4. 𝘽𝙡𝙖𝙠𝙚 𝙁𝙧𝙤𝙨𝙩 & 𝙀𝙘𝙡𝙞𝙥𝙨𝙚 𝙆𝙖𝙮𝙚𝙧
𝑆𝑒𝑡𝑡𝑒𝑚𝑏𝑟𝑒 2002.
𝙀𝙘𝙡𝙞𝙥𝙨𝙚
𝙆𝙖𝙮𝙚𝙧
𝙄 binari del treno stridevano così tanto da farle tappare le orecchie con le mani, non sopportava di fare mezz'ora di treno - o autobus - per dover giungere l'ospedale, ma era sempre meglio che rimanere a casa con suo padre.
Da un'anno a quella parte, Eclipse si era fatta la vaga idea che Brutus Kayer potesse c'entrare con degli affari illeciti, in cui lei, però non avrebbe voluto mai rientrare ed anzi, aveva avvertito anche suo cugino Noire. Anche se lui, non aveva voluto sapere niente. Non perché non gliene importasse ma, la sua situazione famigliare a volte sembrava peggio di quella di Eclipse.
Stava bene, comunque.
Non sembrava scioccata o altre modo spaventata da lui, anzi, se ne avesse avuto la forza lo avrebbe scaraventato lei, stessa giù dalla finestra.
Peccato che però, Eclipse non aveva così tanta forza e Brutus era dieci volte più grosso di lei. La fuga era stata la miglior scelta.
Aspettava il treno guardando gli orari sul tabellone nero e arancione, la chiamata per quello che passava le stazioni vicine stava arrivando al binario due.
La mora si mise dietro la linea gialla ad aspettare, osservando i passanti camminargli accanto muniti di valigia alle mani. Qualcuno parlava al telefono, comunicando a casa che stava giungendo alla stazione.
Alcuni avevano le cuffie collegate ai vecchi MP3, come Eclipse.
Guardò il lungo treno, allungando lo sguardo verso l'altro binario, il numero tre e quattro.
Notò subito qualcuno che la guardava, il sorriso ammiccante proveniva da uno dei suoi migliori amici: Djoser Faraday, i suoi occhi erano circondati da un solco così scuro da rendere vitree le pupille dilatate, immobili sulla figura della ragazza.
Accennò senza paura un saluto, che però, Djoser non ricambiò si voltò e se i suoi capelli ormai lunghi fino quasi alle spalle si mossero con l'aria gelida di quel giorno. Eclipse corrugò le fini sopracciglia scure.
Era strano, Djoser voleva bene ad Eclipse ed era anche il contrario per lei, perché si era comportato in quel modo?
La mora si aggiustò i capelli dentro il cappuccio del giaccone, ispezionando le tasche; delle caramelle alla menta, qualche accendino, le chiavi di casa... e, due pezzi di carta.
Appena si sedette ad uno dei sedili vicini al finestrino, Eclipse scostò lo sguardo dal tavolino avanti a lei ai fogli presi in mano.
Uno, era il lavoro di architettura che lei stessa stava progettando da sola, si era liberata dei suoi compagni. Troppo poco impegno, erano degli incapaci. Riguardandolo le spuntò sul viso un tenero sorriso, fiera del suo lavoro.
Poi prese l'altro, leggendo: "Perché hai preso questo treno, Eclipse?".
Ed un paragrafo sotto: "L'ospedale di Hermstorm è dall'altra parte".
Rabbrividì, il cuore prese a martellare furiosamente nel petto e sentì una morsa farsi spazio tra le viscere.
Gli occhi scuri si voltarono ad guardare sopra di lei, si sentiva osservata e in più, non si era accorta che il treno aveva lentamente cominciato a partire.
No... no... pensò.
Si alzò aprendo le braccia in segno di aiuto. «No! No! Fermate il treno!» si agitò, correndo per il corridoio mentre il veicolo prendeva velocità.
«Vi prego fermatelo!» continuava ad urlare, alcune persone si interessarono di gran lunga a quelle grida, ma non fecero niente.
Eclipse passava di vagone in vagone, in cerca di attenzioni, magari anche di un capo treno.
«Fermate questo treno!» strillò, qualcune la placò tenendola per le braccia, girandosi vide un uomo.
Sul suo volto non vi era nulla se non un'espressione seria. Non era confuso, voleva semplicemente che la ragazza smettesse di agitarsi così tanto.
Nel frattempo, il veicolo stava andando così forte che qualche piccolo sbalzo faceva muovere i passeggeri delicatamente sulle poltroncine.
«Chiamate il capo-treno!» quasi sputò pur di farsi sentire, ma nessuno la ascoltava. Diamine!
Sembrava essere rinchiusa in una bolla, in cui nessuno, la potesse sentire.
Di chi era quel bigliettino? E perché Djoser la stava guardando in quel modo?
Aveva la pura sensazione che qualcosa non andava e che doveva scendere immediatamente da quel treno.
Decise quindi di pensare di scendere alla fermata successiva, nessuna l'ascoltava tanto e, se sarebbe dovuto succedere qualcosa di brutto, non sarebbe capitato di certo a lei, se fosse scesa.
Peccato che quel treno non fece in tempo a imboccare l'altra stazione.
Infatti, poco dopo essersi liberata da quelle braccia viscide con uno strattone, Eclipse si era seduta disturbata. Si vergogna di essere sembrata una pazza, ma non gli era importato. In quel momento l'unico pensiero era scendere.
Poi si guardò intorno, realizzando, la sua borsa? La borsa dov'era? Era accanto a lei? Come poteva averla dimenticata?
Ricominciò la corsa indietro, correndo a perdifiato e sentendo il cuore pompare più sangue, i polmoni inspirare più aria.
Purtroppo, però fu buio in pochi secondi.
Il treno prese una curva troppo veloce per la stazione, una ruota slittò fuori dal binario e il treno scivolò a più di cento chilometri orari sbalzato fuori da questi.
𝘽𝙡𝙖𝙠𝙚
𝙁𝙧𝙤𝙨𝙩
Il cielo si era aperto finalmente, i tuoni avevano smesso di minacciare Hermstorm ma il tempo era rimasto tetro e il tramonto stava giungendo a capolino delle colline innevate.
Blake si era seduto al marciapiede davanti alla magione di Hermstorm con Demi, fissando un punto impreciso mentre si raccontavano di ciò che era successo.
«Come ti sembra che stia Eclipse?» chiese lei stringendosi di più verso Blake.
«Non sta bene. Per niente.»
Blake aveva lo sguardo fisso verso la stazione avanti a loro, si intravedevano solo alcuni binari e alcuni treni, che a volte passando, stridevano alle loro orecchie, dietro le casette a schiera.
Le loro spalle rabbrividivano ancora ad avere la grossa villa dietro, ma per quel frangente di tempo i demoni sembravano non disturbare Blake.
I fantasmi forse sembravano dargli un attimo di pace per farlo pensare a cose peggiori.
Era tanto che, Blake non pensava a sé stesso. La sua famiglia faceva di tutto per tenerlo fuori dai problemi che li minacciavano allo sfratto.
Sua madre faceva due lavori per mantenersi, suo padre tornava praticamente il fine settimana pur di portare a casa i soldi. Lavorava nelle miniere di diamanti e argento di Danewis. Era un viaggio di sette ore, ma gli fruttava decisamente di più. Rispetto a un anno prima.
Sospirò.
Avrebbe voluto aiutare anche lui, ma era troppo piccolo. Aveva provato a lavorare di nascosto, in nero, ma era una persona troppo prevedibile.
«E di Hyde? Sai qualcosa?»
Sentendo quella domanda, Blake si girò verso di lei, stupito.
«Non mi hanno fatto entrare questa mattina...», abbassò il capo facendo spostare il cappuccio nero della felpa sulle spalle, rivelando i capelli scuri luminosi.
«Non è troppo grave, da quel che so.»
Aveva chiesto al suo professore, se un lampo avesse potuto fare morire qualcuno, ovviamente menzionando la mano su cui era stato colpito. Gli era stato spiegato che causano problemi, era piuttosto raro morire per essere stati fulminati ma, non impossibile.
Ogni idea doveva essere presa in considerazione.
Hyde era comunque un ragazzino, abbastanza fisicato, ma mai come un'adulto.
Demi tirò un sospiro di sollievo, non stava dormendo da due giorni e non solo per Hyde, non era l'unico a preoccuparla. Era anche il pensiero di aver aver avuto una notte di fuoco con qualcuno di cui nessuno, poteva sapere.
Il che la eccitava e rattristava allo stesso tempo, avrebbe voluto averne altre e allo stesso tempo rinnegare quel bisogno.
Nel suo ventre qualcosa si spostò, cercando di rinnegare la sensazione.
Però Demi alzò il capo un boato stridé forte alle loro orecchie, tanto che dovettero coprirsele.
«Per ogni apparso, ci sarà uno scomparso.»
Il fuoco prese ad avvampare, i due giovani scattarono in piedi con i volti sioccati e scattarono velocemente verso la stazione in fiamme.
La puzza di bruciato prese a dare così fastidio ai loro nasi da coprirseli mentre correvano a perdifiato.
La ragazza seguiva Blake sentendosi dentro una sensazione di vuoto: un treno aveva deragliato i binari e, se lo sentì ancora prima di arrivare sul posto.
Demi per un momento coraggiosa, si fece forza in quella situazione deglutendo, ma dopo qualche istante quella forza d'animo sparì arrivando davanti al disastro.
Il mezzo era rivolto su un lato, il fuoco bruciava ovunque e il caldo avvampava illuminando ulteriormente i loro visi.
«Chiama il nove-uno-uno!» esclamò Blake, correndo verso quelle poche mani alzate che chiedevano aiuto.
Demi sgranò gli occhi terrorizzata, non sapeva nemmeno dove fosse il suo telefono-cellulare, vecchio e mai con una segnalazione valida.
Lo afferrò in una mano, componendo il numero velocemente gli squillì partirono giungendo però a vuoto, o almeno le pareva così.
La sua vista si focalizzò su un punto, lungo la pianura.
Sentiva freddo. Le fiamme non la scaldavano abbastanza.
Il treno ribaltato le metteva così tanta ansia che dovette guardare solo un punto, le grida laceranti e il terrore prendevano però possesso del suo stato d'animo.
Chiuse gli occhi per qualche istante, preparandosi a risvegliarsi da quel sogno, ma quando gli riaprì era ancora lì. Era successo veramente.
Una strage così ampia ad Hermstorm.
E poi vide un corpo riverso a pancia in sù, i capelli neri sparpagliati per la ghiaia dei binari, il volto tumefatto dal sangue.
Le gambe cedettero per un istante, riattivandosi subito dopo per cominciare una seconda volta a correre.
«Blake!», urlò raggiungendo quel corpo così minuto confronto al suo, «Blake!» cercò di chiamarlo senza sapere dove si fosse cacciato.
Demi si accasciò a terra, facendo cadere le ginocchia rassegnata. Cosa poteva fare davanti al volto della sua amica.
Sembrava ancora più pallido del normale, la pelle era così diafana quasi quanto le labbra... Eclipse sembrava morta...
«Eclipse...» il nome le increspò le labbra risultando quasi un sussurro. La richiamò più volte, fino a quando sfiorandole il viso.
La ragazza con un gesto veloce e inaspettato non gli afferrò la mano.
Un grosso taglio profondo sulla fronte, distraeva Demi dagli occhi neri della sua amica.
Cercava di parlare, non riusciva però a formulare una frase. Sembrava gli si incastrassero in gola ogni volta, come se da lì a poco, sarebbe svenuta una seconda volta.
«È stato...», cercò di parlare. Demi avvicinò il suo orecchio alle labbra, cercando di udire cosa dicesse anche se non vedeva l'ora che il suo amico ritornasse, «è stato Faraday».
Demi sgranò gli occhi, cosa voleva dire quell'affermazione?
«Pronto? Nove-uno-uno, polizia di Hermstorm qual'è la sua emergenza?»
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