fosse stato bisogno. Le sopracciglia dell'altro infatti scattarono verso l'alto, incredule.
«Ci credo, non sono la tua puttana», sottolineò, «e oggi ne ho davvero poca voglia.»
Si sentì stupido; nel tentativo di non farlo sentire usato soltanto per uno scopo, aveva finito col sottolinearlo e farlo sentire proprio in quel modo. Forse non era poi così diverso da Courfeyrac, che sceglieva sempre la cosa più sbagliata da dire.
Eppure, per qualche ragione, Montparnasse sembrava poco propenso al litigio e particolarmente diplomatico, quella sera.
«Mi mancava il tuo profumo.»
Montparnasse rise sommesso, deridendolo scherzosamente.
«Io non ho un profumo.»
Jehan si sporse quanto bastava per allacciargli le braccia al collo, mollemente, quindi sfregò il naso contro quella giugulare tatuata.
«È rimasta ancora una traccia della tua colonia, poi sigarette, ovviamente, e credo tu abbia fatto il bagno nel whiskey.»
Quella che era nata come una coccola innocente, divenne presto qualcos'altro quando, attirato da quell'odore tanto invitante, Jehan si era ritrovato a schiudere le labbra umettando quella pelle sottile che subito spedì alle spalle di 'Parnasse una serie di brividi.
Montparnasse, comunque, non era un idiota come lui. O almeno su quell'aspetto. Perché ogni volta che il maggiore finiva con il guardarlo in quel modo tanto languido, dentro di sé si chiedeva se fosse scemo.
Si ripeteva che se Courfeyrac lo avesse mai trattato come lui trattava Montparnasse, lo avrebbe lasciato più che a bocca asciutta.
Eppure, nel fare quello, chi ci perdeva davvero? Insomma, Montparnasse aveva la persona che amava lì, cedevole fra le sue braccia. Lì che non vedeva l'ora di essere baciata. Per quale motivo avrebbe dovuto rifiutarlo per uno stupido moto di orgoglio?
Ringraziò Dio che 'Parnasse quella sera non sembrasse neanche in vena di fare il duro e il difficile, infatti senza dire una parola gli catturò il viso tra le mani e raggiunse con un soffio le sue labbra con le proprie.
E lì, Jehan, ebbe una rivelazione. Una di quelle cose che si hanno sotto al naso tutto il giorno e non vengono viste, quelle verità che si danno per scontate come i mobili quando ci si muove per casa facendo slalom.
Jehan realizzò che sì, si sarebbe davvero potuto innamorare di Montparnasse.
Anche con Courfeyrac in mezzo.
Non era la rabbia, la frustrazione o la solitudine a farglielo credere, ma proprio la genuinità del sul tocco.
Montparnasse non si era mai cosparso di miele per attirarlo a sé come una carta moschicida, anzi, molto spesso era avvenuto il contrario. 'Parnasse semplicemente c'era per lui, sapeva quando aveva bisogno di qualcosa e glielo dava, senza provare a convincerlo, senza farsi pubblicità. Glielo dava come se gli fosse dovuto, come se fosse già suo.
Ora si trattava di quel bacio, che era arrivato come acqua fresca su una bruciatura.
E infatti il biondo si ritrovò a mugolare mentre si sdraiava e tirava 'Parnasse giù con sé, le cui mani diventavano via via più affamate mentre si arrampicavano dai suoi fianchi su verso il collo. Quando Montparnasse interruppe per un attimo quel bacio per poter guardare proprio quella gola mentre gliela stringeva con una mano, a Jehan fu chiaro quanto le sue intenzioni fossero cambiate.
«Avevi detto che ne hai "davvero poca voglia", o sbaglio?», gli fece il verso simulando la sua faccia imbronciata.
Nel frattempo l'altro aveva spostato la sua attenzione sempre più giù, lungo il suo corpo, fino a ritrovarsi con le sue gambe sulle spalle a guardarlo da oltre il bordo del letto.
«Infatti. Non ho mai detto di non averne per niente.»
Jehan ridacchiò, poi sbatté i denti gli uni contro gli altri in sua direzione, mordendo l'aria.
Montparnasse riusciva sempre a ripescarlo dai buchi neri in cui si infilava, era come se li navigasse e li conoscesse meglio di lui.
Era un jehanauta.
Nel momento meno opportuno, però, in quel luogo che apparteneva solo a loro come l'Ade, proruppe a un certo punto un suono che non sarebbe dovuto esistere. Non lì.
La voce di qualcuno che non rispettava alcuno spazio e alcun confine, la voce di qualcuno che si spingeva oltre le soglie degli altri soltanto per compiacere se stesso e i propri bisogni, esattamente come stava facendo in quel momento.
Era la voce di Courfeyrac che lo chiamava dalla strada.
Quando lo guardò, la faccia che aveva assunto Montparnasse era quella terribile e minacciosa maschera che usava con i nemici che voleva abbattere.
Lo vide alzarsi di scatto, girare intorno al letto, afferrare un borsone da per terra ed estrarne una mazza da baseball. Quindi, come un tornado, andò giù verso la porta.
Jehan si prese un secondo soltanto per capire cosa diavolo stesse succedendo, poi il suo corpo rispose al richiamo di quell'emergenza prima che riuscisse ad attivare il cervello.
Si ritrovò a correre sulla scia di Montparnasse, e mentre voltava l'ultimo angolo lo sentì aprire la porta e poi la zanzariera con un calcio.
«Come cazzo ti permetti a venire a casa mia?» non aveva ancora mai sentito Montparnasse ringhiare con una simile rabbia davanti a lui, stava sempre ben accorto a non fargli vedere il peggio di sé. E non perché volesse nasconderglielo, ovviamente, ma perché significava mettere in pericolo anche lui come effetto collaterale.
Evidentemente, però, non considerava Courfeyrac un pericolo per nessuno dei due.
Jehan superò con un salto l'uscio della porta e si ritrovò a pochi metri da Courfeyrac, che con la fronte madida di sudore e le mani sulle ginocchia boccheggiava completamente rosso in viso.
«Jehan», prese fiato, «te lo giuro», prese fiato di nuovo, «quel bacio non significava niente.»
Era andato lì per dirgli questo?
Non lo aveva mai fatto prima. Non aveva mai interrotto nessuna delle sue effusioni per andare da lui a riprenderlo.
Se aveva interrotto con 'Ras, magari non lo voleva sul serio.
O forse, più semplicemente, non gli era piaciuto abbastanza da concludere.
Montparnasse lo guardò con un sopracciglio alzato, interrogativo.
«Ha baciato 'Ras», gli rispose lui sbrigativo, facendo svolazzare una mano accanto al viso come per allontanare da sé quelle parole e quel pensiero.
'Parnasse non riuscì proprio a trattenersi dal ridere: «Hai veramente coraggio, barboncino.».
Sì, Courfeyrac era una delle persone più coraggiose che conoscesse. Era come se vivesse in un videogioco e non temesse il permadeath.
Glielo dimostrò anche in quello specifico momento, perché nel tentativo di difendere chissà quale orgoglio, lo vide andare incontro a Montparnasse a braccia aperte, disarmato. Davanti a un 'Parnasse che impugnava una mazza, che era abbastanza incazzato da usarla e che effettivamente non vedeva l'ora di sfigurargli quel faccino da bambola.
Nel giro di due secondi si ritrovò a infilarsi tra di loro; odiava scene del genere persino in Braccio Di Ferro, ma era davvero convinto che il cuore impavido di Courf quella sera gli avrebbe fatto perdere un occhio.
Come se lo avesse previsto, Courfeyrac ne approfittò per tirarlo a sé e rimettere alcuni metri tra loro e Montparnasse.
Era furbo ed era svelto, e Jehan sentiva che lo avrebbe incastrato di nuovo se avesse continuato ad ascoltarlo.
Perché adesso l'idiota gli aveva preso le mani e se le era messe sul petto, si era abbassato verso di lui per specchiarsi nei suoi occhi e gli parlava soffice.
«'Ras mi ha soltanto chiesto un favore.»
Non aveva la minima intenzione di ascoltarlo, ma Dio se era bello.
Si concentrò su quelle onde castane perfettamente arricciate che adesso gli stavano incollate sulla fronte, seguì la scia che una gocciolina di sudore stava tracciando dalla tempia allo zigomo e infine alla mandibola così divinamente collaudata.
«Andiamo, a chi altri poteva chiedere una cosa del genere?» continuò.
Ogni tanto Jehan si risintonizzava con la realtà e percepiva alcune delle sue parole, ma per la maggior parte del tempo riusciva soltanto a pensare a come potesse essere bello entrare dentro quelle labbra morbide, aggrapparsi a quella vita stretta, mentre se lo faceva di brutto. A quanto potessero stringerlo forte quelle braccia piene di muscoli.
Un attimo dopo quelle stesse braccia lo avevano attirato a sé in un abbraccio dal quale si divincolò non appena venne investito dal suo profumo.
Un profumo così diverso da quello di Montparnasse, da fargli impressione.
Un profumo dolce, seducente, mieloso come la carta moschicida che 'Parnasse non era.
Courf invece sì.
E prima di finirci incollato, si allontanò subito.
Tornò alla sua roccaforte, dietro le spalle di 'Parnasse, che per tutto quel tempo non aveva mosso un dito, lasciandogli tutta la libertà di scegliere che passi fare per tornare da lui.
Perché sapeva che sarebbe tornato.
Per un attimo si sentì preso in giro da entrambi. Facevano tra di loro la guerra degli opposti e sembrava volessero dimostrarsi l'un l'altro quale fosse la strategia che avrebbe avuto la meglio con lui.
Stava per incazzarsi, ma qualcos'altro di inaspettato girò l'angolo apparendo dal nulla.
Uno degli zingari del gruppo di Montparnasse si ritagliò fuori dal buio barcollando, e rivelando una faccia grondante di sangue che gli scendeva da un taglio sulla fronte e uno sulla guancia.
«Claquesous?» lo chiamò incerto Montparnasse, e quello alzò una mano e sputò per terra.
Probabilmente rispondeva così anche all'appello fatto a scuola.
«Ci hanno tolto la corrente, al campo» iniziò a spiegare quando fu abbastanza vicino perché Montparnasse lo sentisse, «per tenerci sotto controllo.»
Jehan e Courfeyrac si scambiarono un'occhiata veloce, all'improvviso erano stati tagliati fuori e adesso anche lui si sentiva a disagio, come non dovesse trovarsi lì.
«Chi ti ha ridotto così?»
Lo zingaro sorrise buttando la testa all'indietro e mostrando i denti macchiati di rosso.
«La polizia. Ce la sta facendo pagare.»
Montparnasse si voltò verso di loro. Li guardò entrambi ma parlò soltanto con Jehan.
«Rimanete qui, non spostatevi», puntò il dito verso Courfeyrac, «quando torno voglio trovare qui anche te.»
Per quanto dal tono potesse sembrare una minaccia, Jehan sapeva benissimo che glielo aveva detto per proteggerli.
Si voltò verso l'idiota per accertarsi che avesse ricevuto il messaggio e lo vide scrivere velocemente qualcosa al telefono. Fu certo che avesse avvisato Enjolras.
Un attimo dopo Montparnasse era salito in sella alla propria moto con quel mezzo cadavere seduto dietro, e sparì tra gli incroci a una velocità preoccupante.
Jehan si accorse che il silenzio tra loro due, rimasti immobili lì fuori, sarebbe stato imbarazzante quando il rombo del motore non fu più a portata d'orecchio.
«Mi manca la moto.»
Se pensava che il cretino avrebbe osservato quel voto di silenzio, beh, si sbagliava.
Si spalmò una mano in faccia e fece dietrofront per tornare dentro casa, facendogli cenno di seguirlo come fosse stato l'effettivo padrone di quell'abitazione.
«Credo che Monty intendesse di aspettarlo dentro» gli disse soltanto, aspettando che lo raggiungesse.
E lì ebbe l'ennesima epifania di quella serata. L'ennesima rivelazione.
Li aveva sempre frequentati separatamente, pensati separatamente, ma ora che Courfeyrac gli passò davanti inondandolo con il miasma dolciastro del suo profumo, realizzò quanto stesse bene in accordo con il profumo di Montparnasse.
Quanto fosse allettante l'idea di averli entrambi.
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