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『𝓣𝓱𝓮 𝓬𝓸𝓵𝓭 𝓼𝓹𝓻𝓲𝓷𝓰 』

Era quasi primavera, faceva caldo, tanto caldo, nonostante fosse appena metà Marzo. Il sole era alto nel cielo, quella mattina del mese di Marzo il cielo era spoglio di nuvole. Quella mattina del mese di Marzo fu tremendamente noiosa. Tutta quella luce emessa dalla stella mi dava fastiglio agli occhi, filtrava dalla finestra come la corrente che scorre da un piccolo torrente, era troppa e potente. <<Che fastidio>> Sbuffai alzandomi lentamente. Allungai piano un braccio al paio di occhiali da sole, poggiati sul comodino, dalle lenti scure tendenti all'arancione con sfumature gialle e rosse.

Sbadigliai pigramente, la routine mattutina diventava sempre più noiosa. Passarono venti minuti precisi, per completare la sequenza di processi ripetuti quotidianamente. Una cuffietta nell'orecchio, mani in tasca, capelli spettinati, come gli aculei di un riccio, biondi cpn sfumature arancioni e rosse pian piano scendendo verso le punte, orecchino lungo nero con una croce all'orecchio destro ed uno con un anellino scuro a quello sinistro, occhiali da sole, fisico da nuotatore, slanciato e magro, camicia bianca, cravatta rossa con il nodo allentato e il primo bottone quqsi dimenticato, pantaloni neri, vans a scacchi e quell'espressione annoiata, vuota, spenta sul volto. Sono facile da riconoscere. Alzai le spalle prendendo la mia borsa scolastica.

『冷 春』
"Hiya Haru"

Lessi sull'armadietto a me riservato appena all'entrata della scuola. La "Fredda Primavera", ogni anno il mese di Marzo sembra sempre più freddo. Aprii l'armadietto delicatamente vedendo sopra al mio paio di scarpe una piccola lettera. Non più grande della metà di un foglio proveniente da un quaderno. Presi la lettera lentamente, aveva un cuoricino disegnato in alto a sinistra sulla busta. Girai l'oggetto cercando il nome del mittente.

『東 明』
"Azuma Akira"

Scritto con i kanji di "Oriente" e "Splendente". Fissai il nome attentamente, cercando di ricordarmi chi potesse essere. Ci sono troppe persone in questa scuola. Alzai lo sguardo un secondo, verso il soffitto. Chiusi gli occhi, capelli scuri, fino alla spalle, occhi altrettanto scuri, non che noi giapponesi avessimo tanti colori. Ha le guance morbide, è carina, magra, proporzionata. Chiunque vorrebbe averla come ragazza. Misi la busta nella tasca, mi concentrai sui movimenti successivi, cambiare paio di scarpe.

Mi voltai, verso il corridoio, come ad entrare veramente nella scuola. C'erano delle ragazze, tra queste la riconobbi, Azuma Akira. Appena nel corrodoio, con un pennarello in mano, e lo sguardo nella mia direzione. Che cosa cerchi da me, con i tuoi occhi sottili, dalle iridi scure?
Mi incamminai, lontano da quegli armadietti, lontano da quelle persone.

C'erano scritte tante parole, su quel banco infondo all'aula, quel banco vicino alla finestra. Tante stupide parole, numeri di telefono, complimenti e tante altre cose. Scritto con i pennarelli indelebili, ferme lì per chissà quanto.

『いじめ』
"Bullo".

Scritto sottile, attentamente, quasi inciso per ribadire, per ferire.

『いつ死ぬの?』
"Sei un assassino quand'è che muori?"

Potevo continuare a scorgere, stessa calligrafia, scritto lentamente per ferire, lacerare la mia pelle, ferirmi dritto al cuore. "Voglio morire", vorrei poter dire, ma sarebbe davvero corretto? <<Hiya, continua a leggere.>>. Detto seccamente, velocemente, più che un invito a me sembrò un ordine. Mi alzai, tenendo saldamente il libro, poco prima posato sul banco, con una mano, era piccolo, non ne serviva un'altra, una bastava, ce la facevo.

Gli occhi su di me, degli studenti svogliati, annoiati come me, ce la facevo. La vigilanza delle orecchie di chi era pronto a seguire, ce la facevo. Lo sguardo interessato dell'insegnante, fiducioso o meno, attendeva pazientemente, ce la facevo.
La mia bocca chiusa, i segni dei kanji che sembravano spostarsi.

Ce la facevo.

『世の中は、
地獄の上の
花見かな。』

「Yo no naka wa,
Jigoku no ue no
Hanami kana.」

"Nel nostro mondo,
camminiamo sopra l’inferno
guardando i fiori."

È assurdo che un testo con delle parole del genere sia corretto.

Tornai a sedermi, mentre l'uomo dall'altra parte dell'aula mormorava qualcosa. Spinsi gli occhiali sul mio naso, mi voltai, alla mia sinistra, la finestra era chiusa ma vedevo dall'altra parte. Mi separava da un mondo che avevo già visto, un mondo a cui non prestavo attenzioni, un mondo che ora in quel momento mi mancava.

Voglio vederlo, voglio vederlo di nuovo, quello spettacolo.

Nel nostro mondo, camminiamo sopra l'inferno guardando i fiori. Le persone sanno che esiste l'inferno? Oppure finché quel ciliegio fiorisce non importa? Odiare qualcuno sembra andare di moda ultimamente. Ma siamo noi, che non ne capiamo il senso ed odiamo tutto quello che ci circonda.

<<Classe dismessa, godetevi la pausa pranzo!>>.

Anche oggi non ho soldi come la scorsa volta. Tutto il giorno glorifico la mia svogliatezza. Passi lenti e stanchi, il tetto della scuola è sempre stato il posto più tranquillo. Nessuno in giro, solo io e me stesso. Presi posto ad un tavolo, non serve fare altro. Tirai fuori una sigaretta e la misi in bocca, pazientando, aspettando, lentamente e tranquillamente.

Ma io cosa aspetto realmente?

Sono consapevole della mia inutilità prendo fiato, lascio che quella nuvoletta di fumo si disperda nell'aria: <<Sono triste.>>. Posso davvero riassumere questa mia svogliatezza?
<<Lo sei?>> Rispose. Scossi la testa, abbassai lo sguardo, proprio al tavolo davanti a me. Ne restai sorpreso, non credevo potesse succedere.

<<Azuma Akira...>>. Mormorai sottovoce, lasciando il respiro sospeso, come il cuore si era quasi fermato. <<Puoi chiamarmi anche solo per nome, io posso farlo?>>. Disse con un sorriso, ed una risata ingiustificata, come mosse la mano davanti al suo volto in un gesto naturale. Annuii lentamente, cosa vuoi da me?

<<Come ti avevo detto Haru... Avrai letto la mia letteraー>>. Gliela passai, ancora chiusa, un po' stropicciata. <<Non mi interessa.>>. Mi alzai, mettendo la mia borsa sulla spalla, come presi con due dita la sigaretta dalla bocca. <<Non sono il tipo da stare fermo con una persona. Non mi interessa.>>. Continuai, strusciai la sigaretta conto il coperchio in metallo di un secchio, lasciando quel segno nero, prima di lanciarla dentro.

<<Potrei darti la felicità! Eri triste!>> Disse lei, posando le mani sul tavolo, alzandosi rapidamente, cosa vuoi da me? <<Haru per favore! Non andartene! Hiya io ti amo!>>.

Nel nostro mondo,

<<Per favore! Ti preparerò il pranzo quando vorrai! No tutti i giorni!>>

Camminiamo sopra l'inferno

<<Hiya Haru! Ti prego dammi almeno una possibilità, io ti amo davvero! Lo penso sul serio! Non ascolto quelle stupide voci!>>

Guardando i fiori.

Alzai un braccio, principalmente per coprirmi dal sole, ma coprire cosa, se indosso già i miei occhiali per ripararmi da esso. <<Akira, cosa dicono quelle voci?>>.

Non credi anche tu,

<<Ma come, non dirmi che non ne sapevi niente, Haru. Diconoー>>.

Di star camminando sopra l'inferno?

<<Voglio vederlo di nuovo. È uno spettacolo incredibile. "Sei un assassino", è questo che dicono le voci?>>. Chiesi lentamente voltando il mio viso verso la ragazza. Quasi risi all'espressione che indossava. Le sopracciglia con le punte alzate, andando a scendere, poste in obliquo, labbra schiuse ed occhi preoccupati. Scosse la testa lentamente, cercando un punto a cui aggrapparsi con gli occhi.

<<Io non ci credo. Sai essere gentile, Hiya Haru è una persona gentile>>. Disse tutto d'un fiato. Mi sorprese.

"Haーchan è una persona gentile!"

<<Come fai, a dirlo con certezza?>>. Mormorai sottovoce, le mie risposte non possono cambiare, non devono cambiare, o finirò io stesso per cadere in quell'inferno.

<<Che domanda è? Perché non hai mai fatto male a nessuno che non se lo meritava>>. Disse. Non ho mai sentito frase più stupida ed infondata. Sono io egoista, o questa ragazza?

<<Tu non hai il diritto di giudicare gli altri. Come non hai il potere di scegliere cosa si meritano. Non mi piaci. Non credo mi piacerai mai. Era questo che volevo dire>>. Dissi seccamente, come ripresi a camminare, via da quel tetto, giù per i corridoi.

Più volti incrociavo meno sguardi ricevevo, sono sempre stato convinto, che questo fosse un mondo di persone cieche. Ma la vera domanda è: io lo sono?

  Lo voglio vedere, ancora una volta, solo una volta. Per favore mostrami, il tuo spettacolo.

Nel nostro mondo,

La campanella suonò, così come ero arrivato alla mia aula, entrai e mi guardai attorno. Quel banco che solitamente prendo, era sempre vuoto, come il mio sguardo in quel momento.

Camminiamo sopra l'inferno

Seduto, con una penna nella mano sinistra, il quaderno di matematica aperto sul banco rovinato, il gomito destro posato su di esso, il mio volto a sua volta sulla mano. Guardando fuori dalla finestra.

Guardando i fiori.

Più infondo scorgevo gli alberi che fiorivano, eravamo a Marzo dopotutto. Anche la strada vedevo, dopo la recinzione, composta da alte sbarre di metallo, però era distante da me, che guardavo dalla finestra del terzo piano. Cadde, come corpo morto cade. Una ragazza, maglione grigio smanicato, minigonna scura, camicia bianca, fiocco rosso, capelli scuri. Non vidi nemmeno per sbaglio un occhio, dalla mia prospettiva, era coperto dal volto stesso, aveva le guance grandi.

       È assurdo che un testo con parole del genere sia corretto.

<<È caduto qualcuno dal tetto!>>. Urlò un ragazzo, un ragazzo svogliato che guardava alla finestra come me. Mi alzai, andando ad aprirla.

Nel nostro mondo,

Dannazione, ogni volta resto zitto, cosa dovrei dire? Perché tutti hanno da dire qualcosa? Mi sporsi fuori guardando in basso. <<Oh Dio santissimo è una ragazza!>>. Commentò qualcun altro, la voce era più distante. Guardai alla mia sinistra, veniva da un'altra persona della classe accanto che proprio come me, come noi, avevano visto.

Camminiamo sopra l'inferno.

<<Ma non c'è una rete di sicurezza sul tetto?>>. Continuò una ragazza dell'altra classe. <<Deve averla scavalcata>>. Le rispose un'altra.

Guardando i fiori.

<<Ma è Akira! Azuma Akira del terzo anno!>>. Urlò una ragazza nella mia stessa aula. <<È sua la colpa!>>. Continuò lei, puntando il suo dito, mi voltai, era verso di me. Che espressione sto indossando in questo momento? Sono abbastanza sorpreso come gli altri?

       È assurdo che un testo con parole del genere sia corretto.

<<Hiya Haru è un assassino! Stava parlando con lui nella pausa pranzo! È andata a cercarlo!>>. Diceva, fatela smettere. Mi dà fastidio, non mi piace quando mi parlano così. Io volevo solo uno spettacolo, è davvero così ingiusto, che mi accusino in tal modo.

Più lei parlava più tutti si allontanavano, più lei parlava più le sue parole si offuscavano, più lei parlava più tutto diventava chiaro. Mi odiava, ma odiare qualcuno sembra andare di moda ora. Un giorno tutti cadremo come foglie, senza che nessuno se ne accorga, che problema c'è nell'amare quell'attimo?

Grazie, grazie mille, perché anche oggi, mi hai dato questo dono. Non l'ho uccisa io, è stata lei stessa a farlo. Quanto siamo patetici, noi esseri umani, se non vuoi morire allora vivi, maledici facilmente il passato, tu che come noi, sei odiato dalla vita stessa.

Ed anche oggi mi sveglio da solo nel mio letto. Il sole non era fastidioso, quasi non volevo indossare i miei occhiali. Aprii proprio loro che mi permettono di vedere. Rosso. Era tutto sul rosso, come ogni volta. Alzai un braccio, facendo entrare la mano nel mio campo visivo. Sangue, come se fosse stata tagliata, come se fosse ormai fredda e morta.

       È assurdo che una persona come me sia  ammessa in questo mondo fatto di apparenti gioie.

『東 明』
"Azuma Akira"

Leggevo sulla targhetta, c'era una foto e tanti fiori posati. Restai fermo, non dissi nulla, che altro c'è da dire? Tu non mi piaci, ed ora lo sai, tu che avevi tutto hai deciso di cadere nell'inferno, ed ora sei costretta a sopportare i miei piedi che ti calpestano. Questa primavera, è proprio ghiacciata.

Sono così fin da quando sono bambino. Non so perché, ma non riesco a farne a meno. Cresce, cresce lentamente, e forse mi sta corrodendo.

<<Leggermo un haiku per la studentessa Azuma Akira, dato che è morta appena ieri, qualcuno vuole leggere?>>. Domandò l'insegnante.

Quello che vedo con i miei occhi, sembra uscito da un film horror, sangue, corpi morti, smembrati e non, ovunque io vada, ovunque io veda, vedo la morte.

Mi alzai, mostrando la mia mano quasi timidamente, non devo sorridere o penseranno che sono un insensibile. <<Posso?>> Chiesi, l'insegnante annuì, come afferrai il libro, con due mani questa volta, altrimenti si potrebbe notare, l'altra tremare.

『チル梅に、
みやぐるそらの
つききよし。』

「Chiru ume ni,
miaguru sora no
tsuki kiyoshi.」

"Il fiore cade,
Alzo il mio sguardo
Splende la luna."

Non è un problema, se tutto rimane nella mia testa, non è un problema se lo immagino e basta. Ma così non è mai abbastanza. È assurdo che una persona come me sia ammessa in questo mondo fatto di apparenti gioie.

Volevo sorridere, volevo ridere, mi piace il sangue, mi piacciono i cadaveri. Cominciai a guardare qualunque film potesse avere quelle scene, ma non era abbastanza, non era mai abbastanza, cominciai a tagliarmi ma non bastava. Uccisi, ed era ancora meglio. Sapere che quel sangue è reale e non una mia finzione.

Tornai a sedermi, posai il libro sul banco e fissai il nulla davanti a me. Questa primavera è proprio ghiacciata.

Non doveva succedere, dovevo essere io a spingerla lentamente fino alla morte, invece l'ha fatto subito. È assurdo che in un mondo del genere lei potesse vivere.

"Non mi interesserebbe se fossi io a morire, ma non voglio che gli altri muoiano, il solo: "non vorrei che accada", non è un motivo incredibilmente egoista?". Così lei pensava. Oppure voleva morire, ma gli altri ne sarebbero restati tristi, non voleva forse che nessuno si arabbiasse con lei?

Non devi mai dire di non voler morire, è sbagliato. Devi vivere. Ma vivere per cosa? Non sono triste. Sono solo stufo di questo perenne inverno. Eravamo a Marzo, e quella primavera era davvero ghiacciata.

Passammo ad Aprile, ed un cadavere venne rinvenuto, un ragazzo si era tagliato le vene nel bagno dei dormitori. Anche quel giorno dormii solo nel mio letto.

Giugno ed un morto.
Luglio ed un altro.
Agosto e morivano anche qui.
In questo mondo tutti quanti muoiono a chi importa veramente se gli altri sono tristi? Creiamo legami, crediamo che ci siano veramente cose sbagliate, per loro io sono sbagliato.

Siamo a Settembre. Quasi mi manca, quella primavera fredda. È ancora inverno, lo sento. Ed anche oggi leggeremo lenti haiku, che dai significati celati, vogliono dire tutt'altro. Possono complimentarsi con me quanto vogliono, a me non importa.

Nel nostro mondo,
Camminiamo sopra l'inferno
Guardando i fiori.

Camminavo, fuori dalla scuola, via per le strade, nulla importa davvero, è un mondo fatto di menzogne. Ma io voglio veramente morire in questo mondo?
<<Haru!>>. Urlò una voce, una voce maschile, familiare fin troppo, quando ti ho mai dato il permesso di chiamarmi per nome?

Si aggrappò al mio collo con un braccio, era in corsa evidentemente, neppure il tempo di fargli dire altro che gli diedi una gomitata sul fianco, successivamente un calcio alle sue caviglie facendolo cadere. Presi qualche passo indietro sbuffando infastidito.

<<Razza di idiota. Per quanto hai intenzione ancora di rompermi?>>. Borbottai al ragazzo. Lui era diverso, dalla media delle persone. Aveva i capelli blu tinti, gli occhi leggermente più schiusi ma pur sempre a mandorla, la pelle pallida in risalto con le occhiaie scure.

<<Uhー m–mi dispiace di essere fastidioso, maー volevo stare un po' con te...>>. Rispose lui, volgendo lo sguardo lentamente al terreno. A volte mi chiedo se camminiamo da soli o meno, perché qualcuno vorrebbe starmi accanto?
<<Solo non rompermi>>. Sbuffai acidamente, come ripresi a camminare. Non sentivo la sua presenza, era fastidiosa per quanto piccola ed insignificante.

<<Ketsueki?>>. Domandai voltandomi appena. Mi guardò leggermente sorpreso come si alzò e mi raggiunse in fretta. <<Puoi anche chiamarmi per nome...>>. Mormorò sottovoce.

<<Se me lo ricordassi lo farei>>. Dissi a mia volta scrollando le spalle rapidamente. Ma cosa vuole questo qui? <<È Akai, mi chiamo Akai come rosso>>. Mi ricordò, quasi gentilmente, la sua voce aveva un suono gentile.

Nel nostro mondo,

『赤』
"Akai", scritto come rosso.
『血液 』
"Ketsueki", come sangue.
A volte davvero non capisco, il gioco che fa questo folle mondo. Sei tu, come me, odiato dalla tua stessa esistenza? Sarai tu a morire, oppure chi ti starà intorno?

Camminiamo sopra l'inferno

<<Sei nel club di nuoto?>>. Domandò, senza balbettare tanto meno esitare. Da quanto tempo volevi farmi questa domanda? Un semplice gesto del capo in risposta, serviva altro? <<Come lo sai?>>. Lo vidi spostare la testa, forse imbarazzato? <<Sei slanciato, ed hai il fisico a clessidra, come i nuotatori>>. Disse. È davvero ironico, come non si sia fatto sfuggire un dettaglio così irrilevante.

Guardando i fiori.

Lo tirai indietro appena passò l'auto, era come se non avesse mai sentito il motore di essa. Le strade sono sempre state pericolose. <<Fai attenzione, idiota>>. Sbuffai lasciando il colletto del suo maglione.

    È assurdo che un testo con parole del genere sia corretto.

Gli porsi una lattina continuando a camminare. <<D–dove stiamo andando?>>. Chiese il ragazzo dai capelli blu, afferrando l'oggetto. <<Lo vedrai, è un posto tranquillo>>.

Così ci sedemmo, sulla ringhiera di un ponte, mentre davanti a noi vi era una cascata, sotto di noi invece, l'acqua del fiume scorreva veloce.
E fu veloce, uno scatto rapido, come mi voltai rapidamente. Aveva in mano una macchinetta fotografica, ed era rivolta a me, non mi accorsi nemmeno quando la tirò fuori, vivo così tanto nel mio mondo?

<<Che diavolo fai?>>. Cominciai acido, ogni volta fai quello che ti pare, e tu dovresti essere timido? <<Avevi il volto troppo rilassato per ignorarlo... S–se ti dà f–fastidio non lo faccio più...>>. Si morse il labbro, nascondendo quegli occhi scuri tra i capelli di quel bel colore.
<<No. Ero solo sorpreso, a dire la verità non mi importa>>.

Ketsueki Akai, cosa vuoi tu da me?

Giorno dopo giorno. A Settembre quell'anno non morì nessuno, non voglio ringraziare un Dio, se mai esistesse, perché non ho ottenuto quello che volevo.
Ed ogni volta che ero troppo tranquillo sentii, lo scatto di una macchina fotografica. Ogni volta che mi giravo, c'era lui a grattarsi nervosamente un braccio, torturarsi la manica dell'uniforme.

Piove, oggi le fiamme dell'inferno sotto di noi sono basse. Cacciai un forte sospiro, non portavo mai l'ombrello, tanto meno avevo la giacca da far bagnare. Freddo. Avevo i brividi lungo le spalle e le braccia, come correvo per le strade. Entrai nel solito minimarket, ero solo, non c'era nessuno dopo tanto tempo. La solita bibita, il solito prezzo, la solita strada, che correvo tornando al dormitorio, oggi non potevo uscire e girare quanto volevo.

Il giorno seguente, c'erano le pozzanghere, era Ottobre ormai. Anche quel giorno non avevo la giacca. Anche quel giorno sentii freddo, poco freddo, anche quel giorno non vidi Akai.

Sdraiato sul mio banco, con le braccia incrociate sotto la fronte. Non avevo davvero voglia, di fare qualcosa. Suonò la campanella, mi alzai e presi la mia borsa. Stessa ora stesso luogo. Aprii la porta del tetto, e quasi ne restai sorpreso.

<<Uh... H–Haru...>>. Mormorò quella voce familiare, capelli blu, occhiaie, pelle pallida ed occhi grandi. Akai Ketsueki. <<Tu continui a tornare, credevo fosse la volta buona che eri morto>>. Mormorai con un sorriso crudele sedendomi al tavolo.

Parlammo. Forse partecipai molto più a quella conversazione che alle altre. Era impossibile non notare, che il suo tono di voce fosse più basso, i gesti più lenti, e come zoppicasse, per quanto si impegnò per non farmelo vedere.

Nel nostro mondo,

  Mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto.

Non ho mai avuto voglia di togliermi gli occhiali dal volto, non avrei mai voluto vedere, quel blu sporco di rosso, quelle occhiaie coperte di sangue. Anche se questo è il tuo nome, tu non sei altro che il mio desiderio, il sangue.

Camminiamo sopra l'inferno

È tutta colpa mia. Mi dispiace così fottutamente tanto. Potrai mai perdonarmi?

E riprendemmo ad uscire, eri più tu che mi seguivi ovunque. Eri timido ed impacciato, ricoperto di ferite e forzavi un sorriso. Non vidi più la tua macchinetta fotografica, mi piacevano le tue foto. Però eri solo, non c'era nessuno ad attenderti a casa, non c'era nessuno disposto a farti perdere tempo per non tornare, non avevi nessuno neanche in quella orrenda scuola.

Guardando i fiori.

Fattosta che ti aggrappasti a me, e quella fu la tua rovina. Mi dispiace così tanto. Perché? Perché mi hai dato questa maledizione?

      È assurdo che una persona come me sia ammessa in questo mondo composto da apparenti gioie.

Ed arrivammo di nuovo a Marzo, nessuna morte. Nemmeno uno, e quasi sorridevo, quelle giornate sembravano sempre meno folli.
C'era una strada chiusa quel giorno, quel giorno splendeva il sole, la primavera era appena tortata.

Il nastro della polizia circondava quella strada. Una folla di persone si alzava davanti a me, che ero solo diretto, a quel piccolo minimarket. <<Non è l'uniforme del liceo Kaizen quella?>>. Uddii dalla folla. Mi avvicinai incuriosito. <<Ma non lo sai? Muoiono un sacco ragazzi al liceo Kaizen, quasi tutti di suicidio>>. Mormorò un'altra, man mano che camminavo tra quegli esseri. <<Saranno solo voci, non vedi quello che è successo?>>.

Arrivai davanti al nastro e mi bloccai. Avevo le labbra schiuse, ma che cosa dicevano i miei occhi? Era disteso a terra un ragazzo, sopra una pozza di sangue, c'era una macchinetta fotografica vicino a lui.

       Non ho mai voluto vedere, il tuo blu tinto di rosso, perché adesso non mi ascolti più? Non volevo più vederlo, il tuo spettacolo era diventato noioso.

Mi ricordai come un flash, di cosa parlammo quella volta. Una conversazione tanto insulsa quanto futile. Tu mi chiesi, quale fosse il mio fiore preferito. Non ne ho mai avuto uno, ma una persona amava tanto il glicine, era bello in effetti. Spesso andavamo a vederli, gli alberi di glicine in fiore. Fiorivano a Marzo.

Quell'albero era lì, in alto nella natura, e tu volevi fotografarlo, potevi farlo restando a terra. Ma ti sei voluto arrampicare, e sei caduto anche tu in quell'inferno sotto di noi. Perché dovevi scattare la foto perfetta? A me non importava quale fosse, non importava nemmeno se ci fosse stata quella foto.

"Perché Haru è una persona gentile".

"Hiya Haru è una persona gentile".

"Ha–chan è una persona gentile".

Volevo urlare. Volevo gridare. Io non volevo vederlo, non volevo vederlo. Questo spettacolo è ormai troppo noioso. È crudele, non mi piace più.
Tu come me, sei odiato dalla tua stessa vita, ma tu non dovevi morire, mi dispiace.

Quindi corsi via. Era come se piovesse, quel sole faceva male, tanto male, bruciava, come la pioggia acida, picchiava, come le gocce arrabbiate. Era assordante, era assurdo, io non volevo vedere, il tuo blu sporco di rosso.

Era questo il tuo destino? Questo mondo è pieno di assurdità, non mi piace, perché non riesco a vivere. Brucia tutto dentro di me. Urlai ed urlai. Volevo fare qualcosa, ma cosa potevo fare?

『血液 赤』
"Ketsueki Akai".

Leggevo su quella targhetta. C'erano dei fiori ed una sua foto, era la stessa che aveva sui documenti. Lui stava dietro l'obiettivo, c'erano tanti fiori, tra cui il glicine, tutti quanti furono convinti che fosse il suo fiore preferito. Zinnia, un fiore rosso, era questo quello che più amavi.
Posai una lattina vicino alla foto, solita bibita, solito prezzo.

<<Ti prego, andiamo a vedere la cascata anche oggi, Akai. Prometto di indossare quell'espressione tranquilla>>.

Ed anche oggi glorifico la mia svogliatezza. Come ieri non ho soldi con me. Anche oggi dormirò da solo nel mio letto. Non c'è nessuno ad arrabbiarsi con me. Se fossi io a morire non mi importerebbe, ma non vorrei che fossero gli altri intorno a me a morire, "perché ne sarei triste" mi sembra un motivo del tutto egoista.

<<Per salutare l'ultimo ragazzo, dovremmo leggere un haiku, qualcuno disposto a farlo?>>. Ed anche oggi alzo la mano. Non ti piaceva lavorare dietro le quinte, ed hai deciso di recitare anche questa volta, facendo lo stesso spettacolo. Non è così Dio?

『きてゆく、
のもうがれなく
ほとけかな。』

「Kiete yuku,
no mo uragare no
hotoke kana.」

"Prati morenti,
Il sottobosco gela
è la mia ora."

       Ed anche quest'anno la primavera è gelida, ghiacciata. Tanto da uccidere i prati. Tanto da congelare il sottobosco.

Quindi caddi, come corpo morto cade. L'acqua del fiume era gelida, il rumore della cascata si affievolì in un solo secondo. Vedi? Sono calmo. Ho quell'espressione tranquilla, ti ho comprato da bere, sono gentile.

Nessuno si arrabbierà con me. Non ho una casa, non ho una famiglia, non ho amici, avevo solo i tuoi spettacoli, ma sono ormai noiosi. Ed io voglio vedere di nuovo, per chi ho vissuto fin'ora?

Nel nostro mondo,

Volevo tornare in superficie, ma ormai avevo già svuotato l'aria dai polmoni, la corrente mi trascinava. Avevo già superato il ponte? Era tutto blu.

Camminiamo sopra l'inferno

Mi piace il blu, è diverso dal rosso. Non ci sarà rosso in questo blu. Non ci dev'essere rosso in questo bellissimo blu.

Guardando i fiori.

Non respiravo. Avevo la vista offuscata. Non sentivo nulla, c'era solo acqua nei miei polmoni, solo blu intorno. E persi tutto, divenne nero. È questo che si prova a morire? Non ha fatto male.

Non trovi anche tu che sia assurdo, questo mondo sbagliato?

Fu ritrovato il corpo di un giovane, slanciato, fisico da nuotatore, capelli biondi, tendenti all'arancione sulle punte dei ciuffi, appuntiti e spettinati come aculei. Camicia bianca, cravatta rossa e pantaloni neri, vans a scacchi. Liceo Kaizen. Morto affogato, con in tasca dei petali di zinnia.

A Marzo in quella gelida primavera morirono due persone. Forse era solo così che doveva finire, sarebbero morti entrambi senza dirsi l'ultimo addio.

『冷 春 』
"Hiya Haru".

Si poteva leggere sulla targhetta, nella sua foto indossava un'espressione tranquilla. C'erano pochi fiori, ed erano rossi. Lui odiava il rosso, era il colore del sangue, il colore che era obbligato a vedere.

『世の中は、
地獄の上の
花見かな。』

「Yo no naka wa,
Jigoku no ue no
Hanami kana.」

"Nel nostro mondo,
camminiamo sopra l’inferno
guardando i fiori."

Lesse una studentessa per lui, nessuna emozione, nessun rimorso, sarebbe davvero mancato a qualcuno?
Piansero per Azuma Akira.
Pensarono per Ketsueki Akai.
Ignorarono per Hiya Haru.

<<Come fai a dirlo con certezza, allora Aiko?>>.

<<Per me ci sei sempre, mi proteggi, mi aiuti, vorrei restare con te fino alla fine dei miei giorni, proprio perché Ha–chan è una persona gentile>>.

Ci fu un incidente. Non feci in tempo a tirarla indietro. Persi qualcuno che consideravo una sorella. Si tinse di rosso, mi piaceva, ma mi sentivo vuoto. Ora ho capito che in realtà il rosso, l'ho sempre odiato.

Non è assurdo quanto sia tremendamente sbagliato, questo mondo fatto da apparenti gioie, finte speranze, persone imperdonabili, e da testi dalle stesse parole esagerate?

Continuate pure a camminare su questo inferno.

Finalmente questa primavera è calda.

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