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15.4. 𝗛𝗼𝘁-𝗱𝗼𝗴, 𝗮𝗴𝗮𝗶𝗻? ( Tina )

Tina and Lysander's POV

Tina non riuscì a smettere di pensare a quel delizioso panino imbottito, che avrebbe gustato quella sera. Già poteva sentire il gusto del salato sciogliersi in bocca, e il leggero sapore di carne con la senape creavano un'esplosione di gusti perfetta. Si asciugò le labbra che si erano inumidite più del solito.

Una soddisfazione, pensò fra sé e sé, senza distogliere l'immagine di quell'hot Dog vagamente extralarge dalla sua mente.

Se solo sua sorella l'avesse saputo...!

Ormai si era abituata alle sue reazioni esagerate. In effetti, la sua alimentazione non era delle migliori e Queenie non faceva che ribadirlo quando si ritrovava a sopportare l'ennesimo mal di stomaco. Ma lei, forse per l'orgoglio o per imbarazzo, rispondeva decisa che la sua alimentazione andava benissimo e che era più che adulta adesso.

Era sempre così, fin da quando erano bambine. Alla fine smetteva di rimproverarla, di dirle qualunque cosa a riguardo, perché sapeva che dietro quel panino vi era molto di più. Sapeva che non si trattava soltanto di golosità, di ingordigia. A esso Tina associava una miriade di ricordi felici, che per molto tempo aveva cercato disperatamente di cancellare.

Aveva smesso di mangiarli, aveva smesso di frequentare quei posti a lei cari, da quando i suoi genitori erano morti. Vi era un tempo in cui a ogni morso si sentiva lo stomaco stringere, ogni morso la faceva vomitare, la immobilizzava e le impediva di muoversi. Finiva per scoppiare in lacrime, disperata, e si rifugiava fra le braccia della sorellina più piccola, che faticava a mettere in ordine i suoi pensieri.

Un tempo, ormai molto lontano, dove non riusciva a pensare nient'altro che a nuvole nere.

Nella sua mente di bambina ancora non aveva neanche la consapevolezza di cosa sarebbe stata da grande, troppo concentrata a sfuggire alla tristezza. A volte le sembrava di poterli vedere, i suoi genitori, ogni qualvolta superava uno dei tanti corridoi dell'orfanotrofio. Sapeva che era impossibile, anche se avevano origini magiche. Tante volte fingeva con Queenie di giocare a nascondino con loro, l'unico problema era che non riusciva mai a trovarli, e per l'ennesima volta scoppiava in lacrime incapace di dare un senso a quella realtà che la opprimeva. Adesso sentiva di stare bene, e quel panino le suscitava di novo un senso di calma e tranquillità; ne era ghiotta, terribilmente ghiotta.

Quando passava accanto al camioncino degli hot-dog doveva necessariamente aumentare il passo, se non voleva restare vittima del loro fascino. Ma non riusciva a spiegare a parole perché le piacessero tanto, oltre all'aspetto culinario. Tina era certa: ne era dipendente. Anche sua sorella ne era convinta. Uno hot-dog richiamava a sé un altro e un altro ancora.

Arrivata nel suo ufficio, rapidamente afferrò un foglio di pergamena nell'ammasso caotico sulla sua scrivania. Scrisse il nome di Achille e lo sottolineo due volte per metterlo in evidenza.
«Traditore!» Esclamò a denti stretti, «Me lo sentivo che nascondeva qualcosa!» mugugnò.
Afferrò i fogli di giornale dove aveva appuntato alcune informazioni fondamentali, ma utili al caso.
«Che cosa sai, Achilles?» si chiese, continuando a scarabocchiare note sul foglio di carta.

«America, Francia, Berlino.Grecia.» Riflettè.

Quei paesi erano casuali, non vedeva alcun nesso logico che potesse collegarli. Forse c'era qualche scarpa, qualche orma che a lei sfuggiva, ma anche per Percival Graves, nonostante tutti i suoi anni di esperienza, non riusciva a trovarne un un nesso. Francia e Germania erano relativamente vicine, l'America praticamente dall'altro lato del mondo.

Ma perché la Grecia? Grindelwald non l'aveva agito direttamente lì, ma le maschere erano state avvistate direttamente per la prima volta in Grecia. E Credence, o meglio Aurelius, aveva detto che loro collaboravano con Grindelwald contro gli auror contrari alla sua causa. Eppure Tina più ci rifletteva più le sembrava assurdo. Gallert Grindelwald sapeva che gli auror erano indispensabili per la sicurezza del mondo magico. E lei era ancora lì, non l'aveva ancora attaccata, almeno non direttamente. Non ancora.
«Capo?»

Tina, sentendosi apostrofare, sollevò appena lo sguardo e intravide la sua unica recluta rimasta in carica quel giorno. Dietro di lui scorse un'altra sagoma più piccola, che non aveva mai visto prima. Era sempre felice di vederlo, il suo miglior dipendente, ma era così stanca che non aveva voglia di parlare.

«Ciao, Lysander!» lo saluto lei distrattamente, nascondendo frettolosamente i documenti nel cassetto più vicino a lei.
Si fidava di lui, così come si era fidata di Achilles, sarebbe stato meglio non correre altri rischi.
«Il signor Graves mi ha detto che cosa le è successo. Non si preoccupi, ci penso io!» esclamò lui serio, guardandosi di tanto in tanto le spalle.
Tina accennò un sorriso, tra il forzato e l'imbarazzato. Sperava che tutto rimanesse dentro quell'ufficio, e che non lo sapessero altre persone oltre loro due. Escluso Achilles.
«Che cosa ti ha detto?» balbettò lei imbarazzata.

«Ma di questa sera ovviamente! Della riunione fra lei e il direttore Graves! Mi ha chiesto di sorvegliare la zona, per evitare che qualcuno possa interferire...»
«Oh, sì...» sussurrò lei, abbassando lo sguardo, «Non ti ha detto nient'altro?» Volle sincerarsi lei.
Lysander scosse la testa e le accennò un sorriso che avrebbe dovuto confortarla.
«No, niente. Mi ha detto che si tratta di questioni segretissime! Mi ha raccomandato di parlarne solo con lei.»

L'auror americana annuì, sospirando. Guardò attentamente il ragazzo che sorrideva raggiante, chiedendosi perché fosse così contento. Era felice che almeno uno dei suoi amici avesse avuto una bella giornata, ed era curiosa di chiedergli che cosa lo rallegrasse. Inspirò forte col naso e si strinse di più nelle spalle per recuperare la sua solita sicurezza.

«Allora... Lys, devi dirmi qualcosa? Cosa hai dimenticato?» inarcò un sopracciglio.
«Ehm... non ho dimenticato niente, non questa volta almeno.» ridacchiò, consapevole delle sue mancanze.

Arrossì appena. Sapeva che sua sorella lo avrebbe preso in giro per tutta la vita per quello.

«Volevo Solo presentarti una persona!» esclamò lui soddisfatto,voltandosi appena.
Si accigliò quando non vide nessuno accanto a sé, e inizio ad agitarsi, visibilmente preoccupato.

Ma dove era finita?

Le aveva raccomandato di non muoversi.
Tina inarcò un sopracciglio, in attesa di risposta.
«È molto timida!» tentò di spiegarle.
«Tua sorella?»
«Ah ah!»

L'auror britannico uscì dal suo ufficio e iniziò a correre per tutto il corridoio, oltrepassando frettolosamente la fila di persone in attesa di farsi lucidare la bacchetta. Non appena intravide la sagoma di sua sorella, rallentò il passo, e si fermò alle sue spalle. Era tutta concentrata a parlottare con un anziano elfo domestico, che borbottava infastidito di essere destabilizzato dal proprio lavoro.

Tina lo seguì in silenzio, ma si fermò a qualche metro di distanza per evitare di peggiorare le cose.

«È incredibile... si dice che la magia elfica sia addirittura più potente della nostra. Guarda! Non hanno bisogno di una bacchetta per fare magie!» accennò un sorrisetto, continuando a guardare affascinata la curiosa creatura.

«Hm.» mugugnò lui, prendendo posto sulla panchina accanto a lei, «e sei fuggita solo per studiare gli elfi domestici?» le chiese con gentilezza, guardando nella sua direzione.
La ragazzina annuì e sospirò.
«Già, può darsi. Ad Hogwarts non possiamo studiarli, sai? Ho provato a liberarne uno una volta e... e non è finita bene.» gli accennò un sorrisetto.
«Capito... quindi non stai fuggendo dal mio capo, giusto?»
«Giusto.» confermò, inclinando appena la testa per non guardarlo negli occhi.

Non c'era bugia che fuggire agli sguardi indagatori di suo fratello Lysander.
«Va bene... ti credo. Ma ci tenevo comunque a dire che il mio capo è buonissimo, e... e che non ti mangia mica.» le scompigliò appena i capelli, «È una persona dolcissima! E credimi, le piacerà tantissimo conoscerti! E so che lo stesso varrà per te.»

Filemina gli accennò un sorrisetto triste e scosse la testa, per una volta il suo entusiasmo non era riuscito ad avvolgerla.

«È che... è tutto così strano qui! Insomma maghi e streghe che si fanno lucidare le bacchette, elfi domestici che seguono i propri padroni... streghe con lo strascico. Non credo che sia il caso di»
«Di stare qui? Io ho trovato delle persone grandiose qui.» la interruppe dolcemente facendole una carezza.
«Ma, ma dirige una squadra di auror! Un dipartimento!» sbottò lei, intimorita, abbassando lo sguardo.

Ma perchè suo fratello non riusciva a capire?

E se gli avesse fatto fare cattiva figura con il suo capo?

Era una vivace ragazzina di quindici anni che raramente si teneva tutto dentro, nonostante fosse particolarmente timida e introversa. Era la classica ragazzina che faceva fare cattive figure, perchè troppo sincera e cristallina. Un po' come suo fratello.

Lysander era convinto che la Gazzetta del Profeta sarebbe stata ben felice di accoglierla come nuovo membro della troupe.

«So che potrebbe spaventarti il fatto che sia un pezzo grosso del ministero, ma è tutto il contrario di ciò che pensi! È umile, empatica, sensibile. È molto bellina e,»

Filemina non gli diede il tempo di concludere la frase, si alzò in piedi e lo lasciò parlare da solo. Lysander si accorse di star parlando con il vento solo quando scorse la sorella a qualche metro di distanza da sé, accanto al proprio capo.

«Piacere!» allungò la mano impacciatamente, gonfiando il petto e raddrizzandosi nelle spalle.

Sembrava un tacchino, di quelli particolarmente gonfi. Era diventata pallida a furia di trattenere il respiro.

Lysander si sentì mancare, si coprì il viso, imbarazzato, vedendo in quella scena il lontano ricordo del ragazzino insicuro, qual era, prima di iniziare l'addestramento come auror.

Pancia in dentro e petto in fuori.

Tina guardò attentamente quel pezzo di legno, fissò per qualche secondo la sua mano tesa e i suoi muscoli facciali contratti. E scoppiò a ridere, senza riuscire a non lanciare qualche occhiata alla sua recluta.

«Merci Lewis! È identica a te, Lys!»
Filemina rimase con la mano sollevata, immobile, a fissarla, con il braccio che iniziava a stancarsi.
«Già!» esclamò Lysander soddisfatto, accennandole un sorrisetto.
«Filemina, giusto?» le strinse lievemente la mano.
La ragazza annuì con un mezzo sorriso, si passò le dita fra i capelli per rendersi più presentabile.
La osservò e si ricordò dove l'aveva vista.

Ecco perchè era così vagamente familiare.

«È la ragazza che mi ha fatto i complimenti suoi capelli. Quella che è entrata di corsa stamattina, in ritardo» sussurrò al fratello.

E come dimenticarla? Era entrata tutta affrettata e tremante, come una furia, che per poco stava sbattendo contro il telaio della porta.

«Allora... vi conoscete già.»
«Non direi conoscere,» specificò lei con una smorfia, «dire 'conoscere' implica»
«So che cosa significa, sorellina! Non puoi cercare di essere un po' meno Corvonero, per oggi?» ironizzò.
Filemina gli lanciò un'occhiataccia, e si voltò dall'altro lato offesa. Così Lysander fu costretto a tornare sui suoi passi.
«Suvvia! Stavo scherzando!» mormorò lui, affiancandola.
Ma Filemina non si voltò, anzi continuò a borbottare fra sé e sé con aria truce, infastidita dalla solita battuta del fratello.

In quella scena Tina rivide una parte di sé, anche lei era molto precisa da ragazzina, un po' troppo studiosa e rigida, per niente flessibile alle novità del momento.

Una piccola soldatina in miniatura.

Non era cambiata molto, forse con il tempo aveva imparato ad essere un po' più flessibile, un po' meno rigida e molto più aperta. I ragazzi scappavano quando la vedevano, specialmente quando intravedevano quella P luccicante sulla sua divisa. Non un capello fuori posto - o almeno quando riusciva a dormire - , perfetta e impeccabile ( magari fosse stato vero...), pronta a denunciare ogni singolo crimine. Anche quello più banale.

«Non c'è nessun problema! Ero praticamente identica da ragazzina, solo non avevo questi splendidi capelli!» esclamò lei, «i miei migliori amici erano i libri!» ammise paonazza, «mia sorella... E i miei amati libri! E poi, ovviamente, la mia migliore amica.»

Quasi si era dimenticata di Lally, e della piacevole compagnia che le aveva offerto da ragazzina. Continuava ancora a essere una sua fedelissima compagna di avventura.

«Davvero?» balbettò lei, speranzosa.
Forse non era l'unica stramba, dopotutto. Bene a sapersi.
«Hm... già! E mia sorella ne combinava di tutti i colori... non una volta che mi abbia dato ascolto! Scintille dappertutto! Uff!» sospirò lei.
Filemina annuì, la cosa non le era affatto nuova.
«Anche io sto impazzendo!! Non sa che cosa significa avere un fratello come Lysander... non fa che puzzare di cane bagnato! Lupo bagnato...»
«Hey!»
«Anche io ti voglio tanto bene, fratellino...» lo calzonò la ragazzina, inarcando un sopracciglio e allungando la testa per sussurrarle: «è tipo uno di quei cani da guardia che ti fiuta sempre sul collo!!»

«Hm... protettivo.» ridacchiò Tina, «non si direbbe...» inarcò un sopracciglio.
«Già! E mi spedisce tante di quelle lettere! Che cosa pensa... che me ne scappi da Hogwarts come faceva lui alla mia età?»

Le due streghe presero a fissarlo, e per l'ennesima volta la giovane recluta desiderò ardentemente scomparire.

Da timida a sfacciata, ecco come era sua sorella.

«Mi manda più gufi lui in una settimana di quelli che riceve lui per lavoro in un mese! Faccia i compiti!» proseguì lei, «A volte avrei tanto voglia di legarlo e di rinchiuderlo in uno sgabuzzino, ma poi penso... che mi sentirei in colpa.»

Poi Tina si abbassò alla sua altezza, dovette piegarsi sulle ginocchia per poter incrociare completamente il suo sguardo. La ragazzina si sentì particolarmente in imbarazzo, piccola e gracile, alta poco più del suo ombelico.
«Ti va di bere qualcosa? Una cioccolata o del tè? Magari potremmo parlare, da donna a donna» le fece l'occhiolino.
Filemina ci riflettè attentamente. Aveva voglia di qualcosa di caldo, e magari di parlare di qualcosa con qualcuno veramente stimolante.
«Ne sarei lieta! Un caffè!» rispose lei decisa.
Tina inarcò un sopracciglio e si lasciò scappare un sorrisetto.
«Uhm... caffè? Non sei un po' piccolina?»
Filemina inizialmente si accigliò, piccolina. Era sempre stata definita tale solo per le sue dimensioni. Le dava fastidio, terribilmente fastidio essere considerata una bambina.

«Ho quindici anni...»
«Sei sempre una bambina» ridacchiò lei, «per tuo fratello.»
«Il caffè è il mio migliore alleato! Mi ha salvato da notti insonne a studiare! Solo che ad Hogwarts raramente lo trovi nelle cucine.» sospirò.
«Va bene.» acconsentì lei.
Le fece cenno di seguirla, mentre si dirigevano di nuovo alla caffetteria.

Achilles doveva essersene ormai andato via da un pezzo, non doveva temere di ritrovarselo di nuovo sotto al naso. Sicuramente era tornato a casa, mentre lei era ancora lì, a dover fare il lavoro di dieci uomini.
Anche lei aveva bisogno di una pausa.

La giornata si stava concludendo egregiamente, nonostante tutto.

«Hai il fidanzatino, Filemina?»
La ragazza si irrigidì di colpo e si voltò appena a osservare il fratello, che aveva deciso di lasciarle sole. Le sarebbe stata utile, a detta sua, un confronto diretto. Nonostante fosse lontano, sentiva comunque i suoi occhi da lupo su di sé, così scelse la strada più breve.
«No.» abbassò la voce.

E lo sguardo.

Tina stava cercando di fare conversazione, gradualmente la folla di maghi andava a dimezzarsi, riempiendo la sala di sonori sbadigli. Di tanto in tanto saltellava e ogni volta che lo faceva Filemina tratteneva un sorrisetto, voltandosi ogni tanto per assicurarsi che il fratello fosse ancora lì.
E Tina non riuscì a non notare quel suo atteggiamento schivo.
«Hm... direi di sì» rise lievemente, abbassando la voce, «Ho capito...»
«Come fa a saperlo?» arrossì violentemente.

Tina ridacchiò, portandosi una mano alla tempia. Le accennò sorrisetto furbetto, che la sapeva lunga. Era più saggia di quanto credesse, la sua esperienza le permetteva di formulare un giudizio fondato.

«Beh... quando vivi per trent'anni con una legilimens impicciona come mia sorella... impari in fretta!»

Molto in fretta...

Le sorrise.

«Ma non ti preoccupare, non lo dirò a tuo fratello.» Le fece l'occhiolino.

Non ancora, almeno, pensò.

Come minimo le avrebbe messo le sbarre alla finestra.

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