5. 𝗜 𝗰𝗶𝗴𝗻𝗶 𝗱𝗮𝗻𝘇𝗮𝗻𝘁𝗶 ( Newt Scamander )
Calici di vino bianco e rosso levitavano a mezz'aria incantati, andando ad occupare, di volta in volta, lo spazio vuoto fra i tavoli. Ogni qualvolta un mago o una strega ne afferrava uno, subito un altro calice prendeva il posto di quello precedente. Era tutto così elegante, che probabilmente solo i maghi e le streghe più ricchi avrebbero potuto mettere piede nel locale, e questo dava parecchio fastidio a Newt, che odiava le disparità e differenze sociali.
Per lui, indipendentemente dalle ricchezze possedute, tutti i maghi erano uguali, ed era convinto che qualunque persona normale avrebbe dovuto pensare lo stesso. Newt ne aveva preso solo uno, un calice di vino bianco spumeggiante, per non offendere i numerosi elfi domestici che si davano da fare per adempiere ai propri obblighi e accontentare gli ospiti. Lo aveva abbandonato in un angolino nella stanza, nonostante fosse il momento ideale per festeggiare.
Osservò il calice in cristallo che teneva fra le mani. Una leggera filigrana variopinta. Ne distinse chiaramente le filopiume d'occamy. Senza rendersene conto, iniziò a stringere protettivamente il manico della valigia, che aveva nascosto sotto il cappotto. Theseus, per sicurezza, lo aveva convinto ad avvolgere la valigia con delle funi invisibili, per evitare altri eventuali disastri con le creature magiche. Non era affatto colpito nel vedere l'uso delle piume che i maghi ne facevano. Si sarebbe stupito del contrario.
Rimase, però, piuttosto colpito quando un vecchio e traballante elfo domestico, vestito elegante e di tutto punto, forse addirittura più galante di lui, gli si avvicinò con un inchino.
«Buona sera, signor Scamander» gracchiò «Io sono Tod, signore. Il suo elfo domestico per questa sera.»
Aveva una vocetta stridula, ma piuttosto cordiale e piacevole. La pelle lucida e rugosa dimostravano la sua veneranda età.
«Buona sera, Tod» accennò un sorriso il magizoologo, facendogli cenno di rimettersi dritto.
Non voleva che un elfo domestico si inchinasse per dimostrargli il suo rispetto, lui non lo meritava, Newt era solo un magizoologo qualunque, non era affatto un mago importante.
«Se desidera qualcosa, signor Scamander, Tod provvederà subito, signore!» esclamò arzillo, sedendosi ai suoi piedi.
Era impaziente di servire il proprio ospite, le sue lunghe e larghe orecchie da pipistrello si muovevano visibilmente, per captare eventuali richieste del suo ospite.
«Ehm, no, al momento no, Tod. Grazie mille!» era rimasto colpito per il fatto che si fosse seduto sul pavimento.
Newt liberò una sedia dalla borsetta di pelle di una strega, che appoggiò sul pavimento accanto a tavolo a parecchi metri di distanza, e fece cenno a Tod di sedersi. Non gli importava di chi fosse quella borsetta, non valeva certo quanto un elfo domestico.
«Siediti pure, Tod.»
La piccola sagoma lo guardò con aria interrogativa, come se stesse cercando di capire se Newt lo stesse prendendo in giro o meno. Dopo parecchi secondi, si alzò da terra a fatica, facendo leva sulle braccia ossute. Le gambe gli tremavano. Newt lo sollevò da terra per adagiarlo sulla sedia, poiché la tenera creatura era appena più alto dell'altezza del sedile.
Tod lo guardò e gli accennò un sorriso da dietro la gobba. Aveva dimenticato l'ultima volta in cui un mago era veramente stato gentile con lui e, con aria riconoscente, si lasciò scappare una lacrima di gioia dal suo occhio.
«Lei è gentile, signor Scamander. A Tod fanno male le ossa.» lo ringraziò Tod, abbassando lo sguardo.
Newt scosse la testa, mentre sorrideva un po' imbarazzato ma lieto «Di nulla, Tod.»
Il piccolo e gracile elfo domestico si lasciò sfuggire un sorrisetto, poi si incupì di tristezza. Anche il suo padrone di tanto in tanto lo accusava senza motivo, anche se era nei suoi confronti era molto buono e tollerante.
«Il signor Scamander è gentile con Tod, ma Tod sta diventando troppo vecchio per servire il tè e i maghi e le streghe non lo trattano molto bene. Tod viene schiantato almeno una volta al giorno dagli auror, signore. Il padrone è gentile con Tod, lo paga anche una falce al giorno per i suoi servigi e Tod ha pagato un bel regalo per lui.» Tod sospirò, muovendo appena le orecchie per il nervosismo poi, vedendo che Newt non gli diceva nulla, anzi si teneva la testa decisamente pensieroso, scosse il capo e si cinse il corpo con entrambe le braccia, come se cercasse di proteggersi da qualche incantesimo improvviso o qualche forza oscura, o creatura magica pericolosa.
Scosse la testa nervosamente, aveva paura che la sua lunga e longeva lingua avesse potuto causare l'ennesimo danno.
Tod era abituato ad addossarsi la colpa, ad accettare gli errori di altri maghi e streghe e degli altri elfi domestici. Tod era il più vecchio, tutti gli altri elfi domestici avevano circa trecento anni, lui ne aveva ben seicento e sapeva che non sarebbe più servito a nulla fra una ventina di anni.
«Mi dispiace, signor Scamander, Tod non intendeva annoiarla. Tod ha l'abitudine di parlare troppo, Tod è molto dispiaciuto, signore.»
Fece per prendere un oggetto pesante, probabilmente un lungo ed elaborato vaso, su uno dei tavolini disposti in un ordine ben preciso ( sempre dagli elfi domestici che mandavano avanti il locale ) e si sferrò un colpo dritto alla testa.
Newt trasalì, fece in tempo ad afferrare la sua bacchetta e a scagliare via il vaso con depulso, non appena esso sfiorò la testa dell' elfo domestico.
Tod lo guardò tremante, i grandi occhi spenti divennero delle fessure, le labbra si aprirono per esprimere la sua disapprovazione. Newt scosse la testa, posò il vaso al suo posto, allontanandolo dall'elfo, per evitare che potesse riprenderlo. Iniziò a parlargli con un tono pacato, dolce e comprensivo. Non aveva mai avuto un elfo domestico, ma sapeva come ragionavano, cosa pensavano, come evitare che si punissero ingiustamente.
Tod fremeva dalla rabbia, era un suo dovere punirsi per i suoi errori, ancor prima che lo facesse il suo padrone.
Nella sua lunga carriera da magizoologo aveva anche imparato che era del tutto inutile liberarli dalla loro condizione di prigionia, il lavoro era un tassello importante della loro esistenza, e sapeva anche che sarebbe stato la loro rovina.
«No, Tod. Non voglio che tu ti colpisca. Non hai detto nulla di sbagliato, sei solo capitato nel posto sbagliato. Non sei tu quello da rimproverare, ma i maghi che ti circondano. Tu li servi, fai ciò che essi non fanno per pura pigrizia. Credimi. Ma loro non si puniscono, Tod. E non vedo il motivo per cui dovresti farlo pure tu.»
Il piccolo elfo domestico si asciugò una lacrima, che era caduta sulla guancia solcata da delle profonde rughe, e si lasciò sfuggire un sorriso.
«Ma io non sono un mago, signore. Sono solo un elfo, e i maghi sono superiori agli elfi domestici, signore.»
«Per quel che so, Tod, vali più di mille maghi messi insieme.»
Tod non trattenne lo stupore «Davvero? Lo crede davvero, signor Scamander?»
Era la prima volta che riceveva un complimento sincero, le orecchie iniziarono a strepitare per l'emozione, e di nuovo i suoi grandi occhi si riempirono di lacrime di gioia.
«Sì.»
L'anziano elfo, dinanzi a quella forma di assenso, improvvisamente ritrovò la forza e l'energia, balzò in piedi con un saltello allegro. Sembrava non aver più alcun dolore alle ossa o al resto del corpo.
«Hanno portato il dolce, vado e glielo porto, signore!» gracchiò.
Newt non potè controbattere perché, quando si alzò per fermarlo, lui era già sparito.
Così si rimise seduto, a guardare il circolo di maghi che volteggiavano spensierati sulla pista da ballo.
Tutti elegantissimi, non un capello fuori posto.
Come era possibile che il suo padrone permettesse ai maghi di intrattenersi in qualunque modo con i propri elfi domestici?
Quella era una realtà, che non gli piaceva affatto. Valevano pochi galeoni, zellini se l'elfo era molto vecchio o incompetente con i lavori domestici. Ed era tutto legale, non poteva fare nulla per risolvere il problema.
Una fluente scia bianca argentea tagliò l'aria, iniziando a volteggiare in mezzo alla pista. I maghi che fino a quel momento erano rimasti seduti, raggiunsero il resto del gruppo unendosi a loro, con le bacchette sfoderate per giocare con i loro difensori d'argento.
Lo stesso fece Newt.
Due cigni danzavano all'unisono, con i becchi premuti dolcemente l'uno contro l'altro, spiegando le ali in movimenti dolci e aggraziati. Provenivano dalle bacchette di una giovane coppia di maghi, probabilmente sulla ventina.
Entrambi abbracciati, con le bacchette puntate verso il centro della stanza, dirigevano abilmente quello spettacolo sublime. Il calore aveva reso più piacevole il locale, che all'inizio era gelido e freddo, come gli animi e i cuori crudi degli invitati.
Newt tremava e, pur di non indossare il cappotto per nascondere la valigia, aveva preferito continuare ad indossare il gilè color senape che tanto amava indossare.
I due anatidi creavano lunghi vortici di fumo ogni volta che aprivano e richiudevano le ali. Newt non poteva fare a meno di guardarli, sapeva che non erano creature vere, ma si sentiva in armonia con loro.
Maestosi e amabili.
Infine si dispersero, lasciando a bocca spalancata il resto dei maghi.
Si levò un sonoro applauso, seguito da risate e urla di approvazione. Newt vide Theseus, dopo parecchie ore, parlare con il ministro della magia, un mago dai capelli brizzolati, piuttosto basso e tarchiato. Diede a Theseus una forte pacca sulla schiena, e Theseus trattenne un gemito di dolore. Newt lo vide diventare rosso, il che succedeva solo quando sbatteva il dito del piede contro l'angolo della sua cucina. Almeno due o tre volte al giorno. Due maghi si erano avvicinati per complimentarsi del suo libro, dimostrandosi suoi grandi sostenitori e amanti delle creature magiche.
Pensava a Tod e perché non fosse ancora tornato quando, in mezzo alla folla, apparve la figura slanciata di una donna. Camminava impacciata verso il centro della pista, indossando un lungo ed elegante abito argentato, in evidenza la schiena completamente scoperta, mentre dei fili sottilissimi pendevano dalle spalle come spalline. I capelli non erano molto lunghi, all'altezza dell'orecchio, corvini, un elegante caschetto sbarazzino. Il suo atteggiamento era tipico degli auror. E quando inclinò la testa di lato, come faceva la sua Tina, si alzò di scatto e le si avvicinò.
«Tina!» le corse incontro, chiamandola a gran voce, ma il suono si perse in mezzo alla folla rumorosa di maghi.
Secondi che sembravano lunghi ed interminabili.
La donna si voltò soltanto quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. E Newt rimase piuttosto deluso di vedere dei lineamenti completamente diversi da quelli che si era immaginato. Intanto la testa appariva molto più lunga del normale, rispetto a quando era lontano. Ma non gli importava. Lei non era Tina.
«Mi scusi, credo di aver sbagliato strega.» balbettò.
Fece per congedarsi da lei, ma la donna graziosa e visibilmente superba tirò il naso in sù, infastidita.
«Lei é il signor Scamander, giusto?» aveva una voce smielata, molto diversa da quella di Queenie, decisamente falsa e studiata, «Suo fratello mi ha raccontato molto della sua attività, ma io e lui non la pensiamo allo stesso modo. Theseus considera le creature interessanti e piuttosto affascinanti, io invece ritengo che siano decisamente assurde e, uhm come posso dire. Da pochi?»
La sua voce dava molto fastidio a Newt, in particolare il modo con cui cercava di rendere gli altri troppo inadeguati e immeritevoli della sua compagnia. E non aveva decisamente voglia di rovinarsi la serata.
«Beh, signorina, torno alla mia postazione. Il mio elfo domestico mi starà attendendo.» usò lo stesso tono smielato della strega, e la ragazza si sentì punta, offesa di non essere trattata come solitamente i maghi la trattavano.
Degna del suo nobile casato.
Si allontanò a grandi passi, non facendo caso al suo sorriso freddo e agli occhi di ghiaccio che lo scrutavano.
Fortunatamente Tod era lì, in attesa, con un enorme vassoio fra le mani di tortine e dolci ripieni, che lo guardava con un sorriso. Parve capire l'espressione di Newt che si era incupito.
«Non é per lei, quella è una strega, letteralmente. È perfida e marcia fino al midollo!» squittì.
Newt non potè fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso. Osservò il capiente vassoio, pieno fino i bordi, sicuramente non sarebbe riuscito a finirlo del tutto. Prese un pasticcino, poi ne prese un altro e lo offrí a Tod. Gli era simpatico, gli piaceva e sentiva di essersi particolarmente affezionato a lui.
«Tod, vorrei parlare con il tuo padrone.»
«Tod ha fatto o detto qualcosa di sbagliato, signore?»
«Certo che no.»
Il piccolo elfo domestico fece cenno al mago e lui lo seguì, sparendo nella lunga ragnatela di corridoi.
Angolo autrice
Ciao a tutti,
Mi scuso per l'attesa, ecco a voi il capitolo 5.
Spero che l'attesa sia stata ripagata. Purtroppo non potrò più postare regolarmente a causa dei vari impegni, ma cercherò di farvi avere 2-3 capitoli al mese.
Se questa parte vi è piaciuta vi invito a lasciare un commento e a votare la storia.
Grazie
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