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24.1. 𝐂𝐢𝐜𝐚𝐭𝐫𝐢𝐜𝐢 (𝐢𝐧)𝐯𝐢𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢 ( parte 1 ) Tina/Jacob

Tranquillità, ecco ciò di cui avevano bisogno. Un letto più che morbido, pareti ben robuste contro gli spifferi. Non aveva mai visto un hotel così comodo in vita sua, neanche in una nazione grande come in quella in cui avevano sempre vissuto.

Il letto a baldacchino era il punto forte di quella camera, che avrebbe potuto benissimo ospitare più di una famiglia. Non aveva avuto, però, la forza e la volontà di guardarsi intorno più attentamente. Se l'avesse analizzata con più attenzione, avrebbe sicuramente trovato qualcosa che le avrebbe fatto un po' storcere il naso.

Tina osservò quel viso decorato da lievi riccioli color oro. Ribelli le ricadevano sul viso, più smunto e pallido rispetto a qualche ora prima. Dormiva così serenamente ed era così stanca che non aveva avuto il coraggio di prendere nuovamente l'argomento. Come avrebbe potuto, considerando la sua debolezza a causa del suo stato interessante, accusarla di non averle dato retta?

Non era esattamente nelle condizioni ideali di protestare, di fare polemica.

Lei che portava sulle spalle il peso di una verità che prima o poi l'avrebbe distrutta.

Alla fine, pensandoci bene, ciò che sua sorella le aveva nascosto non era così grave come la colpa che la stava macchiando.

"Mi dovrai delle spiegazioni più tardi", disse più a se stessa, occupando il cuscino vuoto accanto a lei.

Era di Jacob, lo sapeva. Ma lui non sarebbe dispiaciuto se avesse chiuso gli occhi per qualche minuto. Con una cura quasi maniacale, prese una coperta e la adagiò lievemente sul corpo robusto e rotondo della sorella. Mai si sarebbe stancata di contemplare quella sagoma tondeggiante.

La sua piccola Queenie.

Cosa avrebbe fatto senza di lei?

Se la strinse forte forte come poteva, come se avesse il timore di perderla di nuovo, come se Grindelwald potesse strappargliela nuovamente via davanti agli occhi.

Forse era ancora sotto il suo controllo, non sapeva, in effetti, se nell'eventualità in cui Grindelwald le avesse teso la mano, sua sorella avrebbe accettato.
Le veniva difficile pensare che lei si fosse pentita, che adesso fosse leale, pronta a difendere la sua famiglia. Conosceva l'influenza che Grindelwald aveva avuto su di lei e ne aveva paura.

E se un giorno sarebbe ritornata dalla sua parte?

Se questa volta, Grindelwald veramente sarebbe riuscito ad assoggettarla completamente a sé?

Sapeva che, in fondo, si trattava di un'ipotesi ma, allo stesso tempo, una paranoia alla quale proprio non riusciva a non dare retta.

La osservò attentamente, cercando di limitare al minimo il rumore del suo stesso respiro. Le diede un leggero bacio sulla fronte e, dopo aver appoggiato il viso sulla sua spalla, cercando di non toccarla troppo e non svegliarla, socchiuse appena gli occhi, ormai vinta dalla stanchezza.

Tutte le suppliche che le aveva rivolto riecheggiavano adesso prepotentemente nella sua mente. Dovette reprimerle, metterle da parte per non turbare il dedicato equilibrio della sorella. Era ben consapevole che qualunque cosa avrebbe pensato, sicuramente lo avrebbe sentito nella sua mente amplificato, non voleva disturbare quel già fragile sonno in cui si trovava.

Perfino sua sorella l'aveva minacciata, se lei non avesse fatto parte della missione, l'avrebbe chiusa in una stanza e avrebbe sicuramente gettato via la chiave.
Le Goldstein fanno tutto insieme, gli aveva urlato. Era un giuramento che nessuna delle due era stata in grado di infrangere. Questa volta era stata costretta ad abbassare il capo e ad annuire, rassegnata. Nonostante fosse la più piccola, Queenie era sempre stata un po' la sorella maggiore di sua sorella e viceversa.

È solo incinta, ripetè nuovamente, prendendo un respiro profondo.

Non è malata.

Ispirò forte col naso, dopodiché si concentrò nuovamente sulla figura addormentata della biondina. Stava facendo tutto ciò per lei, anche se, a volte, le sembrava che Queenie non avesse la sensibilità necessaria e l'umiltà di notare i suoi sforzi.
Cercava di tenere tutto in ordine come poteva, imporre dei limiti, dei confini. Una bolla di protezione, oltre la quale nessuno poteva far loro del male.

Perché non riusciva a capirlo? Perché, nonostante l'impegno e la devozione, non riusciva a comprendere che stava facendo di tutto per tenerla al sicuro?

Lei stessa, forse, avrebbe dovuto imparare dai suoi limiti, a farsi gli affari propri e a non tentare l'impossibile. Così come lei, anche sua sorella era una testa calda, anche lei non riusciva a non abbracciare l'infinito. Era forse anche questo il motivo per cui l'aveva persa già una volta, lei stessa non si era accorta in tempo di aver oltrepassato quel sottile filo tra ragione e inconscio. Nonostante le sue buone intenzioni, nonostante facesse di tutto per la sua unica famiglia, aveva tradito la sua fiducia.

Continuava a ripeterselo, era colpa sua se Queenie aveva deciso di contaminare la sua purezza.
E lei si sentiva macchiata della sua stessa colpa.

Adesso erano lì, pronti a godersi la serata, anche se diversamente rispetto a come avevano pattuito.
Sbuffò e, dopo averle dato un bacio sulla guancia, chiuse gli occhi, raggomitolandosi contro la sorella. Per quanto il letto fosse grande abbastanza, più che spazioso, non era proprio comodissima. Il corpicino un tempo esile della sorella la stava schiacciando. Si chiedeva come Jacob riuscisse a dormire, a non rimanere schiacciato nel sonno dalla sua amata sorellina. Queenie aveva l'abitudine di abbracciare anche i cuscini, un po' come lei, mentre dormiva e, sicuramente, aveva già avuto l'occasione di stritolare Jacob, scambiandolo sicuramente per qualche cuscino.

Tra un sospiro e l'altro pensò a loro due come coppia, erano così carini. Sua sorella aveva finalmente trovato un marito d'oro, lei è il cognato dei suoi sogni che, seppure un po' troppo fifone ma allo stesso tempo animato dal suo stesso ardore, avrebbe fatto di tutto per la sua famiglia.

Da piccole, quando si ritrovavano nello stesso letto, non riuscivano mai a mettersi d'accordo. Litigavano spesso anche sul lato del letto che ognuno di loro avrebbe dovuto occupare.

Non che ci fosse abbastanza spazio per entrambe... il letto dell'orfanotrofio era piccolo, troppo stretto per contenere due bambine in continua crescita.

Da piccole, quando ancora avevano una casa e il nido familiare ben solido, erano ben liete di dormire insieme, gli occhi si chiudevano loro da soli. Andavano a dormire presto senza capricci, desiderose di cogliere anche la più piccola sfumatura della giornata imminente.

Lo stesso non valeva per quel piccolo giaciglio che era loro toccato in quella casa dei figli di nessuno. Per la prima volta, Tina aveva faticato a chiudere gli occhi, terrorizzata dall'idea che nel buio potesse celarsi qualunque cosa e che, nella notte, chiunque avrebbe potuto strapparle via la sorellina dalle braccia.
Erano praticamente identiche anche se tremendamente diverse.

Adesso gli occhi le si chiudevano da soli, desiderosi di concludere finalmente la giornata anche se non del tutto in grande stile. Non avevano pranzato e nemmeno cenato. Tina aveva arrangiato con uno hot Dog, ma la sua fame insaziabile non si era placata. Avevano affrontato la giornata con due caffè bruciati e di tanto tanto qualche bignè alla crema. Ma non ci badava troppo, era più assonnata che affamata.

Proprio quando la stanza iniziava a sfumarsi e il resto degli immobili assumere delle sembianze indefinite, qualcuno bussò timidamente la porta. Due battiti lievi, quasi inesistenti. Non aveva bisogno di chiedere chi fosse, lei lo sapeva già. Quei toc toc inconfondibili gli avrebbe riconosciuti immediatamente. Leggeri, timidi e delicati come il battito di ali di una falena.

Un cenno di assenso e un "avanti", lo invitò a entrare. Gli accennò un sorriso, mentre indirizzava timidamente lo sguardo verso la zazzera di capelli arruffati che gli ricadeva disordinatamente sulla fronte. Quei capelli un po' sbarazzini, le lentiggini sulle guance e la sua camicia spiegazzata le strapparono un sorriso. Indossava già il pigiama, a strisce verticali azzurre e bianche. Pensandoci bene, non lo aveva mai visto in pigiama. E poi... Gli stava bene, non poteva non ammetterlo. Un po' faticosamente, Tina, facendo leva con le braccia e i gomiti, si rimise seduta sul bordo del letto, facendogli cenno di occupare lo spazietto, seppur limitato, accanto a sé.

«Newt» biascicò appena lei, cercando di darci un contegno.

Aveva i capelli completamente scompigliati anche lei, li percepiva sulle guance e sul mento. Con una mano, tentò di appiattirli alla testa perché apparissero meno gonfi e disordinati.
«Perché sei in pigiama? Non dovevate uscire?» si portò una mano alla bocca, un po' curiosa.
«Abbiamo pensato che siccome Queenie sta poco bene, non è il caso di restare fuori. Insomma, è tutto il giorno che viaggiamo e direi che una bella dormita ci farebbe più che bene!»
«Non dovete» sussurrò la giovane auror un po' amareggiata «Queen sta bene, era solo un po' stanca. Prima era tanto pallida, ma ora... Ha ripreso un po' di colore» la voce le si incrinò lievemente.
Newt annuì, infine scosse la testa.
«Non preoccuparti, siamo tutti un po' stanchi. E poi, so bene che non lasceresti mai da sola tua sorella.» Le accennò un sorrisetto imbarazzato e abbassò lo sguardo.

«Nel frattempo» proseguì il Magizoologo «ci siamo accordati sulla disposizione delle stanze. Lally e Bunty staranno insieme, mentre Filemina e Lysander avranno la loro camera a parte. Jacob e tua sorella staranno insieme, o-ovviamente. Kama, invece, ha richiesto una camera singola.»
Mentre parlava, le scappò un sonoro sbadiglio.

«E qui si pone il problema...» sospirò il ragazzo, grattandosi nervosamente la nuca, cercando di mettere da parte il nervosismo.

Dinanzi a questo improvviso innalzamento di voce, si destò dal sonno imminente. Voltò lentamente il capo, mentre sulla sua fronte si disegnava una piccola ma piuttosto marcata ruga di insoddisfazione, più preoccupazione in realtà
«Come?» Non potè fare a meno di chiedere.
Newt in tutta risposta si sentì costretto a portarsi una mano sulla bocca.
«Ehm...» indugiò, ma la sua espressione parlava chiaro e dovette sbrigarsi e affrettarsi a darle una risposta.
«Ecco... C'è una piccola possibilità che tu debba dormire...» strizzò gli occhi, cercando già di figurarsi le sue urla.
«Con?» Mise le mani sui fianchi.
«Con... m-mio f-fratello Theseus...» Chiuse gli occhi mentre lo diceva, abbassando lo sguardo in attesa della sua reazione che non tardò ad arrivare.

Intravide il suo viso impallidire, inarcare un sopracciglio e sgranare gli occhi, esterrefatta.
«Come?»
«Beh ecco... Io... Sono un tipo molto solitario.»
«Stai scherzando, vero? Io... Non posso dormire con tuo fratello!!» Quasi urlò, afferrando nervosamente un cuscino e colpendolo brevemente, senza tuttavia fare troppo rumore.

Non voleva svegliare sua sorella.

Newt le accennò un sorrisetto timido, sperando che fosse sufficiente a calmare la sua rabbia.
«Perché non può andare a dormire in valigia?»
«Sai com'è fatto...»
«E quindi? Io dovrei dormire con lui? Perché tu sei "un tipo molto solitario"?» Inclinò la testa di lato.
«Theseus ha le sue regole...»
«E quindi dovrei sacrificarmi io?»
«Lo sai che non mi sopporta...»
«Vale lo stesso per me... la cosa è reciproca...» si accarezzò le labbra.
«Potrei offrirti un hot Dog... Dopo il duello di qualche ora fa, ha abbassato un po' la cresta», propose il magizoologo.

Udite quelle parole, Tina Goldstein scoppiò in una fragorosa risata.

«Oh, non puoi sempre tentarmi con un hot Dog...» picchettò nervosamente il materasso con le dita, incapace di prendere una decisione, o meglio... Di accettarla.
«Io...» sembrava quasi sul punto di piangere «non posso scombattere anche appresso tuo fratello!» Si voltò verso la sorella che sospirava e ridacchiava appena nel sonno. Immediatamente si assicurò che lei stesse bene, era la sua priorità del momento.
«È quasi svenuta lì fuori. Io non ce la faccio, e se alla lista di persone con cui litigare si aggiunge anche tuo fratello io... Potrei impazzire...» sembrava tremendamente seria.

Newt la osservava attentamente, mentre lei era forse un po' troppo assorta nei suoi pensieri e preoccupazioni. Quasi non si accorse che Newt si era avvicinata a lei ancora di più e che, con la delicatezza di una farfalla, quasi con il timore che potesse romperla, le aveva adagiato una mano sulla spalla. Si voltò appena e incrociò il suo sguardo, accennandogli un sorrisetto tirato che certamente non compensava la lacrima che le scendeva dal margine dell'occhio.

Ebbero un fremito, sia lui che lei.

«Stai tranquilla, vedrai che andrà meglio domani. Anche ad alcune mie creature capita...»
Tina ispirò appena con il naso e gli accennò un piccolo sorrisetto ai margini della bocca.
«Mia sorella non è... Una creatura...» non poté astenersi dal ridacchiare.

Solo Newt Scamander avrebbe potuto permettersi di fare un paragone del genere, lui e le sue battutine e paragoni fantastici.

Di contro, lui arrossì appena e cercò di stemperare l'imbarazzo con una lieve risatina, che completava quella della giovane strega.

«Lo so... Ma sai come sono fatto. Le mie creature...»
«Ti sciolgono la lingua» ridacchiò di gusto lei, molto più tranquilla di prima, voltandosi di tanto in tanto a osservare la sorella che sembrava essere molto più rilassata.

Newton Artemis Fido Scamander aveva questo incredibile potere su di lei. Riusciva a domare il suo animo impetuoso. Gli bastava uno sguardo, un sorriso, delle parole sussurrate con giuste e buone intenzioni, le stesse parole capaci di smuovere le montagne e placare le tempeste. Anche soltanto con la forza del suo sorriso genuino. Ogni volta che le sorrideva, sentiva una strana sensazione al petto, un senso di calore piacevole che le faceva formicolare le dita delle mani e le offuscava la testa.

E ogni volta che credeva di averlo superato, Newt la incantava con quel viso, quella timidezza che aveva sempre fatto parte di lui. Era superiore a un filtro di amore, un arco che scoccava frecce a ogni passante. Era l'unica donna esistente che amasse alla follia quella piccola parte di lui, a essersi accorta della sua grandezza silente.

Forse era soltanto un'amica per lui, o forse non era nulla di ciò nel suo cuore non c'era posto per lei, per una donna come lei.
Lei non lo meritava, non meritava il suo amore e non era degna di essere amata a sua volta. Non era esattamente il genere di donna adatta a lui e, forse, era meglio così per entrambi. Avrebbe finito per fargli inconsciamente del male e lei non voleva questo.

Newt non lo meritava.

Lui era troppo buono e lei non possedeva neanche la metà della sua infinità dolcezza.

Doveva essersi soffermata troppo sui suoi pensieri, da aver attirato l'attenzione del magizoologo.
«Che cosa stai pensando?» la prima volta che un ragazzo si dimostrava interessato ai suoi pensieri, non che non gli fosse mai importato.

Sua sorella, da tempo ormai immemore, aveva il permesso di leggerle nella mente, ma nessuno, oltre lei e Lally, si era mai interessato veramente a lei. Lui era il primo a chiederle cosa ne pensasse, a insistere perché lei gli dicesse come si sentisse realmente, e cosa avrebbe potuto fare per farla stare meglio. Aveva quasi dimenticato la sua presenza in quella stanza e, certamente, anche suo fratello Theseus di cui, al momento, preferiva ignorare la sua esistenza. Era troppo stanca per tenere gli occhi aperti e il cervello operativo.

«Ah... niente» mentì, con il solito sorrisetto stampato sulle labbra.
Ma Newt non sembrava tanto convinto, infatti, come lei aveva tristemente sospettato e immaginato, scosse appena la testa e si fece più vicino a lei. Se prima c'era qualche centimetro di spazio tra i loro corpi, adesso una tale voragine che venne rapidamente riempita.

«Che cosa c'è che non va, Tina?»

Perché non riusciva a nascondergli niente? Borbottò nella sua mente. Non poteva fare a meno di ritrovarsi a pensare nuovamente al caso, ad Achilles Tolliver e alla relazione secreta che era stata costretta ad accettare di avere.

Doveva farlo, non poteva dirgli della missione, avrebbe dovuto spezzargli il cuore. Eppure ne aveva bisogno, aveva bisogno di sentirlo accanto a sé, nonostante non meritasse il suo amore. Si morse il labbro fino a farlo sbiancare. Newt era in attesa di una risposta e starebbe stato meglio se fosse riuscita a trovarne una verosimile. Non era mai stata brava a mentire, e non sarebbe stata abile nel farlo neanche in quell'attimo.

«Non c'è niente che non va, va tutto bene...» gli accennò un sorriso stanco «solite grane, sai... Con il lavoro.»

Anche questa volta, lui non parve affatto soddisfatto della sua risposta. Ma, nonostante fosse ben consapevole che gli stesse mentendo, decise di non insistere. Avrebbe aspettato che lei prendesse il discorso nuovamente in causa e, finalmente ottenuto il coraggio che le serviva, si sarebbe confidata con lui per quanto difficile. Tina era sempre stata molto riservata e non avrebbe mai affidato le proprie grane agli altri, anzi... Aveva questa incredibile capacità e dote di attrarle a sé, come se i problemi la seguissero e la cercassero. Mentre lei cercava disperatamente di evitarli.

«D'accordo, sai che puoi parlarne con me, quando sarai pronta».
Chi non lo sapeva, certo che lo sapeva! Piuttosto bene. Non poteva permettersi di esporlo a un pericolo così grande, un pericolo che lei stessa non avrebbe saputo come affrontare.

Lei che era del mestiere, era addestrata anche al più terribile dei pericoli.

Continuava a ripetersi che dell'amore lei aveva un solo e unico vago ricordo. A furia di sentirselo ripetere da ragazzina, quasi si era convinta che fosse vero. Lei non era destinata a essere amata, non sapeva amare e non meritava di essere amata.
«Lo so, Newt. E ti ringrazio, davvero... Ma... Io... non posso. Ci sono segreti che non possono essere rivelati.»
Abbassò lo sguardo.
Si aspettava che lui si alzasse e che magari deluso del suo comportamento, se ne andasse. Invece rimase lì a sorriderle e a supportarla, con la sua sola presenza, e centinaia di modi immaginabili.
«Non ti preoccupare» le accennò un sorriso «va bene, ma se sentissi il bisogno di parlare, sai dove trovarmi.»
«Grazie, Newt. Lo stesso vale per te.»

Forse non era del tutto vero. Rimasero immobili, a fissarsi negli occhi, tra uno sbadiglio e l'altro. Guardavano l'un l'altra con il solito pudore, limitandosi ad accennare un sorrisetto e indirizzare lo sguardo in un'altra direzione, quando iniziavano a sentire quel piacevole formicolio alle guance.

Il mago stesso sapeva che, come lei, anche lui non si sarebbe aperto così facilmente. Anche Tina, se gli fosse successo qualcosa, non gli avrebbe imposto mai di mettersi a nudo contro la sua volontà. Anche lei incapace di dire a parole ciò che provava, di esternare i suoi sentimenti e le sue paure. Lui si chiudeva a riccio come lei spesso faceva. Quando succedeva a lei, era molto difficile riuscire a penetrare la sua corazza, ma altrettanto semplice farla crollare. Tina aveva paura di mostrare la sua vera sé e lo faceva solo con le persone alle quali concedeva la sua piena fiducia. Evidentemente, lui non era fra quelle, non meritava di conoscerla.

«Mi dispiace... Vorrei dirti di più, ma...»
«Non devi preoccuparti, Teenie,» tentò di rassicurarla «Non mi offendo!»

Allungò la mano per accarezzarle la guancia umida.

Ciò rappresentava il massimo dell'intimità che si concedeva con lei. Le parole le si bloccarono in gola, tutte le scuse sfumarono immediatamente, le spiegazioni contorte che il suo cervello aveva elaborato.

«Newt.» sospirò a fiordi labbra, mentre il Magizoologo le tracciava il contorno del viso con la punta delle dita. Un'esasperata lentezza. Continuò a soffermarsi nuovamente sulla pelle morbida, appena scorticata, delle guance appena infossate.
«Sei una strega fantastica, qualunque cosa tu debba affrontare... ci riuscirai, ne sono certo!»
, era l'unica persona che avesse un effetto calmante su di lei.

Tina sollevò appena lo sguardo dalle ginocchia, per osservare le dita premute lievemente sulla sua pelle, quelle cicatrici urlavano di raccontare la loro storia. Ma Tina non era pronta per farlo, se lo avesse fatto lo avrebbe ferito. Era tremendamente curiosa, forse era il suo spirito di avventura che le chiedeva di colmare quella sete di conoscenza. E, forse per gioco, desiderò ardentemente di conoscere cosa si celasse oltre quei limiti, di andare oltre quella distanza che li separava.

Ma non poteva.

Si lasciò scappare un sorrisetto, quando incontrò gli occhi di quella creatura fantastica.
«Sì» sospirò lei, incapace di non guardarlo direttamente.
Lui la sentì tremare appena. Una scossa di eccitazione lungo la spina dorsale, che lui confuse con fastidio o tremore.
«Ti dà fastidio?» Si affrettò a chiederle.
Tina, in tutta risposta, poggiò la propria mano sulla sua e occupò lo spazio libero tra le sue dita.
«No, va bene.», lo assicuro «Non mi dispiace.» La voce le incrinò appena.
Gli strinse saldamente la mano, quasi un po' timorosa che lui potesse lasciare la stretta. Impedendogli, così, di allontanarla dal proprio viso.
«Non mi dispiace» ripetè nuovamente.
«Non importa...»

«Mi devi comunque un hot-dog.»

Nella stanza calò il silenzio, a eccezione dei lievi mormorii della biondina. Quel repentino cambio di atmosfera sorprese entrambi, che presero a fissarsi con gli occhi animati da una sottilissima nota di curiosità.

Newt si finse disgustato, offeso. Roteò gli occhi al cielo e incrociò le braccia al petto.
«Che cosa devo fare con te? Non posso crederci...» con un unico scatto, afferrò un sacchetto di carta, che lei aveva già intravisto, e glielo lanciò delicatamente fra le mani.
Tina ridacchiò e si affrettò a uscire il panino farcito con senape dalla confezione, per poi addentrarlo subito dopo con un morso.
«Non posso credere che ti piacciano così tanto!» Le diede una leggera spallata.
Tina sorrise, con le labbra completamente unte di senape.

Due hot-dog in un giorno... bingo!

«È un affronto!»
«Non sai che cosa ti perdi!» Continuò a mangiare felicemente, inebriandosi della sensazione di scioglievolezza della carne in bocca e il leggero tocco amaro della senape.

Queenie aveva ragione! Non osava immaginare alle sue arterie! Quella roba era più che nociva alla salute.
Rabbrividì, non riuscendo però a non ridacchiare dinanzi al suo sguardo furbetto che la sapeva lunga.

«Non credo mi interessi...»
«Il mio secondo amore!» Commentò, incapace di smettere di ridacchiare sotto ai baffi ( sporchi ).
Newt finse di pensarci, si passò una mano sul mento e scrollò le sopracciglia, fingendosi curioso.
«Hm... e chi sarebbe il primo?» Giocherellò con i bottoni rotondi del suo pigiama.
Ovviamente sapeva che non poteva essere lui, eppure quella domanda necessitava una risposta. Non che gli importasse...

Tina inclinò appena il capo e reagì allo stesso modo, imitando un po' la sua andatura goffa e impacciata, portandosi nel mentre l'indice alla bocca come per invogliarlo a celare quel segreto entro le mura della stanza.
«Hm... mia sorella, i mei genitori, i miei amici... e un piccolo spazietto anche per tuo fratello...» gli fece l'occhiolino, scoppiando di conseguenza a ridere.
«Theseus? Sul serio?»
«Voi Scamander meritate un riconoscimento... tuo fratello... forse...» mormorò tra i denti, cercando di non mostrare il fastidio nei confronti dell'irriverenza dell' auror speciale.

«Beh... se c'è un piccolo posticino per mio fratello, riesci a trovarne uno per me... forse... c'è uno spazietto anche per me?» Finse di farle gli occhioni dolci, supplichevole.

Tina allungò la mano per spostargli quella zazzera di capelli ingestibili e ridacchiò.
«Hm... può darsi...» preferì rimanere nel vago.
«È un onore, insomma... sei il capo del dipartimento auror americano...» Le fece l'occhiolino timidamente, appoggiandole una mano sulla spalla.

Tina rabbrividì. Poteva sentire le sue dita muoversi appena sul tessuto della camicia, sulla pelle scoperta sotto la nuca e appena sotto l'orecchio.

Ruvide, morbide, callose.
Arrossì, e abbassò lo sguardo, incapace di pensare a tante cose contemporaneamente.

«Io... sono solo Tina, lo sai... non cambia nulla...» gli accennò un sorrisetto timido, con le guance appena tinte di rosa. Deglutì.
«Solo tu saresti stata in grado di gestire l'incarico e... mio fratello.»
«Non è detta l'ultima parola, potrei ancora volerlo uccidere!» Scoppiò a ridere, emozionata per aver ricevuto un tale riconoscimento da parte sua.

Lui, a parte la sua famiglia e i suoi amici, era l'unico a notare i suoi sforzi.

«Avresti tutta la mia approvazione, capo!»

Il leggero scricchiolare dei cardini robusti della porta in legno massiccio, lo fece voltare appena nella direzione dell'ingresso. Si portò un dito alle labbra, ordinandole di non emettere alcun suono. Per qualche secondo rimase immobile, con le orecchie tese, timoroso che qualcuno stesse udendo la loro conversazione, seppur priva di segreti.

Forse era solo stanco o stava diventando un po' paranoico.

Ne ebbe conferma soltanto quando un uomo basso e tarchiato fece il suo ingresso con un calcio alla porta, che si sarebbe spaccata se non fosse stata di legno massiccio. Con un vassoietto stretto fra le mani, varcò la soglia e si fermò a guardarli, soprattutto la cognata che gli stava urlando con lo sguardo.

«Queenie sta dormendo...»
Un'occhiataccia che diceva: non hai affatto rispetto per tua moglie.
«Scusate...»
Si lasciò scappare un sorrisetto malizioso quando li vide a pochi centimetri di distanza, le mani intrecciate sul materasso. Non si accorsero che Jacob aveva notato tutto, e che il pasticcere si limitava a canticchiare e mormorare qualcosa.

«Spero di non aver interrotto nulla, ragazzi!»

I due, a quel punto, ben presto si separarono e abbassarono lo sguardo per non incrociare quello dell'altro, imbarazzati.
Il pasticcere, ovviamente, non riuscì a trattenere un sospiro infastidito.
Non andava affatto bene!
«Oh no! Certo che no!» Farfugliarono contemporaneamente, paonazzi.

Quando, quei due, avrebbero capito che l'amore non era soltanto un "grande malus"?

«Come no...» mormorò sarcastico, facendo cenno a entrambi di alzarsi dal letto «non sia mai!»

Che vi scappi qualcosa...

Come al solito, Tina era ricoperta di senape e aveva avuto perfino l'ardore e il coraggio di mangiare accanto a Queenie che, se fosse stata sveglia, l'avrebbe certamente rimproverata aspramente.

Due volte in un giorno...

«Potete andare... ci penso io a Queenie adesso!»

Tina fece per protestare, ma il magizoologo la attirò a sé per la manica della camicia, incitandola ad affrettare il passo.
«Ma...» balbettò a malincuore, incapace di lasciarla da sola.
Aveva ripreso un po' di colore, ma era comunque pallida come un lenzuolo. Non che non si fidasse di Jacob, ma...
«A dopo.» Mormoró Newt a fior di labbra, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Jacob attese che i due piccioncini fossero ben distanti dal corridoio, prima di riprendere la parola. Si sedette sul letto, ormai riscaldato dalla presenza dei suoi amici, e si sdraiò, avvolgendo il corpicino della moglie con le sue braccia corte, facendo attenzione a non schiacciarla.

Si avvicinò al suo orecchio e, dopo averle lasciato qualche bacio appena sotto la mandibola, le sussurrò qualcosa che, era certo, avrebbe sentito.

Visto che Queenie non stava affatto dormendo.

«Mi chiedo... quando la smetterai di spiarli...»

La biondina che, fino a quel momento aveva accuratamente tenuto le palpebre socchiuse, lentamente si mise a sedere. Aprì un occhio e poi l'altro, e si fece comparire sul viso un piccolo sorrisetto furbetto.
«Legittima difesa!» Dichiarò allegra, inarcando un sopracciglio.
«Hm... legittima difesa?» Spiegò la fronte, con un sorrisetto sghembo.

Se quei due lo avessero saputo, non si sarebbero affatto divertiti, non come lui.

Queenie si fece incredibilmente seria e annuì.
«Sì.» Confermò.
«E fra i due è successo qualcosa, spiona?»
«Macché!» Strillò con la sua vocetta acuta, roteando gli occhi al cielo. «Neanche un bacio! Di questo passo... non diventerò mai zia! Non è giusto!» Protestò, adagiandosi nuovamente sui cuscini.
Lui riprese posto accanto a lei, stringendola lievemente contro al proprio petto.

«Dai loro del tempo...» la solleticò con il suo respiro caldo, e le baciò un punto ben preciso della clavicola.
Queenie sospirò, non soltanto per il piacere.
«Sono una causa persa, loro due... o meglio... mia sorella lo è! Newt è stato così carino, anche se non è rispettoso della sua alimentazione!» Ruotò appena la testa di lato e gli baciò la bocca.

«Anche noi eravamo una causa persa...» le ricordò, tracciandole la scollatura della vestaglia con le labbra e unendo nuovamente le labbra alle sue.

Amava il suo sapore, il suo profumo. Sapeva di cioccolata, budino al caramello e... chissà che cosa aveva mangiato quel pomeriggio!

La sentì tremare appena e spostare le mani verso il suo colletto, iniziando a giocare con le bretelle che gli sorreggevano i pantaloni.

«Magari potrebbe volerci tutta la vita, oppure...» le sollevò appena la vestaglia, rigorosamente rosa confetto, per accarezzarle le cosce formose.
«Sì?» Ansimò leggermente lei, avvolgendolo con le braccia per tenerlo più stretto a sé.

«Potremmo dare loro una spinta... e nel frattempo... potremmo fare qualcos'altro.»

Non impiegò molto a capire a cosa il marito si stesse riferendo, soprattutto quando sentì la sua mano, massiccia ma leggera come una piuma, raggiungere sotto la vestaglia il fermaglio metallico del suo reggiseno.
Si morse il labbro e gli avvolse, come potè, le gambe intorno alla vita, iniziando a sentire già in anticipo quella piacevole sensazione di calore, quel formicolio al basso ventre.
«Hm...»
«Se non sei troppo stanca per aver fatto la spia...» la canzonò lui «forse potremmo...» la baciò con veemenza, facendo buffamente scontrare i loro nasi.

«Hm...»

«Lo prenderò per un "forse" allora...» le rise in faccia, accarezzandole la schiena, ormai nuda, con una snervante lentezza.
Queenie, di contro, iniziava a sentire quel senso di urgenza di cui Jacob non avrebbe mai potuto fare a meno.
«Jacob...» non riusciva a smettere di ridacchiare.
«Ma non vorrei, sai... ti fa male la schiena!» Continuò a prenderla in giro, senza tuttavia tenere le mani lontane dalla morbidezza del suo corpo.
«Ma smettila! Lo sai che... non sono mai stanca per questo...»
«Non ancora, almeno.»
«Non potrò mai stancarmi di fare l'amore con il mio pasticciotto!» Gli accarezzò i capelli, e poggiò le labbra sulla sua guancia.

Attese che lui le disegnasse la pelle con le labbra, che si prendesse cura di ogni singola smagliatura che iniziava ad apparirle sulla pancia, prima di baciarlo a fior di labbra. Adesso che era incinta, non riusciva proprio a tenere le labbra lontane dal suo ventre rigonfio, vivendo pienamente ogni singolo contatto con la loro creatura.

«Sei così bella... la madre di mio figlio.» Inspirò con il naso, quasi sul punto di piangere.

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