2.14 Courfeyrac; le désarmé (🌶)
Intercorse un silenzio che sapeva di anni.
Quel nastro d'aria che il vento faceva scivolare nello spazio che separava le loro bocche, sembrava un muro di mattoni. Un muro invalicabile.
In quel brevissimo tratto, Courfeyrac vedeva una distanza scoraggiante.
Vicini ma distanti, come Dicembre e Gennaio.
E nell'esitazione di Montparnasse, lui ci vedeva un'occasione da cogliere a mani piene.
«Non voglio farlo.»
Montparnasse gli rispose in ritardo, quasi con il fiatone.
«Lo stai già facendo.»
Courfeyrac inclinò la testa, avvicinandosi poco più di un millimetro.
Spostò l'attenzione sul piacere che gli dava sentire la sua mano muoversi lì, sul suo fianco.
Perché se avesse continuato a concentrarsi sul profumo che saliva caldo e pieno dal collo di Montparnasse, non sarebbe riuscito a controllarsi. Era impossibile.
«Ma non voglio.»
"Quanto ancora vogliamo mandare avanti questo circo?" pensò. Ma ovviamente non disse niente.
Courfeyrac sorrise e scosse lievemente la testa. Il riccio impertinente gli ricadde sugli occhi frapponendosi ai loro sguardi.
Gli parve di vederlo allungare il naso come per accarezzare quella ciocca, o per sentirne l'odore.
«Non è vero» rincarò la dose. Il sorriso di prima ancora lì, insieme alle fossette.
Poi Courfeyrac allungò il collo e gli rubò un bacio.
Niente di ché.
Uno stupido timbro per tastare il terreno. Per capire se aveva ragione o se gli sarebbe arrivato subito un montante sul mento.
Sentì gli occhi ghiacciati di Montparnasse puntarsi nei suoi, e vi scorse dentro un maremoto di opposti. Gli sembrò rabbioso, rammaricato, ferito. Perplesso.
Bramoso.
Lo sentiva nel suono del suo respiro. Il lento e lontano agitarsi delle acque.
Sentinella dell'arrivo di un'onda anomala, il respiro di Montparnasse si caricò di desiderio. Poteva vederlo. Poteva sentirlo crescere dentro il suo petto e gonfiarlo. Come acqua in una camera stagna.
E quando la pressione diventò eccessiva, tutti i cardini cedettero.
Ogni altro sentimento annegò.
E Courfeyrac era lì, offerto su un piatto d'argento come un sacrificio.
La mano di Montparnasse salì dal suo fianco ad afferrargli il viso come volesse staccarglielo. Lo tirò a sé tanto forte che Courf pensò volesse attraversargli la testa.
Quindi, con la carica di un mastino sulla preda, Montparnasse assalì le sue labbra.
Un bacio senza regole e senza premesse; i denti cozzarono, i respiri si mescolarono strozzati, le lingue non sapevano che direzione prendere.
Con un colpo di reni, Montparnasse si rimise seduto e tornò a sovrastarlo in altezza. Courfeyrac fu incredibilmente felice di questo; aveva adorato già una volta sentirsi guidato, farsi più piccolo tra le sue braccia. E l'avrebbe adorato anche la seconda.
Montparnasse, infatti, lo inchiodò tra sé e il manubrio della moto. Con una mano lo teneva fermo dal collo e l'altra, finalmente libera di muoversi anche lei, si arpionò di nuovo al suo fianco. Ferma. Audace.
Quando Courfeyrac sollevò una gamba poggiando il piede sul pedale posteriore della moto, Montparnasse si accomodò ancora più verso di lui.
Dio. Averlo addosso in quel modo gli faceva girare la testa.
Chissà se quel momento sarebbe valso per Montparnasse quei duemila euro perduti.
Per lui ne valeva diecimila.
La mano di 'Parnasse scese sulla sua gamba e, favorita da quella posizione, si fermò sulla sua natica. Courfeyrac portò le sue ai lati del viso altrui per staccarlo da sé quanto bastava da permettergli di parlare.
«Stringi.» Sentì le labbra dell'altro stirarsi in quel suo sorriso malefico.
«Che parte?»
Aveva entrambe le mani piene.
Ora era lui a sorridere.
«Sorprendimi.»
Ormai era il terzo o quarto imperativo che utilizzava con lui. Montparnasse aveva eseguito ogni ordine che lui gli aveva impartito.
Si sentì in una posizione di potere, qualcosa certamente non facile da ottenere con Monty. Ma lui aveva osato e, si sa, "chi non risica non rosica."
Come una tenaglia, le dita di Montparnasse si serrarono intorno alla gola.
In un secondo Courf sentì la testa leggera, la pressione minacciava di fargli saltare fuori gli occhi.
Una sensazione terribile e bellissima.
Per la sorpresa, Courfeyrac schiuse le labbra e gli occhi di Montparnasse si rabbuiarono nuovamente.
Forse, ricordandosi di odiarlo, pensò che sputargli in bocca il suo veleno fosse la cosa giusta da fare.
E così fece.
Gli sputò in bocca. Quindi allentò la presa sulla gola per permettergli di ingoiare.
"Come non detto."
Che idiota era stato a pensare di essere al timone.
Del resto, non era forse lì per quello? Gli piaceva come Montparnasse lo gestiva, come lo muoveva. Come lo puniva.
Quando tornò su quelle labbra, con la sua lingua a riempirgli la bocca, Courfeyrac comprese perché Jehan andava da lui quando era arrabbiato.
Perché il fuoco di Montparnasse sapeva domare e divorare qualsiasi altro tipo di incendio.
Se ne faceva carico lui, e bruciava al posto loro.
Un esorcismo che creava dipendenza.
«Portami a casa tua» gli propose, scendendo languido sul suo collo per leccare via quel tatuaggio.
Montparnasse si bloccò.
In un istante tornò a essere ferro freddo.
Percepì la sua mano scivolare nella tasca della giacca e risbucare poco dopo.
Quindi, qualcosa di veramente freddo gli sfiorò il collo.
Courfeyrac si ritirò lentamente, senza staccare gli occhi dai suoi. La lama del coltello premuta lì dove poco prima c'erano le sue dita.
Quel coltello, alla fine, aveva trovato il coraggio di puntarlo contro di lui.
Il cervello veloce di Courfeyrac ricominciò a girare. A ragionare in quel modo tutto suo.
«Sai già che non lo faresti mai.»
«Mi fai schifo.» Montparnasse avvicinò il viso al suo, riempiendo il suo campo visivo, «E le cose che mi fanno schifo, io le schiaccio.»
Può capitare che quando si ha paura il cervello attivi la reazione chimica inversa. Si può ridere per la paura.
Courfeyrac rise.
"Non sembrava ti facessi schifo", avrebbe voluto dire. Ma perché farlo? Non ce n'era davvero bisogno. Era fin troppo lampante.
Smontò il piede dal pedale, staccò lentamente la schiena dal manubrio, e senza spostare gli occhi dai suoi, sgusciò via da quel piccolo spazio che Montparnasse aveva ritagliato per lui con il corpo.
Il coltello era ancora lì, ma non affondò mai. Lo seguì finché non fu troppo lontano, e soltanto allora Courfeyrac gli diede le spalle.
Nessuno gli aveva dato la certezza che Montparnasse non glielo avrebbe piantato tra le scapole, ma non gli importava.
Si passò una manica a pulire l'angolo della bocca e infilò l'altra mano nella tasca della giacca di pelle.
Il motore della moto dietro di lui ruggì, e quando raggiunse il proprio casco e si chinò per raccoglierlo, Montparnasse gli sfrecciò a pochissimi centimetri dalla testa. Spaccandogli i timpani.
Quando si rialzò lo vide allontanarsi sempre più velocemente. Il medio puntato in alto, rivolto a lui.
Non sarebbe tornato indietro, e neanche lui.
Per tornare indietro era decisamente troppo tardi.
Il problema, per Courfeyrac, sembrava essere proprio casa sua.
Quando tornò e varcò quella porta, infatti, il senso di voragine e di vuoto sotto ai piedi lo ingoiò.
Le luci spente non fecero che rendere ancora più reale quella sensazione.
Abbandonò il casco sul divano e ci lasciò cadere le chiavi dentro. Poi, al buio, prese la strada di camera sua.
Di camera loro.
Ormai conosceva a memoria ogni spigolo, ogni rientranza e ogni sporgenza, da riuscire a muoversi agilmente nell'oscurità.
Quando aprì la porta della camera, Jehan era nel letto. Sveglio.
La luce blu del telefono a illuminargli la faccia.
Il biondino non gli disse assolutamente nulla, ma seguì ogni suo movimento. Anche quando si spogliò lì, senza vergogna alcuna, ai piedi del proprio letto. Poi si infilò sotto il lenzuolo così, con solo i boxer addosso.
Qualora avesse avuto freddo, sarebbe stato quello il pegno da pagare per le sue azioni sconsiderate.
Si rigirò verso il muro, e un minuto dopo sentì Jehan scivolare fuori dal proprio letto.
Non ebbe il coraggio di guardare cosa stesse facendo, ma lo sentì armeggiare sulla sua scrivania.
Silenzio.
Poi qualcosa di poco pesante affondò nel suo materasso, e soltanto allora gettò uno sguardo oltre la sua spalla.
«Guarda», Jehan era seduto sul bordo del letto e teneva sulle ginocchia il suo vaso di gerbere, «anche Betty alla fine è sbocciata. Non credevamo l'avrebbe fatto! Ci ha messo un po', ma alla fine ci è riuscita.»
Il cuore gli crepò nel petto.
L'acqua che poco tempo prima aveva visto salire e inondare il corpo di Montparnasse, adesso minacciava di inondare il suo.
Ma lui voleva piangere. Voleva esondare.
Si mise seduto e scattò verso il più piccolo, abbracciandolo come forse soltanto un altro paio di volte aveva fatto.
La piccola porzione di pelle dietro il suo l'orecchio profumava di cuscino. Di sonno. Di casa.
Jehan era casa sua.
Ecco perché adesso si sentiva male quando rientrava. Perché aveva tradito Jehan.
«Ho baciato di nuovo Montparnasse.» confessò.
La voce per un pelo non gli morì in gola.
Sentì Jehan sospirare e riempirsi i polmoni d'aria come un drago, dunque riattaccò prima che potesse dire la qualunque.
«È stata colpa mia! L'ho cercato io, l'ho voluto io, l'ho baciato io. Si potrebbe quasi dire che ho abusato di lui.»
Sentì Jehan ridacchiare.
L'ultimo suono al mondo che si sarebbe aspettato di sentire.
Con le mani chiuse sulle sue spalle, si allontanò per guardarlo in faccia. Illuminato dalla luna che filtrava dalla finestra, Jehan stava davvero sorridendo.
Soltanto un leggero velo d'amarezza lo schermava.
«Lo so già, Courf. Monty me l'ha detto.»
Dunque il ragazzino sollevò il telefono e gli mostrò gli ultimi messaggi.
"Ho baciato il cretino. Non so perché l'ho fatto, non chiedermelo. Le sue labbra non cancelleranno mai le tue, quindi non crederlo.
Ti amo ancora. Ti amo sempre.
P.S. l'ho fatto io, non sbudellarlo."
Quello davvero non se lo aspettava.
Jehan tolse il telefono e scosse la testa.
Non li aveva letti tutti, ma c'erano altri messaggi di Monty, prima di quello.
Jehan non aveva mai risposto.
Lo aveva ferito, di nuovo. E aveva ferito anche Montparnasse, costringendolo a scusarsi contro un muro di gomma per qualcosa che aveva fatto lui.
«Ti giuro che sono stato io! Mi ha anche puntato un coltello alla gola per mandarmi via.»
Di nuovo, Jehan rise.
«Sì, all'inizio Monty è un po' spinoso.»
Un po'.
Un po' spinoso.
Jehan sbuffò.
«Vi difendete a vicenda come due cretini», riprese, «e mi fate sembrare un cazzo di mostro di cui avere paura.»
«Io ho solo paura di perderti.»
Quel pensiero gli scivolò sulla lingua troppo velocemente per impedirgli di diventare verbo.
Jehan gli accarezzò il viso con una dolcezza che cancellò tutta la brutalità di quella serata. Poi, poggiò Betty per terra e si sistemò a gambe incrociate verso Courf.
«Senti, io amo infinitamente tanto te, e amo anche lui. Ho bisogno di lui.» Jehan prese fiato e puntò lo sguardo in basso, «Se mi chiedeste di scegliere, ne morirei.»
Lo ammise come se gli stesse consegnando l'unica arma in grado di ucciderlo.
«Devo solo capire come conviverci.»
Courfeyrac, lo sapeva bene, non avrebbe mai usato quell'arma per colpirlo. Conosceva e custodiva gelosamente ogni piccolo vizio e ogni abitudine di Jehan. I suoi tic, il suo modo di legarsi i capelli prima di dormire, il modo in cui si grattava, persino. Erano cose troppo preziose, e se lo avesse perso, la sua lista delle cose belle nel mondo si sarebbe accorciata considerevolmente.
Ma Montparnasse era il mondo inesplorato. Il mare aperto.
Ogni suo gesto, per lui era nuovo. Lo sorprendeva. Lo voleva scoprire. Voleva viaggiare per quel mondo sconosciuto e condurre esperimenti e ricerche su di lui, come su Marte.
Per adesso, almeno per adesso, aveva bisogno di averli entrambi.
Non c'è viaggio senza ritorno a casa. Non c'è volo senza un nido.
Lui aveva trovato i propri, ed era con loro e soltanto con loro che voleva sperimentare l'amore.
Per adesso.
Con la testa che ronzava ancora terribilmente, Courfeyrac crollò sul cuscino come un sasso. Al suo risveglio, Jehan non c'era.
Per un attimo scattò sul cuscino, cercandolo negli angoli della stanza e del soffitto come si fosse trattato di un uccellino scappato dalla gabbia. Si domandò se Persefone fosse tornata da Ade. Se Ermes l'avesse nuovamente accompagnata dal dio.
Lui, con le parole che aveva scelto di usare la notte prima, poteva averlo effettivamente fatto.
Poi si ricordò: la scuola.
Che coglione.
L'aroma del caffè e il lieve parlottare di 'Ras al piano di sotto, lo convinsero a trascinarsi fuori dal letto.
Avrebbe fatto colazione, poi chissà. Forse sarebbe andato in università, o forse no. Sarebbe potuto rimanere a casa, o decidere di farsi il bagno nella Senna.
Il suo cervello non dava quasi mai suggerimenti o indizi su come intendeva gestire il suo corpo, ormai lo sapeva bene.
Si mise addosso i pantaloni di una tuta e la camicia aperta del pigiama. Scese le scale scalzo, sistemandosi il colletto di raso che nella fretta dei suoi movimenti era rimasto piegato all'indentro. Entrò nella cucina nel bel mezzo di uno sbadiglio, con gli occhi chiusi, e superò 'Ras che se ne stava tutto concentrato in piedi davanti al tavolo.
Non diede la minima attenzione a ciò che stava osservando, ma riuscì a notare con la coda dell'occhio la sagoma sfumata di Combeferre seduto sul divano dall'altro lato. Non si girò, ma sapeva lo stesse osservando. Era riuscito a percepire il repentino scatto della sua testa verso di lui, nel momento in cui era comparso.
Enjolras, invece, sembrava non averlo neanche visto.
«Caffè?» domandò, dopo aver appurato che nella moca grande ne fosse rimasto abbastanza.
«Già preso.» gli rispose 'Ras.
«'Ferre?»
Nessuna risposta.
Courfeyrac finì di versare il caffè nella propria tazza e ne riempì un'altra buona metà di latte, prelevato un secondo prima dal frigo.
«'Ferre, tu lo vuoi?» ripeté prima di voltarsi.
«Tu non sei 'Ferre.»
Fortunatamente Courfeyrac aveva la tazza a coprirgli mezza faccia, perché l'espressione che si nascondeva lì dietro non doveva essere delle migliori.
«No, grazie a Dio.»
Montparnasse era seduto a gambe larghe al centro del divano. Si era vestito diversamente rispetto al solito e i capelli avevano una piega leggermente mossa, tenuti indietro da un paio di occhiali da sole. Tutti quei dettagli, insieme alla sua considerevole altezza, avevano contribuito a far confondere Montparnasse con Combeferre, nella sua testa risvegliata da poco.
«Il sentimento è ricambiato!» la voce lontana del 'Ferre originale li raggiunse dalla sua camera.
Quella ai danni di Courfeyrac doveva essere una congiura bella e buona. Non trovava altra spiegazione per una situazione del genere.
Per due volte riuscì a scorgere gli occhi di Montparnasse cedere alla tentazione, e scorrere su tutto quello che la sua camicia aperta mostrava. Occhiate velocissime, volte a passare assolutamente inosservate.
Non a lui, però. Che era fin troppo concentrato su quegli occhi.
Si voltò verso Enjolras, e forse qualche minuscola piega della sua espressione permise al biondo di leggergli nella mente. Infatti, con estrema serenità, Enjolras tornò a guardare l'enorme cartina che aveva sotto il naso e rispose alla sua domanda muta.
«È qui perché doveva portarmi questa vecchia mappa delle catacombe.» 'Ras gli indicò con il dito la data di stampa serigrafata sull'angolo in alto a sinistra.
«È del millenovecentoquarantatré e presenta alcuni passaggi che poi sono stati chiusi, e che hanno smesso di comparire nelle mappe di oggi.»
La bocca di Enjolras si muoveva, come sempre, con quella cadenza serrata di chi sta dando davvero informazioni importanti. Ma il cervello di Courfeyrac riusciva a percepire veramente pochi segnali.
Fece sì con la testa. Disse di aver capito.
Ma non sapeva neanche cosa.
«Passaggi che i miei hanno riaperto anni fa, ovviamente. E che useremo.» si unì Montparnasse, per calcare ancora di più il concetto che non era lì per lui. Non lo era andato a trovare.
Approfittò del fatto che aveva la bocca piena di caffellatte, per evitare di rispondere.
«Qualcuno dovrà andare là sotto con lui» disse Enjolras senza più guardarli, indicando mollemente Montparnasse, «per controllare che siano agibili. 'Ferre?»
«Mandaci Courfeyrac.»
La risposta di Combeferre arrivò tempestiva come una lancia. Addirittura, dalla sua voce poteva tranquillamente dedurre che stesse sorridendo soddisfatto. Courf si sforzò di non saltellare sul posto per disperdere la pressione. Doveva sembrare normale. In completo controllo delle sue azioni.
Vide la testa bionda davanti a lui annuire lentamente, e quando si tirò su Enjolras era serio. L'indice piegato di fronte alle labbra, in contemplazione.
«Sì, mi sembra la cosa migliore.» confermò a se stesso il biondo, «Siete svelti e so che non vi perderete in chiacchiere.»
'Ras doveva aver fumato.
Oppure stava organizzando loro un appuntamento, altrimenti non si spiegava.
Non era l'unico svelto, nel gruppo, e molto probabilmente non avrebbero chiacchierato perché occupati a scambiarsi la saliva.
Ma tutto sommato, quello era il suo capitano, no?
«Ci sto.»
«Stanno organizzando un rave, lì sotto. Sarà fra qualche giorno.» 'Ras riprese a parlare come se dovesse seguire le battute dettate da un gobbo lì di fronte, «Ho alcuni progetti per questo evento, e ci servono corridoi sicuri che colleghino il luogo della festa con la nostra area.»
«Dobbiamo andare ora?» Courfeyrac si passò le mani sui pantaloni della tuta, sempre per rilasciare il nervosismo da qualche parte.
«No, cazzo.» Montparnasse incrociò le braccia e si mise più comodo sul divano. Le labbra stropicciate in una maschera di disgusto, «Smettila di morire dalla voglia di passare del tempo con me. Mi fa schifo solo pensarci.»
Un minuto dopo, Montparnasse si era alzato e in un battito di ciglia e con un paio di falcate velocissime, era sparito dalla cucina.
Pochi secondi dopo, il lento richiudersi della porta d'ingresso li avvisò che fosse uscito.
Gli occhi di Courf e 'Ras si incrociarono di nuovo, e finalmente entrambe le armature calarono giù.
«Sei pazzo.»
«Com'è andata?»
«L'ho baciato. È una follia, lo so. Non so cosa mi prende.»
Enjolras si passò con fare rassegnato una mano tra i capelli. Poi, qualcosa gli brillò negli occhi. Lanciò un'occhiata oltre le sue spalle, come si stesse assicurando che fossero da soli.
Ma non erano da soli; Combeferre se ne stava zitto, ma sentiva tutto.
Enjolras raggiunse la propria giacca appesa al muro e da una tasca recuperò un pacchetto di sigarette, facendogli poi cenno di salire in terrazza.
Courfeyrac lo seguì senza battere ciglio.
Nessuno disse nulla, finché Enjolras non si accese una sigaretta.
«Ti voglio parlare di una cosa. Non posso confrontarmi con 'Ferre, mi riderebbe in faccia.»
'Ras lo guardava negli occhi con i suoi lievemente assottigliati. Colpiti dal sole come in quel momento, sembravano traboccare d'oro, per qualche assurdo gioco di colori.
Il sesto senso di Courfeyrac per un istante solo gli fece pensare di sapere cosa stava per dirgli.
Ma no.
Non era una cosa possibile. Perché quel pensiero l'aveva sfiorato proprio adesso?
«L'altra notte ho fatto un sogno.» cominciò 'Ras, «Un sogno che ancora mi tormenta.»
"Non è possibile."
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