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𝕻𝖗𝖔𝖑𝖔𝖌𝖔

Prese uno sgabello di legno da un angolo della stanza e lo spinse contro la parete su cui si ergeva l'enorme libreria. Vi poggiò sopra uno spesso cuscino di velluto rosso, poi salì con entrambe le gambe e iniziò ad allungarsi col braccio. Non bastava, si mise sulla punta dei piedi. Il dito indice riusciva a toccare il bordo della copertina: il grande libro verde su cui era incisa la scritta dorata "La razza dei Misteri: origine e supposizioni" troneggiava tra gli altri. Riuscì a ghermirlo con l'unghia e tirare. Il libro si mosse appena e sporse in fuori. Se fosse riuscito a inclinarlo un pochino avrebbe potuto afferrarlo con la mano intera. Tirò ancora un po', c'era quasi...

«Pulce, che combini?»

Perse l'equilibrio. Capitolò giù dallo sgabello graffiandosi il piede sinistro, l'altro riuscì a cadere sul terreno. Rimase in piedi, ma il grosso volume gli era volato di mano: finì sul pavimento con un forte tonfo, aprendosi a metà. Si affrettò a prenderlo per nasconderlo.

«Cosa leggi, di tanto interessante? Dai, fammi vedere».

L'aveva già messo dietro la schiena. Dannon gli venne incontro e la lotta iniziò: sgattaiolò come una piccola volpe, cercando di non farsi prendere dal fratello che tentava di bloccarlo con braccia più lunghe delle sue.

Corse in tondo per la grande camera, all'indietro, senza perdere di vista Dan e senza mostrargli il libro. Si ricordò di non dover inciampare in nulla, il maestro sarebbe andato su tutte le furie se avesse rotto uno di quei vasi preziosi in bilico sui tavolini. Dan aveva già mandato in mille schegge una delle poltrone rivestite, qualche settimana prima, dopo essercisi buttato sopra con troppa foga. Lui però non avrebbe ricevuto la stessa indulgenza del fratello: Dan non lo faceva apposta, era vittima di una maledizione che non poteva controllare. O dono divino, come la mamma continuava a definirla.

«Se ti prendo, vedi!»

Lanciò un piccolo strillo divertito, mentre si divincolò dalla presa di Dan che era riuscito ad acciuffarlo con una finta più veloce. Non demorse: pose il libro sul torace e lo avvinghiò stretto con entrambe le braccia. Rise ancora. Dan lo cinse con entrambi le mani da dietro e iniziò a tirarlo tenendogli i polsi, per aprire la morsa serrata. Si ostinò a non cedere, finché la presa di suo fratello non si intensificò, divenne più forte, forse troppo... Sentì dolore.

«Lasciami! Lasciami, mi fai male!»

Dan lo lasciò subito, si ritrasse da lui nell'immediato. Alzò gli occhi nella sua direzione e si pentì subito di aver urlato: Dan aveva smesso di sorridere, le braccia distese lungo i fianchi e l'espressione smarrita. Notò come gli occhi di suo fratello indugiavano sul lato sinistro del suo viso: guardava la lunga cicatrice che gli aveva lasciato tempo prima, quando ancora non era in grado di padroneggiare la propria forza. Ebbe l'istinto di coprirsela.

Avrebbe voluto dire qualcosa, ricordargli che non lo considerava colpevole, ma non parlò. Lasciò che il rimorso pungolasse Dan senza muovere un dito: un po' gli dispiaceva, forse aveva esagerato, ma era così raro che qualcuno gli desse attenzione, ormai. Bearsene un po' non avrebbe fatto male a nessuno.

Si girarono entrambi, al suono di piccoli passi leggeri che facevano capolino nella stanza. Il maestro era arrivato.

«Che cos'è questo baccano? Non potete rimanere soli senza comportarvi da zotici, voi due?».

Parlò Dan: «Maestro, è colpa mia.»

«Signorino Dannon, mi stupisco di voi. Non manca molto alla vostra partenza per la capitale, credete che una simile condotta sia consona a un futuro grande cavaliere?»

«No di certo, perdonatemi. Un po' di sano svago prima di lasciare mio fratello... mi mancherà molto, una volta abbandonata Agonos».

Un luccichio nello sguardo del vecchio. Lo riconosceva, e fu grato che fosse stato Dan a farsi avanti. Con lui nessuno riusciva a essere troppo severo, lo amavano troppo. La voce del maestro si abbassò e assunse il tono di una carezza.

«Che non si ripeta più, mi raccomando. E voi, signorino, cosa avete lì? Fate vedere».

Allungò il grosso volume nella direzione del maestro, nonostante la fitta alla pancia e le mani sudate. Quel vecchio dalla barba incolta e i modi severi gli faceva ancora paura, non sarebbe riuscito a nascondere oltre quello che stava cercando di scoprire.

Il maestro sfogliò rapidamente il libro, prima di emettere una piccola risata: «Signorino, cosa volevate trovare qui, di interessante? Nessun libro potrà darvi spiegazioni certe sui Misteri. Sono state cantate tante canzoni, scritti innumerevoli racconti... eppure brancoliamo ancora nel buio. La dimostrazione più lampante che potete trovare del fenomeno è lì, di fianco a voi».

Non osò guardare Dan, si sentiva in imbarazzo, esposto. Parlò però al maestro, con un piccolo tremito. Forse lui era l'unico ad avere una risposta: «Volevo capire come funziona, come si trasmette. Com'è possibile che nascano dal nulla, che gli altri familiari non manifestino alcuna stranezza? Forse bisogna solo aspettare, forse alcuni poteri sono nascosti...»

«Signorino, temo di non avere una spiegazione esauriente alla vostra curiosità. Vedete, ragazzi miei, sono state formulate molte teorie, da sapienti e studiosi di ogni epoca: si è ipotizzato che i Misteri discendano da elfi, maghi, addirittura che divinità lontane li abbiano gettati dal cielo, in tempi così remoti da non poter essere ricordati».

Il maestro si spostò verso una delle grandi poltrone verde muschio e vi si lasciò ricadere sopra. Continuò, dopo un piccolo sospiro: «Si ipotizza che in origine i grandi Misteri fossero entità complete, in grado di dominare la natura e gli eventi con la sola forza della loro mente. Col passare delle generazioni questi poteri si sono frammentati, fino a diventare minuscoli brandelli che, a volte, ricadono in qualche individuo. A oggi, nessuno sa dire cosa governi la loro comparsa. Quel che è certo, è che si tratta di un dono da custodire con grande cura».

«Perdonate se vi interrompo, maestro, ma dissento: ha più l'aria di una punizione, per quanto mi riguarda».

Guardò Dan. Suo fratello si era rabbuiato ancora di più, si era persino permesso di parlare sopra al maestro. Non era la prima volta, era già capitato di vederlo di malumore, soprattutto negli ultimi tempi. Lui non riusciva a capirlo: tutti lo adoravano e lo accerchiavano... Avrebbe dato qualsiasi cosa per ricevere lo stesso brillio di quando la mamma osservava Dan e lo definiva un miracolo. Il mio piccolo miracolo, diceva lei, prima di abbracciarlo e baciarlo. Lui li contava: quei baci e quegli abbracci erano sempre più dei suoi, da quando era nato.

Si chiedeva cosa ci fosse di storto e di sbagliato in lui, per non aver ricevuto la stessa sorte. Se gli avevano concesso di allenarsi e di seguire le stesse lezioni di Dan, di imparare a cavalcare e tirare di spada, era solo perché suo fratello aveva insistito al posto suo. Ciononostante, non avrebbe mai aspirato a diventare cavaliere. Suo padre non avrebbe mai mosso la stessa somma di denaro usata per Dan: di lui, dicevano, c'era da aspettarsi che diventasse un mercante come il resto della famiglia, al massimo un funzionario, la cosa più lecita se pensava di volersi riavvicinare a suo fratello nel futuro. Mai un eroe, mai qualcosa di tanto speciale.

Il maestro guardò Dan e parlò a voce più bassa, senza rimproverarlo, nemmeno a quel punto: «È successo qualcosa in città? Ho sentito parecchie voci, ma l'intolleranza di questi giorni non deve pesare sul vostro animo, signorino».

Suo fratello fece un piccolo sorriso, privo di gioia: «È finito il tempo dei miracoli, maestro. L'appellativo più frequente che sento ormai è "mostro", e non mi stupisce affatto».

Si fece coraggio e parlò a suo fratello: «Tu non sei niente del genere!»

Dan non gli rispose. Si limitò a ignorarlo e guardare per terra.

Come potevano permettersi di definirlo a quel modo? Era il solo che si rendesse conto di come lui non fosse invisibile. Sì, a volte aveva desiderato di essere figlio unico, era vero, ma poi se ne vergognava sempre, da morire.

Il maestro esalò un profondo e lungo sospiro. «La paura, ragazzi miei, è un sentimento davvero strano. Ci protegge, ma ha il terribile vizio di avvinghiare la mente e avvelenarla. Dovete ricordarvelo e fare in modo che non prenda mai il possesso della vostra razionalità, prima che del vostro cuore. È la paura ciò che permette alla violenza di mascherarsi da salvezza...»

«C'è davvero salvezza, per uno come me?»

«Solo il tempo potrà dircelo, signorino. Temo che questa nostra epoca abbia ormai trasformato i dubbi in paura, e i Misteri in Mostri».





🦌🤎⚔️🔥

Qualcuno che aveva già letto il precedente prologo potrebbe finire qui e domandarsi chi sia questo bimbo, fare supposizioni e teorie...

Si saprà tutto a tempo debito.
Per tutti gli altri, complimenti, avete vinto la versione migliorata del prologo 🥲

Buon divertimento 🖤

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