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navia aut capita

A me il sabato non piace. 

Io il sabato devo romanticizzarlo per farmelo piacere. 

Non so perché ma in questo giorno della settimana succedere sempre qualcosa di brutto.

Io il sabato lavoro. Faccio il cameriere nel ristorante di mio fratello solo il weekend quando ricomincia la scuola, soprattutto quando deve ospitare eventi come banchetti e cerimonie. Non è una cosa che mi pesa molto, anzi, io stesso a sedici anni ho deciso di iniziare a lavorare per svariati motivi. Tra cui il non dover chiedere dei soldi a mio fratello, l'iniziare a capire il valore dei soldi e anche per riuscire ad abituarmi alla società del lavoro, nonostante io voglia fare un lavoro totalmente diverso ed estraneo dal cameriere o qualunque altro lavoro che sia su quella stessa lunghezza d'onda. 

Tuttavia ci sono momenti in cui non ho proprio voglia di lavorare. Tipo questa sera. 

C'è un matrimonio e mio fratello aveva veramente bisogno di una mano in più questa sera.

D'inverno è raro che Zeke mi chiami a lavorare, non vuole che io metta da parte la scuola solo per il lavoro. 

 Ma non è stato solo questo il problema. 

Stamattina ho iniziato a riflettere sulle parole della mia psicologa. 

O meglio, sulle mie affermazioni. 

Sono molto cambiato rispetto a quand'ero piccolo, le ho detto. 

Da piccolo ero molto più impulsivo - non che ora non lo sia- e sfrontato. 

Anche se sapevo che avrei sbattuto contro il muro, io ci andavo in piena potenza e di testa. 

Quanti progressi ho fatto, quante migliorie ho apportato nella mia vita. Ciò che sono è inevitabilmente lo specchio delle mie esperienze passate.

Eppure continuo a cadere sempre sugli stessi sassolini che non vedo. Inciampo sempre lì. 

"Ho fatto una cazzata." commento entrando nella cucina del ristorante di Zeke. "Anzi, due cazzate ad essere onesti." preciso facendomi spazio tra le signore che stanno lavando i piatti, Angela e Sonia, per arrivare allo spogliatoio passando per l'intera cucina. 

"Dimmi tutto, bello mio." replica Niccolò non degnandomi neanche di uno sguardo visto che è impegnato a tagliare a quadratini dei pomodori. 

Il tempo di posare il borsone nel mio armadietto dello spogliatoio che ritorno in cucina a cercare di rubare qualcosa da mangiare. 

Prendo dal sacco posato sul ripiano a destra dei fornelli le bruschette e apro il cassetto per prendere un cucchiaio. 

Mi avvicino di soppiatto verso Niccolò e affondo il cucchiaio nella vaschetta in cui sta mettendo i pomodori tagliati. 

"Aspetta!" esclama posando il pomodoro e il coltello. 

"Non ci penso nemmeno." ribatto allontanandomi con la mia bruschetta sommersa dal pomodoro. 

"Se me lo dicevi prima ti avrei salato i pomodori." 

Alzo le spalle. 

"Di solito non vuoi che io tocchi il cibo senza il tuo permesso."  commento cercando un piattino da torta sotto il piano da lavoro. 

Poso la bruschetta e prendo un pizzico di sale dal recipiente sulla credenza a destra del piano. Niccolò mi guarda male e poi sospira decidendo di mettermi un goccio di olio sulla bruschetta. 

"Il basilico?" chiedo indicando la bruschetta. 

"Quello non spezzettato sulla credenza sopra l'affettatrice che sta usando tuo fratello in questo momento. 

"Allora vado a rubarmi anche qualche fetta di salame o di prosciutto crudo già che ci sono." ghigno. 

"Come faccia a sopportarti tuo fratello ancora è un mistero per me." scuote veementemente la testa Niccolò mentre ritorna a tagliuzzare quei poveri pomodori.  

"Ciao fratellone!" esclamo ad alta voce vicino al suo orecchio.

Come previsto, non riesco a spaventarlo. Semplicemente si gira e continua ad affettare la coscia di prosciutto crudo come se lo facesse da quando è nato. 

"Pixis e Hannes?" chiedo a Zeke degli altri due cuochi che ancora non ho visto in giro.

"Sono fuori a fumarsi una sigaretta. Vuoi qualcosa?"  borbotta spegnendo la macchina. 

"Cioè- tu stai qui ad affettare e loro se la prendono comoda?" incrocio le braccia contrariato. 

"Non proprio. Io sto affettando il prosciutto perché ho fame, non perché ho voglia di aiutarli. Quindi... vuoi qualcosa?" 

Sospiro mostrandogli il piatto. 

"Due fette di prosciutto, grazie."  

In effetti è presto, non dovrei preoccuparmi. Sperando magari che questa sera finiremo prima. Mi ricordo di prendere qualche foglia di basilico da mettere sulla bruschetta e nel frattempo Zeke cerca di farsi gli affari miei. 

"Qual è questa fantomatica cazzata che hai fatto?" chiede mio fratello guardandomi negli occhi. Subito giro lo sguardo da un'altra parte. 

Non mi pare di aver parlato con lui prima, non deve ficcare il naso dove non deve.  

"Niente che debba preoccuparti, Zeke. Te ne avrei già parlato nel caso." 

Ritorno in cucina e poggio sul piano il piatto e inizio a mangiare le fette di prosciutto. Controllo il cellulare per vedere a che ora Jean arriverà, dai suoi messaggi afferma di essere già per la strada. 

"Cosa volevi dirmi?" domanda Niccolò avvicinandosi. Lo guardo un attimino, si asciuga le mani sulla pezza che conficcato tra i passanti dei pantaloni. 

Finisco di masticare il salume ma non riesco nemmeno ad aprire bocca che una voce parecchio famigliare e fastidiosa ci distrae. 

"Buongiornissimo, caffè?" urla il mio amico con la borsa a tracollo e gli occhiali da sole scesi sul naso. Tra le mani il mazzo con le chiavi della sua auto e dell'appartamento dove abita e nell'altra la camicia bianca stirata che noi camerieri dovremo indossare questa sera. 

Abbasso lo sguardo e nota che porta i suoi soliti pantaloni lunghi, al contrario io porto dei pantaloncini sportivi che mi arrivano al ginocchio. 

"La prossima volta indossa direttamente la camicia, mi raccomando." lo prendo in giro. 

"I pantaloncini corti e quelle orrende magliette che indossi sono imbarazzanti e lontani dal buon gusto e anche dal buon senso." ribatte andando verso lo spogliatoio. 

"Lungi da me criticare il tuo modo di vestirti." alzo la voce in modo che possa sentirmi anche dall'altra stanza. 

Addento metà della bruschetta e Niccolò fa la stessa cosa con una pesca. 

"Molte donne vorrebbero stare al posto di quella pesca." palesa la sua presenza Jean con una barretta proteica in mano. 

Niccolò ridacchia e per poco non si soffoca con il frutto. 

"Lo dici sempre eppure io sto qui a lavorare e non con una ragazza." commenta il biondo spostando i capelli di lato. 

"Questo è perché oltre ad essere bello sei pure bravo nel tuo lavoro." affermo finendo di mangiare. 

"E se lo dice anche Eren vuol dire che è vero. Noi bisessuali abbiamo i gusti migliori." concorda Jean mordendo con voracità la barretta. 

Io e il moro battiamo il cinque e scoppiamo tutti e tre in una fragorosa risata. Prendo il piattino e lo metto nel lavello, mi giro e vedo Niccolò con le braccia conserte. 

"Eren, non provare a scappare!" 

"Cosa sta succedendo?" ci sollecita a rispondere Jean rimanendo fermo con le braccia appoggiate al piano. 

"Se mi date un attimo ve lo spiego." affermo uscendo in sala per prendere una sedia e ritornare in cucina per sedermi su di quella. 

Appoggio la schiena sullo schienale della sedia e incrocio le gambe. Tamburello la mano sulle ginocchia e finalmente alzo lo sguardo verso i due che mi guardano confusi. 

"Partendo dal presupposto che io non farei mai niente per ferire qualcuno volontariamente, e voi lo sapete bene. Forse però ho ferito qualcuno." borbotto incerto. 

"Ok, spiegati meglio." propone Jean ancora confuso sostenuto da un Niccolò altrettanto confuso che annuisce. 

"Questo pomeriggio sono passato in libreria e ad un certo punto ho visto Mikasa, la nostra compagna di classe." guardo Jean e lui mi invita a continuare. "Beh, fatto sta che l'ho vista un po', come dire, strana e pensierosa, ecco." 

"E?" mi incita il biondo. 

" E cosa?" aggrotto le sopracciglia. 

"E cosa vi siete detti, testa di minchia!" perde la pazienza il cuoco. 

"Le sono andato incontro, le ho consigliato un libro e ho decisamente invaso il suo spazio personale." rispondo tutto d'un fiato. 

"L'hai baciata?" chiede Niccolò. 

"No! Ma cosa dici, non mi permetterei mai!" faccio una faccia disgustata.

"Sei tu che non parli! Dobbiamo estrapolarti le informazioni di bocca." Jean mi punta il dito contro. 

Faccio un respiro e spiego un po' meglio la situazione.

Parto dal libro che le ho consigliato e perché, continuo a spiegare che se non le fosse piaciuto tra due settimane quando ci saremmo rincontrati le avrei restituito i soldi. Dico di averle offerto un passaggio a casa, che lei ha accettato. 

"E fin qui non ci vedo nulla di male." commenta il moro facendo una pallina con la carta della barretta e prova a fare canestro. Fallisce e sia io che il biondo lo guardiamo male. 

Raccolgo la carta da terra e la butto io per lui nel cestino. 

Sì, andava tutto bene finché io non mi sono messo a parlare. 

Giocherello con le mie mani, nervoso. 

"Però poi le ho detto qualcosa tipo che l'avevo vista un po' persa quando era entrata e quindi le ho detto che se voleva io c'ero-" 

"Male." scuote la testa il moro. 

"Male male." annuisce di seguito l'altro. 

Entrambi mi guardano come se mi fossi scavato una fossa da solo. E in effetti è così. 

E non hanno sentito neanche il resto del racconto. 

"E le ho detto di non fare l'orgogliosa, forse." pronuncio l'ultima parola con un filo di voce, quasi come se mi stessi arrampicandomi sugli specchi. 

"Allora sei stupido!" si arrabbia Niccolò irrigidendo il corpo e puntandomi un dito contro. 

Lo sono, lo so. 

Sono stupido. Un cretino. Un idiota. Un coglione. Un imbecille. Un insensibile. Uno stronzo.

Non la conosco e mi sono permesso di dire una cosa del genere. 

"Sei fortunato che non ti ha tirato uno schiaffo." commenta, d'accordo con Niccolò, Jean.

Scusami mamma, so che non è colpa tua. Tu non mi hai insegnato ad essere così stupido e neanche così irrispettoso. 

Sarà un gene contagioso che ho preso da mio padre? 

Perché non ci sei più tu, mamma. 

Con te mi sarei potuto nascondere tra il tuo petto e stringere forte gli occhi così da dimenticarmi le cose brutte che ho fatto. 

Come facevo da bambino. 

Ma tu non ci sei. E devo smetterla di pensare ad un ipotetico se fossi qui

Forse la sto facendo tragica, mi diresti. 

Mi dicevi sempre di affrontare i problemi perché alla fine non sono poi così grandi come ci aspettiamo. 

Mi piace paragonarli ai palloncini, i problemi. 

I palloncini sono grandi quando scoppiano all'improvviso prendono tutti alla sprovvista e producono un suono fastidioso, ma dopo poco è tutto finito. 

"Mi sono già scusato, ma mi sento ancora in colpa." alzo alla fine lo sguardo. 

Si sguardano e sospirano. 

Jean apre le braccia e mi invita ad un abbraccio. 

"Vieni qui, fratello non di sangue." annuncia mostrandomi un sorriso pacato e rassicurante. 

Mi alzo dalla sedia e gli vengo incontro abbracciandolo e stritolandolo come facevo da bambino con Signor Cucù, una scimmietta di peluche a cui sono affezionatissimo. 

Quando ci stacchiamo rimaniamo sempre uniti con le mani. 

"Guardami." dice prendendo il mio viso tra le mani. "Va tutto bene, ok? Probabilmente lei si è già dimenticata delle tue parole, e se non è così ti scuserai di nuovo finché non ti dice che si è rotta le palle di sentire le tue scuse, ok?" 

Annuisco mentre mi godo del calore delle sue mani sul mio volto. 

Jean sa benissimo che il contatto fisico mi fa stare bene.

Niccolò, che fino a quel momento era stato zitto e fermo per non rovinare le rassicurazioni del mio amico, appoggia una mano sulla mia spalla dandomi delle pacche su di essa. 

"Ho capito, sto meglio." affermo annuendo. 

Jean scosta le mani dalla mia faccia e nel frattempo Niccolò torna a lavorare.

"Siediti un altro pochino e poi iniziamo a preparare gli antipasti, va bene?" mi domanda assicurandosi che io mi sia ripreso. 

"Ho capito." mormoro. "Stasera ci sono due banchetti, rispettivamente da trentacinque e quaranta persone. Le altre cameriere arrivano alle diciannove, per adesso siamo noi due. Loro hanno già preparato i tavoli e oggi pomeriggio sono passati quelli che addobbavano la sala e i tavoli. Siamo in anticipo rispetto allo schema, ma -come sempre- abbiamo i passanti fuori, quindi non gioirei tanto presto." borbotto tutto d'un fiato. 

"Chi li fa i passanti stasera?" chiede Niccolò intromettendosi nella conversazione. 

Io e il moro ci guardiamo. 

"Testa o croce?" pronunciamo nello stesso momento. 

Senza neanche rispondere al quesito prendo dalla mia tasca la monetina che porto sempre con me come porta fortuna.

La lancio e Jean la riprende schiantandola sul piano provocando un rumore acuto e metallico. 

Alza il palmo dalla moneta e vediamo il risultato. 

Testa. 

Sollevo la testa verso di lui. 

Tocca a me, evidentemente. 

E anche qui che la fortuna mi assista. 

'navia aut capita'

'nave o testa?' *

* Il nostro testa o croce per via della moneta utilizzata, da una parte una nave e dall'altra Giano Bifronte. 

Buon pomeriggio a tutt*! Come state? Io sto cercando di riuscire a sopravvivere con tutte le cose che ho da fare. Finalmente è arrivato l'autunno (che io amo, è la mia stagione preferita). Sto anche scrivendo la Kimchay di cui ho parlato nella bacheca e di sicuro oltre alla kagehina uscirà anche una oneshot kuroken nel periodo di novembre. Per l'eremika quando la coppia principale avrà finito il suo sviluppo probabilmente scriverò anche dei capitoli per le side couples. 

A martedì prossimo <3

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