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Mr. Touchdown

Io e Rafterman preparammo le nostre cose.
Il giorno seguente Lockhart e uno dei piloti degli elicotteri ci aspettavano fuori dal campo.
"Sarà meglio che torniate con una buona storia. Sempre che riusciate a tornare." Disse Lockhart, sprezzante.
Cercai di sembrare il più sobrio possibile, nonostante volessi scatarrargli in faccia.
"Signorsì".
Che figlio di puttana.
Salimmo sull'elicottero e partimmo per la prima linea.
Rafterman, per tutto il viaggio, rischiò di vomitare il pranzo di Pasqua del '54.
Soffriva molto l'elicottero, poveraccio.
Il mitragliere dell'elicottero era un tipo un po' svitato: era un colosso di un metro e novanta, tutto muscoli e niente cervello. Si dilettava a sparare ai contadini nelle risaie, come se fosse uno sport.
Da rivoltare lo stomaco.
Sparava e rideva, rideva e sparava. Mollava qualche insulto razzista e sparava ancora.
Lo svitato si girò verso di noi.
"Quelli che corrono sono Vietcong, quelli che non corrono sono Vietcong molto ben educati!"
Raccapricciante.
"Dovreste scrivere un articolo su di me!" Disse lui.
"E perché mai dovremmo farlo?" Gli risposi.
Lui, con un gran sorriso da testimonial di gomme da masticare, rispose:"Perché ho ucciso 156 di quei musi gialli del cazzo, e sono tutti confermati!"
Azzardai una domanda un po' scomoda.
"Spari anche alle donne e ai ragazzini?"
"Se capita."
"E come fai a sparare sulle donne e sui bambini?"
"Semplice, corrono più lenti, miri più vicino! La guerta è un inferno, no?" E rise.
Benvenuti nel selvaggio Vietnam.
Arrivammo in prima linea, un luogo arido che allo stesso tempo esprimeva un putridime degno delle viscere dell'inferno: morti per terra, gente senza uno o più arti e un silenzio tombale.
Troppo silenzio per essere una gabbia di matti.
Ci mettemmo a camminare, seguendo una lunga carovana di altri Marines, impanicati e indaffarati nel mettere le ultime provvigioni nei camion in partenza.
Arrivammo, chissà come, in testa alla fila. Fu una vera impresa. Ci avvicinammo a quello che somigliava al capo, da come ce lo avevano descritto in redazione.
"Salve, lei è il capo plotone dell'Delta 1-5?"
Lui si girò e annuì.
"Salve, siamo dei reporter della Stars 'n' Stripes, penso che le abbiano parlato di noi."
"Certo, certo, in sede me l'hanno detto che sareste arrivati. Se siete qui per un articolo siete capitati il giorno giusto! Siamo in preallarme rosso e ci stiamo dirigendo verso la sponda est del fiume dei profumi, vicino a dove si trova il Delta 1-5 che cercate. Conosce il capo plotone? Si chiama Cowboy, una vera sagoma..."
Quel nome.
Quel nanerottolo texano del cazzo.
Robert.
"È un mio vecchio compagno d'addestramento!" Risposi.
"Ma dai? Lo conosce dai tempi dall'Isola? Che è, siete qui per farlo diventare famoso?"
"Ma che, scherziamo?"
La carovana continuò la marcia, imperterrita, fino ad oltre una collina, dove sorgeva un tempio abbandonato con dei camion per rifornimenti parcheggiati in massa fuori.
Neanche in un circo si vedono così tanti andirivieni.
Ma voglio dire, alla fine c'è differenza?

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