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16.1. 𝗦𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗹𝗼 𝘀𝗮𝗽𝗿𝗮̀, 𝗻𝗼𝗻 𝗻𝗲 𝘀𝗼𝗳𝗳𝗿𝗶𝗿𝗮̀

Paciock Family's POV

Si erano aspettati di meglio da quella giornata. Entrambi credevano che avrebbero almeno trovato un po' di pace, non potevano sbagliarsi così tanto. Percival era stato chiuso per sbaglio in uno degli uffici disusati dell'ultimo piano. Non era riuscito a uscire da solo, perchè intelligentemente aveva dimenticato la bacchetta nel suo ufficio e nessuno si era accorto della sua assenza, almeno fino a quando una notizia urgente aveva richiesto la sua presenza.

Il figlio maggiore dei Paciock era stato rapito, in circostanze davvero misteriose. Era il secondo bambino di una coppia di auror a essere misteriosamente scomparso quella settimana, ed era stato proprio Achilles Tolliver ad aver dato la notizia a Tina e al resto del MACUSA.

La coppia era stata avvistata l'ultima volta a Londra in uno dei giardinetti per bambini da un gruppetto di auror che li controllava per sicurezza. I due genitori si erano accorti della presenza di alcuni individui poco raccomandabili che ruotavano attorno al loro bambino, e avevano richiesto la protezione di qualche auror per sicurezza. Ma questo non era giovato a molto, evidentemente.

Adesso erano in lacrime, disperati, a raccontare per l'ennesima volta la loro versione dei fatti e ad appendere volantini con la foto del loro ometto per tutte le strade d'Inghilterra. Erano giorni che non si davano pace, e la notizia aveva viaggiato fino all'altro capo del mondo. Paciock senior osservava attentamente la moglie in lacrime, che cercava di soffocare i singhiozzi come poteva dinanzi ai loro colleghi.

«Cara,» le sussurrò lui, sedendosi accanto a lei e prendendole le mani fra le sue.

Ma la giovane madre non osò sollevare il viso per guardarlo, continuò ad accarezzarsi l'addome rigonfio, come se quel contatto potesse aiutarla a ritrovare quella parte di sé che aveva smarrito. Si soffermò per qualche istante su quel contatto, fino a quando sentì sotto le proprie dita un leggerissimo movimento, un pugno e poi un calcio. 

E quel sorriso repentino sulle sue labbra, ben presto fu sostituito e oscurato da una lunga scia di lacrime amare e la consapevolezza che non avrebbe potuto vivere con quella mancanza. E in quel momento Esme Paciock si rese conto che era praticamente impossibile riuscire a trattenere i singhiozzi: non le importava darsi un contegno in una situazione così aberrante.

L'etichetta... imponeva loro di mostrare al mondo magico un'immagine ben più che decorosa del loro ministero. In quanto membri importanti e illustri del ministero Britannico, anche la loro presenza doveva essere altrettanto rispettabile, quasi un paradigma per l'intera Inghilterra magica. Ma né a lei né a suo marito importava più di tanto, soprattutto adesso che il loro amato figlio era scomparso chissà dove.

«O no, amore! Non fare così!» tentò invano di tranquillizzarla lui, avvolgendola fra le braccia, «Lo troveremo! Chiameremo i migliori auror a disposizione, la migliore squadra investigativa che esista! Andremo in Francia, in America, in Brasile, se necessario, amore!» le scostò una ciocca bruna di capelli appiccicata al viso, zuppa di saliva e di lacrime salate.

Ma Esme non aveva bisogno di sentirsi ripetere che andava tutto bene, perché era semplicemente un'illusione. Non stava bene, non fino a quando il suo piccolo Thomas non fosse stato con loro, sano e salvo nel suo lettino davanti a un bel libro di favole.

«Va tutto bene...»
Quelle parole la irritavano terribilmente, si sentiva soffocare ogni qualvolta fuoriuscivano dalle labbra di suo marito.
«Smettila di ripeterlo!! Ripeterlo non ci aiuterà a ritrovare nostro figlio!»

Era almeno la decima volta nel giro di poche ore che glielo rammentava e per l'ennesima volta si tormentava le mani, e si stringeva il labbro inferiore fino a farlo sbiancare e sanguinare.

Non ce la faceva più ad aspettare, con il soprabito e la valigia sempre pronti dietro la porta di casa, in caso di eventuali intrusioni. E nuovamente era lì, a parlare con quel gruppo di palloni gonfiati che non sapeva se reputare ancora colleghi, a rispondere per la centesima volta alla stessa stupida domanda inutile di routine.

Che cosa stavate facendo, anziché guardare vostro figlio?

Amos era rimasto in silenzio davanti alla sfuriata lecita della moglie, senza sapere come confortarla.

Aveva solo le parole con sé, ma non sapeva fino a che punto gli sarebbero state utili.

«Hey, tesoro... ne vuoi parlare?» ci riprovò lui, sussurrando appena.
Quella vocetta che tanto tanto le dava fastidio. Ma era così stanca per reagire, troppo stanca per litigare. E altrettanto stanca di rispondere.

«Amos, come possiamo pretendere di tenerli al sicuro, se... se ci è stato strappato davanti agli occhi? Come farò a proteggere lui

Non riusciva a smettere di singhiozzare la poverina, e di tremare. Si asciugò il naso gocciolante con un fazzoletto e le lacrime con la manica della camicia, che non aveva avuto modo di cambiare da diversi giorni. Amos Paciock non potè fare a meno di abbracciarla, di continuare a stringerle le mani fra le sue, e asciugarle le lacrime.

«Ci sono cose che vanno al di fuori del nostro controllo, lo sai... e questa è una di quelle!» le accarezzò delicatamente la guancia, «dobbiamo almeno provarci, no? Fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità, e»
«Ma non stiamo facendo niente! Non lo stiamo cercando come dovremmo!» tuonò lei, tremando come una foglia.
Amos prese tra le mani una vecchia fotografia stropicciata dalla tasca del cappotto e la passò alla moglie, un piccolo ritaglio da un foglio di giornale.

Parlò solo quando fu certo che lei lo stesse seguendo.

«Lo vedi quest'uomo? È Theseus Scamander, l'auror speciale. Ho avuto modo di duellare con lui, è molto bravo, davvero difficile da battere! Potremmo parlare con lui, fargli affidare il caso...»
«Vorrà essere pagato, Amos. Dove li prendiamo diecimila galeoni? Siamo importanti, ma non siamo ricchi! Non abbiamo abbastanza galeoni!»
«Possiamo chiedere un prestito!» cercò di tranquillizzarla lui, «lo troveremo, amore. Non devi temere, tesoro. Lo riporteremo a casa, lo.»  non riuscì a terminare la frase.

Anche lui adesso non riusciva a smettere di piangere, ma stava cercando di fare di tutto per dimostrarsi forte, per essere il pilastro della moglie.
«Io, Io devo trovarlo! N n-non posso restare qui, devo cercarlo!» si alzò di scatto ritrovando la compostezza nelle gambe. Nei suoi occhi, per quanto alleggiasse una notevole determinazione, si poteva ancora intravedere quell'insicurezza, quel profondo senso di smarrimento e di sgomento. Tristezza e rabbia, mescolate insieme in un calderone pronto ad esplodere con la benchè minima pressione. Si sistemò la lunga gonna fiorata e indossò il cappotto, e senza dare spiegazioni a nessuno si allontanò. Amos Paciock tutto si aspettava tranne che una reazione così repentina, percepì una strana morsa alla gola e istintivamente la bloccò per un braccio.

«Esme... che stai facendo?! Dove stai andando?» la guardò esterrefatto.
La giovane strega trattenne a stenti le lacrime, che minacciavano di fuoriuscire nuovamente dai margini dei suoi occhi smeraldo.
«Io...» si strinse nervosamente le mani, incapace di trovare le parole giuste da dire, «Io voglio andare a cercarlo! Voglio andare a cercare nostro figlio! Non ce la faccio più, Amos. Devo fare qualcosa, altrimenti rischio di impazzire!» lo implorò.
Amos sgranò gli occhi, e scosse energicamente la testa contrariato, pallido come uno spettro insonne.

«Tesoro, Tesoro sei incinta!» non aveva mai alzato la voce così, in effetti mai le aveva alzato la voce o urlato, «sei incinta...» abbassò lo sguardo, le sue grida un sussurro sommesso. «Da sola saresti solo vulnerabile e Grindelwald... potrebbe approfittarne! Non voglio perdere anche te, Esme. Ho bisogno di te, se vogliamo ritrovare Thomas. Dobbiamo farlo insieme.» le sollevò il viso con una mano, mentre l'altra vagava lungo la sua schiena, colpendo delicatamente i muscoli contratti.
Sentiva le sue lacrime sulle proprie labbra, il suo respiro caldo, i suoi singhiozzi sommessi.

Quel bacio sulla fronte non avrebbe riportato indietro il loro bambino, ma era come una zattera in mezzo alla tempesta, ed entrambi ne avevano bisogno.

«Hey.» tracciò il contorno del suo viso con la punta delle dita, «Insieme. Te l'ho detto. Te lo prometto.» e senza aggiungere altro se la strinse a sé, impedendole di muoversi e di fare ulteriori passi.

«E se non arrivasse a conoscerlo?» balbettò lei.
Amos non sapeva proprio che cosa dirle, era una prospettiva che lui stesso  era stato costretto ad abbracciare. Ma non ci voleva credere, non ancora, anche se sapeva che ogni giorno che passava, la possibilità di ritrovare Thomas era praticamente nulla.
«Mancano ancora tre mesi al parto! Vedrai che riusciremo a trovarlo! Lui sta bene, io lo so! Questo incubo non durerà per sempre! Vedrai che ben presto ci ritroveremo nuovamente davanti al camino a scartare regali insieme ai nostri due piccolini!»

Altro non poteva fare al momento, solo farle sentire quanto la amasse, quanto si sarebbe spinto per proteggere la sua famiglia, quanto fosse disposto a perdere se stesso per coloro che amava alla follia.

Esme annuì, socchiuse gli occhi e poggiò la guancia contro il suo petto, dove le pareva di poter sentire il suo battito, accelerato come il proprio. Era esausta, stremata. Sentiva il suo bambino scalciare, dirle di stare tranquilla e non preoccuparsi. Un silente segnale della sua presenza. Forse sentiva che cosa stava succedendo o forse sentiva la mancanza di Thomas, che da giorni non gli dava più attenzioni come desiderava. Tutti i Paciock erano intelligenti, anche quel piccolino.

E Continuava a chiedersi perché proprio loro, perché tra tanti bambini avessero scelto proprio il loro piccolo, e cosa sarebbe potuto succedere al loro secondo grande tesoro.

Tina and Percival's POV

Niente di più piacevole che mangiare un hot-dog davanti a una pila di giornali zuppi di pioggia nel buio della notte più totale. Tina di tanto in tanto si soffermava a fissare le strade deserte di New York e cercava di scorgere il sole che sarebbe sorto tra meno di un'ora. Oltre a Percival che la affiancava, l'unica sagoma che Tina riusciva a intravedere era Lysander dall'altro capo del marciapiede, a qualche metro da loro.

Si era alzata dalla sedia del bar per dargli il suo hot-dog, ma lui lo aveva categoricamente rifiutato dicendole che non riusciva a sopportare l'odore della carne di suino, tanto meno il sapore. E aveva preferito guardarli mangiare, e per tutto il tempo si era sentita in colpa per non avergli offerto nulla, in fondo era stato così gentile da fare gli straordinari per lei.

«Ti dispiace per lui.» mormorò Percival con un mezzo sorriso, quando lei si voltò nuovamente verso di lui per guardarlo.
«Già.» ammise lei ricambiando il sorriso, «non voglio che si offenda... è il miglior dipendente che ho! È davvero in gamba, ha solo bisogno di credere più in se stesso.»
Il mago annuì comprensivo, «Lo so, lo hai scelto tu. Ti conosco bene, Tina. Non ha una reputazione impeccabile, non sappiamo praticamente nulla della sua famiglia... e nulla del suo passato!»

Il capo del dipartimento auror americano si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e annuì appena. Per quanto lei stessa fosse incuriosita della storia di Lysander, allo stesso tempo non le importava più di tanto. Lei non era Queenie, sempre desiderosa di conoscere cose nuove su chissà chi e scoprire chissà cosa. Sapeva solo che, nonostante fosse un lupo mannaro, si fidava ciecamente di lui, anche se era solo un ragazzino di ventun'anni, forse un po' più responsabile per la sua età.

C'era una nuvola nera che ruotava intorno a loro, o almeno era così che diceva la gente. Lo aveva assunto nonostante le notizie che le erano state dette, che facevano scalpore nel mondo magico. Un ragazzino e una bambina oscura, come i suoi genitori. Ma di loro nessuno sapeva niente, e Lysander era troppo riservato per confidarsi con lei.

Non era cattivo, lo sapeva.

Il modo in cui guardava la sorella, l'attenzione meticolosa alla quale la sottoponeva, lo rendevano un ragazzo d'oro, da ammirare.

La verità era che la gente vedeva ombre ovunque, e ignoravano quelle che aleggiavano intorno a loro.

«Non mi importa, Percival. Mi fido di lui. Lysander è leale, è... è un vero amico.»

Forse era troppo tardi mangiare un hot-dog, considerano che era quasi ora di fare colazione. Gli diede un ultimo morso e lo abbandonò, ben avvolto nella sua carta, nella tasca del cappotto. E, inevitabilmente, la senape schizzò da tutte le parti, sporcandole la manica.
«Ha una sorella che ama alla follia, con tutto se stesso. Farebbe di tutto per lei. E questo è più che sufficiente per potermi fidare di lui.»

Affondò le mani nelle tasca, e si ritrovò le dita completamente unte di senape. Ma dove aveva la testa? Aveva perfino dimenticato che cinque minuti prima aveva messo l'hot-dog nella tasca. La stanchezza le giocava brutti scherzi, e non le sarebbe sicuramente piaciuto sapere cosa si celasse lì dentro, come fosse ridotta.
«Ah! Merlino!» sbottò prendendo uno di quei fazzoletti, che sapeva che non avrebbero asciugato nulla.
Percival inarcò un sopracciglio e scoppiò a ridere divertito.
Era una strega piena di sorprese.
«Merlino?» continuò a ridere.
«Beh... ho degli amici inglesi, non dimenticarlo. E sentirli sempre dire "Merlino" per ogni singola cosa...» scrollò le spalle con noncuranza, ridacchiando,
«Beh... é divertente.»
«Già.»

Rimasero in silenzio, un imbarazzante silenzio carico di tensione. Percival continuava a guardarsi intorno come se avesse paura di essere spiato, ma gli unici a muoversi in quella landa desolata erano le lampade a olio dei lampioni, loro due e il lupacchiotto dall'altro lato della strada. Poi Percival trovò il coraggio di parlare, di rompere quel silenzio carico di tensione con un argomento altrettanto grave e importante.

«Quindi... hai preso una decisione a riguardo? Hai pensato a cosa fare?»
Era stranamente dolce, sereno. La sua voce era un invito alla calma. Tina scosse la testa, decise di essere sincera con lui, con uno dei pochi colleghi dei quali poteva veramente fidarsi.
«Non ancora, ma so già di non avere altra scelta. Insomma... non abbiamo piste e Tolliver potrebbe essere collegato a esse, in qualche modo. Forse possiamo sapere qualcosa sulle sparizioni degli ultimi mesi, o meglio... risolvere il caso.»

Vi era una nota di speranza nella sua voce, ma allo stesso tempo terrore misto a sgomento, «Devo farlo, anche se non voglio. Per il Macusa, per le persone scomparse, e per mia sorella. Non posso permettermi di rifiutare. Ma il MACUSA» si bloccò di colpo e prese a guardarlo, «non deve sapere nulla, o ci saranno fughe di notizie! Non possiamo partire già sconfitti! Perderemo prima di cominciare...»

Dovette combattere la tentazione di nascondere le mani nella tasca del cappotto per il venticello gelido che le penetrò nelle ossa, perchè non voleva nuovamente doversi ripulire le dita, nonostante l'aria gelida non riscaldata dal sole. Quella tenda di stoffa sintetica a strisce rosse e bianche sopra la loro testa non giovava a molto in quel clima stranamente pungente.

Tina tremava. Tremava non solo per il freddo, soprattutto per il timore, la paura... perché era ben consapevole che, se avesse intrapreso quella strada, non sarebbe potuta più tornare indietro, almeno fino a quando non fosse stato dietro le sbarre.

«Lo sai che non puoi più tornare indietro?»
Tina inarcò un sopracciglio e annuì; era come se le avesse letto nella mente, le labbra si schiusero in una smorfia di disgusto. Il solo pensiero  di quelle labbra viscide sulle proprie la facevano rabbrividire, risalire la bile in gola. E Percival la conosceva abbastanza bene da capire che cosa le passasse per la mente in quel momento, che cosa e a chi stesse pensando.

Non osava neanche ipotizzare che cosa sarebbe potuto succedere dopo, ma era certo che non avrebbe mai permesso che Achilles si prendesse così tanta confidenza con lei, o che le mettesse le mani addosso.
«Lo so, ma sono un auror... é il mio lavoro rischiare. E poi... tu mi resterai accanto, no? Il mio angelo custode.» gli accennò un sorriso malinconico.

Percival Graves annuì, voleva essere chiaro con lei, doveva sapere a cosa andasse incontro.
«Non arriverà al dunque.» la rassicurò lui, «Assolutamente no. Dove vai tu, vengo pure io. Sarò la tua ombra. Ricordatelo.»

Determinato, fiero, ecco il Percival Graves che conosceva.

Non era ancora del tutto convinta, ma la necessità di prove e il suo moralismo la spingeva ad accettare quella sfida, a esporsi a un pericolo tanto grande. Ma sicuramente non lo avrebbe fatto, senza un  piano, uno schema da seguire, senza un sostegno che potesse aiutarli.

«Devo solo inviare la conferma, quindi...» balbettò.
«E prepararti psicologicamente per la prossima cena... due settimane dovrebbero essere più che sufficienti per organizzarci. Non credi?»
«Dici?» inarcò un sopracciglio, soffocandosi quasi con la sua stessa saliva, non riuscendo a smettere di tossire.
«Dobbiamo scegliere un posto, un luogo adatto. Che non sia troppo "Romantico"» inarcò un sopracciglio, e lo stesso fece lei.

«E lavorare un pochino sulla tua espressione facciale... non puoi certamente apparire così spaventata e terrorizzata... un po' più di sicurezza non guasterebbe.»

In effetti... pensò Tina.

Annuì smarrita, l'ansia che si mescolava con lo stress accumulato durante la giornata. La voce faticava a uscire dalle sue labbra, formando un nodo alla gola. Percival rimase a fissarla per qualche secondo e subito dopo scosse la testa, visibilmente preoccupato.
«Merci Lewis... credo che, credo che abbiamo molto su cui lavorare...» bofonchiò a denti stretti, guardandola preoccupato.
Istintivamente abbassò lo sguardo e si raddrizzò nelle spalle cercando di apparire meno insicura di quanto veramente fosse. Non vedeva l'ora di ritornare a casa, diventare un tutt'uno con il materasso, con il suo caro lettino, abbracciata dalle sue morbide coperte. 
«Devi fingerti vulnerabile ma non troppo... e crederà di avere la preda giusta tra le mani. Ancora non sa che si ritroverà un ostacolo, un macigno da oltrepassare! Una guerriera!»
Tina inarcò un sopracciglio paonazza, «Uhm... la smetti di adularmi?»
«Sei la migliore nella squadra... insomma, il capo!»
«E...?»

Non ci credeva così tanto, non si sentiva all'altezza delle sue aspettative, era inadatta per quel compito. Sicuramente sua sorella Queenie sarebbe stata molto più brava di lei, e gli avrebbe sciolto subito la lingua. Anche lei sarebbe riuscita a farlo parlare, ma con metodi decisamente poco ortodossi... e lei non aveva intenzione di macchiarsi utilizzando la maledizione cruciatus, per quanto quella idea aveva solleticato la sua mente.

«Non ho sbagliato a promuoverti! Il mio miglior acquisto in tutta la mia carriera!»

«Io... ci provo» balbettò lei con un sorriso tirato, «Non so se ci riesco, se ne sono capace.»
«Sì che lo sei!» la interruppe bruscamente lui, impedendole di continuare la frase, «Non importa! Qualunque cosa accada sappi che hai un amico come me su cui contare!»
«Sì,» sospirò lei, abbassando lo sguardo «ma non so con chi ho a che fare.»

Non poteva dire che avesse torto.

Percival lo sapeva.

Sapeva che c'era qualcosa di terribilmente sbagliato in quello che stavano facendo, che non sarebbe stato poi così facile. Sentiva di tradire il proprio buon senso, la sua ragione, di indirizzarla direttamente nella tana del mostro. Erano folli, gli auror. Sempre pronti a lanciarsi nella bufera, e a uscirne sempre vinti. Le sue mani si strinsero con forza intorno al metallo gelido della sedia, mentre guardava il sole che sorgeva all'orizzonte.

Ecco come si sentiva Tina, in una morsa.

E lui non poteva farci proprio niente.

«Spero che la cena sia stata di suo gradimento, signorina Goldstein. Anche se sarebbe stato preferibile consumarla in una situazione migliore, me ne rendo conto.»


Spazio autrice
E con questo capitolo siamo a 175 pagine e ben 74.000 parole🤭
Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento, fatemi sapere cosa ne pensate🥰🥰

Virgy_scamander

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