26.3. Cicatrici ( in ) visibili ( Newt )
Era così carina, pensò, anche quando dormiva. Era ancora convinta di star lavorando, emetteva di tanto in tanto qualche sillaba o parola sconnessa, forse sulle maschere e su ciò che aveva da poco dedotto. Nonostante la stanchezza, non era riuscita a mettere da parte il lavoro, la sua dedizione la spingeva a fare meglio, a mettere da parte se stessa per il loro mondo. E lui non poteva non ammirarla, anche solo per questo piccolo sacrificio.
Newt Scamander si era svegliato di nuovo, con il cuore in gola. Le aveva sognate, le maschere, torturare le sue innocenti creature. Per un attimo si era convinto che quello non fosse un sogno, che stesse vivendo un ricordo talmente nitido, forse di qualcun altro, divenuto però il suo. Pochi minuti dopo, sentendo il respiro e i mormorii sommessi della donna di fianco a lui, si era tranquillizzato. Aveva riaperto gli occhi giusto il tempo sufficiente per guardarla dormire, e subito dopo li aveva richiusi, addentrandosi in una realtà senza sogni.
Eppure, dopo l'ennesima visione di quella giovane donna rapita in volo dall'aquila reale, Newt si sentì costretto, nonostante la stanchezza, a mettersi seduto sul letto. Poteva quasi sentirne il battito delle ali.
Ora capiva perché Tina non riuscisse mai a dormire. Erano misteri che non ti facevano chiudere minimamente occhio la notte, che ti spingevano a consumare ogni singola energia pur di risolverli. Un mix di adrenalina naturale che inibiva i loro bisogni. Tina lo sperimentava da più di dieci anni ormai, si era abituata.
Si lasciò scivolare sul materasso, incurante.
Quale creatura avrebbe potuto confondersi fra la folla?
Creatura capace di volare, per giunta.
Non poteva essere semplicemente un animagus. O forse sì?
Stava sonnecchiando adesso, nonostante la sua mente fosse apparentemente attiva. Lo stava confondendo, con tutti quei ragionamenti contorti che sembravano non avere un filo logico. Spaziava da un argomento all'altro, lui stesso era divenuto un tassello in quel vortice onirico.
Nel sonno, passò le mani sulla comoda superficie su cui poggiava la testa, bollente e alquanto piacevole. Allungò il braccio per stringerlo. Quel gesto gli dava sicurezza, lo faceva anche da bambino. Solitamente da piccolo abbracciava sempre il peluche a forma di ippogrifo, che la madre aveva cucito per lui, o direttamente il cuscino. Tranne che quel cuscino era piuttosto pesante e rigido, e... vivo.
Si stava muovendo.
Ma i cuscini non sono esseri viventi, pensò Newt nel sonno.
E lui, di certo, non era una creatura e non stava dormendo negli habitat con loro. Allora, perchè quel cuscino sospirava e si muoveva?
Newt socchiuse appena gli occhi, e realizzò di trovarsi in una stanza. Era tutto sfocato, dovette sbattere più volte per ciglia per mettere a fuoco ciò che lo circondava.
Intravide i quadri appesi alle pareti, la scrivania sulla quale erano ammassate le pergamene e un libro, quello sui pastori cantori, le valigia ai piedi del letto. Realizzò di non trovarsi nella propria metà di letto, ma in quella sbagliata, quella destinata alla ragazza. Tina... ma a proposito... lei dov'era?
Dopo l'ennesimo mugolio nel sonno, Newt capì che ciò su cui poggiava la testa non era un cuscino, ma una schiena umana. E quel cuscino vivente lo stava chiamando, era sveglio.
«Newt...»
Arrossì violentemente, eppure non si mosse subito, aveva avuto bisogno un po' di tempo per mettere in funzione i muscoli. La stava schiacciando, insomma... lei era così magrolina, e lui pesava almeno la metà in più di lei. E se la stesse soffocando con il suo peso?
Quel pensiero fu sufficiente a scostarsi, quel tantino da liberarla un po' dal suo abbraccio. Newt ritrasse la mano, con la quale afferrò un vero cuscino da mettere sotto la testa.
«Io... T-Tina... mi dispiace... non volevo scambiati... usarti come un cuscino...» bofonchiò, inclinando la testa di lato per incrociare il suo sguardo.
A quelle parole, Tina ridacchiò, con grande sollievo per il mago britannico.
«Non importa. Se mi avesse dato fastidio, ti avrei cacciato via dalla stanza.»
Newt non ne dubitava.
«In realtà... non mi è dispiaciuto, sai... ero al calduccio!» Si tinse sulle guance, lamentandosi nella sua mente del repentino cambio di temperatura.
Lui annuì, mentre gradualmente le sue guance ritornavano del colorito iniziale.
«Ecco... eri un ottimo cuscino! Molto morbido...»
Solo lui avrebbe potuto fare una battuta del genere, realizzò qualche istante dopo. Ma Tina non sembrava infastidita, gli sorrideva timidamente e, probabilmente, lo stava studiando.
«Hm... sono contenta, almeno hai dormito bene! Nonostante gli incubi, ovviamente. Parlavi nel sonno. Non volevo svegliarti.» Allungò la mano per spazzolargli i capelli che gli ricadevano ribelli sul viso.
Quel semplice gesto gli fece venire una strana sensazione al basso ventre, calore, forse. Era una strana sensazione, sì, ma piuttosto piacevole.
«Se hai bisogno di un cuscino, sai dove trovarne uno.» Ridacchiò l'auror, con un sorrisetto timido.
«Sì...»
«La mia schiena è sempre qui...»
«Che ore son...?»
«Le cinque del mattino. Abbiamo dormito sì e no tre ore...» sospirò.
Entrambi avevano la voce impasticciata dal sonno, sembrava più una commedia a dir la verità. Impiegavano parecchi secondo solo per capire la domanda, e circa il doppio per articolare una risposta.
«Queenie...» sbadigliò sonoramente, senza mettersi la mano davanti alla bocca «è stata poco bene, ha avuto un indigestione, tutta colpa del latte che ho preparato... ieri... lei...» un altro profondo sbadiglio «ha ragione, io... non so... uhm... cucinare.»
Con una rapidità che lo colpì, Tina rotolò di lato, come se avesse appena recuperato le energia improvvisamente, facendosi più vicina. Trattenne il fiato quando sentì la sua mano raccogliergli il viso a coppa.
«Tremavi nel sonno.» Mormorò con dolcezza, studiando attentamente i suoi occhi «Che cosa hai sognato?»
Newt stava dimenticando tutto, il sogno, le maschere, Tina che veniva solleva in volo da quell'aquila. I suoi occhia avevano questo potere, dentro di loro Newt si sarebbe voluto disperdere.
«Io... non me lo ricordo...» e in parte era vero.
La giovane strega allungò la mano per afferrargli il polso, dove premette in un punto ben preciso le dita, per ascoltare il suo battito cardiaco. Non sarebbe riuscito a nascondere la sua agitazione, la paura: per lei.
«Sei ancora piuttosto agitato, magari un abbraccio potrebbe aiutarti a calmarti un po'.» Propose.
Un lieve rossore le tinse le guance, ma Newt non ci badò troppo.
«Io... insomma... tu» stava riflettendo un po' troppo a lungo lo sapeva «credi che sia il caso, dopo averti scambiata per un cuscino?»
«Non sono arrabbiata con te, Newt.» Lo rassicurò.
«Io... non ti toccherei mai...»
Se tu non volessi.
«Lo so.»
E io non ti ucciderei se lo facessi, pensò lei.
«Non ti ho ancora ucciso, no?» Ridacchiò lei, allungando la mano per tracciare il contorno del mento con le dita.
Poteva sentire la barba graffiarle delicatamente il polso, solleticarle la pelle. Di nuovo passò il pollice su quel sentiero in fiore, facendolo tremare appena.
E di nuovo Newt sentì quella piacevole sensazione al basso ventre, mentre le sue mani vellutate lo studiavano. Una sensazione che era accompagnata da una nuova consapevolezza, che sperava che lei non notasse.
«L'ultima volta che qualcuno ha provato ha toccarmi, gli ho lasciato una cicatrice. Proprio qui» gli sfiorò delicatamente una lentiggine sul dorso della mano.
E, con un sorrisetto, chiuse gli occhi e poggiò la testa sulla sua spalla. Nonostante quella rivelazione, Newt non aveva paura di lei. Timore, forse. Aveva solo paura di fare la cosa sbagliata, di deluderla.
«Va bene così?»
«S-se va bene a te...» balbettò lui, ispirando il profumo dei suoi capelli.
«Io...»
Avrebbe tanto voluto essere onesto con lei, ma non sapeva che lei stesse pensando la stessa cosa.
Aveva paura per lei per ciò che le sarebbe potuto succedere, come se l'aquila avrebbe potuto veramente sollevarla in volo e allontanarlo via da lui. Voleva stringerla, tenerla lontana dai suoi artigli. Ma non sapeva che anche Tina avrebbe tanto la sua protezione.
Gli sollevò le braccia perchè potesse cingerle i fianchi e stringerla di più a sé. Adesso poteva sentire l'ansia, che la accompagnava ormai da tutta la vita, scorrere via. Newt tremava, poteva percepirlo.
Ma non sembrava essere lei la causa del suo smarrimento.
Ma lo sarebbe stata di lì a poco.
«Sai... io l'ho sognata, l'aquila. E... eri tu la donna che sollevava in volo...» sussurrò, come se le stesse confidando una verità scomoda che non poteva essere rivelata.
«Ho paura per te, Tina. Con il tuo lavoro, hanno... cercato di ucciderti una volta, e...»
«Non mi succederà niente, Newt.» Gli sorrise.
Non era vero, lo sapeva. Era una menzogna, gli stava mentendo spudoratamente. Stava entrando nella tana del lupo, e lei lo sapeva.
«Non finché ci siete voi.» Aggiunse, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo.
«Sì»
Avrebbe tanto voluto colmare la distanza che li separava, sentire la morbidezza delle sue labbra contro le proprie. Tracciarle dolcemente non solo il viso.
«Io non permetterò a nessuno di farti del male.»
«Sì».
Tina lo sapeva, non aveva bisogno di prove. Era una sensazione che riusciva a vivere come una seconda pelle.
Avrebbe tanto voluto dirglielo: «Io mi sento al sicuro con te.»
Eppure rimase in silenzio, ad ascoltare il rumore sincronizzato dei loro respiri.
«Neanche io permetterò a nessuno di farti del male, Newt.»
Gli stava dando la sua parola. Achilles e quei cacciatori di bestie sarebbero stati lontani dalla sua valigia, dalle sue amate creature. Non voleva che lui, dinanzi ai suoi errori, ne rimanesse distrutto.
Aveva trovato un nesso tra Grindelwald e i trafficanti di creature magiche. Grindelwald stava cercando di colpirli, distruggendo tutto ciò che a loro stava di più a cuore. Nel caso di Newt, erano le sue amate creature.
«Lo sai... che noi auror siamo pericolosi...»
A quelle parole, Newt non potè astenersi dal ridacchiare. Le scompigliò affettuosamente i capelli e scosse la testa, divertito.
«Sono terrorizzato da lei, Signorina Goldstein...»
Tina si finse offesa, girò appena la testa di lato per lanciargli una smorfia di soddisfazione.
«Era proprio quello che volevo!» Lo canzonò.
«Hm, non ci credo neanche se la vedessi a lavoro! Però, devo dirlo, sa essere molto convincente, capo!»
«Non chiamarmi così.» Gli diede una spallata affettuosa.
«Siamo pari...»
«Dici?» Ridacchiò lei, inarcando un sopracciglio.
E, prima che lui potesse ribadire, gli diede un bacio a stampo sulla guancia. Newt rimase immobile, un completo babbeo, rosso in volto e con un sorrisetto sciocco stampato sulle labbra.
«Credo che questo basti per cancellare gli incubi...» inarcò un sopracciglio divertita.
«Beh... buonanotte, signor Scamander.»
«Sì, un p-pochino» balbettò Newt, senza smettere di sorridere.
Sarebbe tanto voluto essere meno timido e impacciato, dirle quanto gli piacesse quel suo caratterino. Lei si era messa comoda comoda fra le sue braccia, mentre lui era immobile, e si limitava a stringerla per i fianchi.
«Fammi un fischio se hai un altro incubo...»
«Certamente!»
«E non chiamarmi più "capo", Buon Lewis! Mi fai sentire vecchia! Sono sempre io, Tina!»
«Lo so. Mi piace farti arrabbiare.»
«Hm... non ci provare!»
«Sono sopravvissuto alla tua ira funesta!» La canzonò.
«Ah sì?»
«Sì...»
«Beh, dillo un'altra volta e potresti non essere così fortunato per raccontarlo!» Ridacchiò la ragazza.
Anche lei aveva avuto un incubo ma, a differenza sua, non lo avrebbe mai ammesso. Aveva bisogno di quel contatto molto più di lui. Newt sembrava un tronco, non riusciva a muoversi, ma aveva un bisogno impellente di farlo. Si voltò appena a guardarlo. Lui stava fissando il soffitto, meditabondo. Senza liberarsi dal suo abbraccio, gli diede le spalle, poggiando la schiena contro il suo petto.
Newt avrebbe comunque avuto il suo cuscino vivente.
«Comodo?» Gli chiese, quando lo sentì adattarsi alla posizione.
«Più che comodo!» Dichiarò.
Lui la teneva stretta, un braccio le correva al di sotto della vita, l'altro la cingeva. Poteva percepire le sue mani unite in un pugno morbido sopra la sua pancia e, per una volta, non le importava.
Entrambi stavano riempiendo il vuoto dell'altro.
«Tu invece stai bene? Voglio dire... sei comoda?»
«Sì.»
«Bene.»
Era molto rassicurata dalla sua presenza. Le aveva chiesto se fosse comoda, come era giusto che fosse. Era identico a Jacob, o meglio... premuroso come suo cognato. E non sembrava interessato a lei, a quella parte di lei, che spesso ricopriva la maggior parte dei pensieri di coloro che le passavano vicino.
Newt non aveva malizia, era sempre rispettoso e amava che le chiedesse il permesso per qualsiasi cosa.
«Notte. O meglio, 'giorno... sono quasi le sei...»
Potevano dormire per un altro paio di ore scarse, forse.
Sentiva le mani di Newt tracciarle distrattamente un percorso lungo la zona scoperta dalla camicia del pigiama sulle spalle. Stava quasi per riprendere sonno, quando Newt si bloccò di colpo.
«Tina...»
«Hm.»
«Che... che cosa hai fatto alla schiena?»
Fu a quel punto che realizzò che lui le stava tracciando quella rete di striature biancastre sulla sua pelle marmorea. Newt era rimasto piuttosto interdetto, non aspettandosi certamente di vederne così tante in quel piccolo capolavoro. Era un'auror, sapeva che era il rischio del mestiere. Eppure, erano così nette che quasi sembravano studiate. Fu più forte di lui, non riuscì a tenere le dita distanti.
Con il tempo, Newt aveva imparato a distinguerle, a leggerne le storie. Sentiva che in quei segni vi era qualcosa che non andava, qualcosa che gli lasciava l'amaro in bocca. Nessuna sembrava essere recente.
«Non ho capito» mentì lei, evitando di rispondere.
Ma il suo tono era troppo calcolato, troppo pacato perché apparisse veramente sorpreso. E qualcosa gli diceva che Tina sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo. Da lontano, quelle cicatrici erano pressoché invisibili.
«Tina... credo che tu sappia a cosa mi sto riferendo. Come te le sei fatta quelle cicatrici?»
«Lavoro.» Mentì di nuovo, di getto.
Un'altra bugia che non passò inosservata al mago.
«Sì?»
Sembrava scettico, e aveva ragione di esserlo. Tina deglutì, il cuore prese a martellarle il petto.
«Che cosa vuoi, Newt?» si voltò a guardarlo, furibonda.
La delusione e l'amarezza avevano lasciato il posto alla rabbia, un sentimento cieco che raramente riusciva a controllare.
Newt la guardò confuso. Allungò la mano verso il suo viso, accorgendosi ben presto che era bagnato di lacrime.
Aveva toccato un tasto dolente senza volerlo. Non riusciva mai a combinarne una giusta. Qualche istante prima erano lì, a scherzare, adesso l'atmosfera era divenuta insopportabile.
«Tina... io, io non voglio niente! Non volevo essere invadente...»
«Invece ci sei riuscito, grazie tante!» Proferì lei acida, voltando la testa di lato per non incrociare il suo sguardo.
«Non volevo farti piangere. Mi dispiace.»
«Non sto piangendo! Sto benissimo, Newt! Ma dovresti cercare di capire, non puoi obbligare la gente a dire ciò che non dovrebbe essere detto. Non ho voglia di parlarne.» Abbassò la voce.
Non era colpa sua, non lo era mai stata. Adesso si sentiva in colpa, lui non meritava di essere trattato in quel modo, lui che era sempre stato rispettoso con lei.
«Tu...» le tremò la voce «non puoi farci niente, d'accordo? Devi smetterla di addossarti i problemi degli altri, perchè non riusciresti a cambiare le cose. Non hai il potere di cambiare il passato, e nemmeno io.»
«Tina...»
«Non è colpa tua, va bene? Sono io.»
Era tornata a essere la Tina Goldstein insicura che aveva conosciuto parecchi anni prima, incapace di mettersi a nudo, la parte più fragile di se stessa.
«Non sei tu.»
Chi avrebbe potuto amarla una donna come lei, una mezzosangue figlia di nessuno, se quei mostri con cui aveva avuto a che fare erano stati incapaci di amare una bambina di sei anni?
Newt rimase in silenzio, allungò la mano e la tenne stretta, nonostante la sua mente necessitasse tante risposte.
«Mi dispiace, Tina. Davvero, io non volevo ferirti.»
Tina lo sapeva, come poteva non saperlo. Gli sorrise, con un profondo senso di colpa.
«Te l'ho detto, Newt. Non è colpa tua, ma mia.»
Newt non riusciva a capire, che cosa avrebbe potuto fare di male per meritare ciò a cui aveva appena assistito?
«Quale sarebbe la tua colpa, Tina?» Le premette le labbra sulla testa.
Lei rimase qualche minuto in silenzio, forse per valutare se aveva ancora il diritto di parlare.
Forse sarebbe stato meglio, se avesse mantenuto il silenzio.
«Esistere.»
E di nuovo Newt non riuscì a capire.
Come poteva essere una colpa, esistere?
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro