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29.2. "A Cauldron Full of Hot Strong Love".

Theseus Scamander entrò in casa Scamander come una furia, come se fosse autorizzato a comportarsi da padrone. Se solo la mamma lo avesse visto! Si sarebbe ritrovato con una ciabatta piantata sulla fronte, e lo avrebbe certamente cacciato via a calci nel sedere.
«Non una parola!» Si portò allegramente l'indice sulle labbra, in un vano tentativo di incitarli al silenzio.

Nello stesso istante in cui concluse la frase, il no-mag per poco non ruppe un vaso floreale ai lati dell'ingresso. Gli aveva lanciato un'occhiataccia e ripreso a passeggiare fieramente a testa alta con passo fermo, nascondendosi dietro i mobili per celare la sua presenza.

Newt non si guardò neanche intorno, non rimase stupito di constatare che tutto era rimasto come lo aveva lasciato: il grande androne spazioso che accoglieva gli ospiti, invitando loro a proseguire lungo l'esteso corridoio, circondato da una decina di piante in fiore. La mamma aveva sempre avuto una certa passione per le piante, finendo, però, puntualmente per farle appassire. Newt tastò il terreno fangoso, troppo zuppo, del vaso di un'edera e, con colpo di bacchetta, la fece sparire, riportandola nel suo ambiente naturale. Sarebbe stata la sua salvezza.

Theseus sapeva che avrebbe trovato la madre ai fornelli, ma non aveva ancora pensato alla sua reazione dinanzi a un gruppo tanto numeroso di invitati. Avrebbe dovuto cucinare per dieci persone ma, conoscendola, avrebbe fatto poca fatica ad allestire l'arrosto per tutti. Theseus ricordava per filo e per segno il menù della settimana - e del mese.

Patate, verdure e arrosto. Newt si sarebbe dovuto accontentare del contorno.

Si lasciò sfuggire un sorrisetto silenzioso quando la vide afferrare con i suoi spessi guanti casalinghi scozzesi una teglia dalle dimensioni considerevoli. Era davvero... tanto cibo! Che suo padre avesse detto lei che stavano arrivando per cena? Lo aveva implorato di non dire niente!, Desideroso di farle una sorpresa.

I soliti capelli crespi e rossicci, delineati da qualche ciocca bianca che aveva dimenticato di tingere, le ricadevano disordinati sulla fronte, mentre una molletta le raccoglieva il resto delle ciocche in uno chignon improvvisato. A giudicare dalla vestaglia a fiori che indossava, non così sobria da accogliere degli ospiti, non si aspettava di ricevere visite. Forse suo padre aveva mantenuto il silenzio, come gli aveva promesso.

La cucina le metteva sempre il buon umore, a differenza del giardinaggio, con il quale si "dilettava" un po', lamentandosi spesso della moria delle piante che toccava. Tanto amore non ripagato.

Martieene, "Marta" Scamander sembrava più allegra dall'ultima volta che l'aveva vista. Le guance accaldate e gli occhietti allegri, e la voce tra stridula che intonava "A Cauldron Full of Hot Strong Love".

A guardarla anche solo da lontano, Theseus si stava sbellicando dalle risate. Un'adolescente matura, una donna giovane che non aveva ancora esaurito le energie. Attese qualche altro secondo, aspettando che Marta poggiasse il vassoio sul tavolo di legno, a qualche metro dalla cucina - anch'essa di legno - prima di raggiungerla alle spalle, senza farsi vedere.

«Oh my poor heart, where has it gone
Scrollò ritmicamente le spalle, colpendo l'aria con la testa, rischiando di dargli inconsapevolmente una testata all'indietro. Fortunatamente Theseus conosceva le sue mosse, ed era già preparato per schivare i suoi colpi a ritmo di danza.

Non aveva smesso di essere stonata...

Contò fino a cinque, attendendo che il ritornello giungesse al termine - sarebbe stata più gestibile - prima di afferrarla per le braccia e urlarle nelle orecchie.

«Merlino!!»

«Indovina chi sono?!»

Poteva sentire il suo battito accelerato picchiettare sul palmo della sua mano, e ridacchiò quando la madre voltò la testa di lato in un disperato tentativo di colpire il suo "aggressore". Il colpo andò a vuoto. Un punto in più per l'auror speciale, sghignazzò nella sua mente. Intravide i suoi occhietti porcini spalancarsi di colpo quando lo riconobbe, e le rise in faccia quando vide il malcontento farsi largo sul suo viso. La stritolò come meglio potè, fino a quando Marta si lasciò sfuggire un singhiozzo e un sospiro, rassegnata, scostandosi i capelli che si erano liberati dalla presa dei denti del mollettone nero.

«Theseus! Dolce Merlino! Come ti viene in mente di venirmi alle spalle?!»
«Sorpresa!» Spalancò le braccia e inclinò il viso per prenderla in giro.

Quella era la prima delle sue reazioni primarie: frustrazione, paura, sorpresa e, per ultima, l'euforia.

Marta sospirò, rimase ferma a guardare il primogenito con un mezzo sorriso. Fece un passo avanti, allungando la mano per accarezzargli la guancia, i capelli, le ciocche brune e umide.
«Theseus...» sorrise al suo bambino.
«Mamma...»
«Theseus...»

Prima che potesse scostarsi, sentì le sue dita, tenaci come delle tenaglie, afferrargli le orecchie.
«Come ti viene in mente?! Entrare così in casa mia?»
Ecco... aveva dimenticato di questa piccola parte di lei.
Dal corridoio poteva sentire Tina e Newt sbellicarsi per le risate. Era impossibile non udire le sue imprecazioni stridule.
«Stupido Mentecatto balordo! Volevi farmi venire un infarto? Era questa la sorpresa? Se solo tuo padre lo venga a sapere...» le strattonò verso l'alto, e Theseus non riuscì a non emettere un gridolino di dolore.
«Mamma...» Arrossì violentemente.

Quei due...

«Sh! Te l'ho detto mille volte, Theseus, che...»
«Mamma... abbassa la voce... a-abbiamo ospiti.» Continuò a tastarsi l'orecchio rosso e pulsante, nascondendo l'altro dalle grinfie della madre.

Fortunatamente Marta, adesso, sembrava avere altro su cui pensare.
«Ospiti?» Si bloccò di colpo, scioccata «Chi? Quanti sono? E tu me lo dici così?!»
Theseus sospirò. Era sempre la stessa storia.
«Non mi hai dato il tempo di parlare!» La canzonò «E... per rispondere alle tue domande... perché non vieni tu stessa a vedere?»
«Io...» Ansimò, cercando di darsi un contegno «guarda come sono combinata! Sono in pigiama!»
«Non importa! Mamma...»
«Merlino... come sto?» Si sistemò alla bel meglio i capelli, asciugandosi con la manica la fronte sudata.
Aveva dimenticato quanto le piacesse fare bella figura, soprattutto con i suoi colleghi - per non metterlo in cattiva luce.
«Sei sempre bellissima.» Le tolse le mani dalla chioma, che stava cercando di appiattire, sollevandole il viso per il mento.
A giudicare dal sorriso che le aveva solleticato le labbra, sembrava che si stesse convincendo delle sue parole, dandogli la fiducia che meritava - non solo come figlio.

«Chiudi gli occhi, mamma.»
«Merlino!» Protestò lei con sorrisetto, socchiudendo gli occhi e lasciandosi guidare dal suo primogenito «Lo sai che non mi piacciono... le sorprese...» Scrollò le sopracciglia.

Theseus la teneva ben stretta, facendo attenzione a non farla urtare contro le pareti. Fino a quando non raggiunsero l'androne e il gruppetto sulla soglia. Li aveva incitati al silenzio urlando con lo sguardo e, non appena lo scorsero, il loro vociare si affievolì fino a sparire del tutto.

Suo fratello Newt teneva lo sguardo basso. Si fissava, come al solito, la punta delle scarpe. E con ragione: doveva darle una spiegazione. Alla donna che lo aveva valorizzato e che non lo aveva solo messo al mondo. Lo aveva sentito mormorare alla strega, dalle guance arrossate, accanto a lui che le sarebbe piaciuta sicuramente piaciuta, la mamma.
«Theseus, se siamo tanti... devo rimettermi ai fornelli, caro.»
«Sì, forse. Ma prima... apri gli occhi!» Ridacchiò nella sua mente, figurandosi già il dolce sorrisetto innamorato della madre.

Si era già aspettato quella reazione da parte sua, Theseus la conosceva bene. La vide strizzare gli occhi, più e più volte, prima di puntare gli occhi su una persona in particolare: suo figlio Newt.
«Newt... ma come...»
«Ciao, m-mamma...» si grattò nervosamente la nuca il magizoologo, evitando di incrociare il suo sguardo.
Quelle guance rosee, il sorrisetto timido e quei due occhietti vispi lo avevano sempre messo in soggezione, aperto un varco nella sua solitudine.
«Theseus... ma come...» chiese di nuovo per monosillabi, scuotendo la testa, incapace di credere ai propri occhi.
«Te l'ho detto... che era una sorpresa...»
«O Merlino! Non ci posso credere...»

Per un attimo la madre dei due fratelli non aveva potuto far altro che fissare il volto pallido e smunto del maggiore dei suoi figli. Era stanco, un po' barbuto e decisamente preoccupato, ma subito dopo i suoi occhi ricaddero su quello del magizoologo. Anche lui sembrava stremato, così come il resto dei presenti nella stanza. La ragazza bruna, dalla pelle chiara, aveva le guance scavate e decisamente bisogno di dormire. I capelli avevano bisogno decisamente di una sistematina. Considerata la sua rigidità, doveva essere una collega di Theseus o un'auror, una dipendente importante. Le altre due ragazze della compagnia erano decisamente più in forma, più in carne.

La biondina, a giudicare dalle dimensioni del suo giro vita, doveva essere incinta e sposata con quel signore grassoccio, che le stringeva la mano.
Erano... troppi. Per quante persone avrebbe dovuto cucinare? Erano in totale... quattro donne, due, anzi, tre uomini e...
Si colpì la fronte con il palmo della mano. Aveva dimenticato di conteggiare gli altri due uomini nella stanza, il ragazzetto mingherlino che, probabilmente, non avrebbe mangiato troppo - anche lui con un disperato bisogno di dormire - l'uomo dalla pelle scura, che aveva visto sul giornale, e... suo marito Franky.

Troppe... davvero troppe persone! Scosse di nuovo la testa, e riprese a guardare il suo orgoglio più grande.

«Newtie! Merlino...» Questa volta non riuscì a contenere più le lacrime, che una dopo l'altra ricaddero sul suo viso come cenere ardente.
E Newt non voleva questo. Non aveva bisogno degli sguardi supplichevoli dei presenti per capire che, in fondo, sua madre non meritava di essere esclusa dal suo mondo, solo per il puro egoismo dei suoi sentimenti.
Non sapeva come spiegarlo, non era mai riuscito a dare un nome alle emozioni che sembravano far parte solo di lui, così aliene a chi gli stava accanto.

Cercando di non farsi contagiare dalle lacrime di gioia della madre, un po' titubante - un po' timidamente - fece un passo avanti, fino a quando la testa della madre non arrivò a sfiorargli la spalla. Era solo qualche centimetro più bassa di come la ricordasse. Le guance appena scavate, che ricordava essere state molto più paffute - ma non troppo. Sua madre non sembrava essere troppo cambiata. Invecchiata.

Mentre lui... a giudicare dallo sguardo preoccupato della donna che non lo aveva solo messo al mondo, dal tocco timido e docile delle sue dita lungo il sentiero della barba bionda e incolta che gli solleticavano il mento, sembrava alquanto soprappensiero.
«Newt...»
«Mamma...»
«Che cosa ti è successo...? Ma... mangi... vero?» Continuò a scrutarlo dettagliatamente, cercando di cogliere la minima imperfezione e il più invisibile malessere che, fin quando era bambino, non aveva minimamente dimenticato.

Ogni singola cicatrice era al posto giusto, e quelle più recenti ed estranee alla sua memoria non passavano mai inosservate.

«Sto ben-»
Prima che Newt potesse risponderle, Marta lo strinse a sé in un caloroso abbraccio, avvolgendolo contro di sé con le sue braccia, avvinghiandosi alla sua vita, un po' timorosa che potesse nuovamente sfuggirgli via.
Ma Newt non si mosse. L'inconfondibile odore di miele e pioggia gli stava perforando i polmoni, rendendogli impossibile allontanarsi da lei. In fondo... perché avrebbe dovuto farlo? Quell'odore lo riportava a casa.

Marta avrebbe tanto voluto rimproverare la sua pecorella smarrita per essere stato così lontano dal gregge dei suoi affetti. Ma Newt era un uomo, ormai. Era cresciuto da anni, e ora che lo rivedeva, poteva scorgere con orgoglio quell'alone che aveva intravisto appena, quando aveva scelto di oltrepassare, una volta per tutte, le soglie del mondo: quella tremula sicurezza.
Poteva vedere la decisione nei suoi occhi, il peso delle sue scelte: da che parte avesse deciso di stare.
E, se da una parte era contenta per il suo pulcino, dall'altro - come era a suo tempo successo anche con suo figlio Theseus - ne aveva paura.

«Sono così felice di vederti! Newtie!» Singhiozzò con forza, asciugandosi il naso sulla sua camicia.
Newt finse di non darci peso, mantenne un sorriso discreto, voltando appena la testa di lato per incrociare lo sguardo di Tina che, a sua volta, gli aveva accennato un sorrisetto rassicurante.

Intravide nei suoi occhi una nota di confusione, come se quella domanda si stesse nuovamente materializzando nella sua mente: "perché l'hai ignorata per tutto questo tempo? È così carina".

La verità, ripetè nuovamente Newt nella sua mente, era che non lo sapeva, perché, appunto, non riusciva a dare un senso alle proprie emozioni. Forse aveva paura di rendere vive le sue paure, di condividerle con chi amava. Le sue ossessioni sulle creature magiche... ma sua madre amava le creature, sembrava la loro seconda, anzi terza, mamma umana che avevano. Allora... qual era il vero motivo? Newt non poteva avere semplicemente paura.

Marta Scamander non poteva essere così male: era innamorata persa del suo bambino.
Non appena lo lasciò libero dalla sua stretta, Marta, come faceva tutte le volte in cui aveva come dono il "raro miraggio" del suo figlio minore in casa, iniziò a tempestarlo ansiosamente di domande, alle quali Newt rispose con la solita pacatezza. Si accesse di entusiasmo, tuttavia, quando Marta iniziò a domandare delle sue creature.

«Come stanno le tue creature?»
«Stanno bene... Molly ha...»
«Mangiano?»
«Sì, mamma.»
«Perché tu non sembri mangiare affatto!» Riprese a tastargli i muscoli e le giunture dei gomiti con i polpastrelli, aprendo leggermente la bocca per avvolgerlo con il suo malcontento. «Hm... ma guardati! Ti si sentono le ossa!»

Quello è il gomito, mamma... ridacchiò Newt nella sua mente. Ma prima che potesse fare un altro passo, si ritrovò nuovamente a navigare fra le sue braccia e, questa volta, non riuscì a non arrossire.
Cosa avrebbe pensato Tina di lui? Poteva sentirla ridacchiare... ma di lui?
Ma quando incrociò di nuovo lo sguardo della ragazza, scorse un sorriso sulle sue labbra, che sembravano mimargli: "hai visto? Non è così male, no?".

Giurò a se stesso di aver intravisto i suoi occhi inumidirsi un attimo, ma non era durato a lungo: Tina Goldstein aveva scosso la testa, l'aveva piegata verso il pavimento e si era raddrizzata sulle spalle di nuovo, con un dolce ma timido sorriso stampato sulle labbra.

Tina, d'altro canto, continuava a chiedersi che cosa non andasse in lei. Era dolce, carina, forse un po' troppo protettiva, ma avrebbe di gran lunga preferito vivere la sua giovinezza con una donna presente, per quanto appiccicosa fosse. Si sarebbe risparmiata i pianti, la tristezza, quella responsabilità che, ancora, poteva sentire appesantirle le spalle. Istintivamente ripensò alla madre. Anche lei chiara, ma con i capelli biondi, come quelli di sua sorella Queenie - che, ne era certa, le stesse lanciando un'occhiata di rimprovero.

Stava quasi per ripensare di nuovo alla sua giovinezza, alla sua infanzia, loro due da bambine, quando la voce allegra e stizzosa della signora Scamander fece trasalire tutti, compreso Jacob che, per poco, non le fece perdere l'equilibrio.

«Allora, Newtie... non me li presenti i tuoi amici?» Gli accarezzò la guancia, inclinando la testa di lato con fare materno, invitandolo a affrettarsi.
Fortunatamente Theseus decise farlo al posto suo.
«Allora!» Batté le mani euforico l'auror speciale, ricevendo di conseguenza un'altra occhiataccia dalla madre «Iniziamo dai pezzi grossi!» dichiarò, facendo un passo verso la giovane coppia di sposi.
«Lui è Jacob Kowalski, il miglior pasticcere di tutta New York!» Lo acclamò «Non ti fare confondere dal suo aspetto ordinario... è un genio con quella padella!» Le fece l'occhiolino.
Jacob, che tutto si aspettava tranne che sentirsi apostrofato in quel modo, arrossì violentemente, e ciò suscitò l'ennesima risatina eccitata di Queenie.
«Oh, un pasticcere...» Si grattò la testa confusa «E... sei un babbano?» Gli chiese cauta, sperando di non infrangere alcuna legge magica.

Non riusciva mai a capirle, esse mutavano, esattamente come le scale di Hogwarts. La tolleranza non era il massimo in America, mentre a Londra... erano molti coloro che avevano deciso di sposarsi, per amore, con chi non avesse poteri magici. Mezzosangue, venivano poi tristemente chiamati.

Jacob, che non sapeva che cosa dirle esattamente, dapprima iniziò a balbettare sillabe sconnesse, prima di riuscire ad articolare un discorso comprensibile a tutti i comuni mortali.
«Io... sì, sono... un no-mag, un non magico. Un...»
«Babbano.» Concluse la madre dei due fratelli, allungando la mano, senza smettere di sorridere.

Forse era davvero felice di accoglierlo in casa, o forse faceva finta per il bene dei suoi figli. Jacob lanciò una rapida occhiata alla moglie e si accorse, con suo grande sollievo, che Queenie l'aveva già sottoposta alla sua analisi accurata. E le stava sorridendo, con le guance arrossate e gli occhi vispi.
«Oh... sono davvero curiosa di assaggiare le sue specialità!»

Che cosa buffa... era davvero così facile avere dei nuovi clienti?
Prima che potesse aprire la bocca per dimostrarle il suo benvenuto in pasticceria, Marta parlò, e impiegò un po' a capire che non si stesse più riferendo a lui.
«E lei è...»
«Sua moglie, sì! E sono una strega!» Avanzò impacciatamente verso di lei, per stringerla in un abbraccio.
«E sono...»
«Mia sorella!» La interruppe Tina con un sorrisetto timido, sentendosi piccola piccola quando la signora Scamander iniziò a squadrarla attentamente. Ma si rasserenò quando vide il margine della bocca incurvarsi in un sorrisetto materno.
«Non si direbbe!» Rise lievemente, stringendo la mano a entrambe le sorelle.

«Beh... sì... Tina è identica a nostro padre... il carattere» fece l'occhiolino alla sorella, che la stava trucidando con lo sguardo «eh... lo ha ereditato da nostra mad-» Ricevette una lieve spallata dalla sorella e Queenie riprese a ridere come una matta, mentre la signora Scamander assisteva con il sorriso sulle labbra.

Poi, anche lei iniziò a ridacchiare.
«Sì... si vede che siete sorelle. Anche se all'apparenza non si direbbe.»

Bella squadra, pensò fra sé e sé Marta, sentendo quel familiare formicolio penetrare le barriere della sua mente. Prese a guardare la ragazza dagli occhi bruni che, a giudicare dal suo sorrisetto teso, doveva aver capito. Tina mosse le pupille, indicando senza farsi vedere la sorella, che faceva finta di niente.
«È maleducazione leggere la mente degli altri, Queenie...» La apostrofò a voce alta, contrariata e preoccupata che Marta Scamander potesse ribellarsi a quel gesto.

Queenie aveva una dipendenza: non riusciva a non leggere la mente di chi le si trovava di fronte.
Ma la signora Scamander la stupì, si limitò semplicemente a ridacchiare e le sorrise, intenerita.
«Oh, non c'è problema! Al massimo ci trova qualcosa di imbarazzante! Qualche ricordo...»
La videro arrossire improvvisamente, prima che la madre si avvicinasse alla biondina e la stringesse in un caloroso abbraccio.
«Complimenti, cara! Noto che manca poco!» Fece l'occhiolino a entrambi i coniugi, voltandosi appena a guardare i suoi due figli che, molto probabilmente, non gli avrebbero donato la gioia di avere un nipotino.
Sospirò fra sé e sé e riprese a sorridere al gruppo, ignorando Queenie che si stava sbellicando dalle risate per ciò che aveva colto dalla mente della Scamander.
«Sì!» Dichiarò orgogliosamente il pasticcere, dandole un bacio sulla fronte «Meno di quattro mesi!» Le cinse protettivamente la vita con un braccio, ignorando i borbottii del suo stomaco in subbuglio.

Fortunatamente aveva la vocetta troppo acuta e stridula perché l'affermazione che ne seguì potesse essere udita da una tale distanza! Ma sua sorella Tina l'aveva sentita, eccome! ( visto che, sostanzialmente, il messaggio era indirizzato a lei ).
«Hey Teenie, se vuoi te lo spiego io... come si fanno i bambini!» Ammiccò maliziosa, facendole cascare entrambe le pupille nelle orbite «Vedrai che Newt...»
«Stai zitta...»

«Sono così felice per voi! Avrete un piccolo principino per casa, oppure... una principessina delle favole!» Squittì Marta, incapace di lasciare suo figlio Newt libero dalla sua stretta, che, nel frattempo, sorrideva imbarazzato, lanciando qualche occhiata alle due sorelle e a Queenie che, chissà per quale motivo, aveva deciso di prendere di mira l'auror con le sue battutine.
Era scarlatta, viola, come se le mancasse il respiro. Tutte le volte che Queenie apriva la bocca, Jacob scuoteva la testa divertito e Tina allungava il gomito per colpirli entrambi.
Il matrimonio aveva fatto benissimo ai due coniugi, poteva constatare.

Qualche attimo dopo, Marta si rivolse alle altre tre persone che non erano state presentate, immobili come tronchi.
«Oh, ciao, Bunty! Piacere di vederti!»
«Ciao, Marta!»
Da tempo immemore si davano del tu. Bunty la conosceva da... sempre, da quando era diventata la nobile assistente di suo figlio. Ora una magizoologa a tutti gli effetti.
«Spero che mio figlio non ti dia troppo lavoro da fare...» ridacchiò, mentre con la mano pizzicava le spalle del figlio minore, a mo' di avvertimento.
A Newt veniva da ridere, anche a suo fratello, a dir la verità, abbastanza cavalleresco da avvicinarsi alla madre e liberare il suo fratellino dal suo abbraccio, permettendogli così di strisciare via, accanto all'auror americana.
«Oh, non si preoccupi... suo figlio è un vero gentiluomo...» sorrise timidamente la strega per di carota, stringendole la mano.
Quella semplice affermazione procurò a Tina un fastidiosissimo mal di stomaco, amplificato dall'espressione innamorata che si era dipinta sullo sguardo di Broadacre.

Tina non era gelosa, solo... non pensava di dover, in parte, competere con lei. Bunty era una ragazza d'oro, amava le creature come Newt amava proteggere loro. Insomma... quante possibilità aveva? Newt odiava gli auror e se tra di loro vi era una piccola possibilità, beh... lei l'aveva rasa al suolo completamente. Bunty era la classica ragazza alla quale avrebbe confidato le sue difficoltà, i suoi scheletri nell'armadio.

Sarebbe rimasta in silenzio, dandole la possibilità di redimersi da ciò che l'aveva appesantita: i suoi errori, le sue scelte.
Tina non era invidiosa, non voleva esserlo. Era solo un po' triste, ma per se stessa. Se Newt avesse deciso di condividere la sua vita con la sua assistente, lei sarebbe stata felice per loro, e avrebbe volontariamente messo da parte se stessa.

«Oh, e lei è la professoressa Hicks, dico bene?»
Tina scosse la testa per ritornare alla realtà. Vide Eulalie avanzare e tenderle la mano. Anche questa volta, la signora Scamander strinse l'altra sua ospite in un abbraccio.
«In persona!»
«Ho memorizzato tutti i suoi incantesimi! Una sua grande fan, dall'invenzione dell'incantesimo per lavare i vetri!»
«Beh, a nessuno piace lavarli!» Le donò un sorriso a trentadue denti «anche se un po' di moto non fa male a nessuno!»

«Considerando anche che qui in Inghilterra piove spesso beh... in realtà non ci sarebbe neanche il bisogno di lavarli.» Commentò Theseus, ricevendo da parte della madre un'occhiata assassina e una risatina da parte dell'insegnante.

Il semplice sorriso della ragazza lo fece arrossire. Era stato davvero in grado di farla sorridere? E poi... davvero... aveva detto qualcosa di così sbagliato?

«Dal vivo è ancora più bella, professoressa!»
«Mi chiami Lally!»
«Lally? D'accordo... Lally!» Le accarezzò la guancia con fare materno.

Prima che Marta potesse rivolgersi alle altre due figure rimaste nella stanza, Kama fece un passo avanti, con un inchino da vero gentiluomo francese, degno della sua nobile stirpe di sangue.
«Madame Scamander. Credo che lei mi conosca già!» Mormorò, con quel suo inconfondibile accento francese che, tutte le volte in cui aveva fatto visita loro, Marta tentava di imitare.

Era stato accolto in casa almeno due volte in quegli ultimi cinque anni. Kama, nonostante l'apparente distanza da Londra, si era dimostrato molto vicino a Theseus. Due anime infelici che condividevano insieme lo stesso infelice destino: la morte di una persona a loro cara.

«Yusuf! Non potevi non esserci anche tu!» Gioì allegramente, con un sorriso che le sfiorava le orecchie «Come va?»
Sarebbe potuta sembrare una domanda banale all'apparenza, ma sia Theseus che Kama erano consapevoli a quale parte della storia fosse riferita. Quale dolore avrebbero continuato ad alimentare dolorosamente. Trattenne stoicamente una lacrima, se la asciugò prima che potesse scorrere sulla guancia segnata, prima che potesse essere seguita da una lunga scia amara.

«Si va avanti... Marta.» Non la chiamava quasi mai per nome «Continua a essere dura, a volte. Leta era l'unico vero membro rimasto della mia famiglia. Sono trascorsi cinque anni e, come a suo figlio, continua a mancarmi terribilmente.» Abbassò lo sguardo.

«Spesso bisogna imparare a convivere con il proprio dolore, se si vuole ricordare chi ci ha lasciati.»
«Sì» Sospirò il francese «ne sono consapevole. Grindelwald non riuscirà a togliermi anche questo.»

Quella frase non era affatto sconosciuta a nessuno di loro.

Vale la pena soffrire e ricordare, per quanto faccia stare male.

Tina non voleva dimenticare.

Grindelwald aveva strappato loro tutto, o almeno credeva di averlo fatto. Vi era qualcosa che continuava a mantenerli vivi: i loro ricordi. Belli o brutti che fossero.
«Sono così felice che siamo tutti riuniti!»
«E che il piccolo Newt sia tornato a casa!» Ridacchiò Theseus, scompigliando i capelli al fratello, che la madre si affrettò a rimettere al loro posto.
«Oh, caro! Sei senza speranza! Ah! Questi capelli... mi fanno impazzire!»
E Theseus ovviamente non potè astenersi dal dire la sua.
«Te lo avevo detto che te lo avrebbe detto!»

Marta fece cenno al gruppo con un braccio di seguirla ma, qualche passo dopo, si bloccò di colpo, come se avesse dimenticato qualcosa. O qualcuno. I suoi occhietti policromi si concentrarono sul ragazzetto dimenticato in un angolo, che cercava di non attirare troppo l'attenzione su di sé.
«Oh. Io... credo di essermi dimenticata di te, caro! Merlino! Siamo davvero in tanti!» Rise imbarazzata, colpendosi la fronte con una mano.
A quelle parole, Lysander desiderò ardentemente di trasfigurarsi in un pilastro, ma il suo capo lo spinse delicatamente per le spalle, invogliandolo ad avanzare.

E se loro avessero scoperto chi, o meglio... cosa fosse realmente? E se avessero capito che fosse un licantropo? E se...
«Ehm, io sono...» impallidì.

Stupido, Lysander, sei uno stupido! Frignò nella sua mente. Se impallidisci, si vede di più che sei un lupo mannaro! Come non notare la peluria sulle orecchie e sulle dita?

«Mani di burro!»
«... Lysander Porter.» Allungò la mano tremante perché potesse stringerla, ritraendola istintivamente subito dopo per nasconderla nella tasca.

Gli stava fissando le orecchie? Forse sì o forse no. Gli stava sorridendo, però.

«Piacere! Sei così giovane... quanti anni hai?»

Non era esattamente la domanda che si era aspettato. Nella sua mente riecheggiava giustificazioni alle accuse che, pensava, gli sarebbero state mosse.
"Ho dimenticato di radermi", oppure "ho problemi ormonali a causa di un incantesimo andato male", "da piccolo ho bevuto troppe pozioni per la calvizie".
Rimase piuttosto spiazzato.
«Io... ehm, ho v-ventuno anni, m-madre di Newt. E Theseus.»

Merlino... non era cresciuto in un branco! Perché sembrava che lo fosse?

«Oh, sembri... più piccolino!» Sorrise lei, scrutandolo attentamente.

Ecco, adesso gli stava guardando le orecchie.

«Lavori con loro?»
«Io... sì, sono una... una recluta.» Abbassò lo sguardo.
«Un auror?»
«Sì, signora. O almeno lo diventerò.»

Se Grindelwald non mi uccide prima, pensò.

«Oh, quindi lavori con mio figlio!»
«No, ehm... io» si grattò nervosamente la nuca, scoprendosi accidentalmente il padiglione oculare «io sono una recluta di...»

Ma perché sembrava un totale deficiente?
Fortunatamente il suo capo aveva deciso di intervenire. L'avrebbe stritolata in un abbraccio, non appena avesse avuto la possibilità.
«È un mio dipendente! Nel mio dipartimento! È il migliore! Sempre pronto a mettersi in gioco!»
«Dipartimento? Quale dipartimento?» Spalancò gli occhi confusa.

Era una ragazza in carriera, lo avrebbe capito chiunque - di una certa intelligenza - a prima vista.
Marta era sempre stata tremendamente curiosa, e doveva sapere tutto - considerando che erano i migliori amici dei suoi due figli.
«Ma sì, mamma!» Ridacchio Theseus «Tina è il capo degli auror, in America! Non lo sapevi?»

Non fu tanto l'affermazione che la fece trasalire, quanto il suo nome. Marta rimase in silenzio e immobile talmente a lungo che Theseus iniziò a preoccuparsi.
«Mamma... stai ben-?»
«QUELLA Tina?!» Lo fece trasalire, mentre il soggetto delle lettere di Theseus - di nascosto dal fratello - dirette spesso alla madre, balzò impercettibilmente sul posto, anche lei, colta di sorpresa.
«Come?»
«Ma sì, cara! Mi hanno parlato tantissimo di te! Eh, oh... un conto avere un pezzo grosso in casa mia ma... avere un pezzo grosso e... contemporaneamente "Tina"... beh...»
Ma prima che Tina potesse controbattere, Marta saltellò di nuovo, alzando improvvisamente la voce per farsi sentire.
«Franky! Franky, caro! Esci dalla tua torre d'avorio e aiutami ad apparecchiare la tavola!! Franky!!»
Ora Tina riusciva a capire perché Newt provasse imbarazzo, eppure continuava a pensare quanto fosse dolce, premurosa. Tutto ciò che lei non era.

Un rumore di passi nel corridoio annunciò la presenza di un'altra persona nell'androne. Newt rabbrividì, e si preparò psicologicamente per affrontare il padre.
Marta, invece, non si scompose più di tanto quando il marito la raggiunse, con la sua estenuante - e voluta - lentezza.
«Marta...»
«Alla buon ora! Non vedi che ci sono ospiti?» spalancò gli occhi, facendogli cenno di affrettarsi a salutarli.
Ma Frank rimase impassibile.
«Lo sapevo già. Theseus mi aveva avvisato.» Un debole sorriso gli accarezzò le labbra, e svanì del tutto quando i suoi occhi si posarono sul figlio più giovane che, come vinto dalla sua influenza, abbassò lo sguardo.
E Marta sembrò quasi arrabbiarsi con entrambi, se non fosse stato per Newt, così imbarazzato di trovarsi lì.
«Oh, caro, non ti preoccupare.»
Poi si rivolse al marito.
«Perché non mi hai detto niente? Avrei preparato una cena più ricca!»

Newt conosceva le cene che era solita preparare sua madre per gli ospiti, e della difficolta seguente di alzarsi.

«Perché credi che ti abbia aggiustato il lavandino senza lamentarmi?»
«Lo hai fatto... tutte le volte che te l'ho chiesto!» Roteò gli occhi al cielo, scuotendo la testa «e poi... signorino, non prendermi per stupida! Non mi hai ancora risposto...»

Fortunatamente Jacob non sentiva di essere così, pensò il pasticcere, lui lo avrebbe riparato il lavandino a sua moglie. Glielo avrebbe riparato, il lavandino.

«Perché diventi petulante...»
«PETULANTE?!»
«Beh... sì...»
«Come ti permetti...»
«Ti amo anche io, Marta.»
«Sei esasperante!»

E i due sposini non poterono non ridacchiare. Se Newt e Tina avessero, in un fantastico giorno, deciso di sposarsi, di creare una famiglia, beh... sarebbero stati identici.

Il sorriso della signora Scamander la diceva lunga. Si diedero due spallate a vicenda e si rivolsero al resto del gruppo.
«Siamo ancora sulla soglia... che sbadata! Venite, accomodatevi!»
Marta lanciò un rapido sguardo alla ragazza bruna, e le scappò un sorrisetto. Era bellissima, fin troppo per suo figlio Newt. E Newt, a giudicare da come cercava di non incrociare il suo sguardo, sembrava più che innamorato di lei.
Newt spendeva tante parole per lei, e lei doveva capirne il motivo. Perché... suo figlio Newt odiava gli auror!

«Devi scusarmi, ehm... posso chiamarti Tina? Se non l'ho accolta... con ritegno!»
«Oh, non... si preoccupi, signora Scamander... non deve... rivolgersi così a me. Io sono...»
«Caro, non è che per caso potresti accompagnare il capo del dipartimento auror americano? Caro?»
«Ah, sì, Marta. Ma più tardi. Devo parlare con mio figlio. Theseus.»

Theseus... sempre la stessa storia...
La donna sospirò e annuì. Sempre la stessa storia, ripetè, tutte le volte che vi era di mezzo Newt.

«Va bene, allora.» Mormorò, rivolgendosi di nuovo a Tina che, adesso, aveva tutte le attenzioni puntate su di sé «Le va di darmi una mano in cucina?»

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