3. 𝗽𝗮𝘀𝘁𝗮 𝗳𝗿𝗼𝗹𝗹𝗮 𝗲 𝗺𝗮𝗿𝘇𝗮𝗽𝗮𝗻𝗲 ✔️✔️
New York,
Pasticceria Kowalski.
«Tesoro! Ma quante volte devo dirtelo! Devi pulirti le scarpe prima di entrare in negozio e... Oh... Buon Lewis, che pasticcio! C'è tantissimo fango! Dovrò ripulire tutto!» Sbottò la biondina.
Queenie Goldstein, sempre impeccabile, capelli ben acconciati in eleganti onde e boccoli ben disposti. Mettevano in risalto il suo piccolo viso pallido e gli occhi chiari. Aveva accolto Jacob con le braccia appoggiate sui fianchi, gli occhi fuori dalle orbite e una smorfia di fastidio stampata sul viso.
Il tempo non era dei migliori; la tempesta sembrava ben lieta di abbattersi contro i vetri della loro piccola pasticceria. Jacob era corso frettolosamente dentro il negozietto, quasi inciampando sui suoi stessi piedi, mentre cercava di evitare che le spesse gocce di pioggia scrosciante gli ricadessero sull'unico abito buono che possedeva.
Tutti i passanti si erano voltati nella sua direzione quando le padelle, che teneva nascoste sotto lo smoking a mo' di protezione, tintinnarono in sincronia con la pioggia e lo scalpiccio delle suole delle sue scarpe. Avevano dimenticato per un attimo di stringere saldamente gli ombrelli che, uno dopo l'altro, vennero trascinati via dalla furia del vento.
Jacob non si era accorto di nulla, fino a quando non ne vide uno penzolare annoiato dal ramo di un albero. Per un attimo si era soffermato a guardarlo, convinto che gli sarebbe stato utile, ma subito dopo si ricordò del suo equilibrio poco stabile, e riprese a correre, da pasticciotto adorabile qual era, inciampando e strisciando, sotto la pioggia.
Non si sarebbe mai aspettato di trovare Queenie, la donna che aveva sposato da poco più di quattro mesi, l'amore della sua vita, l'unica strega che desiderava avere accanto - per la quale avrebbe continuato a lottare - a pochi metri dalla soglia. Timidamente le aveva accennato un sorriso, e lei aveva risposto con un'occhiataccia truce, che lo stupì e non poco; un ghigno che non riteneva appartenere al suo animo gioviale.
Il suo sguardo lo fece arrossire, come se gli stesse facendo costituire un crimine, del quale neanche lui stesso ne era al corrente. Ma Queenie Goldstein era così - entrambe le sorelle Goldstein, a dir la verità - ricca di sorprese. Con lo stesso sorrisetto impacciato che lo faceva sentire un ebete, Jacob fece un passo verso di lei, sentendo l'ansia montare dinanzi al ticchettio nervoso delle sue dita sui suoi avambracci.
«Passato il mal di testa, amore?» Le chiese, evitando di risponderle, scostandosi dal naso una folta ciocca di capelli neri.
Con un sorrisetto aprì le braccia grassocce, facendole un cenno impacciato con la testa di venire da lui. Nonostante non fosse dotato di poteri magici, avrebbe continuato a proteggerla da ogni male, o almeno... avrebbe tentato di fare l'impossibile... come... come poteva. Queenie Goldstein inarcò un sopracciglio, si lasciò sfuggire una smorfia di fastidio; reagì appena, incapace di non accettare ogni abbraccio che lui le donava. Aveva un buon profumo, come sempre, forse leggermente acidulo, la pelle morbida e ovattata.
La biondina gli lanciò comunque l'ennesimo sguardo sprezzante, ancora decisamente arrabbiata con lui.
Erano giorni che il suo umore cambiava repentinamente, spesso Jacob rimaneva alquanto colpito dalla rapidità con cui passava dal ridere al piangere e, in quel periodo, aveva imparato a non ribattere, a darle sempre ragione, a mettere una pietra alle discussioni. Dall'imbarazzo alla frustrazione, dal piacere all'odio. E a lui dispiaceva vederla piangere.
«Ebbene?»
«Cosa?»
«Come è andata?»
Lei gli poggiò le mani sulla testa per accarezzargli i capelli bruni non troppo lunghi, ricambiò il bacio, posando appena le labbra sulla sua fronte bagnata dai capelli. Era ancora un po' infastidita dal comportamento del marito, ma la sua espressione si era rasserenata; non vi era nulla al mondo, secondo lei, che l'abbraccio di Jacob o di Tina potesse fare, se non alleviare almeno un pochino la tristezza.
«Abbastanza bene. E tu? Non mi hai ancora detto come sta la testa.»
«Un pochino, sì, meglio» gli rispose mentendo, guardandolo appena, incapace di non lasciarsi sfuggire un sorriso.
Aveva dimenticato di rispondergli, troppo arrabbiata con lui, tante... troppe parole che avrebbe ardentemente voluto urlargli contro. Ma quelle braccia tese nella sua direzione, che la invitavano in un tentativo impacciato a mantenere la calma e a rilassarsi, quel sorrisetto genuino che amava alla follia... le avevano fatto dimenticare la tempesta che si abbatteva nella sua mente. Aveva il cervello in fiamme, come se qualcuno avesse deciso di colpirla ripetutamente con una padella. Sospirò.
Qualcosa la stava deconcentrando. Un odore... sgradevole. Queenie aveva sempre amato molto la primavera, l'odore terroso unitosi a quello dell'erba tenera. New York, nonostante i grattacieli che si ergevano fieri verso il cielo, oscurandone la visione dell'azzurro, aveva pur sempre i suoi spazi verdi, che le sembrava di scorgere anche a miglia. Ma non era fango, sembrava...
Queenie a stenti trattenne un'espressione disgustata, sentiva lo stomaco muoversi e la bile risalire in gola. Non riusciva a distinguere chiaramente di cosa si trattasse. Iniziò a girare a passi lenti intorno al bancone, odorando l'aria, senza capire da dove potesse provenire.
... qualcos'altro.
Solo quando si fermò a meno di mezzo metro da Jacob, capí da cosa, o meglio... da chi fosse generato quell'odore. Gli occhi le schizzarono fuori dalle orbite e le sopracciglia si contrassero, questa volta incrociò le braccia al petto e un'espressione gelida le si dipinse sul volto.
«Allora sei tu che puzzi così tanto! Buon... Lewis!» Tuonò.
Lo spinse di lato, disgustata, trattenendo a stento un conato di vomito.
«Jacob, dovrò lavare anche te oltre che il negozio!» Sbottò, dandogli una spallata alquanto vigorosa per la sua statura minuta.
Prese una sedia e si lasciò cadere su di essa, come se le gambe non riuscissero più a sorreggerla per la stanchezza.
«Scusa, ehm, scusami tanto, a-amore.»
Il no-mag aveva capito ormai da tempo che forse c'era qualcosa che non andava in lei. Doveva aver avuto una brutta giornata, una delle tante in quell'ultimo mese.
«Scusami... davvero! Sono odiosa quando mi comporto così» sospirò la strega, dondolandosi nervosamente sulla sedia «è che... mi sento davvero stanca!»
Si trattava forse di qualche malattia che erano soliti prendere i maghi?
«Mi sento così nervosa! Vorrei lanciare tutto in aria e...» Strinse i pugni, colpendo con i piedi il pavimento.
Jacob non avrebbe potuto dirlo, lui non lo sapeva.
Anche se Newt gli aveva detto, anni or sono, che raramente i maghi si ammalavano di quel genere di malattie, e che rispetto ai no-mag era raro che si ammalassero. Avevano... un sistema immunitario speciale, forse.
«Forse... hai avuto una giornata pesante.» Le accarezzò i capelli e le piantò un bacio sulla fronte.
Queenie sospirò, abbandonandosi alle sue carezze.
Delicato come una piuma, ecco com'era suo marito con lei.
«Oh ehm» balbettò «diciamo di sì, ecco.»
Più che pesante, imprecò fra sé e sé.
«Ho vomitato due volte, una nel caffè del presidente. Tina ha dovuto ripulire tutto e convincerlo che non ho preso il vaiolo di drago, ma una semplice influenza babbana. Dice che ero diventata pallida come un lenzuolo!» Divenne colorita per l'imbarazzo.
Merlino... che cosa le stava succedendo?
«Oh... OH.» Si lasciò cadere sul pavimento il pasticcere, incrociando il suo sguardo affranto.
«Già! È stato così... imbarazzante!» Piagnucolò la legilimens, allungando le mani per spazzolargli i capelli.
«Mi dispiace io... non... non avrei mai dovuto lasciarti il negozio per andare a quella riunione!»
Stava cercando di mostrarsi tranquillo, nonostante fosse più che preoccupato per le sue condizioni.
Voleva dimostrarle di poter stare tranquilla, ma come poteva, visto che neanche lui riusciva a mantenere la calma?
Poteva immaginare la frustrazione, l'imbarazzo, sua cognata Tina cercare di arrancare qualche scusa. Non era mai stata brava a mentire, Tina, la strega bruna era sempre stata uno specchio d'acqua e, considerate le centinaia di lettere che lo supplicavano di aggiornarlo continuamente sui cambiamenti della sorella, sembrava preoccupata molto più di lui.
«Sì, Tina è stata bravissima.» Rispose ai suoi pensieri.
E Jacob non ne dubitava.
Non era mai stata in grado di non rimanere lontana dalla sua mente, ben consapevole che non sarebbe riuscita a rispettare neanche un voto infrangibile, lei... portatrice di curiositas, probabilmente si sarebbe fatta uccidere, pur di carpire un segreto.
«Qualsiasi cosa sia successa oggi... è passata, amore.Non preoccuparti, adesso ci sono io.»
In un battito di ciglia, nonostante gli avesse promesso che non avrebbe carpito i suoi pensieri, superò le sue difese e gli lesse la mente. Moriva dalla voglia di leggere le sue emozioni. E, come sempre, Jacob fece finta di niente, nonostante l'inconfondibile formicolio nella sua testa.
Era così confuso, ma i sentimenti che era riuscita a intravedere, la dolcezza, la tenerezza, il proprio volto al centro del suo mondo.... Le ricordò di nuovo di essere stata troppo dura con lui. Allungò le braccia, questa volta per accogliere le sue mani.
«Oh! Che dolce che sei!»
Sul suo viso pallido, e stranamente scavato, apparve un sorriso a trentadue denti, balzò dalla sedia e lo abbracciò con entrambe le braccia.
Non aveva bisogno di conferme, sapeva che Jacob era la persona giusta, dal primo momento che aveva varcato l'appartamento di sua sorella Tina: il 6 dicembre del 1926.
«Anch'io ti amo tanto, tesoro.» Gli sussurrò all'orecchio, ridendo sonoramente quando le sue guance si tinsero di rosso.
Incapace di smettere di sorridergli e di ridere senza alcun motivo.
«Non parliamone più.» Decise «Del fango. Anzi, credo che tu... ti sia meritato una cena con i fiocchi stasera!» Esclamò euforica, battendo le mani.
Jacob le accennò un sorriso, la mutevolezza della moglie lo preoccupava, ma stranamente non questa volta. Le accennò un sorriso timido.
«Beh, tesoro, sei sempre tu quella ai fornelli» si lasciò sfuggire una risatina divertita.
«E poi non ti senti molto bene, forse è il caso che cucini io questa volta, insomma... il cibo è fantastico come lo cucini tu... con la magia, ma mi piacerebbe ogni tanto farti assaggiare del buon cibo babbano!» Le fece una carezza.
Queenie sospirò.
«E sia!» acconsentì «Ma se mandi nuovamente a fuoco la cucina, ti faccio lavare i piatti per un mese!» esclamò lei, alzando un sopracciglio.
Jacob annuí con un cenno del capo, ben consapevole che sua moglie Queenie parlava sul serio.
«Va bene, va bene!»
Non era mai stato bravo con tutti quegli arnesi magici, quei... com'era che si chiamavano?
Forse anche sua cognata, che non brillava certamente per le sue doti culinarie, avrebbe fatto molto meglio nella cucina di sua moglie, nonostante fosse un pasticcere coi fiocchi. Tina... quella ragazza lo terrorizzava... l'ultima volta che l'aveva vista era... parecchi giorni prima, o settimane...in effetti. L'aveva incrociata per strada, e lei lo aveva salutato con un cenno affettuoso della mano, rischiando di rovesciarsi addosso il caffè che stringeva in mano. Non sembrava molto rilassata, a giudicare dalla furia con cui era entrata nel locale.
«Tina? Sono due settimane che non mangiamo tutti insieme!»
Non che si aspettasse una risposta diversa da quella che sua moglie stava appena per dire.
Lei si era accigliata per un attimo e gli aveva accennato, dopo una scrollata di spalle, un sorrisetto che diceva: lo sai come vanno le cose.
«Lei è davvero troppo impegnata al MACUSA, quasi non esce più dal suo ufficio. Ha fatto un grande sforzo per riaccompagnarmi qui oggi. Temeva che mi sentissi nuovamente male.» Gli spiegò, consapevole che lui ne era già a conoscenza.
«Grindelwald...»
Rabbrividì.
Non voleva assolutamente sentir pronunciare quel nome.
«Lo so, amore. Ma... non credo che ci costi qualcosa aspettarla qui, non credi? Insomma, le farebbe bene staccare un po' la spina! E poi... è stata gentile, appunto...»
Anche a te farebbe bene, amore, pensò, certo che lei lo avesse sentito.
Queenie lo guardò. In quel momento avrebbe tanto voluto abbracciarlo, ancora più forte.
Tina era tutto per lei, la sua famiglia. E, consapevole del fatto, Jacob non perdeva occasione per invitarla. Il loro legame si era incrinato, e lui non voleva che potesse spezzarsi, non a causa del loro matrimonio.
Un legame fortissimo che non si era infranto neanche dopo la sua presa di posizione con Gellert Grindelwald. Si era pentita amaramente di quella scelta.
Queenie credeva, anzi era convinta, che adesso Tina faticava a fidarsi di lei e che, certe volte, la evitasse volontariamente.
Lo sentiva. Dal modo in cui la guardava con quegli occhi ricchi di disappunto, dal modo in cui stringeva l'impugnatura della bacchetta nella tasca - senza farsi vedere - dalle occhiatacce che le lanciava.
Non le comunicava più i dettagli sui suoi casi, eventuali notizie su Grindelwald; la abbracciava solo quando... non poteva farne a meno. E a lei mancavano i suoi abbracci.
Jacob le ripeteva spesso che ci voleva tempo... eppure...
Per parecchie settimane si era ripetuta tante volte che lei non era meritevole del suo perdono, o del suo amore. Stava facendo di tutto per farsi perdonare, e ritornare a essere la sorella che Tina meritava di avere.
«Hey...»
«Sto bene.» Si asciugò una lacrima «Solo pensieri.»
«La aspettiamo qui, va bene?»
«Sì.»
Stava quasi per dimenticare le ordinazioni.
Impugnò la bacchetta, sarebbe stato meglio non perdere tempo.
«La prossima volta ti faccio usare gli spolverini!» Lo minacciò fintamente con un sorrisetto furbetto.
Controllò che nessuno li stesse osservando. Prese dalla tasca dell'abito rosa pesca la bacchetta. A differenza della bacchetta della sorella, che rifletteva la sua semplicità e praticità, quella di Queenie era un piccolo gioiello.
Se ne era innamorata a prima vista, e non aveva potuto fare a meno per giorni di ammirare quella conchiglia riccamente decorata da una leggera filigrana argentea, e la decorazione dorata, che ne delimitava l'impugnatura.
Elegante, perfetta come lei. Il nero lucido del fusto la rendeva ancora più slanciata e sobria.
Era stata scelta... quella bacchetta, in fondo, non poteva scegliere strega migliore.
Ricordava ancora la bambina di undici anni che era stata. In effetti, non troppo diversa dalla Queenie del presente.
Tina... quanto erano state unite, all'epoca. Mentre ora... non voleva pensarci.
«Tergeo!»
Dalla bacchetta si levò un leggero venticello; come risucchiato da un'aspirapolvere, il fango sparì del tutto, sia dal pavimento che dalla divisa di Jacob, inghiottito dalla punta della bacchetta. Il babbano spalancò la bocca, lo faceva... tutte le in cui la sua Queenie adoperava la bacchetta.
Incantato, si perdeva a guardarla, sentendosi nuovamente piccolo piccolo.
Quanto avrebbe voluto essere un mago! Un desiderio che nessuno avrebbe potuto realizzare.
La magia non gli faceva paura, a differenza della maggior parte dei babbani; era più che tollerante nei confronti del genere magico, del quale avrebbe tanto voluto farne parte.
«Abbiamo tutto il tempo... anche perché, in realtà, ehm... c'è del lavoro da fare. Il Macusa ha... fatto un'ordinazione.»
«Il Macusa?»
«Sì, il Macusa.»
«Come...?»
«Ringrazia Tina.» Roteò gli occhi al cielo.
«E cosa... quanto dovr-remmo... cucinare?»
«Sei sicuro di volerlo sapere?»
«In effetti no, ma-»
«Una cinquantina di mooncalf, tre dozzine di purvincoli glassati al cioccolato con caramello, tre scatole di quilin, una dozzina di snasi, velenotteri di marzapane semplici... per domattina presto.»
Jacob strabuzzò gli occhi, ed ebbe un fremito. Quasi il cuore minacciò di fermarsi nel petto.
«Come?» Sgranò gli occhi e si accarezzò il setto nasale «È, è tanta tanta tanta roba!»
«E tre o quattro decine di erumpent grandi...» proseguì cauta lei, accennandogli un mezzo sorrisetto tirato.
Anche lei non vedeva l'ora di chiudere gli occhi.
«Perfetto.»
«Ma non preoccuparti, caro, ho già preparato la panna e tre ciotole di impasto! Lo sai che noi due siamo una potenza in cucina, quando lavoriamo insieme.
Gli animaletti esposti dietro il vetro della vetrina erano un esempio di ciò che erano capaci di fare insieme. Bellissimi, invitanti e, soprattutto, buonissimi.
Da quando Queenie si era offerta di aiutarlo in cucina, l'esposizione era decisamente migliorata. Un tocco di femminilità che aveva arricchito la piccola bottega, rendendo i clienti più che soddisfatti, tanto da sentirsi obbligati a fare loro una visita - magari anche solo per dare un'occhiata, o per lasciare un saluto alla signora Kowalski. Queenie era diventata una perla preziosa, e tutti non potevano non ammirarla quando li deliziava con la sua presenza.
Spesso si ritiravano con un sacchetto pieno zeppo di dolci fragranti fra le mani. Il suo sorriso attirava la gente, scaldava loro il cuore. L'aroma di vaniglia si accompagnava bene al marzapane e alla pasta frolla delle creature; e agli occhi rassicuranti di Queenie Goldstein Kowalski.
«Beh, ci conviene iniziare oppure non finiremo mai, tesoro.» Le sussurrò Jacob, pallido come un lenzuolo. Dopo essersi lavato accuratamente le mani nel lavandino seminascosto nello stanzino sul retro, afferrò un bel pugno di farina e la scagliò sul tavolo da lavoro, che si levò in aria come una cortina di nebbia bianca.
Queenie gli lanciò un'occhiataccia.
«Ho appena pulito...»
«Che ci puoi fare... se non ci si diverte...» le fece l'occhiolino.
La biondina fece per ribattere, ma Jacob la colpì in pieno con una palla di farina, ridendo sfacciatamente quando lei lo minacciò con una delle sue padelle.
«Jacob!!»
«Beh, amore... non dovevamo metterci all'opera?» La punzecchiò.
E lei, in tutta risposta, lo afferrò per la nuca, sprofondandogli la faccia nella ciotola dell'impasto.
Newt's Pov
Newt cercava di pensare, di riflettere, dove il fratello lo stesse portando. Aveva fatto una serie di ipotesi e proposte, e sempre la sua risposta era stata la stessa: «prova di nuovo.»
Stava iniziando a esaurire il repertorio di luoghi in cui era stato trascinato a forza e, a dirla tutta, stava iniziando a perdere anche la pazienza.
Il vento, la grandine e il fango gli ricoprivano le scarpe, rendendo l'atmosfera appena sopportabile.
Aveva letto sulla gazzetta del profeta che Londra non era l'unica città che era stata colpita dal brutto tempo. Su New York si erano abbattuti fulmini così violenti che gli auror - così gli aveva scritto Tina nelle sue ultime lettere - dovevano pensare occuparsi - pure - di spegnere gli innumerevoli incendi che i pompieri non riuscivano a domare. Altro lavoro da fare.
Adesso, doveva cercare di non scivolare. Ben due volte suo fratello lo aveva trattenuto per il braccio, evitandogli così una spiacevole caduta. Per quanto Theseus fosse animato di buon umore, Newt faceva fatica a tenere il suo passo. Sembrava avere dei pattini al posto delle scarpe, ed era più sudato che zuppo di pioggia.
«Dovresti risponderle, a Tina intendo.» Gli disse Theseus, interrompendo improvvisamente il silenzio.
«Ti ha inviato una lettera, è stata così gentile da inviarti del dittamo per le tue creature. I soli ingredienti costano tantissimo di questi tempi!»
Lo trascinò sotto un portico in modern style, la zona più lussuosa della città, per evitare di evocare un ombrello agli occhi dei babbani. Newt annuí, senza guardarlo negli occhi.
«Le invierò in gufo quando torniamo a casa.» Gli rispose «Tina...» abbassò la voce, «è troppo impegnata al Macusa.»
Theseus sorrise divertito, e scrollò le spalle con noncuranza. Se avesse aspettato lui...
«Ci ho già pensato io.» Disse semplicemente.
E Newt si sentì morire
Si bloccò di colpo, obbligando Theseus a fare lo stesso.
«Cosa?
«Era lì da due settimane! Ho pensato fosse carino inviarle almeno una risposta! Non preoccuparti, non mi sognerei minimamente di spacciarmi per te! Insomma, non credo che ne sarei capace dopotutto!»
Newt avrebbe voluto cancellargli quel ghigno dalla faccia.
«Hm...»
«Tu sei tu!» Ridacchiò.
Non si sarebbe mai abituato alla sua presenza.
«Le ho semplicemente detto che lo avrei riferito a te, e che eri davvero troppo impegnato con le creature magiche. Roba da nulla.» Gli sorrise «E poi... sai che le fa molto piacere ricevere le tue lettere.»
Newt sospirò.
Era stato troppo impegnato a scegliere quale creatura mettere in libertà.
Una lacrima gli scese sul viso, non voleva minimamente pensare a quando quel giorno sarebbe arrivato. Gli mancava già tantissimo Frank e, nonostante sapesse quanto fosse importante che vivesse in libertà, avrebbe tanto voluto rivederlo. Accoglierlo nuovamente nella sua valigia. A casa...
«Tina... è consapevole delle tue difficoltà con il ministero, e ti ha inviato anche trenta galeoni. Non sono molti, ma è sempre qualcosa.» Gli diede il sacchetto di tela fra le mani, che Newt fissò per un attimo, confuso.
«Lei...?»
«Sì, ha pensato alle tue creature. Il che è... divertente, considerando il fatto che ha provato ad arrestarti!» Scoppiò in una fragorosa risata.
Stava cercando di aiutarlo. Ora doveva solo trovare le parole giuste per dimostrarle il suo immenso riconoscimento.
«Che dovrei dirle?»
«Penso tu lo sappia già...» Mormorò con un sorrisetto.
Non gli diede neanche il tempo di reagire, Theseus si bloccò di colpo, guardandosi intorno per orientarsi.
Mise il naso sotto la pioggia per qualche secondo, solo per leggere il cartello pubblicitario e cercando di scorgere i tre alberi, un po' spelacchiati, allineati sul ciglio della strada. Contò venti passi. Ne mancavano circa cinquanta. O, almeno, così gli avevano detto.
Newt quasi cadde, andando a sbattere il naso contro la sua spalla.
Con un balzo, si rimise all'asciutto sotto al portico, scrollando la testa solo per schizzare il fratello, che si morse la guancia, rassegnato. Theseus lo tirò per la manica, invitandolo a proseguire verso nord e Newt si lasciò trascinare, senza fare resistenza.
«Siamo arrivati.» Annunciò, soddisfatto di aver fatto più di un chilometro a piedi, piazzandosi davanti a un muro bianco.
«Arrivati?»
«Ah ah!»
Newt guardò nuovamente il muro stuccato, confuso. Forse era una delle solite stranezze del fratello.
Nulla di speciale.
«Entriamo?»
«Da dove?»
«Dall'entrata!» Sghignazzò Theseus.
«Mi sembra... una bellissima festa! Avevo davvero voglia di fare un picnic.» Inarcò le sopracciglia.
E Theseus sbuffò, colpito dalla sua stupidità.
«Per il naso adunco di Merlino... un po' di pazienza!»
Si guardò intorno più volte, prima di brandire la bacchetta e puntarla sul muro roccioso.
«Summus Theseus Scamander, auror specialis.» Recitò con un certo orgoglio, dandogli una gomitata.
Repentinamente, esso si espanse. Newt dovette fare un passo indietro, per il timore di essere schiacciato dalla parete che assunse le sembianze del marmo, pregiato, elegante. Come scolpite da uno scultore, leggere scanalature, delle cornici che, ben presto, mutarono in colonne slanciate e alte, con tanto di capitello. Newt passò le dita fra di esse, e con suo grande stupore sentì un tiepido venticello riscaldargli la mano.
«È qui dietro.» Spiegò.
Con altro colpo di bacchetta, le due colonne si allontanarono le une dalle altre, ruotando su se stesse, e sollevandosi a mezz'aria per permettere un accesso sontuoso ai suoi invitati. Dall'architrave levitava un'insegna bianca, illuminata a neon, probabilmente alimentata dalla magia.
«Magic place.» Lesse a voce alta il magizoologo, sentendo un groppo alla gola.
«Bellissimo, non trovi?»
«Io...»
«Non vorremmo restare qui tutto il giorno, no?»
Newt, a quel punto, annuì e, facendo attenzione a non urtare i piccoli elfi domestici che li accoglievano con un sorriso sgargiante e un'aria tutt'altro che sottomessa, lo seguì.
Indossavano smoking nero miniaturizzato, quei modelli che solitamente erano riservati ai loro padroni maghi. Forse delle tenute di lavoro.
«Forse... non è così male, dopotutto, se riservano questo trattamento agli elfi domestici.» Mormorò speranzoso Newt.
Chiuse gli occhi, nonostante la luce soffusa che si irradiava dalle profondità del corridoio rendeva piacevole l'atmosfera. Oltrepassato l'ingresso, le colonne rotearono nuovamente, richiudendo il passaggio dietro di loro, e celandoli agli occhi dei babbani.
Angolo autrice
In suddetto capitolo c'è un piccolo riferimento che potrebbe piacere molto a Mavi_Reader06
❤️❤️🤭
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